Recensione
You've Got a Friend
7.0/10
Yoshio, un modesto salaryman che vive con la madre malata, visita regolarmente la mistress Miho per delle sessioni sadomaso nel club locale. L’uomo però non riesce a dimenticare la leggendaria Yukiko, ex dominatrice ora scomparsa nel nulla, che per prima lo aveva iniziato alle pratiche estreme portandolo fin quasi alla morte. Schernito dai colleghi di lavoro e disilluso da una nascente relazione, l’uomo decide di fare la scelta radicale di tornare a rapporti sessuali convenzionali, quando ricompare Yukiko, ora totalmente cambiata e impegnata nella campagna elettorale del candidato sindaco conservatore.
Ryūichi Hiroki ritorna al suo passato nel genere pinku (softcore giapponese) raccontando di un erotismo esasperato e votato all’autodistruzione, un percorso intimo nella sessualità di anime desolate in una provincia giapponese triste e decadente. Fra le pieghe della sceneggiatura c’è spazio anche per una metafora in chiave politica dove la sessualità è una valvola di sfogo di una società asfittica e dove il sadomasochismo diventa un atteggiamento collettivo. Dal punto di vista formale il film si mantiene negli stilemi del pinku tradizionale, con lunghe ed estenuanti scene di nudo che escludono i genitali attraverso inquadrature studiate o con posticce censure e che mettono a dura prova l'interpretazione degli attori protagonisti. Dietro questa confezione il cineasta dipinge le passioni autolesionistiche e le gesta erotiche del protagonista con echi che rimandano solo lontanamente a film di culto come "Ecco l’impero dei sensi" e "Ultimo tango a Parigi".
Ryūichi Hiroki ritorna al suo passato nel genere pinku (softcore giapponese) raccontando di un erotismo esasperato e votato all’autodistruzione, un percorso intimo nella sessualità di anime desolate in una provincia giapponese triste e decadente. Fra le pieghe della sceneggiatura c’è spazio anche per una metafora in chiave politica dove la sessualità è una valvola di sfogo di una società asfittica e dove il sadomasochismo diventa un atteggiamento collettivo. Dal punto di vista formale il film si mantiene negli stilemi del pinku tradizionale, con lunghe ed estenuanti scene di nudo che escludono i genitali attraverso inquadrature studiate o con posticce censure e che mettono a dura prova l'interpretazione degli attori protagonisti. Dietro questa confezione il cineasta dipinge le passioni autolesionistiche e le gesta erotiche del protagonista con echi che rimandano solo lontanamente a film di culto come "Ecco l’impero dei sensi" e "Ultimo tango a Parigi".