Recensione
[<b>ATTENZIONE! CONTIENE SPOILER!</b>]
Presentatoci come prequel della serie classica che tutti conosciamo, “Saint Seiya – The Lost Canvas” narra le vicende riguardanti la Guerra Sacra precedente a quella combattuta nella saga di Hades, per così dire, del “presente”.
Andando subito al sodo, posso dire di averlo apprezzato parecchio come spin off del brand di “Saint Seiya”.
Non urlo al capolavoro, anzi, più avanti mi soffermerò anche sui suoi difetti (che sono parecchi), ma a livello di trama, personaggi e narrazione non posso non considerarlo il migliore fra tutti gli spin off, superiore anche alla serie classica, che sarà sì quella da cui tutto è partito, ma soffre di numerose pecche (disegno in primis) che ne abbassano di parecchio la qualità, ma vediamo di far chiarezza e andare con ordine.
Questa volta, il protagonista è Tenma, predecessore del più noto Seiya nel ruolo di Saint di Pegaso, il cui destino finirà per intrecciarsi a quello di altri due ragazzi: Sasha, reincarnazione della dea Atena, e Aron, migliore amico dello stesso Tenma, scelto come corpo ospite dall’anima del dio Ade.
Fin qui nulla di particolare, la storia parte subito abbastanza bene e riesce a coinvolgere il lettore, anche perché – sebbene il manga presenti fin da subito elementi fortemente ricollegabili alla serie madre e alcuni suoi cliché – non si tratta della solita solfa; seppur con delle limitazioni, l’autrice Shiori Teshirogi cerca di rappresentare qualcosa di un po’ diverso, di piazzare delle basi “differenti” rispetto alla serie scritta da Kurumada.
Sulla trama non mi soffermerò particolarmente, alla fine, raccontando gli eventi della Guerra Sacra passata, è anche abbastanza ovvia, cosa che ha limitato tantissimo la Teshirogi, ma in alcuni punti è riuscita comunque a sorprendermi in maniera piacevole e ad avere alcuni “guizzi” che me l’hanno fatta gradire abbastanza, dato che l’autrice, malgrado fosse particolarmente vincolata, è riuscita comunque a inserire qualcosa di “suo” e a portare sul mercato un manga davvero piacevole e interessante. Trovo abbastanza stupido criticare questa serie “perché tanto si sa già come va a finire”, in quanto ciò era chiaro fin dall’inizio.
Certo, purtroppo conoscere già l’esito di questa Guerra Sacra priva la storia di quel pathos che tanto piace ai lettori (me compresa), facendola partire un po’ con le gambe rotte. Quando si comincia a leggere, si sa già che tutti i Saint – a eccezione di Shion e Dohko – andranno incontro alla morte, ma questo non ha impedito alla Shiori di farci affezionare a loro e di farci piangere a ogni dipartita, questo perché i personaggi, o almeno la stragrande maggioranza, nonostante siano esteticamente identici ai loro successori (scelta per la quale non critico l’autrice, dato che purtroppo è stata costretta a fare così per vendere di più), sono gestiti abbastanza bene, riescono a lasciare un segno nel lettore e hanno ognuno il proprio carattere e le proprie sfaccettature. In questo la Teshirogi è riuscita a compiere un lavoro decisamente migliore rispetto a quello di Kurumada, che salvo alcune eccezioni ci ha abituati a personaggi bidimensionali e piuttosto piatti e banalotti.
In Lost Canvas, invece, ognuno riesce a ritagliarsi il proprio spazio, specialmente i tanto amati Gold Saints, che delle volte finiscono anche per soppiantare i protagonisti e ai quali sono stati dedicati anche dei Gaiden quasi tutti molto piacevoli e che li approfondiscono ancor di più, dando peraltro un po’ di lustro a quelli che nella serie kurumadiana sono stati ingiustamente bistrattati, ovvero Taurus, Cancer e Pisces (Pisces tra l’altro sconfigge da solo pure uno dei tre giganti degli Inferi, mica pizza e fichi!). Vale lo stesso anche per Sagittarius, che finalmente viene visto in azione e non ricopre il ruolo di fantasma che soccorre i protagonisti nei momenti di difficoltà inviando la propria armatura.
Un netto miglioramento è riscontrabile anche nel personaggio della dea Atena. Stavolta non abbiamo una spocchiosa ragazzina inutile e ipocrita, bensì una fanciulla che, pur nella sua dolcezza e delicatezza, mette anima e corpo per aiutare i suoi Saint e non esita a scendere in campo per aiutarli, maturando insieme a loro e combattendo anche con i poteri limitati.
Anche l’armata degli Specter, che nel manga classico era stata gestita in maniera davvero scandalosa, acquisisce maggior spessore, introducendo personaggi abbastanza interessanti ed evitando di limitarsi ai tre Giudici Infernali. Inutile dire che lo stesso discorso vale pure per Ade, qui dotato di una psicologia molto più approfondita e “malata”, per gli dei gemelli Hypnos e Thanatos e per Pandora, che a ‘sto giro si dimostra una comandante degna del suo nome, nulla a che vedere con l’incapace e sprovveduta ragazzetta della serie originale.
Ovviamente, non tutti i personaggi sono riusciti benissimo, anche qui ce ne sono alcuni assai dimenticabili, a partire dallo stesso Tenma, che non sarà odiosamente raccomandato come Seiya ma a me come personaggio è parso abbastanza anonimo. E lo stesso si può dire di Yato e di Yuzuriha, che a parte qualche flashback sono stati approfonditi davvero poco e nella seconda parte del manga vengono quasi completamente dimenticati.
Anche fra Gold Saints e Specter c’è qualche “mela grama”, ma di questo parleremo più avanti.
Un altro punto a favore rispetto al manga classico è senza dubbio il disegno. Se il tratto Kurumadiano è particolarmente grezzo e sproporzionato, quello della Teshirogi è decisamente più apprezzabile alla vista. Certo, non è eccelso, soprattutto nei primi volumi, ma andando avanti la matita dell’autrice prende letteralmente il volo, migliorando passo dopo passo e raggiungendo il picco massimo nei Gaiden. Certo, come ho già detto qualche riga sopra, non è esente da difetti, lo stile non è particolarmente pulito e lineare e alcune tavole le ho trovate un po’ confusionarie, specie nelle scene di combattimento. Inoltre, sembra che la Shiori non sia molto brava quando si tratta di disegnare gli animali, vedasi il cucciolo di Aron, che è veramente orrendo e somiglia più a un formichiere che a un cagnolino, ma dettagli.
In ogni caso, sono cose abbastanza perdonabili, dato che alla fine la serie si fa apprezzare e, come ho già detto prima, risulta parecchio gradevole e con picchi di angst che qualche volta mi hanno anche strappato una lacrimuccia.
Ciò nonostante, non posso dare a questa serie una valutazione che vada oltre il sette e mezzo e, volendomi togliere il sassolino dalla scarpa, vi spiego subito il perché.
Sicuramente su alcuni difetti del Lost Canvas si può glissare, perché la serie soffre parecchio delle pressioni degli editori, della fretta (specialmente nel finale) e del suo essere una storia dal finale già praticamente scontato, ma – a mio onesto parere – ci sono delle altre pecche, e anche evidenti.
In primis, non mi è andato molto giù il ripetersi di alcuni stereotipi della serie classica. Se in alcuni casi ciò è tranquillamente passabile, perché i segni distintivi del brand è giusto che rimangano, in altri non lo è affatto. Giusto per citare qualche esempio: perché il cavaliere del Toro deve sempre schiattare in piedi (cosa che accade anche con Ox in Next Dimension, per la cronaca)? Perché Gemini deve sempre farsi la guerra con il fratello e soffrire di problemi mentali e/o deliri di onnipotenza? Perché il Gran Sacerdote come successori non riesce mai a designare dei Saint che non siano Sagittario e Gemelli? Perché Unicorno deve sempre essere un lecchino incallito di Atena (sebbene Yato sia molto più dignitoso rispetto allo sfigatissimo Jabu)?
Insomma, e passino una volta, ma già alla seconda questi cliché cominciano a venire a noia, personalmente mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa di diverso.
Ricollegandomi poi al discorso sui personaggi… è vero, prima ho elogiato l’autrice per la loro trattazione, ma ciò non toglie che ce ne siano alcuni gestiti davvero in maniera frettolosa, a tal punto da risultare pessima, primo fra tutti Regulus del Leone, che per quanto mi riguarda è uno dei peggiori Gary Stu che abbia mai visto in un manga, uno che tira fuori dal nulla tecniche stratosferiche imparate in due nanosecondi e che mette quasi tutti i suoi avversari a novanta perché puòH.
Per non parlare poi di Partita e di Yoma, altri due personaggi saltati fuori dal nulla e la cui presenza non è stata ben contestualizzata, soprattutto nel caso di Yoma, che tra l’altro come personaggio in sé mi sembra stonare davvero tantissimo nell’universo saintseiyano (oltre a essere decisamente irritante, ma questo è un altro discorso).
E poi ci sono le questioni rimaste completamente irrisolte, come quella di Aiacos, che dopo la sconfitta per mano di Sisifo del Sagittario scompare nel nulla pur essendo sopravvissuto, o quella di Kagaho, che non si capisce per quale ragione sia collegato con la Fenice, o magari sono io che mi sono lasciata scappare qualcosa, ma quella parte l’ho trovata davvero TROPPO confusa.
Altri difetti che ho riscontrato, sono alcune scelte di trama davvero assurde, ma a tal punto da risultare a dir poco grottesche pure per una serie dove quasi tutto è possibile come Saint Seiya.
Oltre alle già citate prodezze del Gary Stu del Leone, sto parlando di cose come Sisifo che, seppur privo del cuore, riesce a lanciare un’Athena Exclamation, di Rhadamanthys che continua a girellare senza problemi anche con un buco nel petto e (aridaje!) senza il muscolo cardiaco o di El Cid che, nonostante abbia perso almeno dieci ettolitri di sangue, continua a combattere bello tranzollo come se nulla fosse.
Tuttavia, fra i difetti del Lost Canvas, ciò che più mi irrita è il fanservice. Dio santo il fanservice!
Premetto subito che a me generalmente il fanservice non dispiace neanche troppo, io per prima ho ammirato le grazie di Saga nella serie classica, ma quando è troppo è troppo. E in Lost Canvas è DAVVERO troppo.
E non lo dico per bigottismo o perché è fatto solo sui personaggi femminili, ma semplicemente perché l’opzione migliore secondo me è “o tutti o nessuno”. Inoltre, non ho mai sopportato che pure nelle serie basate sulle armature, in cui la protezione in combattimento è essenziale, nel caso si tratti di donne si dia sempre più importanza a mostrare i loro corpi. Questa cosa l’ho odiata tantissimo anche nella serie classica (visti gli scandalosi bikini di ferro di Marin e Shaina), e il Lost Canvas non fa certo eccezione. Yuzuriha per esempio ha un’armatura davvero terrificante, seppur migliore rispetto a quelle delle due poveracce sopracitate, ma rimane comunque un pugno in un occhio, dato che ‘sta tipa fra un po’ è più protetta quando sta in abiti civili. Cioè, seriamente, quando veste la sua Cloth ha praticamente le tette di fuori, per non parlare degli shorts inguinali (inesattezza storica bella e buona, tra l’altro) e dei sandali metallici! E il brutto è che non è neanche la peggiore, nei Gaiden assistiamo a casi ancora più estremi (Mudan del Passero, per citarne una), ma a elencarli tutti faccio davvero notte. L’unica che si salva è la Specter Violate, che è ben corazzata, peccato solo che la sua Surplice abbia la stessa consistenza della cartapesta e nello scontro con Regulus si rompa proprio sulle tette, che tra l’altro vengono fuori in pieno stile hentai. E vabbeh…
Non dimentichiamoci poi di Pandora, che nonostante come personaggio sia anche ben fatta a livello caratteriale, pare più una diva uscita da una rivista pornografica che una sacerdotessa, in più sembra quasi che sia stata fatta così apposta per fare contrasto con la candida e bianca Sasha, in nome della leggendaria distinzione fra le buone angeliche e sante e le cattive scostumate e amanti del sadomaso (dato che Pandora sembra tendere leggerissimamente al sesso sado, ma dettagli).
Bene, ora che ci stiamo avviando verso la conclusione, che dire ancora di “Saint Seiya – The Lost Canvas”? Sicuramente una bella serie, malgrado i suoi difetti piuttosto fastidiosi. Si poteva fare ancora meglio, questo è vero, ma purtroppo l’autrice ha subìto diverse pressioni che l’hanno limitata, e il fatto di star lavorando per una serie di successo come Saint Seiya non l’ha certo aiutata molto. Ciò nonostante, anche così rimane comunque un buon prodotto che mi sento di consigliare e che trovo sia spesso criticato ingiustamente.
Detto questo… io termino qui la recensione.
Presentatoci come prequel della serie classica che tutti conosciamo, “Saint Seiya – The Lost Canvas” narra le vicende riguardanti la Guerra Sacra precedente a quella combattuta nella saga di Hades, per così dire, del “presente”.
Andando subito al sodo, posso dire di averlo apprezzato parecchio come spin off del brand di “Saint Seiya”.
Non urlo al capolavoro, anzi, più avanti mi soffermerò anche sui suoi difetti (che sono parecchi), ma a livello di trama, personaggi e narrazione non posso non considerarlo il migliore fra tutti gli spin off, superiore anche alla serie classica, che sarà sì quella da cui tutto è partito, ma soffre di numerose pecche (disegno in primis) che ne abbassano di parecchio la qualità, ma vediamo di far chiarezza e andare con ordine.
Questa volta, il protagonista è Tenma, predecessore del più noto Seiya nel ruolo di Saint di Pegaso, il cui destino finirà per intrecciarsi a quello di altri due ragazzi: Sasha, reincarnazione della dea Atena, e Aron, migliore amico dello stesso Tenma, scelto come corpo ospite dall’anima del dio Ade.
Fin qui nulla di particolare, la storia parte subito abbastanza bene e riesce a coinvolgere il lettore, anche perché – sebbene il manga presenti fin da subito elementi fortemente ricollegabili alla serie madre e alcuni suoi cliché – non si tratta della solita solfa; seppur con delle limitazioni, l’autrice Shiori Teshirogi cerca di rappresentare qualcosa di un po’ diverso, di piazzare delle basi “differenti” rispetto alla serie scritta da Kurumada.
Sulla trama non mi soffermerò particolarmente, alla fine, raccontando gli eventi della Guerra Sacra passata, è anche abbastanza ovvia, cosa che ha limitato tantissimo la Teshirogi, ma in alcuni punti è riuscita comunque a sorprendermi in maniera piacevole e ad avere alcuni “guizzi” che me l’hanno fatta gradire abbastanza, dato che l’autrice, malgrado fosse particolarmente vincolata, è riuscita comunque a inserire qualcosa di “suo” e a portare sul mercato un manga davvero piacevole e interessante. Trovo abbastanza stupido criticare questa serie “perché tanto si sa già come va a finire”, in quanto ciò era chiaro fin dall’inizio.
Certo, purtroppo conoscere già l’esito di questa Guerra Sacra priva la storia di quel pathos che tanto piace ai lettori (me compresa), facendola partire un po’ con le gambe rotte. Quando si comincia a leggere, si sa già che tutti i Saint – a eccezione di Shion e Dohko – andranno incontro alla morte, ma questo non ha impedito alla Shiori di farci affezionare a loro e di farci piangere a ogni dipartita, questo perché i personaggi, o almeno la stragrande maggioranza, nonostante siano esteticamente identici ai loro successori (scelta per la quale non critico l’autrice, dato che purtroppo è stata costretta a fare così per vendere di più), sono gestiti abbastanza bene, riescono a lasciare un segno nel lettore e hanno ognuno il proprio carattere e le proprie sfaccettature. In questo la Teshirogi è riuscita a compiere un lavoro decisamente migliore rispetto a quello di Kurumada, che salvo alcune eccezioni ci ha abituati a personaggi bidimensionali e piuttosto piatti e banalotti.
In Lost Canvas, invece, ognuno riesce a ritagliarsi il proprio spazio, specialmente i tanto amati Gold Saints, che delle volte finiscono anche per soppiantare i protagonisti e ai quali sono stati dedicati anche dei Gaiden quasi tutti molto piacevoli e che li approfondiscono ancor di più, dando peraltro un po’ di lustro a quelli che nella serie kurumadiana sono stati ingiustamente bistrattati, ovvero Taurus, Cancer e Pisces (Pisces tra l’altro sconfigge da solo pure uno dei tre giganti degli Inferi, mica pizza e fichi!). Vale lo stesso anche per Sagittarius, che finalmente viene visto in azione e non ricopre il ruolo di fantasma che soccorre i protagonisti nei momenti di difficoltà inviando la propria armatura.
Un netto miglioramento è riscontrabile anche nel personaggio della dea Atena. Stavolta non abbiamo una spocchiosa ragazzina inutile e ipocrita, bensì una fanciulla che, pur nella sua dolcezza e delicatezza, mette anima e corpo per aiutare i suoi Saint e non esita a scendere in campo per aiutarli, maturando insieme a loro e combattendo anche con i poteri limitati.
Anche l’armata degli Specter, che nel manga classico era stata gestita in maniera davvero scandalosa, acquisisce maggior spessore, introducendo personaggi abbastanza interessanti ed evitando di limitarsi ai tre Giudici Infernali. Inutile dire che lo stesso discorso vale pure per Ade, qui dotato di una psicologia molto più approfondita e “malata”, per gli dei gemelli Hypnos e Thanatos e per Pandora, che a ‘sto giro si dimostra una comandante degna del suo nome, nulla a che vedere con l’incapace e sprovveduta ragazzetta della serie originale.
Ovviamente, non tutti i personaggi sono riusciti benissimo, anche qui ce ne sono alcuni assai dimenticabili, a partire dallo stesso Tenma, che non sarà odiosamente raccomandato come Seiya ma a me come personaggio è parso abbastanza anonimo. E lo stesso si può dire di Yato e di Yuzuriha, che a parte qualche flashback sono stati approfonditi davvero poco e nella seconda parte del manga vengono quasi completamente dimenticati.
Anche fra Gold Saints e Specter c’è qualche “mela grama”, ma di questo parleremo più avanti.
Un altro punto a favore rispetto al manga classico è senza dubbio il disegno. Se il tratto Kurumadiano è particolarmente grezzo e sproporzionato, quello della Teshirogi è decisamente più apprezzabile alla vista. Certo, non è eccelso, soprattutto nei primi volumi, ma andando avanti la matita dell’autrice prende letteralmente il volo, migliorando passo dopo passo e raggiungendo il picco massimo nei Gaiden. Certo, come ho già detto qualche riga sopra, non è esente da difetti, lo stile non è particolarmente pulito e lineare e alcune tavole le ho trovate un po’ confusionarie, specie nelle scene di combattimento. Inoltre, sembra che la Shiori non sia molto brava quando si tratta di disegnare gli animali, vedasi il cucciolo di Aron, che è veramente orrendo e somiglia più a un formichiere che a un cagnolino, ma dettagli.
In ogni caso, sono cose abbastanza perdonabili, dato che alla fine la serie si fa apprezzare e, come ho già detto prima, risulta parecchio gradevole e con picchi di angst che qualche volta mi hanno anche strappato una lacrimuccia.
Ciò nonostante, non posso dare a questa serie una valutazione che vada oltre il sette e mezzo e, volendomi togliere il sassolino dalla scarpa, vi spiego subito il perché.
Sicuramente su alcuni difetti del Lost Canvas si può glissare, perché la serie soffre parecchio delle pressioni degli editori, della fretta (specialmente nel finale) e del suo essere una storia dal finale già praticamente scontato, ma – a mio onesto parere – ci sono delle altre pecche, e anche evidenti.
In primis, non mi è andato molto giù il ripetersi di alcuni stereotipi della serie classica. Se in alcuni casi ciò è tranquillamente passabile, perché i segni distintivi del brand è giusto che rimangano, in altri non lo è affatto. Giusto per citare qualche esempio: perché il cavaliere del Toro deve sempre schiattare in piedi (cosa che accade anche con Ox in Next Dimension, per la cronaca)? Perché Gemini deve sempre farsi la guerra con il fratello e soffrire di problemi mentali e/o deliri di onnipotenza? Perché il Gran Sacerdote come successori non riesce mai a designare dei Saint che non siano Sagittario e Gemelli? Perché Unicorno deve sempre essere un lecchino incallito di Atena (sebbene Yato sia molto più dignitoso rispetto allo sfigatissimo Jabu)?
Insomma, e passino una volta, ma già alla seconda questi cliché cominciano a venire a noia, personalmente mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa di diverso.
Ricollegandomi poi al discorso sui personaggi… è vero, prima ho elogiato l’autrice per la loro trattazione, ma ciò non toglie che ce ne siano alcuni gestiti davvero in maniera frettolosa, a tal punto da risultare pessima, primo fra tutti Regulus del Leone, che per quanto mi riguarda è uno dei peggiori Gary Stu che abbia mai visto in un manga, uno che tira fuori dal nulla tecniche stratosferiche imparate in due nanosecondi e che mette quasi tutti i suoi avversari a novanta perché puòH.
Per non parlare poi di Partita e di Yoma, altri due personaggi saltati fuori dal nulla e la cui presenza non è stata ben contestualizzata, soprattutto nel caso di Yoma, che tra l’altro come personaggio in sé mi sembra stonare davvero tantissimo nell’universo saintseiyano (oltre a essere decisamente irritante, ma questo è un altro discorso).
E poi ci sono le questioni rimaste completamente irrisolte, come quella di Aiacos, che dopo la sconfitta per mano di Sisifo del Sagittario scompare nel nulla pur essendo sopravvissuto, o quella di Kagaho, che non si capisce per quale ragione sia collegato con la Fenice, o magari sono io che mi sono lasciata scappare qualcosa, ma quella parte l’ho trovata davvero TROPPO confusa.
Altri difetti che ho riscontrato, sono alcune scelte di trama davvero assurde, ma a tal punto da risultare a dir poco grottesche pure per una serie dove quasi tutto è possibile come Saint Seiya.
Oltre alle già citate prodezze del Gary Stu del Leone, sto parlando di cose come Sisifo che, seppur privo del cuore, riesce a lanciare un’Athena Exclamation, di Rhadamanthys che continua a girellare senza problemi anche con un buco nel petto e (aridaje!) senza il muscolo cardiaco o di El Cid che, nonostante abbia perso almeno dieci ettolitri di sangue, continua a combattere bello tranzollo come se nulla fosse.
Tuttavia, fra i difetti del Lost Canvas, ciò che più mi irrita è il fanservice. Dio santo il fanservice!
Premetto subito che a me generalmente il fanservice non dispiace neanche troppo, io per prima ho ammirato le grazie di Saga nella serie classica, ma quando è troppo è troppo. E in Lost Canvas è DAVVERO troppo.
E non lo dico per bigottismo o perché è fatto solo sui personaggi femminili, ma semplicemente perché l’opzione migliore secondo me è “o tutti o nessuno”. Inoltre, non ho mai sopportato che pure nelle serie basate sulle armature, in cui la protezione in combattimento è essenziale, nel caso si tratti di donne si dia sempre più importanza a mostrare i loro corpi. Questa cosa l’ho odiata tantissimo anche nella serie classica (visti gli scandalosi bikini di ferro di Marin e Shaina), e il Lost Canvas non fa certo eccezione. Yuzuriha per esempio ha un’armatura davvero terrificante, seppur migliore rispetto a quelle delle due poveracce sopracitate, ma rimane comunque un pugno in un occhio, dato che ‘sta tipa fra un po’ è più protetta quando sta in abiti civili. Cioè, seriamente, quando veste la sua Cloth ha praticamente le tette di fuori, per non parlare degli shorts inguinali (inesattezza storica bella e buona, tra l’altro) e dei sandali metallici! E il brutto è che non è neanche la peggiore, nei Gaiden assistiamo a casi ancora più estremi (Mudan del Passero, per citarne una), ma a elencarli tutti faccio davvero notte. L’unica che si salva è la Specter Violate, che è ben corazzata, peccato solo che la sua Surplice abbia la stessa consistenza della cartapesta e nello scontro con Regulus si rompa proprio sulle tette, che tra l’altro vengono fuori in pieno stile hentai. E vabbeh…
Non dimentichiamoci poi di Pandora, che nonostante come personaggio sia anche ben fatta a livello caratteriale, pare più una diva uscita da una rivista pornografica che una sacerdotessa, in più sembra quasi che sia stata fatta così apposta per fare contrasto con la candida e bianca Sasha, in nome della leggendaria distinzione fra le buone angeliche e sante e le cattive scostumate e amanti del sadomaso (dato che Pandora sembra tendere leggerissimamente al sesso sado, ma dettagli).
Bene, ora che ci stiamo avviando verso la conclusione, che dire ancora di “Saint Seiya – The Lost Canvas”? Sicuramente una bella serie, malgrado i suoi difetti piuttosto fastidiosi. Si poteva fare ancora meglio, questo è vero, ma purtroppo l’autrice ha subìto diverse pressioni che l’hanno limitata, e il fatto di star lavorando per una serie di successo come Saint Seiya non l’ha certo aiutata molto. Ciò nonostante, anche così rimane comunque un buon prodotto che mi sento di consigliare e che trovo sia spesso criticato ingiustamente.
Detto questo… io termino qui la recensione.