Recensione
Klaus - I segreti del Natale
9.0/10
“Un atto di gentilezza, ne ispira sempre un altro.”
Iniziato a vedere sia per curiosità sia sotto consiglio di amici, vengo a conoscenza di questo lungometraggio reperibile esclusivamente (almeno al momento) su Netflix: ed è amore a prima vista.
“Klaus - I segreti del Natale” è sostanzialmente un prodotto per famiglie, una rivisitazione della misteriosa, unica, favolosa e magica leggenda di San Nicolaus, meglio conosciuto come Santa Klaus, dalle nostre parti con il dolcissimo appellativo di Babbo Natale.
Il 2D alla ribalta come nella più classica tradizione. Ma è solo questo? No di certo.
Klaus è molto più che un film per adulti e bambini capace di parlare dell’atmosfera di Natale, dell’importanza delle buone azioni e del clima speciale che si respira in quel periodo. In realtà va ben oltre la stucchevole ipocrisia dei luoghi comuni di fine dicembre: esplora superficialmente il lato lappone e pagano del periodo natalizio, reinventando una leggenda nota a tutti, con una costruzione di background solida e inaspettatamente emozionante.
Forte di un tratto minimalista ma incisivo, capace di offrire un mix fra design moderno e fondali in stile classico, mischia sapientemente CG e disegno animato, riuscendo per quasi un’ora e mezza a trascinare gli spettatori di tutte le età in un mondo gelido e affascinante come pochi altri lungometraggi del genere sono riusciti a fare negli ultimi anni. Sia ambienti che strutture artificiali che figure umane sono stilizzate secondo uno stile più moderno e dinamico, e, nel complesso, creano un bilanciamento estetico armonioso che non stanca né disturba.
Gli autori sfruttano argutamente una delle leggende nordiche più classiche del genere umano per arrivare a parlare direttamente al cuore degli spettatori, utilizzando metafore e termini non sempre diretti; il sistema è facile e incisivo, e l’armonia fra design, colonna sonora davvero apprezzabile e una storia per niente scontata (che andrà a completarsi in un fantastico crescendo dolce e malinconico) fa da teatro a insegnamenti tanto semplici e scontati, quanto toccanti e unici, perché la gentilezza e l’amore non possono e non potranno mai passare di moda, nonostante, nella vita di tutti i giorni, ogni tanto, il dubbio verrebbe.
È questa l’avventurosa storia di Jesper, giovane viziato oltremodo dai genitori, un ragazzo che vive la sua vita servito e riverito da camerieri e domestici, fra colazioni a letto, lenzuola di seta e decine di altri vizi che lo hanno reso egoista, rammollito e privo di ambizioni.
Stanco della vita dissoluta del figlio, il padre, potente e influente uomo d’affari, cerca di farlo entrare a lavorare nel servizio postale reale di cui è proprietario, ma Jesper si dimostra un fallimento totale. Al limite della frustrazione, di fronte a una situazione che pare irrecuperabile, il padre di Jesper comprende - a malincuore - che suo figlio ha bisogno di una vera e propria scossa, e decide di punirlo mandandolo a fare il postino molto più a nord delle loro terre... addirittura al Circolo Polare Artico (!), in una località assurda, fredda e inospitale: un villaggio fra monti ghiacciati e crepacci oscuri, popolato da gente aspra e poco incline alle novità, immischiata in una faida locale che coinvolge due fazioni ben distinte all’interno del paese. E dovrà rimanerci fin che non avrà spedito un quantitativo di lettere inimmaginabile: seimila!
Jesper non crede a quel che sta accadendo: come può suo padre fargli una cosa simile?! Come potrà sopravvivere in una bettola gelata, senza riscaldamento, dal tetto bucato e circondato da gente fuori di testa come i cittadini di quel maledetto posto?
Ma non tutto è come sembra, ed è nelle difficoltà che la vita diviene inevitabile, spietata ma saggia insegnante. Fra giornate orribili, capitani di pescherecci dal dubbio umorismo, bambini dall’aria sinistra e buche delle lettere sempre vuote, Jesper farà anche conoscenze non così terribili, come una giovane donna che, all’interno di quella che dovrebbe essere la scuola elementare del borgo, vende pesce marcio al posto di insegnare, esaurita, stanca da quel posto, e che, come lui, non vede l’ora di andarsene.
È proprio così: la situazione appare drammatica. Di questo passo, Jesper, non lascerà mai quel paesino, e il suo futuro comincia a sembrare davvero compromesso. Almeno, fino a quando non fa la conoscenza di un possente boscaiolo, cupo e taciturno, spaventoso nell’aspetto, un vero bestione dalla folta barba bianca, capace di lavorare il legno in modo sublime e creare oggetti di una grazia e di una bellezza senza pari, come il giovane postino mai aveva visto.
Klaus non è la solita storia sulla magia del Natale e di come dovrebbe ricordarci di essere “tutti più buoni”: senza alcuna remora si oltrepassa a piè pari la solita morale proposta ormai all’infinito, e si ha l’ardire di esaminare qualcosa di mai esplorato. Si tratta di una toccante, sorprendente rivisitazione di come sia nata la leggenda del vecchio uomo vestito di rosso e dalla folta barba bianca, di chi fosse stato prima di essere conosciuto come “Santa” Klaus, di cosa indossasse prima di indossare le vesti rosse e bianche, di chi conoscesse e, soprattutto, del perché vivesse tutto solo nel bosco.
Da un’idea tanto semplice quanto originale ne scaturisce un piccolo capolavoro, capace di intrattenere grandi e piccini con una semplicità che non si poteva apprezzare da tempo, e che sfrutta l’evoluzione dei protagonisti lungo l’arco narrativo per mostrare pregi e debolezze che risiedono in ognuno di noi.
Senza alcuno sforzo, l’opera si dimostra un amorevole ossimoro; trasuda atmosfere natalizie autentiche, senza il bisogno di mostrare realmente nessun cliché natalizio.
Gli scenari nordici e gli ambienti in cui sono immersi i personaggi collimano perfettamente con una colonna sonora studiata in modo calibrato, essenziale e incisiva come non mai (che si sublima in “Invisible”, una canzone che davvero sfiora l’anima); man mano che la trama si sviluppa, gli autori riescono a dare una spiegazione logica (a volte divertente, a volte quasi commovente) a tutti gli aspetti caratteristici e “magici” della figura di Santa Klaus, come la celebre slitta con le renne “volanti”, la sua favolosa risata piena di gioia e, soprattutto, il modo in cui è diventato a tutti gli effetti l’uomo capace di consegnare i regali a tutti i bambini del mondo.
Che ogni leggenda abbia un fondo di verità, e che le antiche verità vengano mitizzate e, di generazione in generazione, la storia muti trasformandosi in leggenda, è un classico del folklore popolare.
Klaus merita attenzione da subito; la grazia, i sentimenti e la delicatezza che si respirano al suo interno non hanno niente da invidiare ai più famosi lungometraggi Disney. La seconda parte del film, in un crescendo di emozioni inaspettate - che mai ci saremmo aspettati, all’inizio - ci trascina verso un finale intenso, forte di una potenza emotiva inimmaginabile.
L’augurio è che nel corso dei prossimi anni diventi al più presto un classico di Natale conosciuto e apprezzato da più gente possibile, da rivedere durante il periodo di fine anno, perché negli ultimi vent’anni raramente abbiamo assistito a un prodotto dedicato a questo target così curato e di qualità.
Se cercate un regalo da scartare sotto l’albero, questa è la sorpresa più bella in assoluto, ma non lo raccomando solo a chi ama le atmosfere natalizie o a chi è legato al Natale per i più disparati motivi: Klaus è una perla da vedere assolutamente, perché, che sia Natale o meno, non fa alcuna differenza. A prescindere dal tema, si tratta di un film che parla d’amore, di amicizia, di altruismo, ma anche di solitudine, di discriminazione, di dolore, e sì, anche di perdita, e, purtroppo, accenna anche alla famigerata “cultura dell’odio” che respiriamo, purtroppo, ogni giorno.
“Un atto di gentilezza ne ispira sempre un altro”, dicevamo all’inizio, giusto? È davvero così, ed è anche vero che le cose più importanti della nostra vita, proprio come veniva espresso ne “Il Piccolo Principe”, sono invisibili agli occhi.
E questi sono concetti che ci dovremmo portare dentro 365 giorni all’anno.
Siete davvero convinti che la storia di Babbo Natale sia una storia inventata per illudere i bambini?
Iniziato a vedere sia per curiosità sia sotto consiglio di amici, vengo a conoscenza di questo lungometraggio reperibile esclusivamente (almeno al momento) su Netflix: ed è amore a prima vista.
“Klaus - I segreti del Natale” è sostanzialmente un prodotto per famiglie, una rivisitazione della misteriosa, unica, favolosa e magica leggenda di San Nicolaus, meglio conosciuto come Santa Klaus, dalle nostre parti con il dolcissimo appellativo di Babbo Natale.
Il 2D alla ribalta come nella più classica tradizione. Ma è solo questo? No di certo.
Klaus è molto più che un film per adulti e bambini capace di parlare dell’atmosfera di Natale, dell’importanza delle buone azioni e del clima speciale che si respira in quel periodo. In realtà va ben oltre la stucchevole ipocrisia dei luoghi comuni di fine dicembre: esplora superficialmente il lato lappone e pagano del periodo natalizio, reinventando una leggenda nota a tutti, con una costruzione di background solida e inaspettatamente emozionante.
Forte di un tratto minimalista ma incisivo, capace di offrire un mix fra design moderno e fondali in stile classico, mischia sapientemente CG e disegno animato, riuscendo per quasi un’ora e mezza a trascinare gli spettatori di tutte le età in un mondo gelido e affascinante come pochi altri lungometraggi del genere sono riusciti a fare negli ultimi anni. Sia ambienti che strutture artificiali che figure umane sono stilizzate secondo uno stile più moderno e dinamico, e, nel complesso, creano un bilanciamento estetico armonioso che non stanca né disturba.
Gli autori sfruttano argutamente una delle leggende nordiche più classiche del genere umano per arrivare a parlare direttamente al cuore degli spettatori, utilizzando metafore e termini non sempre diretti; il sistema è facile e incisivo, e l’armonia fra design, colonna sonora davvero apprezzabile e una storia per niente scontata (che andrà a completarsi in un fantastico crescendo dolce e malinconico) fa da teatro a insegnamenti tanto semplici e scontati, quanto toccanti e unici, perché la gentilezza e l’amore non possono e non potranno mai passare di moda, nonostante, nella vita di tutti i giorni, ogni tanto, il dubbio verrebbe.
È questa l’avventurosa storia di Jesper, giovane viziato oltremodo dai genitori, un ragazzo che vive la sua vita servito e riverito da camerieri e domestici, fra colazioni a letto, lenzuola di seta e decine di altri vizi che lo hanno reso egoista, rammollito e privo di ambizioni.
Stanco della vita dissoluta del figlio, il padre, potente e influente uomo d’affari, cerca di farlo entrare a lavorare nel servizio postale reale di cui è proprietario, ma Jesper si dimostra un fallimento totale. Al limite della frustrazione, di fronte a una situazione che pare irrecuperabile, il padre di Jesper comprende - a malincuore - che suo figlio ha bisogno di una vera e propria scossa, e decide di punirlo mandandolo a fare il postino molto più a nord delle loro terre... addirittura al Circolo Polare Artico (!), in una località assurda, fredda e inospitale: un villaggio fra monti ghiacciati e crepacci oscuri, popolato da gente aspra e poco incline alle novità, immischiata in una faida locale che coinvolge due fazioni ben distinte all’interno del paese. E dovrà rimanerci fin che non avrà spedito un quantitativo di lettere inimmaginabile: seimila!
Jesper non crede a quel che sta accadendo: come può suo padre fargli una cosa simile?! Come potrà sopravvivere in una bettola gelata, senza riscaldamento, dal tetto bucato e circondato da gente fuori di testa come i cittadini di quel maledetto posto?
Ma non tutto è come sembra, ed è nelle difficoltà che la vita diviene inevitabile, spietata ma saggia insegnante. Fra giornate orribili, capitani di pescherecci dal dubbio umorismo, bambini dall’aria sinistra e buche delle lettere sempre vuote, Jesper farà anche conoscenze non così terribili, come una giovane donna che, all’interno di quella che dovrebbe essere la scuola elementare del borgo, vende pesce marcio al posto di insegnare, esaurita, stanca da quel posto, e che, come lui, non vede l’ora di andarsene.
È proprio così: la situazione appare drammatica. Di questo passo, Jesper, non lascerà mai quel paesino, e il suo futuro comincia a sembrare davvero compromesso. Almeno, fino a quando non fa la conoscenza di un possente boscaiolo, cupo e taciturno, spaventoso nell’aspetto, un vero bestione dalla folta barba bianca, capace di lavorare il legno in modo sublime e creare oggetti di una grazia e di una bellezza senza pari, come il giovane postino mai aveva visto.
Klaus non è la solita storia sulla magia del Natale e di come dovrebbe ricordarci di essere “tutti più buoni”: senza alcuna remora si oltrepassa a piè pari la solita morale proposta ormai all’infinito, e si ha l’ardire di esaminare qualcosa di mai esplorato. Si tratta di una toccante, sorprendente rivisitazione di come sia nata la leggenda del vecchio uomo vestito di rosso e dalla folta barba bianca, di chi fosse stato prima di essere conosciuto come “Santa” Klaus, di cosa indossasse prima di indossare le vesti rosse e bianche, di chi conoscesse e, soprattutto, del perché vivesse tutto solo nel bosco.
Da un’idea tanto semplice quanto originale ne scaturisce un piccolo capolavoro, capace di intrattenere grandi e piccini con una semplicità che non si poteva apprezzare da tempo, e che sfrutta l’evoluzione dei protagonisti lungo l’arco narrativo per mostrare pregi e debolezze che risiedono in ognuno di noi.
Senza alcuno sforzo, l’opera si dimostra un amorevole ossimoro; trasuda atmosfere natalizie autentiche, senza il bisogno di mostrare realmente nessun cliché natalizio.
Gli scenari nordici e gli ambienti in cui sono immersi i personaggi collimano perfettamente con una colonna sonora studiata in modo calibrato, essenziale e incisiva come non mai (che si sublima in “Invisible”, una canzone che davvero sfiora l’anima); man mano che la trama si sviluppa, gli autori riescono a dare una spiegazione logica (a volte divertente, a volte quasi commovente) a tutti gli aspetti caratteristici e “magici” della figura di Santa Klaus, come la celebre slitta con le renne “volanti”, la sua favolosa risata piena di gioia e, soprattutto, il modo in cui è diventato a tutti gli effetti l’uomo capace di consegnare i regali a tutti i bambini del mondo.
Che ogni leggenda abbia un fondo di verità, e che le antiche verità vengano mitizzate e, di generazione in generazione, la storia muti trasformandosi in leggenda, è un classico del folklore popolare.
Klaus merita attenzione da subito; la grazia, i sentimenti e la delicatezza che si respirano al suo interno non hanno niente da invidiare ai più famosi lungometraggi Disney. La seconda parte del film, in un crescendo di emozioni inaspettate - che mai ci saremmo aspettati, all’inizio - ci trascina verso un finale intenso, forte di una potenza emotiva inimmaginabile.
L’augurio è che nel corso dei prossimi anni diventi al più presto un classico di Natale conosciuto e apprezzato da più gente possibile, da rivedere durante il periodo di fine anno, perché negli ultimi vent’anni raramente abbiamo assistito a un prodotto dedicato a questo target così curato e di qualità.
Se cercate un regalo da scartare sotto l’albero, questa è la sorpresa più bella in assoluto, ma non lo raccomando solo a chi ama le atmosfere natalizie o a chi è legato al Natale per i più disparati motivi: Klaus è una perla da vedere assolutamente, perché, che sia Natale o meno, non fa alcuna differenza. A prescindere dal tema, si tratta di un film che parla d’amore, di amicizia, di altruismo, ma anche di solitudine, di discriminazione, di dolore, e sì, anche di perdita, e, purtroppo, accenna anche alla famigerata “cultura dell’odio” che respiriamo, purtroppo, ogni giorno.
“Un atto di gentilezza ne ispira sempre un altro”, dicevamo all’inizio, giusto? È davvero così, ed è anche vero che le cose più importanti della nostra vita, proprio come veniva espresso ne “Il Piccolo Principe”, sono invisibili agli occhi.
E questi sono concetti che ci dovremmo portare dentro 365 giorni all’anno.
Siete davvero convinti che la storia di Babbo Natale sia una storia inventata per illudere i bambini?