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Ci sono anime non brevi, brevissimi e se in cuor mio ancora mi domando perché vengano prodotti, devo dire di averne trovati di gradevolissimi.
Questo cortometraggio camuffato da anime, "Deji meet girl", pesca qua e la le sue fonti, ma, quando mette tutto assieme e cerca di fare i compiti per casa, non è capace di raggiungere un qualsivoglia valore, anche se la calligrafia è ottima.

"Deji meet girl" consta di 12 episodi da tre minuti scarsi l’uno e racconta la vicenda di un idol ormai non così giovane e bollito dal mondo dello spettacolo che si trasferisce nella bellissima Okinawa, in un hotel alla cui reception c’è una ragazza (figlia del proprietario), la quale comincerà a farsi domande sia sul bell’ospite, che sugli strani fenomeni che pare richiamare.

A livello grafico abbiamo alberi giganti, acquari enormi, tramonti infiniti, tutti graficamente magnificamente resi. Man mano che la microtrama procede (ma c’è, e questo è un merito da evidenziare con entusiasmo!), la ragazza non solo comincerà a disinnescare tutti i fenomeni particolari che sono il sintomo del malessere del giovane idol, ma pure arriverà a capire qua l'è la causa di tali manifestazioni e a proporre la sua soluzione. Il fatto è che la transizione tra realtà e immaginario concreto è eccessiva e, seppur non nego abbia un elemento di meraviglia, rischia di risultare farsesco e improbabile in una trama già troppo fantasiosa e inconsistente per i miei gusti.
E questo povero ragazzo disilluso, che nei suoi sogni credeva, sarà aiutato dall’entusiasmo e dal grande cuore della ragazza, a ritrovare se stesso, a non scappare e a salvarsi dai suoi demoni. Demoni che paiono di miyazakiana memoria.

Seppur ci siano riferimenti che cercano di radicare la storia alla realtà, come l’albergo, il cellulare, si comprende come si scivoli nel surreale favolistico e sia un pessimo viaggio per lo spettatore.

I personaggi, com'è prevedibile che sia, sono davvero pochi e non hanno un granché di spessore, entrano in scena come supportanti tutto il teatrino e, in fin dei conti, la trametta si risolve in una vicendina scarna, ovvero il guaio morale in cui il nostro idol poretto è caduto al seguito di un fallimento del suo sogno e quindi, a parte lui, emergono la ragazza che decide di salvarlo (contenta o annoiata lei), solo appena il padre e la nonna e di lei. Abbiamo dei strani villain, ma la loro apparizione desta più scalpore che orrore.

Fondali stupendi, personaggi stilizzati ma tutto sommato guardabili, che, per le linee forti, emergono sullo sfondo. Ad un certo punto il chara design scade pericolosamente e il comparto grafico cala di qualità.

Aggiungo quel fastidiosissimo “Deji”, detto, stradetto e ripetuto con più toni. E Quindi concludo sinteticamente con un: ambientazione carina, storia assurda, grafica orrenda.
Data la brevità degli episodi, c’è solo l’ending da commentare, il cui testo è coerente con l’opera e la sonorità leggera, lo fa risultare orecchiabile.

Ora, capisco la volontà di fare un prodotto che fosse seguito, ma allungare questa stranissima minestrina dodici episodi è uno stillicidio insulso di neuroni. Fosse stato come lei e il gatto, profondo, tenero, coinvolgente, avrei pure capito il valore di spezzare una storia che era nata tutta unita e che poteva avere qualche valore estetico o apprezzabile, ma prendere un raccontino tutto sommato insulso, frammentarlo così, costringere lo spettatore a vedersi 12 episodi incolori, mi è parso di pessimo gusto.