Recensione
Make My Day
7.5/10
Non ho molta fiducia nei film di Netflix e, quando c’è di mezzo un 3D stile cartoni per l’infanzia (vedere per credere), già comincio a scoraggiarmi. A causa della grafica, avrei lasciato l’anime al primo episodio, ma ho deciso di lasciargli una possibilità. Devo dire, a onor del vero, che questo prodotto mi ha stupita sinceramente. Non brilla per molti aspetti, ma a livello narrativo, di personaggi, di ambientazione crea un mix capace di far sostenere a lungo l’attenzione a uno spettatore abbastanza pacioso e poco criticone.
L’ambientazione è da sci-fi, siamo su un pianeta selvaggio, Cold Feet, che ospita una colonia umana. Ci sono miniere di scavo e il lavoro sporco è affidato a dei carcerati. Da come si capisce, lavorare sottoterra è un lavoro abbietto e la vita in prigione, con livelli di guardia e di sicurezza precisi e rigidi, è tutt’altro che umano. La stessa colonia vede persone più ricche e persone decisamente non abbienti, così povere da prestarsi a gravidanze in affitto. Come se non bastasse, l’ambiente naturale è fortemente invalidante per la colonizzazione dell’uomo, ancora prima che spunti il vero problema, con un problema di iniqua distribuzione di risorse alimentari sane.
Madre natura ha un aspetto poco accogliente, così come i freddi ambienti ad alta tecnologia in cui vivono gli esseri umani. Gli scavi, alla ricerca del Sig, un materiale energetico molto efficiente e molto desiderato, risvegliano il classico mostro delle miniere di Mordor, ovvero uno sciame di animali alieni, simili ai tardigradi, che del Sig si nutrono. L’aspetto non è feroce, ma si rivelano essere pericolosi, tanti, affamati, enormi, minacciosi. E uno sciame di cui anche solo un membro è pericoloso, risulta assolutamente più che minaccioso.
Seguiremo la vicenda di Jim, gentile guardia carceraria, mandato a scoprire cosa sia successo in maniera dopo che il comando ha perso il contatto con una squadra di detenuti che lavorava lì sotto.
In un survivor fantascientifico, lo vedremo lottare per la sua sopravvivenza e per quella dei suoi cari. E mentre le belve aliene procedono nel loro cammino distruttivo, si troverà coinvolto nello sfascio di una società già ingiusta, dove l’umanità, se c’era, adesso è cosa morta. Scoprirà che l’uomo è lupo per gli altri uomini e che qualcuno sapeva che poteva accadere di tutto, lucrando su strani bozzoli, ma è stato fatto tacere.
L’umanità di Jim, però, farà brillare quella dell’amica d’infanzia di cui è innamorato, Marnie, di Walter, un detenuto dal passato duro, della dottoressa che in altre circostanze avrebbe preso un’altra strada e di un giovane medico senza scrupoli di coscienza. Incontreremo un professore un tantino pazzoide e la sua assistente fin troppo paziente col genio sregolato, salteremo tra navi spaziali e basi umane ipertecnologiche, saliremo su navicelle in partenze al cardiopalma... tutto un copione arcinoto ma non pessimamente messo in regia.
Ciò che più mi ha colpito in maniera positiva di quest’anime è la costruzione dei rapporti sociali e il ruolo della natura. Seppur siano tematiche arcinote, vorrei eviscerarle un po', per far capire come quest’opera, altrimenti dimenticabile, ha fatto un discreto lavoro.
Per quanto riguarda i rapporti umani, essi emergono in duplice versione: da una parte esiste un rapporto alla pari tra persone che non ricoprono posti gerarchici di potere, e in questo frangente emergono forti sentimenti di umanità, sostegno, rispetto, dialogo; ad arricchire la vicenda abbiamo un nascituro che non può non interpellare emotivamente lo spettatore, vista poi la vicenda altamente mortifera che lo vede, decisamente, coprotagonista; d’altra parte i rapporti subordinati e di forza emergono brutalmente dal primo episodio, con espressioni verbali (scurrilità varie), violenze fisiche o costrizioni fisiche o un arbitrario uso della forza, con momenti nei quali emerge il disinteresse per la sopravvivenza dell’altro o uno scontro legato al possesso di un’arma(tura) piuttosto che all’uso etico che vuole farne il protagonista.
Il protagonista è quello che tiene in piedi la narrazione. Vista la brevità dell’opera, è una soluzione efficace. Di lui sappiamo molte cose, ci sono anche dei flashback. Lo vediamo crescere in coraggio e diventare responsabile per una nuova vita, per una nuova famiglia. Lo vediamo cedere ma riprendersi, cercare sempre il buono in ognuno, finire col raccogliere il giusto compenso di quanto ha dato. Può essere considerata una prospettiva buonista, e a volte lo è davvero, ma si conserva, seguendolo, un’unità di azione anche in contesti che cambiano. Jim è il catalizzatore di persone positive: l’amica d’infanzia, buona a prescindere; il padre adottivo, che gli ha dato dei valori forti; Walter, uno dei personaggi migliori dell’opera, la cui storia gli darà ragione e farà a lui e a Marnie uno splendido regalo inaspettato; la dottoressa, che da profittatrice egoista capirà il valore della scalcagnata compagnia; lo stesso androide viene umanizzato e riceve con un nome il suo carico di umanità.
Apro una parentesi su Casper, l’androide: a parte il fatto che Jim l’ha umanizzato dandogli questo nome, la stessa macchina ha dimostrato attaccamento e vicinanza ai protagonisti, manifestando sentimenti leggibili dal suo display. La fiducia che Jim e Marnie hanno in lui è tanta e tale, da affidargli la cosa per loro più importante. Potrebbe risultare un mezzo residuale, invece emerge come valido aiutante e supporto.
Il fatto stupefacente è che persone altrimenti negative ricevano il loro bagno santo di purificazione, tra cui il comandante Bark e la presidentessa della colonia. Non dirò come e perché, ma sono stanca di spiegazioni quali: io avevo le mani legate, sapevo, ma altri mi hanno impedito di parlare.
En passant vedremo una sala di controllo con personaggi impegnati a salvare capra e cavoli, e anche lì avremo un bel momento in cui il burocrate di turno parlerà con Jim e prenderà una decisione vitale ma contrastata.
Ma ogni opera che sia ha bisogno di un cattivo, e qui troviamo un cattivello egoista che crea i suoi problemi, ma che viene pure lui in parte capito per le azioni che compie. Colpisce il fatto che i veri cattivi sono altri: non i mostri, non gli umani della catena del potere, ma chi, pare dica il film, sapeva e, malgrado ciò, ha ordinato di procedere. Davanti a questa logica il cattivello passa per la vittima di sé stesso, ma viene pure lui redento da un personaggio più fragile.
Riguardo ai personaggi, colpisce che alcuni abbiano un background ben costruito che, nel caso di Jim emerge completamente, nel caso di Walter sarà una sorpresa che darà emotività alla vicenda, oppure, se si tratta di adulti con ruoli nella colonia, sarà delineata solo la loro responsabilità nei fatti recenti. Comunque, mi ripeto, il focus è Jim, quindi un background più delineato lo fa diventare il vero perno di una costellazione di personaggi altrimenti scollegati e di una vicenda altrimenti troppo complessa da trattare in un tempo ristretto come gli otto episodi in cui è diviso il film.
Il mondo dei mostri è un tema arcinoto, declinato in foreste, deserti... o pianeti, appunto. I mostri in questione non fanno paura di per sé e forse nemmeno per le loro dimensioni, quanto per la loro carica costante e omicida. Non sono T-rex, ma a modo loro sono assai pericolosi. Ciò che colpisce della loro genesi è che essi vivevano in pace, per i fatti loro, in un contesto ambientale perfetto e che non attaccano l’uomo per malvagità sanguinolenta, bensì perché ha preso il loro nutrimento. E davanti a una tale minaccia (provocata), l’uomo si accorge del passo falso che ha fatto. Quando il professore emergerà da una cella con la sua carica di sapere e di follia, lo dirà chiaramente: sono animali adattati al loro ecosistema e, quando esso si è alterato, si sono risvegliati; non andrebbero eliminati, è l’uomo che avrebbe dovuto levare le tende quanto prima; essi non sono la minaccia, è l’uomo, con la sua sete di nuovo combustibile, ad aver alterato il loro equilibrio. È una riflessione intelligente, che non associa questi tardigradi a zombie brutti e cattivi da spara-tutto, ma a creature sollecitate da spinte esterne e interne. Un animale non è mai buono o cattivo, i metri di giudizio li mettiamo noi umani che poi ci facciamo i conti l’un l’altro, spaccando il capello in quattro se si parla di noi, ma coltiva la sua sopravvivenza. Parrà un enorme banalità gratuita, ma mi è piaciuta l’idea che questo anime ribadisce (pur poi, per legittima difesa, i nostri protagonisti finiranno con l’ammazzare un bel po' di bestioline, ma tanto non è uno spoiler!).
Il ritmo narrativo, collaudato e tutto sommato stereotipato nei temi e nello sviluppo, è efficiente, nel senso che non ha momenti di stanca e procede a ritmo serrato. Il worldbuilding è reso da pennellate rapide, quali spiegazioni volanti e gridate o un video più volte ripetuto nelle scene o ancora in momenti di una concitata via d’uscita da un pianeta ostile. Non è un male, questo, ma, quando l’azione diventa rapida e non si spiega più nulla, è un po' straniante e si finisce col subire la narrazione stessa, a men che non si sia stati molto attenti a quanto detto prima. La brevità dell’opera (un film d’animazione diviso in otto episodi) lo salva da cali significativi e restituisce allo spettatore una narrazione tesa all’obbiettivo, senza particolari sbavature (perché non c’è stato tempo di dedicarsene).
A livello di grafica c’è molto da piangere: questo 3D degno degli anime per l’infanzia è terribile, si salvano solo i tardigradi che sono ben resi. Le ambientazioni non perdono la resa scenica.
Una nota di colore: i Giapponesi ci hanno messo la firma metaforica in quest’opera. Non dirò dove, ma, pur non essendoci un unico personaggio asiatico, riescono ad entrare a gamba tesa nella narrazione, in modo quasi diabolico. Vedere per credere!
Concludendo, da un iniziale pregiudizio (già dal primo episodio ero convinta di lasciar perdere), sono passata a una maggior consapevolezza dei punti forti di quest’opera. Seppur la narrazione riproponga stilemi arcinoti, personaggi già percepiti in migliaia di produzioni e un contesto ambientale da molti già esplorato, riesce comunque a non fare un plagio completo di opere conosciute, ma rende con la cura dei personaggi, pennellate di colore locale politico-militare-economico ben mirate, situazioni emotive ben costruite (e ce ne sono!) e un finale che restituisce un messaggio scontato, ma portato avanti senza cedimenti, il tutto in una narrazione pulita e senza momenti di morta. Onore al merito.
L’ambientazione è da sci-fi, siamo su un pianeta selvaggio, Cold Feet, che ospita una colonia umana. Ci sono miniere di scavo e il lavoro sporco è affidato a dei carcerati. Da come si capisce, lavorare sottoterra è un lavoro abbietto e la vita in prigione, con livelli di guardia e di sicurezza precisi e rigidi, è tutt’altro che umano. La stessa colonia vede persone più ricche e persone decisamente non abbienti, così povere da prestarsi a gravidanze in affitto. Come se non bastasse, l’ambiente naturale è fortemente invalidante per la colonizzazione dell’uomo, ancora prima che spunti il vero problema, con un problema di iniqua distribuzione di risorse alimentari sane.
Madre natura ha un aspetto poco accogliente, così come i freddi ambienti ad alta tecnologia in cui vivono gli esseri umani. Gli scavi, alla ricerca del Sig, un materiale energetico molto efficiente e molto desiderato, risvegliano il classico mostro delle miniere di Mordor, ovvero uno sciame di animali alieni, simili ai tardigradi, che del Sig si nutrono. L’aspetto non è feroce, ma si rivelano essere pericolosi, tanti, affamati, enormi, minacciosi. E uno sciame di cui anche solo un membro è pericoloso, risulta assolutamente più che minaccioso.
Seguiremo la vicenda di Jim, gentile guardia carceraria, mandato a scoprire cosa sia successo in maniera dopo che il comando ha perso il contatto con una squadra di detenuti che lavorava lì sotto.
In un survivor fantascientifico, lo vedremo lottare per la sua sopravvivenza e per quella dei suoi cari. E mentre le belve aliene procedono nel loro cammino distruttivo, si troverà coinvolto nello sfascio di una società già ingiusta, dove l’umanità, se c’era, adesso è cosa morta. Scoprirà che l’uomo è lupo per gli altri uomini e che qualcuno sapeva che poteva accadere di tutto, lucrando su strani bozzoli, ma è stato fatto tacere.
L’umanità di Jim, però, farà brillare quella dell’amica d’infanzia di cui è innamorato, Marnie, di Walter, un detenuto dal passato duro, della dottoressa che in altre circostanze avrebbe preso un’altra strada e di un giovane medico senza scrupoli di coscienza. Incontreremo un professore un tantino pazzoide e la sua assistente fin troppo paziente col genio sregolato, salteremo tra navi spaziali e basi umane ipertecnologiche, saliremo su navicelle in partenze al cardiopalma... tutto un copione arcinoto ma non pessimamente messo in regia.
Ciò che più mi ha colpito in maniera positiva di quest’anime è la costruzione dei rapporti sociali e il ruolo della natura. Seppur siano tematiche arcinote, vorrei eviscerarle un po', per far capire come quest’opera, altrimenti dimenticabile, ha fatto un discreto lavoro.
Per quanto riguarda i rapporti umani, essi emergono in duplice versione: da una parte esiste un rapporto alla pari tra persone che non ricoprono posti gerarchici di potere, e in questo frangente emergono forti sentimenti di umanità, sostegno, rispetto, dialogo; ad arricchire la vicenda abbiamo un nascituro che non può non interpellare emotivamente lo spettatore, vista poi la vicenda altamente mortifera che lo vede, decisamente, coprotagonista; d’altra parte i rapporti subordinati e di forza emergono brutalmente dal primo episodio, con espressioni verbali (scurrilità varie), violenze fisiche o costrizioni fisiche o un arbitrario uso della forza, con momenti nei quali emerge il disinteresse per la sopravvivenza dell’altro o uno scontro legato al possesso di un’arma(tura) piuttosto che all’uso etico che vuole farne il protagonista.
Il protagonista è quello che tiene in piedi la narrazione. Vista la brevità dell’opera, è una soluzione efficace. Di lui sappiamo molte cose, ci sono anche dei flashback. Lo vediamo crescere in coraggio e diventare responsabile per una nuova vita, per una nuova famiglia. Lo vediamo cedere ma riprendersi, cercare sempre il buono in ognuno, finire col raccogliere il giusto compenso di quanto ha dato. Può essere considerata una prospettiva buonista, e a volte lo è davvero, ma si conserva, seguendolo, un’unità di azione anche in contesti che cambiano. Jim è il catalizzatore di persone positive: l’amica d’infanzia, buona a prescindere; il padre adottivo, che gli ha dato dei valori forti; Walter, uno dei personaggi migliori dell’opera, la cui storia gli darà ragione e farà a lui e a Marnie uno splendido regalo inaspettato; la dottoressa, che da profittatrice egoista capirà il valore della scalcagnata compagnia; lo stesso androide viene umanizzato e riceve con un nome il suo carico di umanità.
Apro una parentesi su Casper, l’androide: a parte il fatto che Jim l’ha umanizzato dandogli questo nome, la stessa macchina ha dimostrato attaccamento e vicinanza ai protagonisti, manifestando sentimenti leggibili dal suo display. La fiducia che Jim e Marnie hanno in lui è tanta e tale, da affidargli la cosa per loro più importante. Potrebbe risultare un mezzo residuale, invece emerge come valido aiutante e supporto.
Il fatto stupefacente è che persone altrimenti negative ricevano il loro bagno santo di purificazione, tra cui il comandante Bark e la presidentessa della colonia. Non dirò come e perché, ma sono stanca di spiegazioni quali: io avevo le mani legate, sapevo, ma altri mi hanno impedito di parlare.
En passant vedremo una sala di controllo con personaggi impegnati a salvare capra e cavoli, e anche lì avremo un bel momento in cui il burocrate di turno parlerà con Jim e prenderà una decisione vitale ma contrastata.
Ma ogni opera che sia ha bisogno di un cattivo, e qui troviamo un cattivello egoista che crea i suoi problemi, ma che viene pure lui in parte capito per le azioni che compie. Colpisce il fatto che i veri cattivi sono altri: non i mostri, non gli umani della catena del potere, ma chi, pare dica il film, sapeva e, malgrado ciò, ha ordinato di procedere. Davanti a questa logica il cattivello passa per la vittima di sé stesso, ma viene pure lui redento da un personaggio più fragile.
Riguardo ai personaggi, colpisce che alcuni abbiano un background ben costruito che, nel caso di Jim emerge completamente, nel caso di Walter sarà una sorpresa che darà emotività alla vicenda, oppure, se si tratta di adulti con ruoli nella colonia, sarà delineata solo la loro responsabilità nei fatti recenti. Comunque, mi ripeto, il focus è Jim, quindi un background più delineato lo fa diventare il vero perno di una costellazione di personaggi altrimenti scollegati e di una vicenda altrimenti troppo complessa da trattare in un tempo ristretto come gli otto episodi in cui è diviso il film.
Il mondo dei mostri è un tema arcinoto, declinato in foreste, deserti... o pianeti, appunto. I mostri in questione non fanno paura di per sé e forse nemmeno per le loro dimensioni, quanto per la loro carica costante e omicida. Non sono T-rex, ma a modo loro sono assai pericolosi. Ciò che colpisce della loro genesi è che essi vivevano in pace, per i fatti loro, in un contesto ambientale perfetto e che non attaccano l’uomo per malvagità sanguinolenta, bensì perché ha preso il loro nutrimento. E davanti a una tale minaccia (provocata), l’uomo si accorge del passo falso che ha fatto. Quando il professore emergerà da una cella con la sua carica di sapere e di follia, lo dirà chiaramente: sono animali adattati al loro ecosistema e, quando esso si è alterato, si sono risvegliati; non andrebbero eliminati, è l’uomo che avrebbe dovuto levare le tende quanto prima; essi non sono la minaccia, è l’uomo, con la sua sete di nuovo combustibile, ad aver alterato il loro equilibrio. È una riflessione intelligente, che non associa questi tardigradi a zombie brutti e cattivi da spara-tutto, ma a creature sollecitate da spinte esterne e interne. Un animale non è mai buono o cattivo, i metri di giudizio li mettiamo noi umani che poi ci facciamo i conti l’un l’altro, spaccando il capello in quattro se si parla di noi, ma coltiva la sua sopravvivenza. Parrà un enorme banalità gratuita, ma mi è piaciuta l’idea che questo anime ribadisce (pur poi, per legittima difesa, i nostri protagonisti finiranno con l’ammazzare un bel po' di bestioline, ma tanto non è uno spoiler!).
Il ritmo narrativo, collaudato e tutto sommato stereotipato nei temi e nello sviluppo, è efficiente, nel senso che non ha momenti di stanca e procede a ritmo serrato. Il worldbuilding è reso da pennellate rapide, quali spiegazioni volanti e gridate o un video più volte ripetuto nelle scene o ancora in momenti di una concitata via d’uscita da un pianeta ostile. Non è un male, questo, ma, quando l’azione diventa rapida e non si spiega più nulla, è un po' straniante e si finisce col subire la narrazione stessa, a men che non si sia stati molto attenti a quanto detto prima. La brevità dell’opera (un film d’animazione diviso in otto episodi) lo salva da cali significativi e restituisce allo spettatore una narrazione tesa all’obbiettivo, senza particolari sbavature (perché non c’è stato tempo di dedicarsene).
A livello di grafica c’è molto da piangere: questo 3D degno degli anime per l’infanzia è terribile, si salvano solo i tardigradi che sono ben resi. Le ambientazioni non perdono la resa scenica.
Una nota di colore: i Giapponesi ci hanno messo la firma metaforica in quest’opera. Non dirò dove, ma, pur non essendoci un unico personaggio asiatico, riescono ad entrare a gamba tesa nella narrazione, in modo quasi diabolico. Vedere per credere!
Concludendo, da un iniziale pregiudizio (già dal primo episodio ero convinta di lasciar perdere), sono passata a una maggior consapevolezza dei punti forti di quest’opera. Seppur la narrazione riproponga stilemi arcinoti, personaggi già percepiti in migliaia di produzioni e un contesto ambientale da molti già esplorato, riesce comunque a non fare un plagio completo di opere conosciute, ma rende con la cura dei personaggi, pennellate di colore locale politico-militare-economico ben mirate, situazioni emotive ben costruite (e ce ne sono!) e un finale che restituisce un messaggio scontato, ma portato avanti senza cedimenti, il tutto in una narrazione pulita e senza momenti di morta. Onore al merito.