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9.0/10
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Un illustre filosofo francese, R. D., credeva fortemente che alla base di qualsiasi conoscenza ci fosse l'auto riflessione, la conoscenza di colui che si appresta a conoscere. Sappiamo che le idee di questo pensatore sono passate alla storia.
Facciamo un salto di (più) di qualche secolo, arriviamo ai giorni nostri. I ritmi frenetici della vita professionale - e non, l'economicizzazione del tempo, l'avvento della cultura di massa e delle speculazioni finanziarie. Tutti questi fattori hanno relegato la conoscenza del proprio sé - un tempo la base di partenza di qualsivoglia speculazione - sotto una spessa coltre di simboli, codici e immagini.
Se Yamamoto definisse con una perifrasi la modernità la chiamerebbe sicuramente "l'era dei simulacri", costrutti privi di significato specifico in sé ma necessari per interagire con la realtà moderna.

Susumu Nakoshi - colui che all'apparenza sembra il protagonista dell'opera in questione - vive a metà strada tra un hotel di lusso e un parco che funge anche da rifugio per senzatetto. La sua è una condizione già di per sé al limite (tema molto caro a Yamamoto): non sappiamo perché viva questa situazione. Apprendiamo che nel suo passato il suddetto hotel è stato uno spazio da lui frequentato, ma sappiamo anche che adesso frequenta il bivacco dei senzatetto. Insomma, dal lusso sfrenato e monotono alla povertà ideale e autoindotta.
Per una serie di fortuite circostanze Nakoshi presta il suo corpo alla scienza: egli accetta l'offerta di uno studente di medicina - più interessato agli esseri umani che alla medicina in sé - di settecento mila yen in cambio di un piccolo intervento chirurgico. Tale intervento consiste nel praticare un piccolo foro al cranio, in maniera da alterare la pressione del sangue, aumentare l'afflusso sanguigno al cervello e giungere a sviluppare il sesto senso, ovvero la capacità di intuizione.
Ben lungi dagli effetti desiderati, Nakoshi diverrà capace di osservare gli "Homunculus", le malattie dell'animo, annidati nelle persone. Queste patologie, raffigurate come dei simulacri mostruosi che alterano il quotidiano aspetto umano, hanno una particolarità: sono il modo attraverso cui Nakoshi giunge alla comprensione delle miserie del proprio io interiore.
Tutti gli Homunculus che il protagonista si troverà ad osservare nei vari personaggi raffigurati rappresentano sempre il collegamento tra i disturbi di tali figure e i disturbi di Nakoshi.
Mentre cerco te in realtà trovo me.
Tutti i casi che il protagonista si ritroverà ad affrontare - dei veri e propri scontri, dal boss mafioso, passando per la 1775, Ito, N.N. e il cuoco, sono tappe che permettono di dipanare il misterioso passato di Nakoshi e svelare le miserie dell'animo umano. Perché la storia di Susumu Nakoshi è in realtà il pretesto per una critica disillusa, aspra e spietata all'animo dell'uomo moderno, corrotto dal proprio egoismo e dal culto dell'immagine.

La critica all'animo umano si rivela infatti essere la vera protagonista di quest'opera cruda, a tratti orrorifica e purtroppo spesso troppo criptica da decifrare. La grossa pecca è proprio questa: se in certi momenti la fruizione è pressoché lineare, in altri la comprensione è pesantemente minata dall'enigmaticità di tavole difficilmente interpretabili, poiché molto spesso "nuff said".
La rilettura, a distanza di tempo, indubbiamente aiuta il godimento di quest'opera che, come una scatola cinese, apre poco alla volta contenuti e significati nuovi e diversi. La lettura, seppur difficoltosa, regala sempre nuova vita all'opera, che necessita però di grande impegno da parte del lettore.
Questo rivela infatti una caratterizzazione dei personaggi curata in maniera minuziosa: a partire da Nakoshi e Ito su tutti (i dialoghi tra i due strappano sempre momenti di puro godimento intellettuale), ma anche relativamente ai "pazienti" di Nakoshi. Anche se presenti in pochi volumi, questi personaggi si imprimono perfettamente nella mente del lettore, risultando coerenti pur nella loro complicata situazione interiore.
Menzione d'onore anche per i disegni: potrebbero apparire piuttosto spartani ma risultano perfettamente funzionali ai fini della trama a tinte fosche inscenata da Yamamoto.
Proprio nei momenti in cui la parte grafica diventa il più grande ostacolo alla comprensione dell'opera, ebbene è proprio qui che la bellezza del disegno onirico e visionario splende maggiormente.
Il continuo avvicendamento di spleen relativi alla Tokyo invernale (stupenda metafora per l'inverno che abita nell'animo dei personaggi) impreziosisce ulteriormente l'apparato grafico, nel quale trovano posto anche stupende e pulsanti doppie tavole.
Eppure la caratteristica più ammaliante resta sempre la chimica delle idee e dei sentimenti pennellata da Yamamoto: siamo di fronte ad una commedia spietata, disturbante, sporca, che insegna che elevarsi al di sopra delle miserie umane rende l'uomo non più uomo, bensì qualcosa di più (e di peggio). La comprensione dell'animo umano, insegna Platone, non è disciplina di questo mondo fatto di uomini. E il finale dell'opera lo mostra perfettamente.
Opera sconsigliata ai più, sia per i contenuti estremamente maturi che per la profondità speculativa che il lettore deve essere disposto ad accettare e a far propria.
Per i più indomiti in regalo un tesoro inestimabile.