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8.5/10
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“Dicono che in Hokkaido, tempo fa, si estraevano dai fiumi pepite d’oro grandi come fagioli… la cosiddetta corsa all’oro. In quel periodo, per opporsi ai giapponesi che avevano continuato a perseguitarli anche dopo l’inizio dell’epoca Meiji, proibendo la pesca del salmone e la caccia ai cervi e togliendo loro le terre, un gruppo di Ainu stava accumulando in segreto una riserva d’oro a scopo militare… una gran quantità di pepite rare… ma un uomo uccise quegli Ainu e rubò tutto ciò che avevano accumulato. L’oro rubato era corrispondente al valore attuale di circa 800 milioni di Yen. Braccato dalla polizia, l’uomo, noto come “il senza volto”, nascose l’oro da qualche parte in Hokkaido, poi venne condannato a morte e sbattuto dentro una prigione fuori dal mondo, il carcere di Abashiri. A quanto pare il senza volto aveva dei compagni fuori e cercava un modo per comunicare dove si trovava l’oro. Scrivere una lettera era inutile, perché le guardie l’avrebbero sequestrata. Tutti infatti stavano cercando di capire dov’era nascosto il tesoro. Il senza volto usò i tatuaggi. Marchiò un codice segreto che indicava il nascondiglio del tesoro sui corpi dei condannati a morte, suoi compagni di cella. Pare che il codice segreto fosse comprensibile solo ai suoi compagni fuori dal carcere. Perché se i detenuti l’avessero decifrato l’avrebbero fregato sul tempo”. L’uomo disse ai prigionieri: «Evadete da qui. Darò metà dell’oro a chi ci riuscirà».

Con un incipit a metà tra la premessa iniziale di “One Piece” e il plot di “Prison Break”, un’ambientazione bellica che rievoca lo steampunk di “Fullmetal Alchemist” con una grattata di romance alla Hiro Mashima, parte “Golden Kamui”, l’epopea de “L’immortale” Saichi Sugimoto.
Satoru Noda ci porta nelle fredde terre dell’Hokkaidō all’inizio del ‘900, nel pieno del conflitto russo-giapponese, tra branchi di lupi e distese innevate, tra orsi bruni e foreste incolte, immergendoci in una natura selvaggia ed ostile che è il cuore pulsante dell’opera. Inizialmente l’idea del sensei era quella di realizzare un manga incentrato sulla caccia, e questo si evince dal nozionismo didascalico relativo ad armi intagliate, strumenti di cattura, descrizioni degli animali e studio dell’ambiente con cui Noda approccia il racconto. “Gli orsi bruni hanno le ossa del cranio troppo spesse, quindi le frecce, per non rischiare che si spezzino, vanno scoccate mirandoli nei bulbi oculari o nei timpani”.
La co-protagonista della storia è Ashirpa, una ragazzina Ainu che ricoprirà un ruolo chiave affiancando Sugimoto nella ricerca dell’oro, rivelandoci usanze e tradizioni indigene del suo popolo con pillole che addensano il background del racconto impreziosendolo di leggende e curiosità. La sottocultura Ainu emerge grazie anche ad una particolare attenzione del mangaka verso la cucina; l’autore ci mostra antiche tecniche utili a intenerire le pelli più dure, fino a metodi alternativi per salare e insaporire le carni più stoppacciose, riportandoci ricette e tradizioni culinarie primitive perlopiù desuete che a volte disgustano, altre fanno venire l’acquolina in bocca.

La ricerca del tesoro Ainu rimane il focus del manga per tutti i 31 volumi, e anche le storie secondarie si incastrano perfettamente alla linea narrativa principale, senza sottotrame meramente riempitive.
Trovare 24 ex prigionieri evasi, scuoiarli e mettere insieme le pelli per ricavarne un codice utile a scoprire il posizionamento del tesoro è un compito quantomai arduo, specie se a metterti i bastoni tra le ruote è la settima divisione comandata dallo stoico tenente Tsurumi.
La folle corsa all’oro porta alla contrapposizione di più fazioni, mostrandoci una miriade di personaggi sopra le righe pronti a tutto pur di accaparrarsi la propria fetta di tesoro.
La caratterizzazione dei personaggi che, nonostante l’esubero, si rivela uno dei punti più alti dell’intera produzione, conferisce a tutti un approfondito background, nessuno escluso. Oltre alle 24 pelli tatuate, da cui emergono individui a dir poco grotteschi, tra cui infermiere assassine e stupratori di orsi, è proprio la settima divisione a mostrarci le personalità più interessanti. Dal freddo e machiavellico cecchino Ogata al devoto sottotenente Koito, talmente assoggettato dal tenente Tsurumi da non riuscire a esprimersi in un linguaggio comprensibile con lui, tanto da necessitare un interprete per parlargli; passando per lo sfortunato Nikaido, ridotto ad una protesi umana con un orecchio come ciondolo, che ad ogni incontro con Sugimoto continua a perdere una parte del corpo, fino al trascinante comandante Tsurumi, il villain principale, la cui drammatica backstory è una delle parentesi più struggenti dell’intera opera.
L’autore riesce ad infilare nel roster anche figure realmente esistite del calibro di Jack lo squartatore o del vicecomandante dello Shinsengumi Toshizō Hijikata, in una granitica e ispirata commistione tra figure storiche e personaggi di fantasia perfettamente bilanciata.
Impossibile non citare l’eccentrico “re dell’evasione” Shiraishi, il quale, grazie alla sua abilità nello slogarsi ogni parte del corpo, è riuscito a evadere da tutti i carceri del Giappone. Shiraishi, con i suoi siparietti comici e le sue trovate assurde, è protagonista indiscusso dei momenti più esilaranti del manga.
La teatralità dei personaggi origina una lunga serie di passaggi tarantiniani accentuati quasi sempre dagli istrionici epiloghi delle loro side story. Come quando un impavido cacciatore in cerca di animali leggendari finisce ferocemente sbranato da un lupo gigante, morendo ridente in una catarsi orgasmica. È proprio attraverso l’enfatizzazione di morti brutali che i comprimari, quasi sempre, compiono la loro circolarità narrativa.
Il rapporto tra Sugimoto e Ashirpa, a metà tra bene fraterno e amore platonico ricorda molto da vicino quello tra Manji e Rin de “L’immortale”, tra l’altro Sugimoto per come si è distinto nel conflitto russo-giapponese è noto tra i commilitoni proprio come “Sugimoto l’immortale”, coincidenze?

I disegni di Noda sono eccezionali. Il tratto pulito e chiaro del sensei trova character design semplici e al contempo efficaci con grande disinvoltura, grazie a poche linee nette che conferiscono ai volti la massima espressività, toccando il suo pinnacolo espressivo nelle scene d’azione. Le tavole sono ricche di dinamismo, e i movimenti dei personaggi sempre riconoscibili, anche nelle fasi più concitate durante i combattimenti, originando vere e proprie mattanze al cardiopalma. Con dovizia di dettagli, che suggeriscono un approccio certosino e a tratti cavilloso, gli sfondi, mai bianchi, immergono il lettore in foreste selvagge e caverne umide, in risaie sconfinate e villaggi rurali, donando alle tavole sempre la giusta pienezza. La regia incalzante e ritmata, che a tratti richiama i capolavori western di Sergio Leone, aiuta a mantenere sempre alto il coinvolgimento del lettore, rivelandosi la ciliegina sulla torta di un comparto tecnico invidiabile.

Plot twist e flashback si alternano in un crescendo di emozioni che ci conduce al climax finale: la corsa sfrenata di un treno che deraglia verso l’inferno.
“Golden Kamui” è un manga estremamente completo, capace di passare dal nonsense più puro a momenti di alto lirismo fumettistico con estrema naturalezza, catapultandoci con quest’alternanza armonica tra commedia e dramma in un magnetico vortice di violenza delirante.
Se cercate una storia sobria statene alla larga, “Golden Kamui” è esasperazione, esagerazione, istrionismo allo stato puro, che, nel compiacersi tra i suoi innumerevoli esercizi di stile, riesce anche a far riflettere sul valore di una promessa fatta, sull’importanza delle proprie origini, e la salvaguardia del pianeta per le generazioni future. Un Satoru Noda incredibilmente ispirato confeziona un cult del manga d’avventura a sfondo bellico, regalandoci uno dei seinen più sorprendenti degli ultimi anni.

“Non c’è cosa mandata dal cielo che non abbia un suo ruolo”