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10.0/10
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*Ito, travestito da donna, inciampa sui suoi tacchi e cade*
I: Nakoshi-san, ma come mi ha conciato! Così tutti penseranno che non sia una donna!
N: E allora? Lasciali fare. Potranno sospettare che tu non sia una donna, ma nessuno metterà in dubbio che tu sia te stesso.
(Homunculus, vol.9)

Homunculus è un manga seinen scritto e disegnato da Hideo Yamamoto e serializzato dal 2003 al 2011 per un totale di 15 volumi.

Raggiunta la fama con il controverso Ichi the killer, Yamamoto porta qui all’estremo la sua poetica e le sue ossessioni, realizzando una possibile summa del suo stile. C’è tutto ciò che lo ha rappresentato fin dalle prime opere: il gesto dell’osservare come indagine psico-analitica verso il prossimo e sé stessi, i cinque sensi a fare da unico punto di contatto possibile con una realtà prettamente sensoriale e priva di valori, la crisi d’identità dell’uomo moderno occidentale (se intendiamo il Giappone del XXI come società dai modelli occidentalizzati), la disperata ricerca dell’apparenza esterierore e del piacere di rapido consumo, e via dicendo. Esce così un ritratto della società attuale drammatico ed estremo, una Tokyo che fa da microcosmo ad un mondo popolato di traumi repressi, identità nascoste, povertà economica e sociale, ossessione per il sesso e per la chirurgia estetica come unica via di sopravvivenza al dominio dell’apparenza.

Susumu Nakoshi, creato dal chirurgo pazzo Manabu Ito come un moderno Frankenstein, grazie ad un intervento di trapanazione affianca ai suoi già ben sviluppati cinque sensi il sesto della percezione sensoriale, diventando occhio di indagine della società. Non a caso il sottotitolo italiano del manga – L’occhio dell’anima – continua a ruotare intorno all’organo visivo umano e al senso ultimo dell’osservare. Si capisce allora che la vista da sola non basta: servono i sensi combinanti e un sesto (forse l’anima, il cuore, o l’amore per il prossimo) per poter cogliere il reale. L’ispirazione alla mitologia induista è chiara. Il foro che Nakoshi ha in mezzo alla fronte è l’Ajna, il terzo occhio, l’unico collegamento possibile al Braham, ovvero la realtà ultima delle cose, realtà che nel mondo di Yamamoto è raggiungibile solo liberandosi da tutte le maschere sociali fino al rivelamento del super io più profondo e incontaminato – l’origine. Per l’appunto rappresentato, nella visione inconscia di Nakoshi, dal semplice aspetto fisico umano, raggiunto dopo la sbucciatura di tutte le mostruosità degli omuncoli.

Il soggetto molto astuto, basato sull’idea radicata da millenni della trapanazione come intervento chirurgico parapsicologico (si veda il cortometraggio documentario Heartbeat in the Brain, 1970, che ritrae la regista Amanda Feilding praticarsi l'auto-trapanazione, citato anche nel manga) fornisce il superpotere di vedere l’animo umano a Nakoshi, che chiudendosi l’occhio destro e spostando la sua coscienza a sinistra, studia cinque archetipi di essere umano (il boss della yakuza, la ragazza e via dicendo) e cinque traumi della psicologia moderna (il rapporto genitore-figli come universo di regole, la dismorfofobia, l’ossessione per la plastica chirurgica... ) costruendo con stile drammatico e cronerbergeriano un affresco della società moderna con i suoi traumi e le sue paure (innegabile il lato esplicitamente horror della storia, dove i mostri, gli omuncoli, in quando verità/realtà sono molto meno paurosi delle persone umane). Così come Yamamoto non si sbilancia mai nelle spiegazioni, lasciando sapientemente in mano al lettore la capacità di interpretare (l’identità di Nanako, l’esistenza empirica o meno del potere di Nakoshi).

Anche i disegni, come per la trama, rappresentano l’apice dello stile di Yamamoto, il quale crea sapientemente un suo linguaggio fumettistico, personale, con inquadrature poste in punti impossibili, surreali, con un buon grado di sperimentalismo. Si passa così da primi piani fatte da espressioni in grado di raccontare mille cose, a sequenze di interi volumi dove due sole persone dialogano, immergendo l’atmosfera nel mondo astratto e metaforico degli omuncoli. Una nota di merito sta poi nello sguardo di pietas che l’autore rivolge al mondo dei senzatetto, universo trattato quasi in disparte rispetto a quello degli omuncoli (i senzatetto non sono mai “osservati” con il terzo occhio– eccetto Ita-san – ma con una descrizione dettagliata e didascalica del loro mondo). Giunge così il messaggio dell’autore, che priva i poveri, i perduti, gli ultimi dei loro omuncoli, in quanto già persone vere/reali e non corrotte dalla società.

*Piccolo spoiler*
E non è nemmeno da trascurare la componente autobiografica del manga. Yamamoto per poter immedesimarsi il più possibile nel suo personaggio, ha effettivamente vissuto, nel 2002 (quando aveva 34 anni, come il protagonista) come senzatetto nei parchi di Shinjuku. E il vero volto di Nakoshi, rivelato nell’ultimo volume, è niente meno un autoritratto di Yamamoto stesso, che dimostra con questa geniale rivelazione la soggettività della storia trattata.
*Fine spoiler*

Perdonate quindi questo excursus personale, ma da persona che alcune cose del manga le ha vissute, ritengo che per trattare certi argomenti con così grande intimità umana come fa l'opera, sia necessario averli vissuti di persona. O avere una immensa sensibilità di scrittura. Fatto sta, qualunque sia il caso, Yamamoto costruisce un manga contemporaneo, drammatico, toccante, di certo non trascurabile, un capolavoro in grado di aprire notevolmente lo sguardo sulla realtà.