Peline Story
Questo bellissimo anime prende il libro "In famiglia" di Hector Malot del 1893, che si concentrava sulla denuncia sociale del lavoro in generale e soprattutto minorile dell'epoca, e lo amplifica, rendendolo una storia più profonda ed emozionante, senza snaturare i temi del libro, conservandone l'essenza.
Il genere meisaku ormai lo adoro, e ogni nuovo anime di questo genere mi dà grandi emozioni.
Non si può dire che "Peline Story" sia una storia facile, e non lo consiglierei neanche a un pubblico di bambini, poiché, nonostante la protagonista abbia solo tredici anni, le sue esperienze, le scelte e anche la mentalità assomigliano a quella di una persona molto matura se non addirittura adulta in certi ambiti. Va precisato che alla fine dell'Ottocento tanti bambini cominciavano a lavorare dopo i tredici anni, per dare una mano in famiglia, gli adolescenti di oggi non potrebbero certo identificarsi.
Questo anime molto intenso per i primi ventitré episodi ha una trama ideata e sviluppata dal team giapponese, totalmente assente dal libro da cui è tratto, ed è focalizzata sul viaggio, la vita di due migranti madre e figlia che, grazie a un carretto, il loro fedele asino Palikare e il cane Barone, percorrono la Bosnia, poi la Grecia, dove il padre di Peline purtroppo viene a mancare, la Croazia e l'Italia, per raggiungere la Francia, la tanto agognata Maraucourt, patria del nonno di Peline.
Questa bambina è devota alla famiglia, giudiziosa, perbene, con una grande determinazione e spirito di sacrificio. Il loro viaggio, fermandosi spesso per lavorare dove capitava come fotografi ambulanti (le foto a fine Ottocento erano una rarità e ben pagate), sarà denso di incontri ed esperienze; il ritmo narrativo è lento, ma ogni cosa è ben dosata, al fine di immergerti in questo viaggio nei dettagli e capire come si poteva vivere all'epoca, con i giusti colpi di scena, senza cadere nel banale.
La seconda parte della trama mi ha devastato, da lì infatti parte il romanzo da cui è tratto, e le sorti della nostra piccola Peline cambieranno drasticamente.
Questa storia mostra una ragazzina che ha toccato il fondo, che ne ha passate davvero tantissime nonostante l'età, e nonostante tutto è riuscita a rialzarsi, a cercare di cavarsela con le sue sole forze, cercando di essere sempre ottimista: questo è il valore più bello di tutto l'anime secondo me.
Attenzione: la seguente parte contiene spoiler
Peline, ad un passo da Maraucourt, vedrà la malattia della madre degenerare, e per pagarle le cure dovrà vendere tutto: il carro, l'attrezzatura fotografica, l'adoratissimo e fedele Asino Palikare (mi è pianto il cuore quando l'hanno dovuto dare via, era una cara bestiola che non si lamentava mai, faticava tantissimo per il viaggio ed era sempre generoso), ma purtroppo le costose cure non riusciranno a salvare la madre, che perirà di lì a breve.
Da lì ho visto un'esistenza priva di ogni cosa: nessuna famiglia, nessuna casa, pochissimi spiccioli con cui comprare, solo un po' di pane del giorno prima e... solo le proprie gambe per raggiungere la vicina Maraucourt, dormendo sempre all'aperto, con la pioggia, con le intemperie, col caldo soffocante. Ragazzi, questa piccola Peline ha anche rischiato di morire di fame! È arrivata a un passo dalla morte.
Nel libro il cane Barone non esiste e, se devo essere sincera, io non l'ho trovata una presenza indispensabile, anzi, dall'anime si capiva che era obsoleto, e per me potevano non inserirlo nel contesto.
Una volta arrivata a Maraucourt, ci si aspetterebbe che Peline si presenti al nonno Vilfran Paindavoine, ricco proprietario di un enorme cotonificio che dà lavoro a tutta la città, e invece, temendo rifiuto e disprezzo (il nonno non ha mai accettato che il figlio francese sposasse una donna indiana, Peline infatti è bilingue ed è anglo-indiana), decide di lavorare come operaia in quell'azienda sotto falso nome, chiamandosi Aurèlie. Le condizioni in cui dormivano le operaie lasciavano a desiderare, dodici donne in una stanza in letti a castello, l'affitto costoso, così Peline decide di cavarsela da sola e andare ad abitare in un casone adibito alla caccia in autunno, in legno, vicino al laghetto del piccolo bosco di salici piangenti a pochi passi dal cotonificio.
La cosa che mi rimarrà sempre impressa è la scena dove le si rompe una scarpa lavorando, ma il salario che prende come operaia addetta ai carrelli non le permette di comprarsi scarpe nuove; così le rattoppa alla buona e va a lavorare con la scarpa rattoppata per qualche giorno! Nel mentre, se ne costruisce un paio da sola, con materiali semplici, ago, filo e un nastro azzurro, creando delle graziosissime scarpe da ballerina in fibra con le canne intrecciate che trova vicino alla vegetazione; le scelte di questa coraggiosissima bambina mi hanno lasciato basita più volte.
La sua esperienza mi ha mostrato cosa possa significare non avere nulla di nulla al mondo, se non la propria vita, la propria volontà, determinazione e ottimismo; gli amici di Maraucourt Rosalie e l'ingegnere Fabry daranno sollievo alla solitudine di Peline, ammirandola per la sua creatività, nonché umiltà, generosità, gentilezza e dignità... e fortunatamente questa è una storia a lieto fine.
Fine parte contenente spoiler
Vengono trattati tanti temi interessanti: l'emigrazione e le emozioni di quel viaggio belle e brutte, l'intenso amore tra madre e figlia, le difficoltà legate a un viaggio internazionale, l'amore per i propri animali considerati di famiglia, il toccare il fondo e non avere nulla e sapersi rialzare, la disperazione, la fame, la perdita, la xenofobia, le condizioni di lavoro precarie, il cercare di dare una vita dignitosa agli operai, il riuscire a sopravvivere con le proprie forze senza denaro e senza nulla, il valore dell'ottimismo, lo sfruttamento del lavoro minorile, le trame alle spalle per ottenere il posto da titolare, la dignità nonostante la miseria, l'umiltà, l'amicizia sincera, l'aiutarsi l'un con l'altro, la solidarietà, il perdono...
L'anime è datato 1978 e la grafica è figlia di quel tempo, certamente imparagonabile agli standard odierni, tuttavia a me non è dispiaciuta, perché è testimonianza di come si facevano gli anime a quei tempi, e comunque è un prodotto molto curato, con un'ottima sceneggiatura.
Consiglio questo intenso anime a chi ama le storie ambientate nell'Ottocento e che mostrano uno spaccato di vita drammatico, sincero, profondo, con protagonisti interessati e accattivanti.
Il genere meisaku ormai lo adoro, e ogni nuovo anime di questo genere mi dà grandi emozioni.
Non si può dire che "Peline Story" sia una storia facile, e non lo consiglierei neanche a un pubblico di bambini, poiché, nonostante la protagonista abbia solo tredici anni, le sue esperienze, le scelte e anche la mentalità assomigliano a quella di una persona molto matura se non addirittura adulta in certi ambiti. Va precisato che alla fine dell'Ottocento tanti bambini cominciavano a lavorare dopo i tredici anni, per dare una mano in famiglia, gli adolescenti di oggi non potrebbero certo identificarsi.
Questo anime molto intenso per i primi ventitré episodi ha una trama ideata e sviluppata dal team giapponese, totalmente assente dal libro da cui è tratto, ed è focalizzata sul viaggio, la vita di due migranti madre e figlia che, grazie a un carretto, il loro fedele asino Palikare e il cane Barone, percorrono la Bosnia, poi la Grecia, dove il padre di Peline purtroppo viene a mancare, la Croazia e l'Italia, per raggiungere la Francia, la tanto agognata Maraucourt, patria del nonno di Peline.
Questa bambina è devota alla famiglia, giudiziosa, perbene, con una grande determinazione e spirito di sacrificio. Il loro viaggio, fermandosi spesso per lavorare dove capitava come fotografi ambulanti (le foto a fine Ottocento erano una rarità e ben pagate), sarà denso di incontri ed esperienze; il ritmo narrativo è lento, ma ogni cosa è ben dosata, al fine di immergerti in questo viaggio nei dettagli e capire come si poteva vivere all'epoca, con i giusti colpi di scena, senza cadere nel banale.
La seconda parte della trama mi ha devastato, da lì infatti parte il romanzo da cui è tratto, e le sorti della nostra piccola Peline cambieranno drasticamente.
Questa storia mostra una ragazzina che ha toccato il fondo, che ne ha passate davvero tantissime nonostante l'età, e nonostante tutto è riuscita a rialzarsi, a cercare di cavarsela con le sue sole forze, cercando di essere sempre ottimista: questo è il valore più bello di tutto l'anime secondo me.
Attenzione: la seguente parte contiene spoiler
Peline, ad un passo da Maraucourt, vedrà la malattia della madre degenerare, e per pagarle le cure dovrà vendere tutto: il carro, l'attrezzatura fotografica, l'adoratissimo e fedele Asino Palikare (mi è pianto il cuore quando l'hanno dovuto dare via, era una cara bestiola che non si lamentava mai, faticava tantissimo per il viaggio ed era sempre generoso), ma purtroppo le costose cure non riusciranno a salvare la madre, che perirà di lì a breve.
Da lì ho visto un'esistenza priva di ogni cosa: nessuna famiglia, nessuna casa, pochissimi spiccioli con cui comprare, solo un po' di pane del giorno prima e... solo le proprie gambe per raggiungere la vicina Maraucourt, dormendo sempre all'aperto, con la pioggia, con le intemperie, col caldo soffocante. Ragazzi, questa piccola Peline ha anche rischiato di morire di fame! È arrivata a un passo dalla morte.
Nel libro il cane Barone non esiste e, se devo essere sincera, io non l'ho trovata una presenza indispensabile, anzi, dall'anime si capiva che era obsoleto, e per me potevano non inserirlo nel contesto.
Una volta arrivata a Maraucourt, ci si aspetterebbe che Peline si presenti al nonno Vilfran Paindavoine, ricco proprietario di un enorme cotonificio che dà lavoro a tutta la città, e invece, temendo rifiuto e disprezzo (il nonno non ha mai accettato che il figlio francese sposasse una donna indiana, Peline infatti è bilingue ed è anglo-indiana), decide di lavorare come operaia in quell'azienda sotto falso nome, chiamandosi Aurèlie. Le condizioni in cui dormivano le operaie lasciavano a desiderare, dodici donne in una stanza in letti a castello, l'affitto costoso, così Peline decide di cavarsela da sola e andare ad abitare in un casone adibito alla caccia in autunno, in legno, vicino al laghetto del piccolo bosco di salici piangenti a pochi passi dal cotonificio.
La cosa che mi rimarrà sempre impressa è la scena dove le si rompe una scarpa lavorando, ma il salario che prende come operaia addetta ai carrelli non le permette di comprarsi scarpe nuove; così le rattoppa alla buona e va a lavorare con la scarpa rattoppata per qualche giorno! Nel mentre, se ne costruisce un paio da sola, con materiali semplici, ago, filo e un nastro azzurro, creando delle graziosissime scarpe da ballerina in fibra con le canne intrecciate che trova vicino alla vegetazione; le scelte di questa coraggiosissima bambina mi hanno lasciato basita più volte.
La sua esperienza mi ha mostrato cosa possa significare non avere nulla di nulla al mondo, se non la propria vita, la propria volontà, determinazione e ottimismo; gli amici di Maraucourt Rosalie e l'ingegnere Fabry daranno sollievo alla solitudine di Peline, ammirandola per la sua creatività, nonché umiltà, generosità, gentilezza e dignità... e fortunatamente questa è una storia a lieto fine.
Fine parte contenente spoiler
Vengono trattati tanti temi interessanti: l'emigrazione e le emozioni di quel viaggio belle e brutte, l'intenso amore tra madre e figlia, le difficoltà legate a un viaggio internazionale, l'amore per i propri animali considerati di famiglia, il toccare il fondo e non avere nulla e sapersi rialzare, la disperazione, la fame, la perdita, la xenofobia, le condizioni di lavoro precarie, il cercare di dare una vita dignitosa agli operai, il riuscire a sopravvivere con le proprie forze senza denaro e senza nulla, il valore dell'ottimismo, lo sfruttamento del lavoro minorile, le trame alle spalle per ottenere il posto da titolare, la dignità nonostante la miseria, l'umiltà, l'amicizia sincera, l'aiutarsi l'un con l'altro, la solidarietà, il perdono...
L'anime è datato 1978 e la grafica è figlia di quel tempo, certamente imparagonabile agli standard odierni, tuttavia a me non è dispiaciuta, perché è testimonianza di come si facevano gli anime a quei tempi, e comunque è un prodotto molto curato, con un'ottima sceneggiatura.
Consiglio questo intenso anime a chi ama le storie ambientate nell'Ottocento e che mostrano uno spaccato di vita drammatico, sincero, profondo, con protagonisti interessati e accattivanti.
Dalla lontana Bosnia ha inizio il lungo viaggio di Perrine Paindavoine e della sua dolce madre indiana, a bordo di un misero carretto trainato da un asino; esse sono alla ricerca dell'ultimo parente rimasto al mondo dopo la tragedia, quel ricco nonno paterno che ripudiò l'amata di suo figlio, da quest'ultimo conosciuta durante un viaggio d'affari in India: ivi Edmond Paindavoine trovò oltre all'amore anche la morte, lasciando moglie e figlia sole, soltanto con la speranza di poter arrivare un giorno a Maroucourt, in Francia. Ma con la certezza di essere accolte freddamente da un parente distante, irraggiungibile; quel nonno che tanto detestava l'indiana che aveva portato via suo figlio, soltanto per via del colore della pelle e di un freddo, ferito orgoglio.
Tratta dal romanzo "In Famiglia" di Hector Malot, la serie televisiva "Perrine Monogatari" è a mio avviso uno dei punti più alti raggiunti dal progetto "World Masterpiece Theater" della Nippon Animation, assieme a "Akage no Anne" e "Shoukoujo Sara". Oltre ad essere un classico viaggio di formazione dallo scopo educativo, l'opera si contraddistingue per i suoi contenuti impegnati, i quali vengono affrontati in modo sincero e genuino, senza artifici, capziosità e ipocrisie di sorta. "Perrine Monogatari" è pura narrativa drammatica, un anime quanto mai partecipe della realtà sociale del suo tempo, candido e allo stesso tempo rigido, nonché destinato ai bambini di altri tempi, i quali erano indubbiamente privi della malizia e della vanagloria che tanto vanno di moda oggigiorno.
Ci sono tante persone lungo questo viaggio, alcune di cui fidarsi e altre infide le quali, tuttavia, riveleranno dei lati nascosti che non ti aspettavi: matureranno e cambieranno, come cambi tu stesso. Lo si percepisce in modo travolgente, il cambiamento di Perrine. Dalle prime incertezze all'effettiva maturazione, seguita passo dopo passo dalla bontà e dall'altruismo della madre, Mary Doressany, donna ben lungi dal provare inutili emozioni negative; colei la quale dapprima accudisce e che poi, grazie alla determinazione e alla forza di volontà della figlia, si ritrova ad essere accudita a sua volta. Tra un paesino e l'altro, lungo la strada che porta a Maroucourt, i campi verdi e le montagne imponenti parlano anch'esse, andando a contribuire a quell'atavico calore umano che la forte personalità di Perrine elargisce a tutti quelli che le stanno intorno. Ma due sono i rapporti fondamentali della storia: dapprima quello tanto soffice quanto splendido e commovente che intercorre tra Perrine e la madre, e dopo, una volta giunti a destinazione, quello difficile, ma quanto mai profondo e rivelatore, col nonno. E Perrine è un po' suo nonno e un po' sua madre, avendo i modi di fare e le caratteristiche psicologiche di entrambi; conoscendo i suoi cari in tutte le loro sfaccettature, sia in negativo che in positivo, Perrine conosce sé stessa, e cresce, si espande, raggiunge la felicità e la pace interiore.
E' quindi una storia di rapporti interpersonali e di autorealizzazione, quella di Perrine. Tra le tante piccole vicende quotidiane vissute dall'altrettanto piccola protagonista, sono presenti spaccati di cruda realtà quali xenofobia, pregiudizi, divario sociale, problematiche dei lavoratori e degli operai, dei migranti, dell'essere donna. Nella seconda parte della serie emerge una critica al cattivo industrialismo, quello dello sfruttamento dei più deboli, dell'arrivismo e del profitto capitalistico messo al di sopra di ogni cosa, anche della dignità delle persone; viene quindi proposta un'alternativa industriale in cui è presente una componente "femminile" - i consigli di Perrine al nonno inerenti la gestione dell'azienda - caratterizzata da una "materna" tutela per i lavoratori coadiuvata da comunicazione, rispetto, abolizione del lavoro minorile, costruzione di infrastrutture adeguate ai bisogni degli operai e dei loro figli - l'asilo nido voluto dall'influente Perrine, la quale riesce a diventare la segretaria di fiducia del nonno con le sue sole forze, partendo da zero e spacciandosi per un'altra persona, dacché impossibilitata a rivelare la propria identità a causa del razzismo e dell'odio provato dal ricco industriale nei confronti di sua madre. Il femminismo di "Perrine Monogatari", con la sua esaltazione dei lati migliori della donna, dà quindi origine a delle figure femminili di grande spessore, che sono in grado di farsi strada nella società senza l'ausilio di nessuno, affrontando le difficoltà e la durezza della vita con onestà e rigore, senza tuttavia perdere il prezioso candore della femminilità.
Dal punto di vista tecnico, per la sua epoca, a parer mio l'anime eccelle sotto tutti i punti di vista. La sceneggiatura è ben scritta, incalzante, e si rivela addirittura più completa ed efficace di quella del libro originale. Detto ciò, la prima cosa che si nota in un primo approccio al titolo è lo stile di disegno, molto più vicino all'animazione francese che a quella giapponese: esso, a scanso di equivoci, mette fin da subito l'accento sulla marcata universalità dell'opera; infatti, il "World Masterpiece Theater" ha contribuito moltissimo alla diffusione degli anime in tutto il mondo, a causa della sua elevata compatibilità con i gusti del grande pubblico (si pensi all'enorme successo di "Mirai Shounen Conan" in Arabia, o di "Shoukoujo Sara" nelle Filippine, volendo fare degli esempi). Il meisaku è animazione giapponese per tutto il mondo; arte di alto livello - spesso contenente messaggi educativi, intellettuali e profondi - che diventa alla portata di tutti. Ed è proprio questa la sua grandezza.
NB: L'adattamento italiano di "Perrine Monogatari" non è dei migliori: lo stesso nome "Peline" è sbagliato, e deriva da un cattivo lavoro di traduzione. L'opera è stata indubbiamente alleggerita nelle sue parti più crude; ciononostante, è comunque possibile comprenderla, e i dialoghi seguono un filo logico ben definito (anche se non garantisco affatto sulla loro completa fedeltà all'originale). Il doppiaggio è altresì mal curato e addirittura più doppiatori interpretano lo stesso personaggio nel corso della serie. Ciò premesso, al lettore interessato all'opera conviene indubbiamente affidarsi al fansub inglese, che l'ha tradotta con perizia, passione e rispetto per il passato.
Tratta dal romanzo "In Famiglia" di Hector Malot, la serie televisiva "Perrine Monogatari" è a mio avviso uno dei punti più alti raggiunti dal progetto "World Masterpiece Theater" della Nippon Animation, assieme a "Akage no Anne" e "Shoukoujo Sara". Oltre ad essere un classico viaggio di formazione dallo scopo educativo, l'opera si contraddistingue per i suoi contenuti impegnati, i quali vengono affrontati in modo sincero e genuino, senza artifici, capziosità e ipocrisie di sorta. "Perrine Monogatari" è pura narrativa drammatica, un anime quanto mai partecipe della realtà sociale del suo tempo, candido e allo stesso tempo rigido, nonché destinato ai bambini di altri tempi, i quali erano indubbiamente privi della malizia e della vanagloria che tanto vanno di moda oggigiorno.
Ci sono tante persone lungo questo viaggio, alcune di cui fidarsi e altre infide le quali, tuttavia, riveleranno dei lati nascosti che non ti aspettavi: matureranno e cambieranno, come cambi tu stesso. Lo si percepisce in modo travolgente, il cambiamento di Perrine. Dalle prime incertezze all'effettiva maturazione, seguita passo dopo passo dalla bontà e dall'altruismo della madre, Mary Doressany, donna ben lungi dal provare inutili emozioni negative; colei la quale dapprima accudisce e che poi, grazie alla determinazione e alla forza di volontà della figlia, si ritrova ad essere accudita a sua volta. Tra un paesino e l'altro, lungo la strada che porta a Maroucourt, i campi verdi e le montagne imponenti parlano anch'esse, andando a contribuire a quell'atavico calore umano che la forte personalità di Perrine elargisce a tutti quelli che le stanno intorno. Ma due sono i rapporti fondamentali della storia: dapprima quello tanto soffice quanto splendido e commovente che intercorre tra Perrine e la madre, e dopo, una volta giunti a destinazione, quello difficile, ma quanto mai profondo e rivelatore, col nonno. E Perrine è un po' suo nonno e un po' sua madre, avendo i modi di fare e le caratteristiche psicologiche di entrambi; conoscendo i suoi cari in tutte le loro sfaccettature, sia in negativo che in positivo, Perrine conosce sé stessa, e cresce, si espande, raggiunge la felicità e la pace interiore.
E' quindi una storia di rapporti interpersonali e di autorealizzazione, quella di Perrine. Tra le tante piccole vicende quotidiane vissute dall'altrettanto piccola protagonista, sono presenti spaccati di cruda realtà quali xenofobia, pregiudizi, divario sociale, problematiche dei lavoratori e degli operai, dei migranti, dell'essere donna. Nella seconda parte della serie emerge una critica al cattivo industrialismo, quello dello sfruttamento dei più deboli, dell'arrivismo e del profitto capitalistico messo al di sopra di ogni cosa, anche della dignità delle persone; viene quindi proposta un'alternativa industriale in cui è presente una componente "femminile" - i consigli di Perrine al nonno inerenti la gestione dell'azienda - caratterizzata da una "materna" tutela per i lavoratori coadiuvata da comunicazione, rispetto, abolizione del lavoro minorile, costruzione di infrastrutture adeguate ai bisogni degli operai e dei loro figli - l'asilo nido voluto dall'influente Perrine, la quale riesce a diventare la segretaria di fiducia del nonno con le sue sole forze, partendo da zero e spacciandosi per un'altra persona, dacché impossibilitata a rivelare la propria identità a causa del razzismo e dell'odio provato dal ricco industriale nei confronti di sua madre. Il femminismo di "Perrine Monogatari", con la sua esaltazione dei lati migliori della donna, dà quindi origine a delle figure femminili di grande spessore, che sono in grado di farsi strada nella società senza l'ausilio di nessuno, affrontando le difficoltà e la durezza della vita con onestà e rigore, senza tuttavia perdere il prezioso candore della femminilità.
Dal punto di vista tecnico, per la sua epoca, a parer mio l'anime eccelle sotto tutti i punti di vista. La sceneggiatura è ben scritta, incalzante, e si rivela addirittura più completa ed efficace di quella del libro originale. Detto ciò, la prima cosa che si nota in un primo approccio al titolo è lo stile di disegno, molto più vicino all'animazione francese che a quella giapponese: esso, a scanso di equivoci, mette fin da subito l'accento sulla marcata universalità dell'opera; infatti, il "World Masterpiece Theater" ha contribuito moltissimo alla diffusione degli anime in tutto il mondo, a causa della sua elevata compatibilità con i gusti del grande pubblico (si pensi all'enorme successo di "Mirai Shounen Conan" in Arabia, o di "Shoukoujo Sara" nelle Filippine, volendo fare degli esempi). Il meisaku è animazione giapponese per tutto il mondo; arte di alto livello - spesso contenente messaggi educativi, intellettuali e profondi - che diventa alla portata di tutti. Ed è proprio questa la sua grandezza.
NB: L'adattamento italiano di "Perrine Monogatari" non è dei migliori: lo stesso nome "Peline" è sbagliato, e deriva da un cattivo lavoro di traduzione. L'opera è stata indubbiamente alleggerita nelle sue parti più crude; ciononostante, è comunque possibile comprenderla, e i dialoghi seguono un filo logico ben definito (anche se non garantisco affatto sulla loro completa fedeltà all'originale). Il doppiaggio è altresì mal curato e addirittura più doppiatori interpretano lo stesso personaggio nel corso della serie. Ciò premesso, al lettore interessato all'opera conviene indubbiamente affidarsi al fansub inglese, che l'ha tradotta con perizia, passione e rispetto per il passato.
Nella mia infanzia non ho mai amato molto il genere meisaku, fin dai tempi di Remì che vidi alle elementari. Il motivo non è solo che i tragici anime strappalacrime in cui i bambini subiscono tutta una serie di disgrazie senza reagire mi fanno stare male: il motivo vero è che non mi lasciano un messaggio, perché contro disgrazie che vengono dall'alto (Remì si scontra con malattie, tormente di neve, tempeste di grandine, inondazioni) c'è poco da fare. Peline invece mi è sempre piaciuto, fin da quando lo vidi la prima volta, quando avevo circa l'età di Peline o meno. Il motivo è che, per quanto si tratti di una vicenda triste, con malattie, morti e scene commoventi a volontà, Peline non subisce tutto passivamente come Remì, ma si fa forza e va avanti per la sua strada, riuscendo infine a superare le difficoltà grazie alle sue sole forze. Peline non è un angelo di passività, è una ragazza piuttosto matura per la sua età con delle idee chiare: è capace di arrabbiarsi e di combattere per quello in cui crede.
Questo aspetto è particolarmente evidente soprattutto nella seconda parte dell'opera, quando Peline si scontra con il nonno su vari fronti. Da una parte vuole fargli cambiare idea sulla madre (il nonno è razzista e non accetta che il figlio abbia sposato una donna mezzo-indiana contro la sua volontà); dall'altra combatte per cambiare le condizioni di lavoro degli operai della fabbrica del nonno. È chiaro che Peline è un'opera più impegnata politicamente di Remì, che è un'opera puramente sentimentale. In <i>Senza famiglia</i>, il romanzo da cui è tratto Remì, si parla delle condizioni di lavoro dei minatori con compatimento, ma non c'è un messaggio sociale particolare, che invece è presente in <i>In famiglia</i>, il romanzo da cui è tratto Peline Story. Continuo a paragonare Peline a Remì perché entrambi escono dalla penna dello stesso autore, Hector Malot, entrambi sono ambientati nella Francia di fine Ottocento e presentano molte somiglianze. Peline mi è sempre piaciuto, mentre Remì l'ho rivalutato solo da adulto: un paio d'anni fa l'ho rivisto e ho anche letto il libro originale.
Si tratta sicuramente di un'opera di grande valore, semplicemente non è adatta a un bambino delle elementari per l'altissimo livello di drammaticità presente, ben superiore a quello che si riscontra in Peline. Dal punto di vista tecnico invece Remì è sicuramente di molto superiore a Peline, anche se è stato realizzato qualche anno prima e la regia di Osamu Dezaki è sicuramente migliore. Tuttavia Remì a mio avviso dovrebbe essere consigliato agli adulti o a ragazzi piuttosto grandi. Peline invece è stato edulcorato rispetto al romanzo di partenza ed è più adatto a un pubblico infantile; questo lo vedo come un lato positivo. Non ho ancora letto <i>En famille</i>, ma è ai primi posti della mia lista di romanzi da leggere. Il mio voto per l'anime è un 9 abbondante.
P.S.: c'è chi ha paragonato "Peline Story" al "Piccolo Lord"; i due meisaku effettivamente presentano delle affinità a livello di trama, ma a mio avviso Peline è superiore a livello di studio psicologico e di analisi sociale. Inoltre Peline ha il fascino non trascurabile del character design degli anni Settanta.
Questo aspetto è particolarmente evidente soprattutto nella seconda parte dell'opera, quando Peline si scontra con il nonno su vari fronti. Da una parte vuole fargli cambiare idea sulla madre (il nonno è razzista e non accetta che il figlio abbia sposato una donna mezzo-indiana contro la sua volontà); dall'altra combatte per cambiare le condizioni di lavoro degli operai della fabbrica del nonno. È chiaro che Peline è un'opera più impegnata politicamente di Remì, che è un'opera puramente sentimentale. In <i>Senza famiglia</i>, il romanzo da cui è tratto Remì, si parla delle condizioni di lavoro dei minatori con compatimento, ma non c'è un messaggio sociale particolare, che invece è presente in <i>In famiglia</i>, il romanzo da cui è tratto Peline Story. Continuo a paragonare Peline a Remì perché entrambi escono dalla penna dello stesso autore, Hector Malot, entrambi sono ambientati nella Francia di fine Ottocento e presentano molte somiglianze. Peline mi è sempre piaciuto, mentre Remì l'ho rivalutato solo da adulto: un paio d'anni fa l'ho rivisto e ho anche letto il libro originale.
Si tratta sicuramente di un'opera di grande valore, semplicemente non è adatta a un bambino delle elementari per l'altissimo livello di drammaticità presente, ben superiore a quello che si riscontra in Peline. Dal punto di vista tecnico invece Remì è sicuramente di molto superiore a Peline, anche se è stato realizzato qualche anno prima e la regia di Osamu Dezaki è sicuramente migliore. Tuttavia Remì a mio avviso dovrebbe essere consigliato agli adulti o a ragazzi piuttosto grandi. Peline invece è stato edulcorato rispetto al romanzo di partenza ed è più adatto a un pubblico infantile; questo lo vedo come un lato positivo. Non ho ancora letto <i>En famille</i>, ma è ai primi posti della mia lista di romanzi da leggere. Il mio voto per l'anime è un 9 abbondante.
P.S.: c'è chi ha paragonato "Peline Story" al "Piccolo Lord"; i due meisaku effettivamente presentano delle affinità a livello di trama, ma a mio avviso Peline è superiore a livello di studio psicologico e di analisi sociale. Inoltre Peline ha il fascino non trascurabile del character design degli anni Settanta.
<B>Attenzione: potrebbe contenere spoiler</B>
Questo realismo di cui tale opera è intrisa lo possiamo paragonare solo ad un altro grande titolo, "Il piccolo lord", laddove, praticamente cambia solo il sesso di chi è protagonista, pochissimo la trama, visto che la somiglianza delle trame è a dir poco perfetta.
Logicamente, come è accaduto per l'altro titolo in cui ho fatto il paragone, la trasposizione in questo meisaku d'annata è dovuta passare in mezzo a dei veri "bagni" di edulcoramento della storia, visto che ciò che viene raccontato all'interno della narrazione nasconde sempre dei caratteri rudi e crudi, visto il realismo del romanzo a cui si è attinta quest'opera.
Questo anime ha il gusto dolce di farsi raccontare, di farsi amare, in un mondo difficile visto dagli occhi di una ragazzina che praticamente ha perso tutto, persino l'identità, per recuperare un cordone ombelicale che per tante avverse ragioni era stato troppo sciaguratamente reciso, laddove c'è poco spazio per una felice gioventù, poco spazio per i giochi che lasciano il posto ad una precoce maturità e ad una presa di coscienza di eventi troppo grandi per una ragazzina così piccola.
Ma la protagonista impara sulla sua pelle la sua difficile ricerca delle sue origini immerse nella figura del nonno che ancora non riesce a trovare, alla fine del viaggio i suoi enormi sforzi vengono premiati, ma inizia un'altra dura prova, ancor più dura della precedente che la porterà alla più grossa delle ricompense, trovare in una persona che mai aveva avuto modo di conoscere, un affetto e un incondizionato amore che la protagonista dell'opera pensava ormai di aver perduto per sempre nella sua triste ed agghiacciante posizione di orfana.
La sua costanza e il suo non perdersi mai nello sconforto, valori trasmessi dai suoi cari, però , hanno permesso il miracolo, così come la purezza dei suoi sentimenti che non poteva esternare così facilmente data la sua difficile situazione, e da questi elementi che poi nasce l'intento dell'autore su quest'opera.
Ovviamente è un'opera assai conosciuta per via del romanzo a cui fa riferimento, ma la morale che si riesce ad evincere in questa trasposizione è molto simile a quella di Lovely Sara, con la differenza che la purezza del suo animo, nonostante sia stato indurito precocemente con atroci sofferenze e gravi perdite in famiglia, hanno sciolto l'animo di chi per una vita non si era mai reso conto di essere prigioniero di un carattere sempre più isolato, questi sono i miracoli compiuti dall'amore, che è presente in ognuno di noi e in forme così molteplici che facciamo fatica a stargli dietro, purtroppo è così che si insegue la facile strada dell'odio e del rancore inutile, che rendono sempre più insidiosa la strada della pace e del perdono, elementi molto presenti all'interno dell'opera, perchè solo le dure sofferenze patite e un amore lontano da ogni forma esterna ed estrema di cattiveria rende possibile ogni tipo di pentimento, di rinascita e perchè no, anche di riscatto sociale.
Questo realismo di cui tale opera è intrisa lo possiamo paragonare solo ad un altro grande titolo, "Il piccolo lord", laddove, praticamente cambia solo il sesso di chi è protagonista, pochissimo la trama, visto che la somiglianza delle trame è a dir poco perfetta.
Logicamente, come è accaduto per l'altro titolo in cui ho fatto il paragone, la trasposizione in questo meisaku d'annata è dovuta passare in mezzo a dei veri "bagni" di edulcoramento della storia, visto che ciò che viene raccontato all'interno della narrazione nasconde sempre dei caratteri rudi e crudi, visto il realismo del romanzo a cui si è attinta quest'opera.
Questo anime ha il gusto dolce di farsi raccontare, di farsi amare, in un mondo difficile visto dagli occhi di una ragazzina che praticamente ha perso tutto, persino l'identità, per recuperare un cordone ombelicale che per tante avverse ragioni era stato troppo sciaguratamente reciso, laddove c'è poco spazio per una felice gioventù, poco spazio per i giochi che lasciano il posto ad una precoce maturità e ad una presa di coscienza di eventi troppo grandi per una ragazzina così piccola.
Ma la protagonista impara sulla sua pelle la sua difficile ricerca delle sue origini immerse nella figura del nonno che ancora non riesce a trovare, alla fine del viaggio i suoi enormi sforzi vengono premiati, ma inizia un'altra dura prova, ancor più dura della precedente che la porterà alla più grossa delle ricompense, trovare in una persona che mai aveva avuto modo di conoscere, un affetto e un incondizionato amore che la protagonista dell'opera pensava ormai di aver perduto per sempre nella sua triste ed agghiacciante posizione di orfana.
La sua costanza e il suo non perdersi mai nello sconforto, valori trasmessi dai suoi cari, però , hanno permesso il miracolo, così come la purezza dei suoi sentimenti che non poteva esternare così facilmente data la sua difficile situazione, e da questi elementi che poi nasce l'intento dell'autore su quest'opera.
Ovviamente è un'opera assai conosciuta per via del romanzo a cui fa riferimento, ma la morale che si riesce ad evincere in questa trasposizione è molto simile a quella di Lovely Sara, con la differenza che la purezza del suo animo, nonostante sia stato indurito precocemente con atroci sofferenze e gravi perdite in famiglia, hanno sciolto l'animo di chi per una vita non si era mai reso conto di essere prigioniero di un carattere sempre più isolato, questi sono i miracoli compiuti dall'amore, che è presente in ognuno di noi e in forme così molteplici che facciamo fatica a stargli dietro, purtroppo è così che si insegue la facile strada dell'odio e del rancore inutile, che rendono sempre più insidiosa la strada della pace e del perdono, elementi molto presenti all'interno dell'opera, perchè solo le dure sofferenze patite e un amore lontano da ogni forma esterna ed estrema di cattiveria rende possibile ogni tipo di pentimento, di rinascita e perchè no, anche di riscatto sociale.
La giovane Peline viaggia per tutta l'Europa su carro con sua madre. Sono dirette a Maroucourt, città d'origine del padre ormai morto di Peline e dove risiede il nonno. Durante il lungo viaggio però, la madre di Peline si ammala e la piccola è costretta a vendere tutti i loro pochi averi (carro ed asino compresi) per poter comprare le medicine per curarla. Ma la malattia è troppo grave e la signora muore consigliando a Peline di raggiungere il nonno, ma di aspettare a rivelargli che è sua nipote. I rapporti tra il nonno e i suoi genitori, si sono infatti interrotti nel momento in cui suo padre decise di sposarsi con una donna che il nonno non approvava. Dopo un lungo viaggio pieno di difficoltà, Peline arriva finalmente a Maroucourt. Presentandosi con un nome falso, Aurelie, trova lavoro proprio nella fabbrica del nonno e in questo modo prova ad avvicinarsi all’uomo e a provare a conquistare in suo cuore.
Pur avendo una trama che lascerebbe pensare ad un Remì al femminile, ci troviamo di fronte invece una storia si triste ma raccontata in modo fresco e comunque positivo, senza cadere mai troppo nel melodrammatico e nella lacrima a tutti i costi.
Peline è orfana, sola e povera ma invece di passare intere puntate a compiangersi e a ricordarlo ogni tre minuti allo spettatore, è coraggiosa e determinata nell'inseguire la sua meta. Pur avendo solo tredici anni è lei a convincere la madre a riprendere il viaggio quando questa è distrutta dalla morte del marito ed è sempre lei a convincere il nonno a non limitarsi a gestire soltanto la fabbrica, ma ad impegnarsi anche a migliorare la vita degli operai.
L'incoscienza con cui affronta tutte le difficoltà è probabilmente anche l'unica cosa che ci ricorda che Peline è pur sempre una ragazzina. Il suo non perdersi mai d'animo e il continuo tentativo di cambiare ciò che le sta intorno, non possono far altro che pensare ad una ingenua e forse illusa ragazzina che ancora non sa come va il mondo. Se non fosse che il passato di Peline non è proprio dei più felici.
Ecco allora che lo spettatore è portato a provare tenerezza per lei. Insomma, una ragazzina dal passato difficile che continua a sperare di poter far qualcosa per migliorare non solo la sua situazione ma anche quella di chi le sta intorno, non può lasciare indifferente anche il più duro dei cuori. Anche lo spettatore più critico è portato a fare il tifo per lei.
Peline "deve" essere felice. E non perché è buona, perché soffre o perché piange. Piuttosto perché tanta forza e tanto carattere meritano di essere premiati.
I disegni sono ben curati come ci ha ormai abituato la Nippon Animation nella sua produzione WTM, tutti giocati sullo stile pulito e classico che li contraddistingue, con una menzione particolare ai fondali dai colori tenui e pastello che aggiungono quel non so che di favoleggiante a tutta la storia.
Sobria ed elegante anche la colonna sonora come al solito fatta ad accompagnare le avventure narrate.
Unica nota stonata ahimè il doppiaggio. Peline cambia voce tre volte durante l'intera storia, il nonno due e l'adattamento italiano tende un po’ a smorzare i temi drammatici che la storia in alcuni punti assume.
Ma resta comunque un lavoro di assoluto livello e probabilmente l'opera miglior realizzate e più matura di tutto il Wmt.
Pur avendo una trama che lascerebbe pensare ad un Remì al femminile, ci troviamo di fronte invece una storia si triste ma raccontata in modo fresco e comunque positivo, senza cadere mai troppo nel melodrammatico e nella lacrima a tutti i costi.
Peline è orfana, sola e povera ma invece di passare intere puntate a compiangersi e a ricordarlo ogni tre minuti allo spettatore, è coraggiosa e determinata nell'inseguire la sua meta. Pur avendo solo tredici anni è lei a convincere la madre a riprendere il viaggio quando questa è distrutta dalla morte del marito ed è sempre lei a convincere il nonno a non limitarsi a gestire soltanto la fabbrica, ma ad impegnarsi anche a migliorare la vita degli operai.
L'incoscienza con cui affronta tutte le difficoltà è probabilmente anche l'unica cosa che ci ricorda che Peline è pur sempre una ragazzina. Il suo non perdersi mai d'animo e il continuo tentativo di cambiare ciò che le sta intorno, non possono far altro che pensare ad una ingenua e forse illusa ragazzina che ancora non sa come va il mondo. Se non fosse che il passato di Peline non è proprio dei più felici.
Ecco allora che lo spettatore è portato a provare tenerezza per lei. Insomma, una ragazzina dal passato difficile che continua a sperare di poter far qualcosa per migliorare non solo la sua situazione ma anche quella di chi le sta intorno, non può lasciare indifferente anche il più duro dei cuori. Anche lo spettatore più critico è portato a fare il tifo per lei.
Peline "deve" essere felice. E non perché è buona, perché soffre o perché piange. Piuttosto perché tanta forza e tanto carattere meritano di essere premiati.
I disegni sono ben curati come ci ha ormai abituato la Nippon Animation nella sua produzione WTM, tutti giocati sullo stile pulito e classico che li contraddistingue, con una menzione particolare ai fondali dai colori tenui e pastello che aggiungono quel non so che di favoleggiante a tutta la storia.
Sobria ed elegante anche la colonna sonora come al solito fatta ad accompagnare le avventure narrate.
Unica nota stonata ahimè il doppiaggio. Peline cambia voce tre volte durante l'intera storia, il nonno due e l'adattamento italiano tende un po’ a smorzare i temi drammatici che la storia in alcuni punti assume.
Ma resta comunque un lavoro di assoluto livello e probabilmente l'opera miglior realizzate e più matura di tutto il Wmt.
Un'opera che lascia il segno!
Una storia molto triste ma appassionante e ben realizzata. Molti la accostano a Remi' per la tragicita' degli eventi, ma questo lavoro e' indubbiamente un gradino sopra (entrambe opere di Malot).
Quando ero piccolo lo vedevo insieme alle mie sorelle ed a mia madre, che ogni volta piangeva, ed e' proprio per questo che ti lascia il segno... il suo coinvolgimento e' totale.
L'unica pecca, se vogliamo proprio trovarla, e' nel doppiaggio, perche' ad un certo punto della storia Peline, per non farsi riconoscere, cambia il suo nome in Aurelie (nel romanzo da cui e' tratta la storia), mentre nel cartone animato diventa OLERI' (magari in francese sarebbe scritto Auleri).
Consigliatissimo.
Una storia molto triste ma appassionante e ben realizzata. Molti la accostano a Remi' per la tragicita' degli eventi, ma questo lavoro e' indubbiamente un gradino sopra (entrambe opere di Malot).
Quando ero piccolo lo vedevo insieme alle mie sorelle ed a mia madre, che ogni volta piangeva, ed e' proprio per questo che ti lascia il segno... il suo coinvolgimento e' totale.
L'unica pecca, se vogliamo proprio trovarla, e' nel doppiaggio, perche' ad un certo punto della storia Peline, per non farsi riconoscere, cambia il suo nome in Aurelie (nel romanzo da cui e' tratta la storia), mentre nel cartone animato diventa OLERI' (magari in francese sarebbe scritto Auleri).
Consigliatissimo.
Stupendo!! Questa serie rappresenta l'ennesima trasposizione televisiva tratta dal romanzo occidentale. E' un capolavoro che risulta molto pregevole e coinvolgente dall'inizio alla fine. Le vicende che coinvolgono Peline risultano quasi sempre drammatiche, la narrazione non risparmia dolori e lacrime, e nonostante ciò non manca mai un risvolto positivo e Peline riesce sempre a cavarsela grazie alla sua forza d'animo e alla fiducia verso il prossimo. Una serie che, a mio parere, ti insegna tanto!
Nel 1978 si assiste alla prima vera rivoluzione del genere Meisaku che, dopo tante storie dolci e soavi introduce, non senza traumi nel pubblico, una trama di carattere crudo e vividamente realistico, tratta dal romanzo “In Famiglia” (1893) di Hector Malot. Per la prima volta il Meisaku si lancia nel sociale anima e corpo, creando un opera di denuncia contro il lavoro minorile, che affronta tematiche parallele sul razzismo, il lavoro e i contributi salariali. L’operazione è solo parzialmente riuscita. Esaminiamola nei dettagli.
Peline è una bambina di 13 anni che vive in India con i genitori. Il Padre, di origini francesi, è figlio di un ricco industriale che lo ha allontanato dopo che questi ha scelto di sposare una donna anglo-indiana, da cui ha avuto appunto Peline. Sperando di riallacciare i rapporti col vecchio industriale la famiglia sceglie di partire e tornare in Francia, intraprendendo un tortuoso viaggio verso l’Europa. Solo Peline giungerà a destinazione, spogliata di tutti i suoi averi e denutrita, sceglierà di lavorare nella fabbrica del nonno sotto falso nome.
Avviciniamoci a questo anime parlando della sceneggiatura. Il romanzo da cui Peline Story è tratto presenta connotazioni violente e realistiche, “In famiglia” non è un libro per bambini, scelta rara questa, che si ripeterà poche altre volte, e che, comunque, il testo dai connotati più tragici tra tutti i Meisaku. Questo realismo dai toni truci ha imposto agli sceneggiatori giapponesi (Hiroshi Saito) un addolcimento della storia che la discosta dalla trama originale in svariati punti, mantenendo comunque un andamento conforme al romanzo. Gli incidenti e le morti che si ripeto in fabbrica, scandalizzando Peline e sensibilizzandola, sono parecchio edulcorate. Restano gli eventi chiave, anche quelli drammatici, ma molti, che non avrebbero alterato la trama, sono stati addolciti. L’introduzione del cane Barone, assente nel romanzo, contribuisce ad alleggerire la trama, creando scene anche divertenti, così da rendere più fruibili alcune puntate al pubblico infantile.
Anche la psicologia di Peline si discosta leggermente da quella originale. Nel romanzo la ragazzina è molto meno matura, meno incline alla sopportazione dei soprusi e ha spesso accese discussioni (anche colorite) che nell’anime non sono presenti. Peline viene presentata come un acuto osservatore dei fatti, che li analizza e li elabora trasmettendo concetti di pace, eguaglianza e giustizia. Nel romanzo tutto questo è affidato al testo e non alle parole della bambina, cosa che avrebbe però dovuto introdurre una insistente voce narrante nella produzione animata. La scelta quindi non è criticabile, in quanto, nelle 53 puntate, il carattere della ragazzina viene snocciolato con perizia, evidenziando luci ed ombre, sicurezza e incertezza, tratti tipici di un’età preadolescenziale che viene però spesso accantonata in favore di una maturità adulta, che riesce quindi a digerire ed assimilare gli eventi.
Il tema sociale, preponderante in tutta la serie mostra con una certa veridicità le tragiche condizioni di lavoro nelle fabbriche di fine ottocento. Peline si batterà strenuamente per migliorare le condizioni di vita dei suoi colleghi andando anche a cozzare contro il Nonno-Padrone che finirà comunque per affezionarsi a lei. Questo aspetto proto-sindacale che Peline mostra, riprende in modo calzante il romanzo. L’aspetto razziale invece, nell’anime viene completamente evitato. Nel testo originale il vecchio Vulfran esordisce spesso con frasi pesantemente offensive nei confronti della donna che gli ha strappato il figlio (che però lui ignora essere anche la madre di Peline), con connotati razzisti e violenti. Nell’anime l’unico motivo di odio verso la donna è dettato dall’allontanamento dell’amato figlio.
Fiumane di parole sono state scritte su Peline Story, interpretandolo in chiavi che, spesso, non hanno nulla a che vedere con l’anime. C’è chi ha visto in Peline lo stereotipo dell’emigrante, chi ha visto il simbolo della lotta operaia, ma sono mere illazioni dettate da sentimentalismi e temi di attualità. Peline è un prodotto del 1979, che non si arroga affatto di essere portavoce di ideologie politiche. Il suo unico fine è una concreta denuncia sociale contro il lavoro minorile (alla quale seguiranno altri titoli nel filone Meisaku della Nippon Animation, da sempre impegnata in questo campo). Ne consegue che, come accade spesso, uno vede nelle cose quello che vuole vedere, interpretandole secondo i suoi gusti personali, ma restando obbiettivi Peline è solamente una bambina che lotta contro le ingiustizie che si trova davanti, con una determinazione pari a quella di un adulto.
Come accennavo prima tuttavia l’operazione di denuncia sociale è solo parzialmente riuscita. Questo perchè l’ammorbidimento delle scene più crude del romanzo fanno si che spesso non si noti quanto cruente e disumane fossero le reali condizioni di lavoro nella fabbrica di Maroucurt.
In Italia l’anime come al solito è ignominiosamente modificato. Pochi i tagli alle scene, troppi i dialoghi storpiati o addolciti. Le situazioni violente e realistiche, già comunque scarse nell’opera originale, che sono funzione della denuncia sociale sono spesso del tutto sostituite.
Il disegno è tipico del meisaku, dettagliato, corretto, pulito, con grande attenzione ai particolari. Per la prima volta si notano luci ed ombre definibili con una certa precisione.
In sostanza un anime storico, bello, fondamentale. Che non centra, a mio parere, completamente il motivo per cui è stato prodotto ma che, senza dubbio, è una visione importante e formativa da mostrare ai bambini per sensibilizzarli verso certi aspetti ancora tremendamente attuali. Anche gli adulti possono godere comunque di un prodotto sobrio, intelligente, con una trama che coinvolge e raccontato dagli sceneggiatori nipponici in modo alquanto elegante. Dieci.
Peline è una bambina di 13 anni che vive in India con i genitori. Il Padre, di origini francesi, è figlio di un ricco industriale che lo ha allontanato dopo che questi ha scelto di sposare una donna anglo-indiana, da cui ha avuto appunto Peline. Sperando di riallacciare i rapporti col vecchio industriale la famiglia sceglie di partire e tornare in Francia, intraprendendo un tortuoso viaggio verso l’Europa. Solo Peline giungerà a destinazione, spogliata di tutti i suoi averi e denutrita, sceglierà di lavorare nella fabbrica del nonno sotto falso nome.
Avviciniamoci a questo anime parlando della sceneggiatura. Il romanzo da cui Peline Story è tratto presenta connotazioni violente e realistiche, “In famiglia” non è un libro per bambini, scelta rara questa, che si ripeterà poche altre volte, e che, comunque, il testo dai connotati più tragici tra tutti i Meisaku. Questo realismo dai toni truci ha imposto agli sceneggiatori giapponesi (Hiroshi Saito) un addolcimento della storia che la discosta dalla trama originale in svariati punti, mantenendo comunque un andamento conforme al romanzo. Gli incidenti e le morti che si ripeto in fabbrica, scandalizzando Peline e sensibilizzandola, sono parecchio edulcorate. Restano gli eventi chiave, anche quelli drammatici, ma molti, che non avrebbero alterato la trama, sono stati addolciti. L’introduzione del cane Barone, assente nel romanzo, contribuisce ad alleggerire la trama, creando scene anche divertenti, così da rendere più fruibili alcune puntate al pubblico infantile.
Anche la psicologia di Peline si discosta leggermente da quella originale. Nel romanzo la ragazzina è molto meno matura, meno incline alla sopportazione dei soprusi e ha spesso accese discussioni (anche colorite) che nell’anime non sono presenti. Peline viene presentata come un acuto osservatore dei fatti, che li analizza e li elabora trasmettendo concetti di pace, eguaglianza e giustizia. Nel romanzo tutto questo è affidato al testo e non alle parole della bambina, cosa che avrebbe però dovuto introdurre una insistente voce narrante nella produzione animata. La scelta quindi non è criticabile, in quanto, nelle 53 puntate, il carattere della ragazzina viene snocciolato con perizia, evidenziando luci ed ombre, sicurezza e incertezza, tratti tipici di un’età preadolescenziale che viene però spesso accantonata in favore di una maturità adulta, che riesce quindi a digerire ed assimilare gli eventi.
Il tema sociale, preponderante in tutta la serie mostra con una certa veridicità le tragiche condizioni di lavoro nelle fabbriche di fine ottocento. Peline si batterà strenuamente per migliorare le condizioni di vita dei suoi colleghi andando anche a cozzare contro il Nonno-Padrone che finirà comunque per affezionarsi a lei. Questo aspetto proto-sindacale che Peline mostra, riprende in modo calzante il romanzo. L’aspetto razziale invece, nell’anime viene completamente evitato. Nel testo originale il vecchio Vulfran esordisce spesso con frasi pesantemente offensive nei confronti della donna che gli ha strappato il figlio (che però lui ignora essere anche la madre di Peline), con connotati razzisti e violenti. Nell’anime l’unico motivo di odio verso la donna è dettato dall’allontanamento dell’amato figlio.
Fiumane di parole sono state scritte su Peline Story, interpretandolo in chiavi che, spesso, non hanno nulla a che vedere con l’anime. C’è chi ha visto in Peline lo stereotipo dell’emigrante, chi ha visto il simbolo della lotta operaia, ma sono mere illazioni dettate da sentimentalismi e temi di attualità. Peline è un prodotto del 1979, che non si arroga affatto di essere portavoce di ideologie politiche. Il suo unico fine è una concreta denuncia sociale contro il lavoro minorile (alla quale seguiranno altri titoli nel filone Meisaku della Nippon Animation, da sempre impegnata in questo campo). Ne consegue che, come accade spesso, uno vede nelle cose quello che vuole vedere, interpretandole secondo i suoi gusti personali, ma restando obbiettivi Peline è solamente una bambina che lotta contro le ingiustizie che si trova davanti, con una determinazione pari a quella di un adulto.
Come accennavo prima tuttavia l’operazione di denuncia sociale è solo parzialmente riuscita. Questo perchè l’ammorbidimento delle scene più crude del romanzo fanno si che spesso non si noti quanto cruente e disumane fossero le reali condizioni di lavoro nella fabbrica di Maroucurt.
In Italia l’anime come al solito è ignominiosamente modificato. Pochi i tagli alle scene, troppi i dialoghi storpiati o addolciti. Le situazioni violente e realistiche, già comunque scarse nell’opera originale, che sono funzione della denuncia sociale sono spesso del tutto sostituite.
Il disegno è tipico del meisaku, dettagliato, corretto, pulito, con grande attenzione ai particolari. Per la prima volta si notano luci ed ombre definibili con una certa precisione.
In sostanza un anime storico, bello, fondamentale. Che non centra, a mio parere, completamente il motivo per cui è stato prodotto ma che, senza dubbio, è una visione importante e formativa da mostrare ai bambini per sensibilizzarli verso certi aspetti ancora tremendamente attuali. Anche gli adulti possono godere comunque di un prodotto sobrio, intelligente, con una trama che coinvolge e raccontato dagli sceneggiatori nipponici in modo alquanto elegante. Dieci.
Bello questo meisaku. Oggi ovviamente risente dell'età... infatti i disegni sono semplici, le musiche anche. Il ritmo è lento. Credo che 53 episodi siano troppi. Per dare un ritmo migliore sarebbero bastati 35-40 episodi. In effetti gli altri meisaku, pur essendo contemporanei, sono più gradevoli da questo punto di vista. Per il resto la storia è molto bella, la regia eccezionale (la scena in cui il nonno apprende della morte del figlio è da manuale). E' un buon anime, in linea con gli altri meisaku. Ripeto: perde un paio di punti per l'età tecnica e per il ritmo che soprattutto nei primi episodi è eccessivamente lento. Da vedere, se amate i meisaku e i romanzi d'animazione in genere. Info: [email protected]
Questo anime rientra nella categoria di quelli "davvero ben fatti". La storia è lunghissima, appassionante, un vero romanzo d'appendice trasposto in anime. Magari non è un anime per tutti i gusti. Se siete appassionati di azione, combattimenti o mirabolanti duelli spaziali statene lontani. Se invece volete vedere un bell'anime "di quelli come se ne facevano una volta", Peline Story fa per voi. Il character è sobrio e composto. Tutto è all'insegna del realismo e della aderenza alla vita vera e alle sue problematiche. Davvero molto bello.