Recensione
Ooku - Le stanze proibite
9.0/10
Ohoku (大奥, altrimenti traslitterato come Ōoku) è un manga josei di Fumi Yoshinaga, serializzato dal 2005 sul magazine Melody di Hakusensha. Il primo dei nove tankōbon finora pubblicati risale al 29 settembre 2005. Impressionante il numero di riconoscimenti ottenuti negli anni da questo titolo: premio speciale al Sense of Gender Awards (2005); Excellence Prize al Japan Media Arts Festival (2006); nomination in occasione del 1° Manga Taishō (2008); Premio Culturale Osamu Tezuka (2009), dopo essere stato nominato ininterrottamente dal 2007; Tiptree Award (2010); 56° Shogakukan Manga Award (2011) nella categoria shoujo; inserito nella Top 20 (categoria onnahen) Kono manga ga sugoi! nel 2013. L'opera ha ottenuto altri riconoscimenti, anche negli Stati Uniti, e piazzamenti di riguardo nelle classifiche di vendita; in Giappone il settimo volume del manga ha venduto circa 167.000 copie nella settimana del suo debutto e ha raggiunto la vetta del ranking settimanale Oricon per la prima volta nel luglio 2011. L'opera è stata adattata nel 2010 nel film live action Ohoku - The Lady Shogun and her men (qui trovate la bella recensione di zettaiLara), approdato l'anno dopo anche al 13° Far East Film Festival di Udine; la pellicola, premiata anche al botteghino, copre parte degli avvenimenti raccontati nel primo volume del manga. Successivamente è stato realizzato un drama, andato in oda sulla rete TBS tra ottobre e dicembre del 2012: Ōoku: ~Tanjō~ Arikoto・Iemitsu Hen è incentrato sugli avvenimenti narrati nei volumi dal secondo al quarto. Ōoku ~Eien~ Emonnosuke・Tsunayoshi Hen, secondo lungometraggio dedicato al manga originale, è invece focalizzato sugli eventi raccontati nei volumi dal quarto al sesto. La Yoshinaga ha debuttato nel 1994 sul magazine Hanaoto con Tsuki to Sandaru; tra i suoi lavori, caratterizzati da un'atmosfera delicata e ironica, si sono distinti Antique Bakery, vincitore del 26° Kodansha Manga Award nella categoria shōjo, adattato tra l'altro in un j-drama, in un film live action coreano e in una serie animata, e lo shōnen-ai Kinou nani tabeta?. Oltre ai lavori realizzati per gli editori giapponesi mainstream, l'autrice autopubblica regolarmente doujinshi, per lo più dedicate al suo Antique Bakery, ma comprendenti anche parodie di titoli come Slam Dunk e Versailles no bara. È stata inclusa nell'elenco dei "venti principali mangaka che hanno contribuito al mondo dello shōjo manga (dal secondo conflitto mondiale ad oggi)", in occasione dell'esposizione Shōjo Manga: Girl Power! organizzata dal professor Masami Toku alla California State University, Chico. Nel 2008 è stata nominata ai prestigiosi Esner Awards come miglior scrittrice-disegnatrice. Sfruttando proprio una definizione di Will Esner, Ohoku di Fumi Yoshinaga è accreditato come un mirabile esempio di "arte sequenziale".
Veniamo alla struttura essenziale della trama. Nel Giappone del Periodo Edo, una terribile epidemia, detta del "vaiolo della faccia rossa", colpisce esclusivamente la popolazione maschile, e in particolare i giovani tra i dodici e diciassette anni, non risparmiando però gli adulti. Il tasso di mortalità è di otto ogni dieci persone affette dal morbo, cosa che, nel giro di circa ottant'anni dall'insorgere dei primi casi, porta l'Arcipelago a un rapporto tra popolazione maschile e femminile di uno a quattro. Così, nel 1716, sesto anno dell'Era Shotoku, la struttura della società è ormai del tutto retta dalle donne, cui sono affidati sia i lavori più faticosi che le cariche più importanti. Anche lo shogun è una donna: Tokugawa Yoshimune. Tra le sue prerogative, quella di fregiarsi dello Ohoku un harem di uomini bellissimi, che si dice essere in numero di tremila, un lusso senza pari nel paese afflitto dalla scarsità di individui di sesso maschile. Nella società matriarcale così affermatasi, si arriva a dubitare che vi sia stata un'epoca in cui il rapporto numerico tra uomini e donne era paritario. Yoshimune vuole però vederci più a fondo, a cominciare dalle vicende che hanno portato alla creazione dello stesso Ohoku. Per fare ciò, consulta il diario del caposegretario Murase, sinistramente intitolato "Registrazioni dei giorni della morte". Si avvia così un flashback che sposta il tempo della narrazione al nono anno dell'Era Kan'ei (1632): è allora che la morte senza eredi maschi dello shogun Tokugawa Iemitsu a causa dell'epidemia di vaiolo della faccia rossa mette a rischio la sopravvivenza del casato; per evitare la fine del dominio dei Tokugawa, la nutrice di Iemitsu, Kasuga no Tsubone, decide in quel frangente di non diffondere la notizia della morte dello shogun, rintracciando nel frattempo l'unica figlia di quest'ultimo e rinchiudendola nel castello di Edo in attesa di farle partorire un erede alla carica di supremo comandante militare. È in quel torno di tempo che viene istituito lo Ohoku, tra le cui mura viene suo malgrado recluso il giovane e affascinante nobile Arikoto…
Si tratta, nel manga "what if" della Yoshinaga, di un capovolgimento, a livello dei ruoli e delle prerogative di genere, della realtà storica del periodo shogunale, che investe l'intera struttura sociale del Giappone. Esempio più paradigmatico del cambiamento è proprio lo Ohoku. La "grande parte interna" non è più l'harem femminile degli shogun Tokugawa, che accedevano ad esso tramite il Corridoio dei Campanelli, annunciando il proprio arrivo attraverso il suono effimero e fluttuante di un tintinnio, ma, al contrario, un'alcova di avvenenti uomini, sottratti alla prospettiva di divenire merce in vendita nei quartieri di piacere o mariti di proprietà esclusiva delle signore più abbienti, per essere consegnati all'autorità della più potente tra le donne, ossia la reggente del bakufu (il governo militare) ai tempi del matriarcato. «Essere circondata da uomini il cui sperma è inutilizzato… proprio tale spreco è il simbolo della ricchezza e del potere della nobile kubō». Il potere, nel "giardino proibito" dello Ohoku, si concretizza al meglio nel possesso di un bene raro, custodito segretamente allo scopo di sottrarlo all'uso, confinandolo in una riserva protetta da un recinto d'oro, secondo i canoni estetici dell'iki (la grazia come rinuncia al soddisfacimento del piacere, che lo lascia intatto nella sua possibilità), sviluppatisi proprio nel Periodo Edo. La pratica del potere si sostanzia nel poter fare incetta della bellezza, permettendosi il lusso di sottrarre il fiore della gioventù maschile ad una società che ne ha una disperata necessità per soddisfare il bisogno primario della riproduzione. Eppure, gettando uno sguardo all'interno e all'esterno del castello di Edo, Tokugawa Yoshimune prende coscienza del dubbio che, sotterraneamente, serpeggia alla fondamenta del nuovo sistema di cose: non era avvenuto semplicemente uno scambio di ruoli. Il morbo che aveva falcidiato il genere maschile si era rivelato prima di tutto una grande prova da superare per le donne. Lavorare, accudire i figli, procrearli nonostante tutto, strappando con le unghie e con i denti alla vita il proprio diritto alla maternità, e, al contempo, tenere in piedi una nazione. Semplicemente gli uomini avevano invece smesso di fare qualunque cosa, ed erano liberi di dedicarsi alla cessione dietro compenso dei propri favori sessuali; vezzeggiati e riveriti, salvo esercitare sulla donna, senza più alcuna forma di rispetto cavalleresco, la violenza più efferata, come testimoniato dall'episodio della vendetta dei ronin sull'anziana Kira Kozukenosuke, indicativo dell'impunità e del favore goduti dagli uomini. Il fatto di essere "a rischio estinzione", e di essere indispensabili per la sopravvivenza della stirpe umana nella terra di Amaterasu, aveva sostanzialmente messo gli uomini in condizione di esercitare la tirannide della minoranza. Così, in una sorta di dialettica servo-padrone, i personaggi sembrano domandarsi chi comandi su chi. Ad essere vittima è ancora una volta la donna, come sembra lasciar intendere la protervia dell'otoshiyori Fujinami verso la mediatrice Hisamichi?
Per rispondere a tali interrogativi, Yoshimune, la nobile kubō del feudo di Kishu, cerca di sollevare il velo dietro il sistema politico adottato a partire dal terzo shogun Iemitsu, legato a filo doppio con l'istituzione delle stanze dello Ohoku. Molti sono gli indizi che fanno sospettare Yoshimune, cui non torna più di un dettaglio del quadro complessivo. Il Giappone, l'unico paese al mondo a corto di individui di sesso maschile, sembra essere piombato in un oblio della storia, forse teso a nascondere l'imminenza della catastrofe, la condanna della nazione alla rovina preconizzata dal caposegretario Murase. L'Arcipelago, nella finzione narrativa della Yoshinaga, è divenuto un paese che si sforza di nascondere, prima di tutto a se stesso, il proprio passato, il tempo dei «racconti di una volta dove si narrava che c'erano tanti maschi quante femmine». Il ricordo del Giappone antecedente all'epidemia («si racconta che, fino al periodo del secondo shogun Hidetada, era comune che fossero gli uomini a essere i capiclan dei casati dei guerrieri») viene trattato alla stregua di una leggenda remota («La mia defunta madre diceva che al tempo di La Storia di Genji c'erano ancora molti uomini»), così che necessariamente viene ritenuto assurdo che nel resto del mondo alle donne vengano risparmiate incombenze come i viaggi per mare (si pensi all'episodio dell'udienza concessa al mercante olandese). Ciò che il Giappone governato dalle donne ha rimosso è l'ordine patriarcale, in cui l'altra metà del cielo era esclusa dall'avventura (come nell'Europa dell'olandese), dal lavoro, dal governo. Eppure, quel rimosso continua inconsciamente a condizionare il modo di pensare e di agire, e proprio di ciò si accorge Yoshimune, che non può fare a meno di domandarsi per quale motivo viga l'usanza che i capifamiglia femminili assumano nomi maschili; sembra quasi un residuo della persistenza sotterranea dell'antica egemonia maschile, che continua arrogantemente a pretendere per sé, se non la sostanza, almeno la forma nominale dell'autorità.
Un dettaglio non indifferente per comprendere la logica dell'ucronia immaginata dalla Yoshinaga è che il passaggio di testimone nella gestione degli affari pubblici viene concepito inizialmente come temporaneo e figlio dell'emergenza, e solo in seguito si afferma come naturale, tanto che diviene impensabile dal di dentro del sistema immaginare un mondo al contrario. Con l'emergere del dubbio, nell'interesse del futuro della nazione Yoshimune va in cerca delle verità nascoste dietro il matriarcato istituito dai suoi predecessori, anche combattendo le pratiche improntate allo spreco e al lusso: in un periodo di crisi economica, in cui la sopravvivenza stessa del genere umano sull'isola è minata dal morbo, l'idea stessa dell'Ohoku appare alla kubō come nocivo per l'avvenire del paese, rivelandosi infine come il retaggio inutile e crudele di una forma di assoggettamento della persona improntata su una concezione patriarcale del potere. Le rigide costrizioni del castello mostrano a volte con amara ironia come il ribaltamento dei ruoli tra carcerieri e reclusi non risolva l'ingiusta oppressione di una prigione adibita ad harem: esemplare è la scena del travestimento degli ochuro (i candidati a divenire amanti della shogun), cui viene ordinato di presentarsi in abiti femminili davanti a Chie, costretta dal canto suo ad abbigliarsi quotidianamente da uomo per dissimulare la propria identità. Proprio comprendendo a fondo quanto dolore possano generare quel luogo e il destino che vi si consuma, Arikoto giunge a desiderare di salvare un'unica persona. La salvezza nell'acquario di falsità e intrighi può giungere solo respirando l'aria libera di un sentimento disperatamente sincero, ed è questa una delle due chiavi interpretative della storia: le vicende personali, i nuovi arrivi, le scomparse, che danno conto nel loro insieme della caducità delle esistenze, in ossequio all'estetica del mondo fluttuante. Le figure a tutto tondo delle shogun (la forte e fragile Iemitsu, la delicata e remissiva Ietsuna, l'indecifrabile Tsunayoshi e l'acuta e passionale Yoshimune), gli amanti principali (il vitale Mizuno, l'aristocratico Arikoto, l'ambiguo Emonnosuke) e le figure di secondo piano (l'ineffabile Matsushita, l'efebico Tsuruoka, il subdolo Fujinami) si stagliano su uno sfondo che, a onor del vero, finisce per affermarsi come personaggio principale: lo Ohoku, con i suoi affreschi di generazioni che si accendono e spengono come lanterne di carta attraverso i vari archi (hen) della narrazione.
Sembra non esserci spazio per la ricerca dell'amore in un contesto dominato dalle rigide regole della ragion di stato. Eppure, le emozioni di donne all'altezza della profondità dei propri sentimenti e di uomini combattuti tra il proprio cuore e i vincoli della situazione attraversano i paraventi e i fusuma, come nell'incontro tra la disperazione piena di dignità di Mizuno e la misericordiosa fermezza di Yoshimune, che si lascia da lui chiamare col nome dell'amata Onobu, nell'amplesso che il giovane vive come l'ultima notte d'amore della sua vita. Vengono così tratteggiate storie dai contorni vividi, intrise di umanità, sofferenza, passione, mentre lo Ohoku attutisce il rumore delle vite che si consumano al suo interno, nascondendole al mondo. Ciò che resta di luminoso in quel buio microcosmo è il ricordo di un volto racchiuso in un nome, l'unico che dà a Yunoshin il coraggio di affrontare la vita lontano da tutto ciò che ha di più caro o la prospettiva di morire. Ci sono uomini cupi nell'alcova del castello di Edo, ma anche donne tormentate. Le kubō, apparentemente onnipotenti, sono esse stesse vittime della rigida struttura dello Ohoku, condannate a relazioni inautentiche. Le shogun possono infatti scegliere il proprio compagno, ma vorrebbero anche poter essere scelte. Vorrebbero sentirsi amate, sentirsi belle: come Tsunayoshi, che arriva tragicamente ad affermare: «lo shogun è una femmina di gran lunga più infima degli uomini che si prostituiscono ad Okabasho»; o come Chie, la principessa per caso o per destino, privata del suo diritto ad essere donna, che proietta il proprio bisogno di tenerezza su Arikoto, il quale sceglie di appartenerle quando finalmente comprende che, se pure non può salvare molti dalla sofferenza, può fare qualcosa di altrettanto grande: salvare una persona sola, attraverso l'amore, nell'abbraccio disperato e tremante di due uccellini in gabbia. Se l'ex monaco insegna alla principessa la misericordia, questa fa nascere nel suo cuore un sentimento che va ben oltre la compassione. Arikoto, nel metterle indosso l'abito floreale, non restituisce a Chie solo la sua femminilità negata, ma anche la possibilità di amare davvero.
Resta da sottolineare, infine, l'attualità di questa storia, per gli interrogativi che pone sulle aspettative di genere e su cosa comporti il genere stesso in termini di ruolo sociale, col sapiente filtro narrativo del distanziamento temporale degli eventi. Vi è, come detto, nell'universo alternativo del manga un rovesciamento, consapevolmente illustrato dall'autrice, della condizione storica dei due sessi. Quella ch'era stata la condizione della donna, vittima nelle società patriarcali di nozze combinate o condannata alla mercificazione del proprio corpo, oggetto di piacere negli harem dei daimyō o dello shogun, tocca per contrappasso agli uomini, relegati in uno stato di subalternità. Lo shogunato matriarcale può così essere letto come un ribaltamento, nella finzione narrativa, della dinamica storica, volto a smascherare l'arbitrarietà delle aspettative di genere. O ancora come un tentativo, attraverso l'affresco dello Ohoku (un acquario i cui i pesci senza diritto di parola sono gli uomini sottoposti al volere della Signora), di mostrare a una società come quella giapponese, a tutt'oggi caratterizzata dall'esclusione delle donne dalle posizioni di maggior prestigio, l'ingiustizia di qualsiasi forma di subalternità sociale di un sesso rispetto all'altro. Ci si potrebbe spingere fino a considerare lo Ohoku come una metafora della condizione di chiunque finisca vittima della propria rarità. Ciò che è unico, e perciò più prezioso, corre sempre il rischio di diventare un giocattolo o un ornamento nelle mani dei potenti. Perché la bellezza resti gratuita, un dono d'amore, è necessaria la libertà. Quella che Mizuno afferma, col coraggio di non vendersi per denaro, nonostante la povertà della propria famiglia, e di restare fedele nel cuore alla propria amata. Yoshimune, dal canto suo, nel rendere la libertà ai cinquanta uomini più belli dello Ohoku, è il simbolo di un potere concreto ma rispettoso, di segno autenticamente femminile, perché attenta al bene delle persone, così come lo era stata la kubō Iemitsu, premurosa verso un popolo in crescente difficoltà. Eppure non manca l'accenno ai rischi di un sessismo a parti inverse (si pensi alla vicenda di Tsunayoshi, che impone a un proprio vassallo una specie di "ius primae noctis"), che pone l'accento sulla possibilità di una reale uguaglianza tra i sessi solo all'interno di un sistema politico in cui la sopraffazione ceda il posto al rispetto e all'attenzione per le conseguenze sulla vita delle persone delle scelte politiche.
L'opera mantiene uno stile narrativo piano, quasi trattenuto, ma capace di emozionare. La struttura del racconto fa largo uso del flashback, principalmente sfruttando l'artificio di sapore letterario del "Diario dei giorni della morte". Pressoché assenti le strizzate d'occhio allo yaoi, sebbene venga dato conto dell'omosessualità all'interno dello Ohoku. C'è anche posto per storie minori, con protagonisti sia nobili che figure del popolo. Da sottolineare i riferimenti sia alla cultura "alta" (il Genji Monogatari, con, ad esempio, la citazione di Wakamurasaki, dal capitolo V), sia al teatro kabuki e alla cultura popolare nipponica. Paralleli interessanti possono poi essere intrecciati con la società utopica descritta da Charlotte Perkins Gilman in Herland, dove le donne si riproducono asessuatamente per partenogenesi, o con Y: The Last Man, di Brian K. Vaughan, albo DC Comics che racconta dell'ultimo uomo, sopravvissuto a una piaga che uccide tutti i mammiferi in possesso del cromosoma Y, e del suo peregrinare alla ricerca del perduto amore e di risposte. Il tratto dell'autrice è realistico, lineare e leggero. Grande cura viene messa nella resa dei dettagli degli abiti e degli ambienti, con sfondi dal taglio "geometrico", perimetrati dagli shoji e dai tatami, o ritraenti la quiete dei giardini Zen. L'essenzialità dei volti, seppure a volte d'ostacolo all'immediata riconoscibilità dei personaggi, permette di fare del viso stesso uno schermo proiettivo per le emozioni del lettore. Si tratta di una rappresentazione fatta di sguardi che si spalancano da un apparente vuoto, incorniciata in una struttura della tavola delimitata da vignette quadrangolari, che fungono da vere e proprie finestre aperte sui gesti e sui volti dei personaggi.
Il titolo scelto per l'edizione italiana curata da Planet Manga è Ooku - Le stanze proibite (a nostro avviso sarebbe stata preferibile la traslitterazione Ohoku, che avrebbe reso in maniera elegante l'allungamento della O iniziale, o, in alternativa, la romanizzazione Hepburn Ōoku; stesso discorso per kubo, più correttamente reso da kubō o kubou).
La traduzione, a differenza dell'edizione americana della Viz Media, che opta per un inglese elisabettiano al fine di rendere gli arcaismi del testo originale, si mantiene piana e scorrevole, tranne qualche concessione a forme desuete come "profferire" o "riserbare". Ogni volume, in formato 13x18 con sovraccoperta, presenta delle pagine a colori, con un'illustrazione che riprende quella di copertina. Le pagine hanno un buon rapporto grammatura/trasparenza e una buona sfogliabilità; l'alto punto di bianco non risulta fastidioso alla lettura. Utilissimi le note al testo e gli approfondimenti curati dal traduttore Massimo Soumaré. Il titolo viene distribuito in fumetteria e online, al prezzo di 7,50 Euro. Siamo di fronte a un'edizione dal prezzo di fascia alta, ma con caratteristiche pregevoli; a nostro avviso, una confezione adeguata per un'opera che merita grande considerazione, come testimoniato dal successo internazionale.
Ohoku è una geniale trasposizione dello storico nel fantastorico, che permette di sbirciare dietro le cortine del Giappone del Periodo Edo, caratterizzato dalla politica della "porta chiusa" all'Occidente. La drastica riduzione del numero di individui di sesso maschile diventa nell'universo alternativo del manga il segreto motivo per cui il Giappone dei Tokugawa si cela agli occhi del mondo, adducendo come pretesto l'allontanamento dei Cristiani. Ma, col passare del tempo, quando tutti all'interno del paese danno per scontato il mutato assetto sociale e il ribaltamento di ruoli, tanto che cade nell'oblio la memoria del mondo prima dell'epidemia, il nascondere all'esterno l'instaurazione del matriarcato diventa incomprensibile, almeno per un Giappone che, isolato dal mondo, non è al corrente dell'unicità della propria situazione rispetto a quella degli altri paesi. Inizia così una ricerca della verità nella finzione, condotta attraverso un affresco ucronico, in cui figure storicamente esistite come uomini appaiono come donne e viceversa. L'evoluzione dell'ordine sociale, la successione in linea femminile dei clan, il mutato rapporto con la sessualità e le aspettative di genere, costituiscono il sottotesto di un'opera che tuttavia mantiene il proprio focus sulle vicende umane (personali e collettive) che si consumano all'interno dello Ohoku, l'acquario, o la finta volta del cielo da cui sembra impossibile fuggire, e al cui interno tuttavia i sentimenti umani provano a spiccare il volo.
Veniamo alla struttura essenziale della trama. Nel Giappone del Periodo Edo, una terribile epidemia, detta del "vaiolo della faccia rossa", colpisce esclusivamente la popolazione maschile, e in particolare i giovani tra i dodici e diciassette anni, non risparmiando però gli adulti. Il tasso di mortalità è di otto ogni dieci persone affette dal morbo, cosa che, nel giro di circa ottant'anni dall'insorgere dei primi casi, porta l'Arcipelago a un rapporto tra popolazione maschile e femminile di uno a quattro. Così, nel 1716, sesto anno dell'Era Shotoku, la struttura della società è ormai del tutto retta dalle donne, cui sono affidati sia i lavori più faticosi che le cariche più importanti. Anche lo shogun è una donna: Tokugawa Yoshimune. Tra le sue prerogative, quella di fregiarsi dello Ohoku un harem di uomini bellissimi, che si dice essere in numero di tremila, un lusso senza pari nel paese afflitto dalla scarsità di individui di sesso maschile. Nella società matriarcale così affermatasi, si arriva a dubitare che vi sia stata un'epoca in cui il rapporto numerico tra uomini e donne era paritario. Yoshimune vuole però vederci più a fondo, a cominciare dalle vicende che hanno portato alla creazione dello stesso Ohoku. Per fare ciò, consulta il diario del caposegretario Murase, sinistramente intitolato "Registrazioni dei giorni della morte". Si avvia così un flashback che sposta il tempo della narrazione al nono anno dell'Era Kan'ei (1632): è allora che la morte senza eredi maschi dello shogun Tokugawa Iemitsu a causa dell'epidemia di vaiolo della faccia rossa mette a rischio la sopravvivenza del casato; per evitare la fine del dominio dei Tokugawa, la nutrice di Iemitsu, Kasuga no Tsubone, decide in quel frangente di non diffondere la notizia della morte dello shogun, rintracciando nel frattempo l'unica figlia di quest'ultimo e rinchiudendola nel castello di Edo in attesa di farle partorire un erede alla carica di supremo comandante militare. È in quel torno di tempo che viene istituito lo Ohoku, tra le cui mura viene suo malgrado recluso il giovane e affascinante nobile Arikoto…
Si tratta, nel manga "what if" della Yoshinaga, di un capovolgimento, a livello dei ruoli e delle prerogative di genere, della realtà storica del periodo shogunale, che investe l'intera struttura sociale del Giappone. Esempio più paradigmatico del cambiamento è proprio lo Ohoku. La "grande parte interna" non è più l'harem femminile degli shogun Tokugawa, che accedevano ad esso tramite il Corridoio dei Campanelli, annunciando il proprio arrivo attraverso il suono effimero e fluttuante di un tintinnio, ma, al contrario, un'alcova di avvenenti uomini, sottratti alla prospettiva di divenire merce in vendita nei quartieri di piacere o mariti di proprietà esclusiva delle signore più abbienti, per essere consegnati all'autorità della più potente tra le donne, ossia la reggente del bakufu (il governo militare) ai tempi del matriarcato. «Essere circondata da uomini il cui sperma è inutilizzato… proprio tale spreco è il simbolo della ricchezza e del potere della nobile kubō». Il potere, nel "giardino proibito" dello Ohoku, si concretizza al meglio nel possesso di un bene raro, custodito segretamente allo scopo di sottrarlo all'uso, confinandolo in una riserva protetta da un recinto d'oro, secondo i canoni estetici dell'iki (la grazia come rinuncia al soddisfacimento del piacere, che lo lascia intatto nella sua possibilità), sviluppatisi proprio nel Periodo Edo. La pratica del potere si sostanzia nel poter fare incetta della bellezza, permettendosi il lusso di sottrarre il fiore della gioventù maschile ad una società che ne ha una disperata necessità per soddisfare il bisogno primario della riproduzione. Eppure, gettando uno sguardo all'interno e all'esterno del castello di Edo, Tokugawa Yoshimune prende coscienza del dubbio che, sotterraneamente, serpeggia alla fondamenta del nuovo sistema di cose: non era avvenuto semplicemente uno scambio di ruoli. Il morbo che aveva falcidiato il genere maschile si era rivelato prima di tutto una grande prova da superare per le donne. Lavorare, accudire i figli, procrearli nonostante tutto, strappando con le unghie e con i denti alla vita il proprio diritto alla maternità, e, al contempo, tenere in piedi una nazione. Semplicemente gli uomini avevano invece smesso di fare qualunque cosa, ed erano liberi di dedicarsi alla cessione dietro compenso dei propri favori sessuali; vezzeggiati e riveriti, salvo esercitare sulla donna, senza più alcuna forma di rispetto cavalleresco, la violenza più efferata, come testimoniato dall'episodio della vendetta dei ronin sull'anziana Kira Kozukenosuke, indicativo dell'impunità e del favore goduti dagli uomini. Il fatto di essere "a rischio estinzione", e di essere indispensabili per la sopravvivenza della stirpe umana nella terra di Amaterasu, aveva sostanzialmente messo gli uomini in condizione di esercitare la tirannide della minoranza. Così, in una sorta di dialettica servo-padrone, i personaggi sembrano domandarsi chi comandi su chi. Ad essere vittima è ancora una volta la donna, come sembra lasciar intendere la protervia dell'otoshiyori Fujinami verso la mediatrice Hisamichi?
Per rispondere a tali interrogativi, Yoshimune, la nobile kubō del feudo di Kishu, cerca di sollevare il velo dietro il sistema politico adottato a partire dal terzo shogun Iemitsu, legato a filo doppio con l'istituzione delle stanze dello Ohoku. Molti sono gli indizi che fanno sospettare Yoshimune, cui non torna più di un dettaglio del quadro complessivo. Il Giappone, l'unico paese al mondo a corto di individui di sesso maschile, sembra essere piombato in un oblio della storia, forse teso a nascondere l'imminenza della catastrofe, la condanna della nazione alla rovina preconizzata dal caposegretario Murase. L'Arcipelago, nella finzione narrativa della Yoshinaga, è divenuto un paese che si sforza di nascondere, prima di tutto a se stesso, il proprio passato, il tempo dei «racconti di una volta dove si narrava che c'erano tanti maschi quante femmine». Il ricordo del Giappone antecedente all'epidemia («si racconta che, fino al periodo del secondo shogun Hidetada, era comune che fossero gli uomini a essere i capiclan dei casati dei guerrieri») viene trattato alla stregua di una leggenda remota («La mia defunta madre diceva che al tempo di La Storia di Genji c'erano ancora molti uomini»), così che necessariamente viene ritenuto assurdo che nel resto del mondo alle donne vengano risparmiate incombenze come i viaggi per mare (si pensi all'episodio dell'udienza concessa al mercante olandese). Ciò che il Giappone governato dalle donne ha rimosso è l'ordine patriarcale, in cui l'altra metà del cielo era esclusa dall'avventura (come nell'Europa dell'olandese), dal lavoro, dal governo. Eppure, quel rimosso continua inconsciamente a condizionare il modo di pensare e di agire, e proprio di ciò si accorge Yoshimune, che non può fare a meno di domandarsi per quale motivo viga l'usanza che i capifamiglia femminili assumano nomi maschili; sembra quasi un residuo della persistenza sotterranea dell'antica egemonia maschile, che continua arrogantemente a pretendere per sé, se non la sostanza, almeno la forma nominale dell'autorità.
Un dettaglio non indifferente per comprendere la logica dell'ucronia immaginata dalla Yoshinaga è che il passaggio di testimone nella gestione degli affari pubblici viene concepito inizialmente come temporaneo e figlio dell'emergenza, e solo in seguito si afferma come naturale, tanto che diviene impensabile dal di dentro del sistema immaginare un mondo al contrario. Con l'emergere del dubbio, nell'interesse del futuro della nazione Yoshimune va in cerca delle verità nascoste dietro il matriarcato istituito dai suoi predecessori, anche combattendo le pratiche improntate allo spreco e al lusso: in un periodo di crisi economica, in cui la sopravvivenza stessa del genere umano sull'isola è minata dal morbo, l'idea stessa dell'Ohoku appare alla kubō come nocivo per l'avvenire del paese, rivelandosi infine come il retaggio inutile e crudele di una forma di assoggettamento della persona improntata su una concezione patriarcale del potere. Le rigide costrizioni del castello mostrano a volte con amara ironia come il ribaltamento dei ruoli tra carcerieri e reclusi non risolva l'ingiusta oppressione di una prigione adibita ad harem: esemplare è la scena del travestimento degli ochuro (i candidati a divenire amanti della shogun), cui viene ordinato di presentarsi in abiti femminili davanti a Chie, costretta dal canto suo ad abbigliarsi quotidianamente da uomo per dissimulare la propria identità. Proprio comprendendo a fondo quanto dolore possano generare quel luogo e il destino che vi si consuma, Arikoto giunge a desiderare di salvare un'unica persona. La salvezza nell'acquario di falsità e intrighi può giungere solo respirando l'aria libera di un sentimento disperatamente sincero, ed è questa una delle due chiavi interpretative della storia: le vicende personali, i nuovi arrivi, le scomparse, che danno conto nel loro insieme della caducità delle esistenze, in ossequio all'estetica del mondo fluttuante. Le figure a tutto tondo delle shogun (la forte e fragile Iemitsu, la delicata e remissiva Ietsuna, l'indecifrabile Tsunayoshi e l'acuta e passionale Yoshimune), gli amanti principali (il vitale Mizuno, l'aristocratico Arikoto, l'ambiguo Emonnosuke) e le figure di secondo piano (l'ineffabile Matsushita, l'efebico Tsuruoka, il subdolo Fujinami) si stagliano su uno sfondo che, a onor del vero, finisce per affermarsi come personaggio principale: lo Ohoku, con i suoi affreschi di generazioni che si accendono e spengono come lanterne di carta attraverso i vari archi (hen) della narrazione.
Sembra non esserci spazio per la ricerca dell'amore in un contesto dominato dalle rigide regole della ragion di stato. Eppure, le emozioni di donne all'altezza della profondità dei propri sentimenti e di uomini combattuti tra il proprio cuore e i vincoli della situazione attraversano i paraventi e i fusuma, come nell'incontro tra la disperazione piena di dignità di Mizuno e la misericordiosa fermezza di Yoshimune, che si lascia da lui chiamare col nome dell'amata Onobu, nell'amplesso che il giovane vive come l'ultima notte d'amore della sua vita. Vengono così tratteggiate storie dai contorni vividi, intrise di umanità, sofferenza, passione, mentre lo Ohoku attutisce il rumore delle vite che si consumano al suo interno, nascondendole al mondo. Ciò che resta di luminoso in quel buio microcosmo è il ricordo di un volto racchiuso in un nome, l'unico che dà a Yunoshin il coraggio di affrontare la vita lontano da tutto ciò che ha di più caro o la prospettiva di morire. Ci sono uomini cupi nell'alcova del castello di Edo, ma anche donne tormentate. Le kubō, apparentemente onnipotenti, sono esse stesse vittime della rigida struttura dello Ohoku, condannate a relazioni inautentiche. Le shogun possono infatti scegliere il proprio compagno, ma vorrebbero anche poter essere scelte. Vorrebbero sentirsi amate, sentirsi belle: come Tsunayoshi, che arriva tragicamente ad affermare: «lo shogun è una femmina di gran lunga più infima degli uomini che si prostituiscono ad Okabasho»; o come Chie, la principessa per caso o per destino, privata del suo diritto ad essere donna, che proietta il proprio bisogno di tenerezza su Arikoto, il quale sceglie di appartenerle quando finalmente comprende che, se pure non può salvare molti dalla sofferenza, può fare qualcosa di altrettanto grande: salvare una persona sola, attraverso l'amore, nell'abbraccio disperato e tremante di due uccellini in gabbia. Se l'ex monaco insegna alla principessa la misericordia, questa fa nascere nel suo cuore un sentimento che va ben oltre la compassione. Arikoto, nel metterle indosso l'abito floreale, non restituisce a Chie solo la sua femminilità negata, ma anche la possibilità di amare davvero.
Resta da sottolineare, infine, l'attualità di questa storia, per gli interrogativi che pone sulle aspettative di genere e su cosa comporti il genere stesso in termini di ruolo sociale, col sapiente filtro narrativo del distanziamento temporale degli eventi. Vi è, come detto, nell'universo alternativo del manga un rovesciamento, consapevolmente illustrato dall'autrice, della condizione storica dei due sessi. Quella ch'era stata la condizione della donna, vittima nelle società patriarcali di nozze combinate o condannata alla mercificazione del proprio corpo, oggetto di piacere negli harem dei daimyō o dello shogun, tocca per contrappasso agli uomini, relegati in uno stato di subalternità. Lo shogunato matriarcale può così essere letto come un ribaltamento, nella finzione narrativa, della dinamica storica, volto a smascherare l'arbitrarietà delle aspettative di genere. O ancora come un tentativo, attraverso l'affresco dello Ohoku (un acquario i cui i pesci senza diritto di parola sono gli uomini sottoposti al volere della Signora), di mostrare a una società come quella giapponese, a tutt'oggi caratterizzata dall'esclusione delle donne dalle posizioni di maggior prestigio, l'ingiustizia di qualsiasi forma di subalternità sociale di un sesso rispetto all'altro. Ci si potrebbe spingere fino a considerare lo Ohoku come una metafora della condizione di chiunque finisca vittima della propria rarità. Ciò che è unico, e perciò più prezioso, corre sempre il rischio di diventare un giocattolo o un ornamento nelle mani dei potenti. Perché la bellezza resti gratuita, un dono d'amore, è necessaria la libertà. Quella che Mizuno afferma, col coraggio di non vendersi per denaro, nonostante la povertà della propria famiglia, e di restare fedele nel cuore alla propria amata. Yoshimune, dal canto suo, nel rendere la libertà ai cinquanta uomini più belli dello Ohoku, è il simbolo di un potere concreto ma rispettoso, di segno autenticamente femminile, perché attenta al bene delle persone, così come lo era stata la kubō Iemitsu, premurosa verso un popolo in crescente difficoltà. Eppure non manca l'accenno ai rischi di un sessismo a parti inverse (si pensi alla vicenda di Tsunayoshi, che impone a un proprio vassallo una specie di "ius primae noctis"), che pone l'accento sulla possibilità di una reale uguaglianza tra i sessi solo all'interno di un sistema politico in cui la sopraffazione ceda il posto al rispetto e all'attenzione per le conseguenze sulla vita delle persone delle scelte politiche.
L'opera mantiene uno stile narrativo piano, quasi trattenuto, ma capace di emozionare. La struttura del racconto fa largo uso del flashback, principalmente sfruttando l'artificio di sapore letterario del "Diario dei giorni della morte". Pressoché assenti le strizzate d'occhio allo yaoi, sebbene venga dato conto dell'omosessualità all'interno dello Ohoku. C'è anche posto per storie minori, con protagonisti sia nobili che figure del popolo. Da sottolineare i riferimenti sia alla cultura "alta" (il Genji Monogatari, con, ad esempio, la citazione di Wakamurasaki, dal capitolo V), sia al teatro kabuki e alla cultura popolare nipponica. Paralleli interessanti possono poi essere intrecciati con la società utopica descritta da Charlotte Perkins Gilman in Herland, dove le donne si riproducono asessuatamente per partenogenesi, o con Y: The Last Man, di Brian K. Vaughan, albo DC Comics che racconta dell'ultimo uomo, sopravvissuto a una piaga che uccide tutti i mammiferi in possesso del cromosoma Y, e del suo peregrinare alla ricerca del perduto amore e di risposte. Il tratto dell'autrice è realistico, lineare e leggero. Grande cura viene messa nella resa dei dettagli degli abiti e degli ambienti, con sfondi dal taglio "geometrico", perimetrati dagli shoji e dai tatami, o ritraenti la quiete dei giardini Zen. L'essenzialità dei volti, seppure a volte d'ostacolo all'immediata riconoscibilità dei personaggi, permette di fare del viso stesso uno schermo proiettivo per le emozioni del lettore. Si tratta di una rappresentazione fatta di sguardi che si spalancano da un apparente vuoto, incorniciata in una struttura della tavola delimitata da vignette quadrangolari, che fungono da vere e proprie finestre aperte sui gesti e sui volti dei personaggi.
Il titolo scelto per l'edizione italiana curata da Planet Manga è Ooku - Le stanze proibite (a nostro avviso sarebbe stata preferibile la traslitterazione Ohoku, che avrebbe reso in maniera elegante l'allungamento della O iniziale, o, in alternativa, la romanizzazione Hepburn Ōoku; stesso discorso per kubo, più correttamente reso da kubō o kubou).
La traduzione, a differenza dell'edizione americana della Viz Media, che opta per un inglese elisabettiano al fine di rendere gli arcaismi del testo originale, si mantiene piana e scorrevole, tranne qualche concessione a forme desuete come "profferire" o "riserbare". Ogni volume, in formato 13x18 con sovraccoperta, presenta delle pagine a colori, con un'illustrazione che riprende quella di copertina. Le pagine hanno un buon rapporto grammatura/trasparenza e una buona sfogliabilità; l'alto punto di bianco non risulta fastidioso alla lettura. Utilissimi le note al testo e gli approfondimenti curati dal traduttore Massimo Soumaré. Il titolo viene distribuito in fumetteria e online, al prezzo di 7,50 Euro. Siamo di fronte a un'edizione dal prezzo di fascia alta, ma con caratteristiche pregevoli; a nostro avviso, una confezione adeguata per un'opera che merita grande considerazione, come testimoniato dal successo internazionale.
Ohoku è una geniale trasposizione dello storico nel fantastorico, che permette di sbirciare dietro le cortine del Giappone del Periodo Edo, caratterizzato dalla politica della "porta chiusa" all'Occidente. La drastica riduzione del numero di individui di sesso maschile diventa nell'universo alternativo del manga il segreto motivo per cui il Giappone dei Tokugawa si cela agli occhi del mondo, adducendo come pretesto l'allontanamento dei Cristiani. Ma, col passare del tempo, quando tutti all'interno del paese danno per scontato il mutato assetto sociale e il ribaltamento di ruoli, tanto che cade nell'oblio la memoria del mondo prima dell'epidemia, il nascondere all'esterno l'instaurazione del matriarcato diventa incomprensibile, almeno per un Giappone che, isolato dal mondo, non è al corrente dell'unicità della propria situazione rispetto a quella degli altri paesi. Inizia così una ricerca della verità nella finzione, condotta attraverso un affresco ucronico, in cui figure storicamente esistite come uomini appaiono come donne e viceversa. L'evoluzione dell'ordine sociale, la successione in linea femminile dei clan, il mutato rapporto con la sessualità e le aspettative di genere, costituiscono il sottotesto di un'opera che tuttavia mantiene il proprio focus sulle vicende umane (personali e collettive) che si consumano all'interno dello Ohoku, l'acquario, o la finta volta del cielo da cui sembra impossibile fuggire, e al cui interno tuttavia i sentimenti umani provano a spiccare il volo.