Recensione
Ergo Proxy
9.0/10
Avvertenza indispensabile: Ergo Proxy va obbligatoriamente visto nella versione audio originale, poiché la scelta delle voci italiane è davvero infelice (quella di Pino è assolutamente odiosa. Ascoltate la Pino giapponese, se volete un confronto… splendida).
Vincent Law (Vins, o Vinsento) è un immigrato tonto nella città-cupola hi-tech Rom-do, ultimo paradiso artificiale su una Terra ridotta ai minimi termini da una qualche catastrofe, i cui residuati sono la desolazione e la rovina dell’ecosistema. Nella strutturazione sociale cristallizzata del dome i cittadini modello sono delle pedine-borghesi, accompagnati pedissequamente dai loro indispensabili entourage-autoreiv (automazione irreversibile della vita), e incanalati in esistenze prestabilite e rigorosissimamente conformate al sistema perfetto di ordine ed equilibrio assoluti. In questo scenario gli immigrati tentano di conquistarsi la cittadinanza che gli aprirebbe l’accettazione e i “privilegi” della società, occupandosi di tutto il lavoro sporco – soprattutto andare a terminare gli autoreiv infettati dal virus Cogito, che una volta colpiti acquistano volontà propria, perdono la loro raison d’etre (servire) e a causa di ciò non fanno altro che pregare (molto ironico… mi ricorda qualcosa).
Re-l Mayer (Lil-Lil, o Lil-san) è un’investigatrice dal trucco pesante del dipartimento di sicurezza che si occupa proprio dell’indagine sui casi Cogito, e che rocambolescamente si ritrova ad assistere all’apparizione di un mostro inspiegabile, il Proxy, che innescherà una reazione a catena di eventi che porteranno la nostra dark-eroina a cambiare completamente rotta alla sua vita.
Il Proxy… non si sa che è. Ma si capisce che ha qualcosa a che fare con il dipartimento di medicina e ricerca gestito da Dedalus Yumeno (Dedalusu), e che soprattutto gli piace fare un gran casino per la città e spaccare tutto per mandare a rotoli il sistema burocratico e di controllo capillare della cupola, gestito dai vari dipartimenti governativi che agiscono sotto la supervisione rigidissima di un consiglio centrale di quattro entità michelangiolesche (vedi Cappelle Medicee) e di un sindaco che sta più di là che di qua (il catetere in faccia rende l’idea).
Così Vincent – diventato il principale sospettato del caos – , seguito a ruota dalla piccola autoreiv infetta Pino (chiaramente ispirata a Pino Scotto), inizia a scappare dal capo della sicurezza Raul Creed (Raul Crido) e dall’incazzatissima Re-l che vuole vederci chiaro in tutta ’sta faccenda tenebrosa.
Partendo da queste premesse, la neo sacra-famiglia (Vins, Lil-Lil e Pino) finirà per: uscire dalla città, intraprendere un viaggio di andata-e-ritorno alla ricerca delle risposte celate, scoprire misteri su misteri, svelare poco a poco menzogne e segreti, condividere un cammino in una convivenza e con tutto quello che questa comporta, mettere insieme i pezzi della propria percezione disgregata e illusoria della realtà, esplorare se stessi e la verità di un passato perduto e infine tentare di raggiungere la consapevolezza che soggiace al fondo del sistema supremo che è la vita.
Da tutto questo si possono evincere due cose: che a nipponlandia dovrebbero usare sempre nomi inglesi (perché è troppo spassoso come li storpiano), e che Ergo Proxy è una delle serie più alte degli anni 2000 – e per una comprensione approfondita merita almeno due visioni.
Tecnicamente lodevole – sia per la regia ricercata che per i colori e il chara ottimi – anche se con riserve – approssimazione dei disegni nei campi lunghi e animazioni non precisissime – , e musicalmente ipnotico – colonna sonora che è un’atmosfera straniante – , la serie lascia disorientati per la profondità di un pensiero che presenta contaminazioni e spunti illimitati, ma che li sintetizza e li fa suoi con uno stile assolutamente anticonvenzionale e anticommerciale, sottile, riflessivo, magnetico. Un opera ponderata, buia, post-cyberpunk, che sa spaziare con classe da Asimov a Froid all’eugenetica e all’esistenzialismo, in uno sfrenato citazionismo artistico-filosofico-filmico più o meno velato, sfruttando come base il solipsismo cartesiano e sottintendendo a ogni punto la trinità dell’enigma gougeniano (Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?), ribaltandone il soggetto e portandolo sulla bocca di un creatore che ha perso la memoria e con essa la verità, e che ha dovuto ricercarla (pensarla) dentro se stesso perché questa potesse ritornare a esistere, e con essa lui stesso (Cogito, ergo sum) – e scusate se è poco.
“…Tutto il resto è letteratura.”
Vincent Law (Vins, o Vinsento) è un immigrato tonto nella città-cupola hi-tech Rom-do, ultimo paradiso artificiale su una Terra ridotta ai minimi termini da una qualche catastrofe, i cui residuati sono la desolazione e la rovina dell’ecosistema. Nella strutturazione sociale cristallizzata del dome i cittadini modello sono delle pedine-borghesi, accompagnati pedissequamente dai loro indispensabili entourage-autoreiv (automazione irreversibile della vita), e incanalati in esistenze prestabilite e rigorosissimamente conformate al sistema perfetto di ordine ed equilibrio assoluti. In questo scenario gli immigrati tentano di conquistarsi la cittadinanza che gli aprirebbe l’accettazione e i “privilegi” della società, occupandosi di tutto il lavoro sporco – soprattutto andare a terminare gli autoreiv infettati dal virus Cogito, che una volta colpiti acquistano volontà propria, perdono la loro raison d’etre (servire) e a causa di ciò non fanno altro che pregare (molto ironico… mi ricorda qualcosa).
Re-l Mayer (Lil-Lil, o Lil-san) è un’investigatrice dal trucco pesante del dipartimento di sicurezza che si occupa proprio dell’indagine sui casi Cogito, e che rocambolescamente si ritrova ad assistere all’apparizione di un mostro inspiegabile, il Proxy, che innescherà una reazione a catena di eventi che porteranno la nostra dark-eroina a cambiare completamente rotta alla sua vita.
Il Proxy… non si sa che è. Ma si capisce che ha qualcosa a che fare con il dipartimento di medicina e ricerca gestito da Dedalus Yumeno (Dedalusu), e che soprattutto gli piace fare un gran casino per la città e spaccare tutto per mandare a rotoli il sistema burocratico e di controllo capillare della cupola, gestito dai vari dipartimenti governativi che agiscono sotto la supervisione rigidissima di un consiglio centrale di quattro entità michelangiolesche (vedi Cappelle Medicee) e di un sindaco che sta più di là che di qua (il catetere in faccia rende l’idea).
Così Vincent – diventato il principale sospettato del caos – , seguito a ruota dalla piccola autoreiv infetta Pino (chiaramente ispirata a Pino Scotto), inizia a scappare dal capo della sicurezza Raul Creed (Raul Crido) e dall’incazzatissima Re-l che vuole vederci chiaro in tutta ’sta faccenda tenebrosa.
Partendo da queste premesse, la neo sacra-famiglia (Vins, Lil-Lil e Pino) finirà per: uscire dalla città, intraprendere un viaggio di andata-e-ritorno alla ricerca delle risposte celate, scoprire misteri su misteri, svelare poco a poco menzogne e segreti, condividere un cammino in una convivenza e con tutto quello che questa comporta, mettere insieme i pezzi della propria percezione disgregata e illusoria della realtà, esplorare se stessi e la verità di un passato perduto e infine tentare di raggiungere la consapevolezza che soggiace al fondo del sistema supremo che è la vita.
Da tutto questo si possono evincere due cose: che a nipponlandia dovrebbero usare sempre nomi inglesi (perché è troppo spassoso come li storpiano), e che Ergo Proxy è una delle serie più alte degli anni 2000 – e per una comprensione approfondita merita almeno due visioni.
Tecnicamente lodevole – sia per la regia ricercata che per i colori e il chara ottimi – anche se con riserve – approssimazione dei disegni nei campi lunghi e animazioni non precisissime – , e musicalmente ipnotico – colonna sonora che è un’atmosfera straniante – , la serie lascia disorientati per la profondità di un pensiero che presenta contaminazioni e spunti illimitati, ma che li sintetizza e li fa suoi con uno stile assolutamente anticonvenzionale e anticommerciale, sottile, riflessivo, magnetico. Un opera ponderata, buia, post-cyberpunk, che sa spaziare con classe da Asimov a Froid all’eugenetica e all’esistenzialismo, in uno sfrenato citazionismo artistico-filosofico-filmico più o meno velato, sfruttando come base il solipsismo cartesiano e sottintendendo a ogni punto la trinità dell’enigma gougeniano (Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?), ribaltandone il soggetto e portandolo sulla bocca di un creatore che ha perso la memoria e con essa la verità, e che ha dovuto ricercarla (pensarla) dentro se stesso perché questa potesse ritornare a esistere, e con essa lui stesso (Cogito, ergo sum) – e scusate se è poco.
“…Tutto il resto è letteratura.”