Recensione
Pompo, la Cinefila
8.5/10
Recensione di Mirokusama
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In tempi recenti il cinema, inteso come sala cinematografica, non vive un momento di ottima salute, dovuto sicuramente alla pandemia globale di Covid19 che ne ha colpito le funzionalità per più di due anni ma che, soprattutto, ha velocizzato un processo, già cominciato da anni, che vede la distribuzione del grande cinema spostarsi molto più facilmente dalla sala alle piattaforme streaming, ormai sempre più numerose e con un’offerta ogni volta più valida e ampia, a prezzi concorrenziali. Proprio per questo l’arrivo di un film (ahimè ironicamente non in sala nel nostro Paese) come “Eiga Daisuki Pompo-san” rischia di rappresentare un toccasana per tutti i cinefili, dai più incalliti agli appassionati moderati, visto il suo carico di passione e coraggio che trasmette nei confronti della settima arte e delle potenzialità che ancora ha, adesso come un secolo fa, di influenzare e ispirare (in)direttamente la vita di chi la guarda.
“Eiga Daisuki Pompo-san” (lett. “Pompo che ama i film”, conosciuto anche col titolo “Pompo: The Cinéphile”) è di base la storia della produzione di un film, un lungometraggio scritto e prodotto da Joel D. Pomponette (detta Pompo), giovane rampolla di un famoso produttore di Nyallywood (località chiaramente ispirata alla ben nota Hollywood) che è una grandissima appassionata e intenditrice di cinematografia in ogni suo aspetto, tanto che spende tempo e passione anche nella produzione di B-movie dalla facile resa di pubblico nonostante la scarna valenza artistica. Oltre questo è anche un’ abile talent scout, tanto che affida la regia di questo film e il ruolo di protagonista femminile a due esordienti assoluti, Gene Fini, giovane assistente di scena la cui vita è completamente votata al cinema, e Natahlie Woodward, ragazza sognatrice desiderosa di diventare un attrice per affrancarsi dalla realtà rurale che ha sempre conosciuto, e l’intero film segue il laborioso e tormentato processo di lavorazione di “Meister”, una pellicola incentrata su un direttore d’orchestra talmente oppresso dalla ricerca della perfezione delle sue esecuzioni da necessitare un ritorno alla natura e un ridimensionamento delle sue aspettative per raggiungere la vera grandezza.
Non è un caso che citi la trama del film presentato in questo film perché il sovrapporsi delle figure del protagonista e del regista Gene, entrambi ossessionati dalla perfezione da raggiungere nel loro lavoro, è uno dei leitmotiv del film visto che, nella loro esasperazione, entrambi i personaggi ci ‘investono’ di ciò che muove ogni loro passo, e cioè una smisurata passione; Gene non è un mestierante del cinema, Gene vive di cinema, è letteralmente la cosa che gli ha riempito la vita e proprio questo suo desiderio ardente di condividere tanto amore, nella speranza magari che finisca per influenzare anche altre persone come è capitato a lui, lo metterà in luce agli occhi di Pompo, convinta che solo lui sia in grado di rendere realtà ciò che lei aveva immaginato. In questa grande retorica del sogno da conquistare a tutti i costi, ‘nyallywoodiana’ verrebbe da dire a questo punto, è comprensibile immaginare una certa faciloneria nella costruzione di questa storia tanto bella e romantica quanto difficile da realizzare, ma nella sua ovvia e, giustamente, caricata finzione devo dire che il film non lesina di soffermarsi su dettagli ben poco immaginifici e molto più materiali quali sponsor da reperire, troupe e attrezzature da allestire con conseguenti fondi persi e la difficoltà nel girare e montare una pellicola troppo lunga che non sia il semplice specchio della vanità del regista, ma un prodotto in grado di reggere anche dal punto di vista commerciale riuscendo a catturare l’attenzione di un pubblico sempre più assuefatto a stili di vita veloci e mutevoli e incapace di appassionarsi a film troppo lunghi e prolissi. Il risultato è una storia che gronda amore per il cinema, il più genuino e ingenuo possibile, un produttore appassionato e desideroso di sperimentare, un regista completamente votato al suo lavoro, una giovane attrice capace e volenterosa e un cast di professionisti sempre seri e disponibili nel mettere al servizio di un giovane sconosciuto la propria arte, tutto troppo bello per essere vero, ma proprio per questo in grado d far sognare come solo il cinema è in grado di fare.
Tutto questo è possibile grazie anche allo splendido comparto tecnico di cui può godere “Eiga daisuki Pompo-san”, che è un adattamento dell’omonimo web-comic di Shogo Sugitani. Prodotto dallo studio CLAP (ma alla sua lavorazione hanno collaborato anche altri studi di animazione giapponese abbastanza noti come Comix Wave, A-1 Pictures o Colorido), “Eiga daisuki Pompo-san” è un film per amanti del cinema non solo per quello che racconta ma anche per come sfrutta l’animazione nel farlo; non ho purtroppo le competenze che avrebbe il protagonista del film, ad esempio, per spiegare nel dettaglio tutte le soluzioni che ho apprezzato durante la visione, ma già solo le inquadrature e le transizioni da una scena all’altra dei primissimi minuti mi hanno talmente conquistato e disposto in un mood entusiasta da farmi entrare nella convinzione di vedere un’opera davvero diversa dal solito. Da questo punto di vista faccio veramente i complimenti a nome di tutto lo staff al regista di questo film, Takayuki Hirao, così come al character designer Shingo Adachi che ha adattato in uno stile molto più gradevole e raffinato i disegni del fumetto originale, e a Miu Miyamoto che ha curato la direzione artistica di un film dai colori sgargianti, disegnato e animato benissimo e che non cede mai il passo in ogni momento, dall’attimo più riflessivo all’occasione più concitata passando anche per sprazzi di semplice fan-service, curato anche lì in ogni suo aspetto. Le musiche di Kenta Matsukuma impreziosiscono ulteriormente questa produzione che può godere anche di un doppiaggio giapponese di tutto rispetto (quello italiano non è disponibile nel momento in cui scrivo), fatto salvo forse la voce della giovane Nathalie, affidata a un’esordiente e un po’ acerba Rinka Ōtani, che tuttavia non inficia né la fruizione del film né le potenzialità del personaggio.
Chiudo questa recensione dicendo che c’è un altro motivo probabilmente che mi ha fatto amare così tanto “Eiga daisuki Pompo-san” in queste circostanze che esula dal suo esser un grande messaggio d’amore verso il cinema, del quale io mi ritengo un appassionato tutto sommato molto casual, ed è il fatto che abbia fornito un’ulteriore prova di come anche l’animazione abbia una dignità pari ad ogni altra tecnica usata nella cinematografia; non era chiaramente questo l’intento del film, vista anche la cultura giapponese che da anni si è affrancata da questo ‘stigma’ molto nostrano, ma in un periodo in cui il grande pubblico occidentale inquadra ancora l’animazione come un prodotto unicamente per famiglie, ho accolto l’arrivo di questo lungometraggio che grida inconsapevolmente il contrario con cosciente e rinnovato entusiasmo: l’animazione non è un genere, non è un prodotto cinematografico di serie B e non è un semplice sedativo per bambini. L’animazione È cinema, vero, autentico e in grado di parlare a, appassionare e ispirare chiunque come accade al protagonista di questo film.
“Eiga Daisuki Pompo-san” (lett. “Pompo che ama i film”, conosciuto anche col titolo “Pompo: The Cinéphile”) è di base la storia della produzione di un film, un lungometraggio scritto e prodotto da Joel D. Pomponette (detta Pompo), giovane rampolla di un famoso produttore di Nyallywood (località chiaramente ispirata alla ben nota Hollywood) che è una grandissima appassionata e intenditrice di cinematografia in ogni suo aspetto, tanto che spende tempo e passione anche nella produzione di B-movie dalla facile resa di pubblico nonostante la scarna valenza artistica. Oltre questo è anche un’ abile talent scout, tanto che affida la regia di questo film e il ruolo di protagonista femminile a due esordienti assoluti, Gene Fini, giovane assistente di scena la cui vita è completamente votata al cinema, e Natahlie Woodward, ragazza sognatrice desiderosa di diventare un attrice per affrancarsi dalla realtà rurale che ha sempre conosciuto, e l’intero film segue il laborioso e tormentato processo di lavorazione di “Meister”, una pellicola incentrata su un direttore d’orchestra talmente oppresso dalla ricerca della perfezione delle sue esecuzioni da necessitare un ritorno alla natura e un ridimensionamento delle sue aspettative per raggiungere la vera grandezza.
Non è un caso che citi la trama del film presentato in questo film perché il sovrapporsi delle figure del protagonista e del regista Gene, entrambi ossessionati dalla perfezione da raggiungere nel loro lavoro, è uno dei leitmotiv del film visto che, nella loro esasperazione, entrambi i personaggi ci ‘investono’ di ciò che muove ogni loro passo, e cioè una smisurata passione; Gene non è un mestierante del cinema, Gene vive di cinema, è letteralmente la cosa che gli ha riempito la vita e proprio questo suo desiderio ardente di condividere tanto amore, nella speranza magari che finisca per influenzare anche altre persone come è capitato a lui, lo metterà in luce agli occhi di Pompo, convinta che solo lui sia in grado di rendere realtà ciò che lei aveva immaginato. In questa grande retorica del sogno da conquistare a tutti i costi, ‘nyallywoodiana’ verrebbe da dire a questo punto, è comprensibile immaginare una certa faciloneria nella costruzione di questa storia tanto bella e romantica quanto difficile da realizzare, ma nella sua ovvia e, giustamente, caricata finzione devo dire che il film non lesina di soffermarsi su dettagli ben poco immaginifici e molto più materiali quali sponsor da reperire, troupe e attrezzature da allestire con conseguenti fondi persi e la difficoltà nel girare e montare una pellicola troppo lunga che non sia il semplice specchio della vanità del regista, ma un prodotto in grado di reggere anche dal punto di vista commerciale riuscendo a catturare l’attenzione di un pubblico sempre più assuefatto a stili di vita veloci e mutevoli e incapace di appassionarsi a film troppo lunghi e prolissi. Il risultato è una storia che gronda amore per il cinema, il più genuino e ingenuo possibile, un produttore appassionato e desideroso di sperimentare, un regista completamente votato al suo lavoro, una giovane attrice capace e volenterosa e un cast di professionisti sempre seri e disponibili nel mettere al servizio di un giovane sconosciuto la propria arte, tutto troppo bello per essere vero, ma proprio per questo in grado d far sognare come solo il cinema è in grado di fare.
Tutto questo è possibile grazie anche allo splendido comparto tecnico di cui può godere “Eiga daisuki Pompo-san”, che è un adattamento dell’omonimo web-comic di Shogo Sugitani. Prodotto dallo studio CLAP (ma alla sua lavorazione hanno collaborato anche altri studi di animazione giapponese abbastanza noti come Comix Wave, A-1 Pictures o Colorido), “Eiga daisuki Pompo-san” è un film per amanti del cinema non solo per quello che racconta ma anche per come sfrutta l’animazione nel farlo; non ho purtroppo le competenze che avrebbe il protagonista del film, ad esempio, per spiegare nel dettaglio tutte le soluzioni che ho apprezzato durante la visione, ma già solo le inquadrature e le transizioni da una scena all’altra dei primissimi minuti mi hanno talmente conquistato e disposto in un mood entusiasta da farmi entrare nella convinzione di vedere un’opera davvero diversa dal solito. Da questo punto di vista faccio veramente i complimenti a nome di tutto lo staff al regista di questo film, Takayuki Hirao, così come al character designer Shingo Adachi che ha adattato in uno stile molto più gradevole e raffinato i disegni del fumetto originale, e a Miu Miyamoto che ha curato la direzione artistica di un film dai colori sgargianti, disegnato e animato benissimo e che non cede mai il passo in ogni momento, dall’attimo più riflessivo all’occasione più concitata passando anche per sprazzi di semplice fan-service, curato anche lì in ogni suo aspetto. Le musiche di Kenta Matsukuma impreziosiscono ulteriormente questa produzione che può godere anche di un doppiaggio giapponese di tutto rispetto (quello italiano non è disponibile nel momento in cui scrivo), fatto salvo forse la voce della giovane Nathalie, affidata a un’esordiente e un po’ acerba Rinka Ōtani, che tuttavia non inficia né la fruizione del film né le potenzialità del personaggio.
Chiudo questa recensione dicendo che c’è un altro motivo probabilmente che mi ha fatto amare così tanto “Eiga daisuki Pompo-san” in queste circostanze che esula dal suo esser un grande messaggio d’amore verso il cinema, del quale io mi ritengo un appassionato tutto sommato molto casual, ed è il fatto che abbia fornito un’ulteriore prova di come anche l’animazione abbia una dignità pari ad ogni altra tecnica usata nella cinematografia; non era chiaramente questo l’intento del film, vista anche la cultura giapponese che da anni si è affrancata da questo ‘stigma’ molto nostrano, ma in un periodo in cui il grande pubblico occidentale inquadra ancora l’animazione come un prodotto unicamente per famiglie, ho accolto l’arrivo di questo lungometraggio che grida inconsapevolmente il contrario con cosciente e rinnovato entusiasmo: l’animazione non è un genere, non è un prodotto cinematografico di serie B e non è un semplice sedativo per bambini. L’animazione È cinema, vero, autentico e in grado di parlare a, appassionare e ispirare chiunque come accade al protagonista di questo film.