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Teatro ed Akahon: Delitto e Castigo
Nel 1946, l’universitario studente di medicina ed aspirante fumettista Osamu Tezuka fonda con suoi compagni di corso un gruppo di teatro, il “Gakuyuza” (Compagnia degli amici della scuola). Sin dall'infanzia, grazie alla passione e la conoscenza stretta della madre con il teatro femminile di Takarazuka, cittadina dove trascorre gran parte della sua giovinezza, Tezuka viene educato ad una sensibilità particolare verso il palco, uno scenario dunque fisso nello spazio ma mutabile nella sostanza, su cui rappresentare ciò che si trova ad essere. L’impostazione che dunque riceve – senza considerare i prodotti di animazione, anch'essi caratterizzati da un luogo fisso (lo sfondo) dove i personaggi si muovono e agiscono – è difficilmente considerabile cinematografica. Nelle varie vignette Tezuka ricerca uno spazio definito ma soprattutto reale su cui appoggiare tutta la sceneggiatura ed il mondo fittizio; il suo obiettivo è quello di trasmettere una orizzontalità pura nello sviluppo delle azioni, allontanandosi quindi dalla verticalità nella quale le vignette del fumetto si susseguono, ricercando dunque uno sviluppo del tempo che avviene nello stesso piano piuttosto che in varie realtà frammentate nella pagine e ben delineate dal contorno delle vignette stesse [https://vimeo.com/185973194]. Lo scorrere del tempo diventa ben definito in uno solo spazio vettoriale, ci sono pochi salti di momenti ed azioni, nulla viene tralasciato: le esasperazioni temporali raggiungono quasi la dimensione dell’animazione il cui principale ed interessante utilizzo è come transizione tra un ambiente ed un altro; il primissimo piano su Raskolnikov mentre cambia direzione di camminata o il roteare della pistola di Svidrigajlov sono il mezzo con cui si passa da una ambientazione all’altra, e quindi da una situazione ad una potenzialmente diametralmente opposta.

Tezuka, comprendendo che fosse molto più pratico scrivere la sceneggiatura di uno spettacolo teatrale utilizzando anche dei disegni – rispetto ad un libro di sole parole – , era in grado di superare alcune barriere (date dai limiti della sola scrittura) che gli impedivano di creare situazioni che avessero come risultato delle emozioni nuove per lo spettatore: più uno spettacolo (e quindi un manga) era in grado di suscitare quante più e diverse sensazioni in coloro che ne usufruissero, più lo stesso medium era in grado di espandere i propri limiti espressivi.

Nel 1947 viene messo in scena un adattamento teatrale di “Delitto e Castigo”: Tezuka recita la parte dell’imbianchino che appare verso l’inizio della vicenda; il suo unico compito è quello di risalire, in silenzio, la scalinata e quello di incrociare gli sguardi con chi altro eventualmente la percorra. Questi anni di esperienza teatrale risulteranno veramente proficui per il primo periodo di produzioni di Tezuka: coincidendo con l’inizio della trasmissione dei film americani in Giappone e quindi la conseguente scoperta delle infinite potenzialità di applicazione che la regia avesse nei fumetti, queste visioni gli permisero di maturare una idea estremamente precisa di cosa per lui fosse lo story manga.

Nel 1953 Tezuka era già divenuto l’imperatore dell’Akahon, le vendite dei suoi “libretti rossi¹”, volumi singoli di storie complete, crearono una base così solida di rivenditori di manga (e chiaramente anche di lettori), che il mercato, pur essendo in crescita esponenziale ogni anno, non riusciva a soddisfare l’enorme richiesta di nuove storie a fumetti. Approfittando quindi di questa tanto recente quanto profonda radicazione nel territorio iniziano a nascere i Kashihon’ya, letteralmente dei negozi dove si potevano noleggiare libri e fumetti, e di conseguenza i Kashihon manga, fumetti creati appositamente per questo tipo di mercato, dove si fondarono tra l’altro le basi per il Gekiga di Tastumi e Masahiko Matsumoto con l’antologia Kage.
Oltre ai kashihon, anche grazie all'affermazione della TV e quindi della sua serializzazione di contenuti, le riviste prima mensili e poi settimanali diventano i veri dominatori del panorama. In questo ecosistema gli Akahon, amati ed adottati perlopiù dai mangaka di Osaka nella fine degli anni 40, cedono il passo al manga shudan (gruppo manga) di Tokyo (monopolizzata da appunto serializzazione in riviste), e l’opera che ufficialmente chiude quest’era di pubblicazione è, appunto nel 1953, Delitto e Castigo. Delitto e Castigo è inoltre scritto nel periodo in cui Tezuka era maggiormente e direttamente ispirato dalle novità che il cinema e l’animazione americani erano riusciti ad introdurre nel suo storytelling e nella progressione della tavola.

Dopo aver già adattato svariati altri libri e racconti, il più simile per impostazione Faust nel 1949, ma anche e soprattutto Son Goku, Tezuka cerca di infrangere molti dogmi che lo avevano fino a quel momento contraddistinto. Il principale obiettivo della scuola di Osaka era infatti creare un fumetto accessibile a tutti, con particolare attenzione ad un pubblico molto giovane, e per renderlo possibile doveva rispettare ristrette limitazioni riguardanti su tutte le sfere della sessualità e l’eccessiva violenza complessiva nell’opera.
Descrivere e metaforizzare anche i contenuti più crudi e mesti con sequenze morbide impersonate da personaggi innocenti nell’aspetto e nell’intimo era già da allora uno dei tratti distintivi di Tezuka, ma qui compie un cambiamento radicale: se da una parte abbiamo l’esasperazione grafica di questa stilizzazione arrotondata dei personaggi e delle situazioni con il rimando ultimo all'animazione Disneyana, dall’altra abbiamo la vera nascita della drammaticità nello story manga per ragazzi.
La rivisitazione del capolavoro iniziale di Dostoevskij viene ambientata nella Russia pre-rivoluzionaria, dove tutto è predestinazione; le decisioni del passato hanno infatti già plasmato un unico futuro, così vicino da essere da essere tangibile nel suo avvenire: le conseguenze di ogni azione sono così prossime da essersi appena risolute. La seconda vignetta della prima pagina, oltre ad essere molto esplicativa di ciò, introduce, sin dall'inizio, l’aspetto forse più importante e significativo di quest’opera: Tezuka in persona inserisce un omicidio ingiustificato. La morte per Tezuka, in particolare in opere come Metropolis e The Mysterious Underground Men, aveva avuto sempre una funzione incredibilmente catartica: l’eroe diviene tale – o, meglio, viene infine riconosciuto chiaramente da tutti – pagando un prezzo non riscattabile per una causa maggiore, eticamente superiore. La morte è dunque il catalizzatore che è da solo e solo lui in grado di risolvere e superare una situazione od una concezione che fino a quel momento era obnubilante.

La prima metà degli anni ‘50 era inoltre un periodo caratterizzato da un pesante ambiente di censura e imminente discussione sulle tematiche che i manga per ragazzi dovessero avere (situazione che esploderà infatti intorno al 1955, anche sensatamente in quanto si era attuata una vera e propria corsa alle armi, alla violenza gratuita e personaggi particolarmente scorretti per attirare facilmente l’attenzione sia dei più piccoli che degli oramai adolescenti e giovani adulti), ed il fatto che l’astro più che oramai sorto del fumetto accessibile a tutti avesse sfidato così tanto e per la prima volta questa situazione è un tassello importante per lo sviluppo della stessa.

I personaggi stessi sono estremamente esplicativi di questo progresso artistico: la vecchia megera ed aguzzina è una figura esclusivamente negativa, incapace persino di comprendere il bene: il suo ruolo è unicamente quello di esprimere la propria malvagità, senza possibilità di redenzione; ecco dunque la personificazione di un sistema oramai collassato, talmente corrotto da aver precluso qualsiasi punto di ritorno; l’unica soluzione possibile è la rivoluzione violenta, guidata dal rimorso preventivo degli esecutori e dalla violenza portatrice di giustizia. Un peccatore deve e può espiare solo con la morte, quello che non è parte vitale dell’organismo della rivoluzione è per definizione escluso, “altro” e nemico. Nasce il concetto di individui potenzialmente “straordinari” che, in grado di poter agire in una dimensione superiore alla concezione di giustizia, sono in grado di plasmare ed instaurare un proprio dominio sui cosiddetti “ordinari”, persone comuni che alla fine, qualunque sia lo sviluppo, si ridurranno sotto la mercé degli straordinari. Rimane da sviluppare solo il principale il dilemma su cui tutta questa teoria si basa, cioè l’individuazione e la presa di consapevolezza di chi veramente sia in grado di poter prendere il ruolo di straordinario. Solo lo stesso Raskolnikov alla fine riesce ad intravedere e riconoscere, come il bagliore accecante che esce da una porta socchiusa giungendo da un locale per niente illuminato, le conseguenze di quello che aveva teorizzato fino a quel momento, e lo fa solamente grazie all’imperante e straordinaria lucentezza dell’innocenza pura ed innata e nonostante tutto (molto simile a quella di Oliver Twist) di Sonya. Con il suo gesto iniziale ed estremo Raskol’nikov aveva ideologicamente simboleggiato e provocato la rivoluzione, oppure, più probabilmente, il gesto stesso è l’elemento “straordinario” della rivoluzione; esiste però il twist, l’ἀπροσδόκητον² che risolve l’ αἴτιον, la causa primordiale: la catarsi esiste e viene trovata una volta sopravvissuti al sentiero della follia, una volta usciti dal tunnel dell’illusione dell’invulnerabilità: Raskol’nikov guadagna la consapevolezza del fenomeno grazie alla sofferenza fisica e spirituale (una visione del πάθει μάθος molto vicina a Dostoevskij stesso), ma oramai, per gli “ordinari”, è troppo tardi; il delitto iniziale è infatti la genesi di tutti gli avvenimenti che porteranno Raskol’nikov nel cammino verso la straordinarietà pur essendo un gesto intrinsecamente ordinario (in quanto mezzo principale della rivoluzione): la rivoluzione stessa è infatti generata e causata da ordinari, mentre le conclusioni del protagonista non verranno mai riconosciute globalmente; tutto è dunque in completo contrasto con le teorie che fino a questo punto avevano virtualmente governato lo stato delle cose. Il presente e quindi il futuro sta venendo plasmato dagli ordinari, le caratteristiche tavole affollate e confusionarie di Tezuka non rappresentano più uno sviluppo ed intreccio delle vicende degli uomini, bensì si trasformano nell'esternazione macroscopica dell’ebbrezza dovuta alla perdita dell’ordine delle cose, alla sovversione del ritmo che governa la vita degli uomini: la rivoluzione è oramai compiuta.
Il futuro è già scritto, è già accaduto, il finale ha veramente esaurito la sua prima pagina.

Note:

1. Nome dovuto sia alla copertina tipicamente rossa ma anche dal colore dell’inchiostro di scarto utilizzato nel dopoguerra per stampare i primi volumetti per l’appunto tendente al rosso.

2. “Fulmen in clausula”, finale inaspettato.