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Ho approfittato delle ferie natalizie per vedermi questo anime. Da solo, sul mio PC, pur sapendo già, più o meno, come andava a finire fin da subito, l’ho guardato sei volte consecutive, dall’inizio alla fine.
Credo che si intuisca che mi è piaciuto. Molto.
Mi ha lasciato pieno di immagini, di suoni, di frasi, di musica. L’impatto emotivo è stato travolgente, quello visivo ancora di più. L’ho amato (e lo amo) profondamente, adoro l’atmosfera, la delicatezza e il coraggio con cui sono state affrontate determinate tematiche (senza mai cadere nel morboso), le infinite situazioni ad alto contenuto romantico (ma mai sdolcinate). Anche i dialoghi, pur talvolta un po’ pesanti, non sono mai banali e ti lasciano sempre qualcosa.

Perché non dare il massimo voto, allora?

Non ho letto il manga (lo farò tra poco, spero), ma si è detto ripetutamente che questo anime ne sia una fedele trasposizione: allora credo che l’anime ‘erediti’ direttamente dal manga (e ingigantisca, forse) tutta una serie di problemi. L’autore del manga, Arakawa, si rivela un maestro nel costruire e gestire sapientemente scene fortemente emotive, ma, forse, non è (ancora) in grado di ‘collegare’ tra loro queste scene in un flusso narrativo che abbia una sua coerenza e, soprattutto, un tono e una intensità uniforme.

Attenzione: la seguente parte contiene spoiler

Mi sento di poter dire che la trama risulta fragilissima, quasi inesistente; per lunghi tratti non succede quasi nulla (soprattutto nella seconda parte). Ma, ancor peggio, presenta un enorme numero di incongruenze, contraddizioni e ingenuità. Avevo in mente di farne, in qualche modo, una lista, ma mi sono reso conto che, in pochi minuti, ne avevo trovate talmente tante da rendere l’operazione assai improba.

Mancano del tutto i personaggi negativi (Arakawa fa i salti mortali per redimere persino la madre di Kousei, arrivando a dare qualche perversa giustificazione, in un modo o nell’altro, agli abusi che ha commesso), manca (e si sente) un antagonista vero e credibile. Persino la famosa ‘bugia’ di Kaori ha motivazioni assolutamente campate in aria. Gli unici sprazzi di cattiveria vengono da Tsubaki, persa nel suo innamoramento possessivo ed egoista, quando sorride sentendo dire a Kousei che potrebbe fallire l’ammissione al liceo, oppure quando si dichiara con un discorso che suona tipo “Sei un idiota, quella ha in mente Watari. Figurati se molla Watari per uno sfigato come te. Contro Watari non ce la puoi fare. Alla fine sarai solo, a te non rimarrà che metterti con me!”. (Detto a un amico di infanzia di cui non può non conoscere i gravi problemi di autostima…) Comunque troppo poco.

Altro grosso problema è che i personaggi evolvono pochissimo. Watari rimane uguale a sé stesso, dall’inizio alla fine. Tsubaki impiega un’eternità solo a capire di essere innamorata (a modo suo) e, dopo averlo capito, non è che cambi chissà cosa. In Kaori sarebbe stato interessante osservare il passaggio dall’ammirazione per il pianista all’amore per la persona, ma di questo, al di fuori della lettera finale, non c’è proprio traccia o, se c’è, è impercettibile. Kousei-pianista torna ad occupare il suo ruolo, sconfiggendo i suoi demoni grazie a Kaori e ai sentimenti per lei. Ma Kousei-persona cambia pochissimo, quasi niente. Fino all’ultimo, è ancora tormentato dalla mancanza di autostima (e di coraggio) e schiacciato dalla personalità esuberante di Watari (“Ogni volta che mi paragono a Watari, vorrei sprofondare” - fine episodio 20!) e, nell’ultima scena, da quella dominante di Tsubaki, che gli assesta l’ennesimo calcione, quasi a sottolineare che, per lui, la ricreazione è finita.

Una nota divertente. Nella sua lettera di addio Kaori si rivolge a Kousei come ‘tonto’ e ‘bradipo’. Difficile darle torto: lui, in fondo, è l’unico che, nonostante tutto, ha creduto davvero alla bugia di Kaori, e la sorpresa che mostra leggendo la verità è assurdamente comica.

Per quanto riguarda il bradipo... Ragazzo mio! Ragazzo mio! Ma cosa doveva fare di più la povera Kaori? Mettersi addosso un’insegna luminosa?

Questo anime mi lascia dentro un grande senso di ‘perdita’, del tipo che provano tutti quelli che, nella vita, vengono abbandonati all’improvviso dalla persona amata (non necessariamente per motivi drammatici), il pugno nello stomaco al vedere i corrimani installati a casa di Kaori, l’angoscia tremenda di quel triplo, drammatico, “Kowai yo!” urlato sul tetto dell’ospedale, il rimpianto profondissimo per il finale “Kimi daisuki desu! Suki desu! Suki desu!” nella lettera di Kaori.

Bellissimo, emozionante, commovente. Ma poteva sicuramente essere migliore.