Recensione
L'attacco dei giganti
9.0/10
Recensione di Ataru Moroboshii
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Dopo dodici anni finisce il manga Shounen-horror che ha incarnato al meglio i turbamenti degli anni'10. Il concept dell'opera appare inizialmente come una classica struttura di "Assalto al Castello": un mondo fortificato, popolato da grotteschi titani mangia uomini e terrorizzati soldati che tentano di ricacciarli fuori dalle mura con l'unica arma che hanno a disposizione: il dispositivo di manovra tridimensionale, soldati che finiranno comunque per lo più con il fare da pranzo per questi titani. Non mancano inizalmente quasi tutti i clichè dei manga shounen: Un arrabbiato protagonista quattordicenne, "figlio d'arte", con un trauma infantile da risolvere e che diventa esattamente ciò che vuole distruggere, combattendo quindi il fuoco con il fuoco o in questo caso i giganti con i giganti. I clichè fortunatamente finiscono qui, Isayama mostrerà di volere dare ben poco spazio agli amori adolescenziali, o alle lezioncine spicce di autostima per giovincelli brufolosi. Si concentrerà invece su ciò che personalmente gli riesce meglio.
Tutta la prima parte del manga è davvero opprimente. La sproporzione di quindici metri fra uomini e giganti obbliga i soldati ad un'attenta analisi dei campi di battaglia, ed a tattiche spregiudicate se non completamente suicide per appianare questo enorme divario e vincere o addirittura solo pareggiare. In questo frangente la passione per la storia militare di Isayama si palesa, l'autore non solo dissemina numerosissimi riferimenti agli avvenimenti del'800 e del'900 durante il corso dei 139 capitoli, ma in un dejavù di "Band of Brothers" descrive minuziosamente l'addestramento dei soldati del 104esimo corso, il legame che si forma fra questi con il tempo e con il pericolo, la PTSD, le tattiche ed i dubbi nel rischiare la vita di molti soldati per un'informazione incompleta, o una supposizione azzardata. Per tutta la lunga prima parte e fino allo splendido arco di "Shingashima" ciò rappresenta il fiore all'occhiello de L'attacco dei Giganti, caratteristica adombrata solo da un sensibile Plot Armor che ci farà comprendere velocemente quali personaggi non sono mai realmente a rischio.
Una delle peculiarità maggiori de l'attacco dei Giganti è quello di essere stato strutturato quasi completamente prima dell'inizio della sua pubblicazione. Questo grandissimo sforzo iniziale di scrittura permette all'autore di inserire continui rimandi ad avvenimenti che verranno narrati in futuro e di riproporre continuamente i concetti chiave dell'opera, fra tutti le mura come dualismo libertà/costrizione. Le mura posso essere una difesa dietro cui nascondersi o da valicare a proprio rischio e pericolo nel tentativo di essere liberi. Molti personaggi si troveranno a dovere scegliere se valicare delle mura, siano esse fisiche/mentali o addirittura morali.
Un'altra caratteristica dell'opera è di partire moralmente candida con un umanità unita che affronta dei mostri e di ingrigirsi mano a mano che la trama avanza aggiungendo temi come razzismo, propaganda politica, odio sedimentato generazione dopo generazione e dilemmi impossibili. In un gioco di layer sovrapposti che si complica sempre di più all'aumentare delle informazioni in mano ad i nostri protagonisti, fino ad arrivare al perno centrale dell'opera: la cantina con dentro il terribile spiegone dell'universo narrativo. Lo spiegone non sarà però la fine di questa mistery box ideata da Isayama. L'autore compie l'impossibile in quella grande innovazione ed apice massimo dell'opera che è l'arco di Liberio: stravolge completamente i ruoli dei personaggi spostando brutalmente l'attenzione dei lettori dai misteri di questo universo narrativo, alle imprevedibili reazioni che i nostri personaggi avranno dopo questa scioccante verità. Da qui in poi non ci si chiederà più che cosa scopriranno Eren, Armin e Mikasa ma bensì come reagiranno Eren, Armin e Mikasa alla scoperta già avvenuta.
Il manga non ha però solo luci ma anche delle ombre, che si palesano nel finale. Isayama compie diversi errori, dall'introduzione di un ingestibile personaggio quasi divino, ad un generale caos della parte action in cui le battaglie pianificate lasciano spazio ad onirici eventi casuali, talmente randomici da fare sembrare The End of Evangelion realistico. Anche la caratterizzazione di personaggi fino a qui generalmente buona, cala bruscamente con i nostri protagonisti che fanno scelte più dettate da quella sorta di rivisitato Ragnarock nordico che vuole raggiungere l'autore, invece che dalla logica o dai sentimenti fino ad ora sviluppati. L'impressione è che il finale letto non sia quello originariamente pensato da Isayama, impressione motivata anche da alcune dichiarazioni dell'autore. Il cambio di finale ha così introdotto numerose forzature che non possono essere ignorate e che impediscono a quest'opera di essere un vero capolavoro, ciononostante resta un manga ottimo con molte innovazioni, un'opera con cui da ora in poi ogni mangaka shounen dovrà necessariamente fare i conti se non vorrà risultare vecchio già in fase di stesura del suo manga.
Tutta la prima parte del manga è davvero opprimente. La sproporzione di quindici metri fra uomini e giganti obbliga i soldati ad un'attenta analisi dei campi di battaglia, ed a tattiche spregiudicate se non completamente suicide per appianare questo enorme divario e vincere o addirittura solo pareggiare. In questo frangente la passione per la storia militare di Isayama si palesa, l'autore non solo dissemina numerosissimi riferimenti agli avvenimenti del'800 e del'900 durante il corso dei 139 capitoli, ma in un dejavù di "Band of Brothers" descrive minuziosamente l'addestramento dei soldati del 104esimo corso, il legame che si forma fra questi con il tempo e con il pericolo, la PTSD, le tattiche ed i dubbi nel rischiare la vita di molti soldati per un'informazione incompleta, o una supposizione azzardata. Per tutta la lunga prima parte e fino allo splendido arco di "Shingashima" ciò rappresenta il fiore all'occhiello de L'attacco dei Giganti, caratteristica adombrata solo da un sensibile Plot Armor che ci farà comprendere velocemente quali personaggi non sono mai realmente a rischio.
Una delle peculiarità maggiori de l'attacco dei Giganti è quello di essere stato strutturato quasi completamente prima dell'inizio della sua pubblicazione. Questo grandissimo sforzo iniziale di scrittura permette all'autore di inserire continui rimandi ad avvenimenti che verranno narrati in futuro e di riproporre continuamente i concetti chiave dell'opera, fra tutti le mura come dualismo libertà/costrizione. Le mura posso essere una difesa dietro cui nascondersi o da valicare a proprio rischio e pericolo nel tentativo di essere liberi. Molti personaggi si troveranno a dovere scegliere se valicare delle mura, siano esse fisiche/mentali o addirittura morali.
Un'altra caratteristica dell'opera è di partire moralmente candida con un umanità unita che affronta dei mostri e di ingrigirsi mano a mano che la trama avanza aggiungendo temi come razzismo, propaganda politica, odio sedimentato generazione dopo generazione e dilemmi impossibili. In un gioco di layer sovrapposti che si complica sempre di più all'aumentare delle informazioni in mano ad i nostri protagonisti, fino ad arrivare al perno centrale dell'opera: la cantina con dentro il terribile spiegone dell'universo narrativo. Lo spiegone non sarà però la fine di questa mistery box ideata da Isayama. L'autore compie l'impossibile in quella grande innovazione ed apice massimo dell'opera che è l'arco di Liberio: stravolge completamente i ruoli dei personaggi spostando brutalmente l'attenzione dei lettori dai misteri di questo universo narrativo, alle imprevedibili reazioni che i nostri personaggi avranno dopo questa scioccante verità. Da qui in poi non ci si chiederà più che cosa scopriranno Eren, Armin e Mikasa ma bensì come reagiranno Eren, Armin e Mikasa alla scoperta già avvenuta.
Il manga non ha però solo luci ma anche delle ombre, che si palesano nel finale. Isayama compie diversi errori, dall'introduzione di un ingestibile personaggio quasi divino, ad un generale caos della parte action in cui le battaglie pianificate lasciano spazio ad onirici eventi casuali, talmente randomici da fare sembrare The End of Evangelion realistico. Anche la caratterizzazione di personaggi fino a qui generalmente buona, cala bruscamente con i nostri protagonisti che fanno scelte più dettate da quella sorta di rivisitato Ragnarock nordico che vuole raggiungere l'autore, invece che dalla logica o dai sentimenti fino ad ora sviluppati. L'impressione è che il finale letto non sia quello originariamente pensato da Isayama, impressione motivata anche da alcune dichiarazioni dell'autore. Il cambio di finale ha così introdotto numerose forzature che non possono essere ignorate e che impediscono a quest'opera di essere un vero capolavoro, ciononostante resta un manga ottimo con molte innovazioni, un'opera con cui da ora in poi ogni mangaka shounen dovrà necessariamente fare i conti se non vorrà risultare vecchio già in fase di stesura del suo manga.