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6.0/10
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Quindici volumi per raccontare un survival non troppo credibile, con un’alternanza psicotica tra il sentimentale e lo splatter a voler giustificare istinti omicidi, codardia, amicizia, amore e nazionalismo. Il duo Koushun Takami e Masayuki Taguchi ha tra le mani un’idea e un contesto molto accattivante, ma purtroppo perde entrambi per strada. Troppo presto per altro...
I primi tre tankōbon sono accattivanti, cinici e spietati. Creano una forte empatia tra i “condannati al gioco omicida” e il lettore. Ogni volumetto che chiudi ti sale l’odio per lo Stato che costringe a simile torture e l’ansia per le morti che, inevitabilmente, sai che accadranno. Poi quest’effetto si perde e rimane solo una curiosità splatter di vedere chi e come morirà. Poi anche questo si volatilizza. Personalmente ho concluso la lettura solo perché ho comprato l’opera intera e non avevo altro da leggere, altrimenti non credo sarei riuscito ad arrivare alla fine.
Senza spoiler concludo parlando proprio del finale.

Effettivamente l’ultimo capitolo risolleva un po’ l’opera dando un senso ad alcune cose, ma sempre con il grave problema di lasciarti un sapore di “vorrei ma non posso”. Infatti non trovano risposte le domande che gli stessi protagonisti si fanno. Chi di voi ha letto Ikigami sa di cosa parlo. La fine dell’opera è il momento in cui rispondi alla domanda “perché accade questa cosa” altrimenti il racconto è una storia inserita in un contesto avulso che perde quindi un pezzo importante di psicologia sociale che spinge una nazione a fare determinate cose. Perdonatemi se sono stato criptico ma odio spoilerare e ho camminato sulle lame per esprimere questo concetto senza entrare nel dettaglio.
Da leggere in assenza di meglio!