Fatal Intuition
Jang-woo, laconico dipendente di una fabbrica di gelati e titolare di un'umile lavanderia ereditata dai genitori deceduti alcuni anni prima, vive la propria modesta esistenza in una remota cittadina costiera della Corea, barcamenandosi ogni giorno tra casa e lavoro e prendendosi cura della sorella minore Eun-ji. Nella notte in cui l'uomo decide di vendere l'attività famigliare per potersi permettere una vita più agiata a Seul, la sorella scompare tragicamente. È l'inizio di un'angosciante ricerca, che lo condurrà da un'eccentrica sensitiva vittima di inquietanti visioni: la ragazza potrebbe infatti essere la chiave per arrivare alla verità sulla sparizione di Eun-ji.
Dipanandosi tra il giallo puro e il thriller a tinte soprannaturali, Fatal Intuition rappresenta un tentativo riuscito a metà di coniugare due generi differenti, ma legati da una sottile affinità compositiva; ispirato a una storia vera che ha coinvolto un caro amico del regista Yun Jun-hyung, il film, strutturato come un cupo revenge-movie dai risvolti giallistici, prende fin da subito la strada dell’horror psicologico tentando di far confluire due filoni paralleli in un unico binario narrativo. Si-eun, la stralunata medium che accompagnerà Jang-woo nella sua disperata ricerca, rappresenta infatti il punto di congiunzione tra il thriller e l'horror: le sue inquietanti visioni andranno a influire pesantemente sulle azioni del protagonista e sugli eventi che accadranno, contaminando l'intreccio con la costante presenza dell'elemento soprannaturale.
Ambientando l'opera in una cittadina marittima situata a sud-est della Corea, il regista pone particolare attenzione proprio sulle usanze e le pulsioni tipiche della provincia sudcoreana: sulla falsariga del Twin Peaks di David Lynch, Jun-hyung prova a modellare una realtà edificata su un ordine precario e innaturale, che nasconde innumerevoli ombre tra le pieghe della quotidianità.
Se da un lato la fotografia crepuscolare – costantemente filtrata da vibranti variazioni cromatiche che virano dal blu elettrico al rosso acceso – conferisce alla pellicola un nostalgico retrogusto che riporta alla mente Suspiria e l'horror italiano degli anni '80, dall'altro l'atmosfera della cittadina in cui sono ambientate le vicende non riesce a emergere dal mero ruolo di sfondo, finendo di fatto per depotenziare la carica folkloristica su cui l'elemento soprannaturale è (in parte) imperniato. Per tutta la durata della pellicola permane infatti il sentore che gli autori non siano riusciti a sfruttare appieno gli elementi inseriti, limitandosi a gettare carne al fuoco senza tuttavia prendersi la briga di amalgamare gli ingredienti; i temi sfiorati sono molti, ma nessuno di essi giunge infine a una degna conclusione. La stessa sceneggiatura soffre per l'eccesso di intenti, limitandosi a "fare il compitino" e relegando le questioni socialmente e moralmente più impegnate al semplice contorno.
In mezzo a un cast non particolarmente ispirato spicca uno Yoo Hae-jin in stato di grazia, che si cala con scioltezza nel ruolo del villain regalandoci un'interpretazione traboccante di una disturbante e morbosa freddezza; il protagonista invece, interpretato dal discreto Joo Won, soffre di un'eccessiva stereotipia che lo rende alquanto piatto e monocorde, come gran parte degli altri teatranti. Coronamento di tutto ciò è rappresentato da un epilogo eccessivamente forzato e buonista, che non riesce a concludere tutto ciò che si era iniziato: complice anche un montaggio a tratti leggermente confusionario, la trama si troverà spogliata di tutti gli accessori aggiunti in precedenza, limitandosi a portare a compimento il confronto tra "buoni e cattivi" – peraltro in modo non sempre convincente.
Fatal Intuition potrebbe quindi rappresentare un decente divertissement per gli amanti del genere, ma purtroppo si sente il peso delle tante premesse accennate e infine lasciate decadere, così come le aspettative dello spettatore vanno via via affievolendosi.
Dipanandosi tra il giallo puro e il thriller a tinte soprannaturali, Fatal Intuition rappresenta un tentativo riuscito a metà di coniugare due generi differenti, ma legati da una sottile affinità compositiva; ispirato a una storia vera che ha coinvolto un caro amico del regista Yun Jun-hyung, il film, strutturato come un cupo revenge-movie dai risvolti giallistici, prende fin da subito la strada dell’horror psicologico tentando di far confluire due filoni paralleli in un unico binario narrativo. Si-eun, la stralunata medium che accompagnerà Jang-woo nella sua disperata ricerca, rappresenta infatti il punto di congiunzione tra il thriller e l'horror: le sue inquietanti visioni andranno a influire pesantemente sulle azioni del protagonista e sugli eventi che accadranno, contaminando l'intreccio con la costante presenza dell'elemento soprannaturale.
Ambientando l'opera in una cittadina marittima situata a sud-est della Corea, il regista pone particolare attenzione proprio sulle usanze e le pulsioni tipiche della provincia sudcoreana: sulla falsariga del Twin Peaks di David Lynch, Jun-hyung prova a modellare una realtà edificata su un ordine precario e innaturale, che nasconde innumerevoli ombre tra le pieghe della quotidianità.
Se da un lato la fotografia crepuscolare – costantemente filtrata da vibranti variazioni cromatiche che virano dal blu elettrico al rosso acceso – conferisce alla pellicola un nostalgico retrogusto che riporta alla mente Suspiria e l'horror italiano degli anni '80, dall'altro l'atmosfera della cittadina in cui sono ambientate le vicende non riesce a emergere dal mero ruolo di sfondo, finendo di fatto per depotenziare la carica folkloristica su cui l'elemento soprannaturale è (in parte) imperniato. Per tutta la durata della pellicola permane infatti il sentore che gli autori non siano riusciti a sfruttare appieno gli elementi inseriti, limitandosi a gettare carne al fuoco senza tuttavia prendersi la briga di amalgamare gli ingredienti; i temi sfiorati sono molti, ma nessuno di essi giunge infine a una degna conclusione. La stessa sceneggiatura soffre per l'eccesso di intenti, limitandosi a "fare il compitino" e relegando le questioni socialmente e moralmente più impegnate al semplice contorno.
In mezzo a un cast non particolarmente ispirato spicca uno Yoo Hae-jin in stato di grazia, che si cala con scioltezza nel ruolo del villain regalandoci un'interpretazione traboccante di una disturbante e morbosa freddezza; il protagonista invece, interpretato dal discreto Joo Won, soffre di un'eccessiva stereotipia che lo rende alquanto piatto e monocorde, come gran parte degli altri teatranti. Coronamento di tutto ciò è rappresentato da un epilogo eccessivamente forzato e buonista, che non riesce a concludere tutto ciò che si era iniziato: complice anche un montaggio a tratti leggermente confusionario, la trama si troverà spogliata di tutti gli accessori aggiunti in precedenza, limitandosi a portare a compimento il confronto tra "buoni e cattivi" – peraltro in modo non sempre convincente.
Fatal Intuition potrebbe quindi rappresentare un decente divertissement per gli amanti del genere, ma purtroppo si sente il peso delle tante premesse accennate e infine lasciate decadere, così come le aspettative dello spettatore vanno via via affievolendosi.