Natsu e no tobira
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Mi piacciono gli errori.
È con questa frase ad effetto che voglio aprire la recensione, con un elogio allo “scivolone”. Sbagliare è umano, si sa, eppure molti ignorano quanto sia importante. “Errare” è un concetto denigrato, talvolta viene persino ritenuto inaccettabile. Viviamo in una società in cui si parla sempre del primo, di colui che vince e non sbaglia. È scorretto. Non dimentichiamo: senza l’errore il risultato è nullo. Ergo voglio credere che “Natsu e no Tobira”, anime del 1981 tratto dall’omonimo manga del 1975 di Takemiya K. sia solo un esperimento fallito, un flop destinato a risorgere pochi anni dopo in uno dei migliori manga che abbia mai letto.
A questo punto, come ormai da consuetudine, possiamo procedere con l’autopsia di codesto “anime”.
Trama e sceneggiatura
Disastro. Un vero e proprio “projettile litale”.
L’anime è ambientato in Francia, alla fine del XIX secolo. Un biondo ragazzino, Marion, che a tratti ricorda Gilbert de “Il poema del vento e degli alberi” (ma solo esteticamente), corre disperato, invocando i nomi di Jacques e Lind, due suoi amici che stanno per affrontarsi a duello.
Con una presentazione in medias res, l’anime sembrerebbe prendere fin da subito un’ottima piega, dai toni drammatici. Ci pensa però il flashback, che segue repentino il violento incipit, a far sparire la magia.
Andiamo indietro di una stagione: siamo in un collegio maschile, dove quattro baldi giovani si apprestano a passare insieme le vacanze estive. Marion, il biondino dell’incipit, è l’idolo della scuola, bello e innocente. Jacques, Lind e Claude sono i suoi tre compagni di merende, tutti invaghiti della timida Ledania, incantevole ragazzina che però è innamorata proprio di Marion. La giovane, in realtà, nonostante abbia la stessa personalità di una cassapanca, è ammirata da mezza Francia (cassapanche incluse), tant’è che Marion, per placare due studenti con gli ormoni a mille, si vede costretto a proteggerla ingaggiando una sfida pericolosa sulle rotaie di una ferrovia. Fortunatamente (ma non per il pubblico) è il biondino a trionfare, ma il folle gesto attira una passeggera: Sara Veeda, raffinata nobildonna (?), scende dal treno e lo bacia sulle labbra, con un tempismo (e una coerenza) secondo solo quello di Sekai di “School Days”... Tant’è che Marion, da bravo ragazzo, ne resta visibilmente turbato. Preso dall’agitazione, il bel biondo corre sconvolto sotto la pioggia, senza meta, fino a crollare a terra sfinito. Sara, con un tempismo più assurdo di un deus ex machina, lo trova e lo accoglie tra le proprie mura, ma non solo. Da brava laureata cum laude all’Università della tromba seduce il ragazzo (palesemente stordito), unendosi a lui in una notte di passione.
«Potrei vomitare...»
Ha ragione, Professor Piton, in effetti questa scena riesce nell’impresa di far schifo su tutti i fronti:
- A livello “letterale”. La regia è atroce, con l’aspetto erotico che viene a malapena accennato (tra l’altro in maniera confusa). Non che ci tenessi a vedere chissà cosa, ma, giacché vuoi andare sull’hot, fallo come si deve. Qui l’intero rapporto assume i connotati di uno stupro non consenziente, del quale tra l’altro si capisce poco o niente. La scena, complessivamente, è ridicola.
- A livello “allegorico”. Il rapporto tra il giovane e la donna matura è completamente inutile ai fini della trama, complice la sceneggiatura scollata. Non c’è alcun risvolto, nessuna conseguenza psicologica per il nostro Marion, che subisce come un pupazzo le avances della donna. Il ragazzo, in totale contraddizione con la sceneggiatura, finisce per accettare il tutto. Ammetto che questa relazione (tra giovane e meno giovane) sarebbe persino potuta essere intrigante, ma doveva essere contestualizzata (e coerente) con la trama. Così assume la stessa profondità di un hentai disimpegnato.
- A livello “morale”. Riassumibile nella frase di Sara Veeda, «Era agitato, così l’ho calmato», con tanto di benestare dell'amante/marito. In altre parole, se vedo una persona debole e indifesa, è giusto approfittarne sessualmente, così da rincuorarne lo spirito. Ma è strabiliante! Altro che farmaci... Dovrebbero introdurla nel Kaplan come strumento di riabilitazione psicoterapeutica. Eureka!
- A livello “anagogico”. Va beh, forse per questo cartone animato da due cent non ne vale nemmeno la pena, giacché la morale è così disastrata da impedire qualsivoglia riflessione universale. Ma sta di fatto che complessivamente è una scena inutile, gettata a caso per la sola libido dello spettatore o per qualche perversione dell’autrice.
Arrivati a fatica al quarantesimo minuto, tra frame interminabili e sceneggiatura sconclusionata, arriva il rush, come da manuale del pessimo regista: Marion è rimbambito, a metà tra una tempesta ormonale e una crisi spirituale, Jacques e Lind accettano la cosa e poi tornano a contendersi Ledania, tappezzeria dal sangue blu. Claude, segretamente innamorato di Marion, impazzisce: non riesce ad accettare la “relazione” tra Veeda e l’amico, finendo così per assalirlo (avete capito benissimo). Il biondo, evidente calamita per il sesso occasionale, si ribella con forza. Claude, confuso dal gesto e dalle proprie emozioni, prima scappa, poi si suicida. Le cose non vanno meglio per Jacques e Lind, che arrivano a sfidarsi mortalmente a duello per Ledania. Solo l’intervento di Marion pone fine alla lite (e allo strazio del film).
«Eravamo ancora ragazzi... poi arrivò l’autunno. Lind si trasferì in una scuola nella lontana Parigi. E Marion, che aveva ricevuto una grave ferita, finì per tornare alla casa della madre... anche l’autunno passò senza il suo ritorno... e Jacques, tornato da solo alla scuola, pare che si sia fidanzato con Ledania. All’ombra delle palme dorme l’estate dei ragazzi.»
E finisce così. No, non sto scherzando. Quando la storia sembrerebbe prendere uno pseudo-senso (con un mood da tragedia trash shakespeariana), tutto si conclude. Senza nemmeno la briga di dire che fine hanno fatto i nostri baldi giovani (non che interessi a qualcuno).
Sarò schietto: la sceneggiatura è oscena. Non si può nemmeno definire tale. Tolto l’incipit (classico), l’intera trama si regge sul nulla. È letteralmente una serie di drammi che si abbattono su un gruppo di ragazzini, in un’ambientazione priva di contesto. Il pacing è prima lento, con quaranta minuti di nulla cosmico, poi corre freneticamente, gestendo una cosa come tre sotto-trame in appena un quarto d’ora. Il risultato è disastroso, oltre che incompiuto. Siamo al di sotto della media di una fan fiction scritta di fretta e furia.
Le tematiche trattate sono troppe e mal gestite: omosessualità repressa, conflitto violento amoroso, crisi spirituale, pseudo-sofismi da Baci Perugina... Tutto questo dramma, buttato a caso senza un’adeguata contestualizzazione, assume connotati grotteschi, quasi comici.
La trama è complessivamente inesistente, fastidiosamente inutile. Più che una storia, questo anime ricorda una bozza, una malacopia di un autore intento a sperimentare varie idee. Ignoro come una simile “cosa” possa aver ricevuto l’approvazione di un editor ed essere prima pubblicata su carta, poi persino sceneggiata ad anime.
Personaggi
Il nulla. Zero assoluto.
I personaggi sono appena una manciata, eppure non sono minimamente approfonditi. Vengono delineati all’inizio, con tanto di volto e nome affibbiato a mo' di soap opera argentina. Poi si perdono nel nulla, muovendosi a caso nella (non) trama. Ed è qui che salta all'occhio l’aspetto più grave dell’intera opera, peggiore persino di una scrittura superficiale: l’incoerenza. Marion è un bravo e coraggioso ragazzo, fin troppo paladino della giustizia. Nell’arco di due minuti diviene molle, stordito sotto una tempesta ormonale che lo trasforma prima in un inetto, poi in un depresso. Le sue azioni sono completamente inutili ai fini della storia (salvo forse il finale). Subisce gli eventi come un parafulmine attira sciagure. Gli amici per la pelle Lind e Jacques, dopo una singola battuta, arrivano a trucidarsi a suon di rivoltella, in un nome di un amore che li ricambia come il mio cactus sul comodino. Claude, il migliore del cast, ha una crisi interessante, ma comunque è troppo rapida, fuori contesto, vittima dei problemi di trama sopra citati. Perlomeno è coerente. Ledania, la bella pietra ornamentale, non fa altro che farsi ammirare, a mo' di principessa irraggiungibile in cima alla torre (e che ci resti, a questo punto). «Marion!» rappresenta grossomodo tre quarti delle sue battute. Veeda è tra i peggiori personaggi mai scritti. È così mal gestita da assumere i connotati di un villain, un good e marginal character al tempo stesso. La sua ninfomania, fatta passare come un modo estremo di dare affetto a uno sconosciuto giù di morale, è talmente becera, da renderla sgradevole. Il suo comportamento è intollerabile, per non dire malato. Nel mondo reale, una persona del genere verrebbe prima insultata, e poi arrestata. Il problema comunque non è legato alla relazione sopra le righe, che trovo di per sé una tematica interessante. Il vero dramma è che, non essendoci una backstory, il gesto risulta alla fine inutile, becero e grottesco. Tutta la scena del rapporto pare una cattiveria fine a sé stessa con il solo scopo di mostrare due bocce al vento. Boh. Sono senza parole.
Grafica e audio
Magra consolazione, senza un fil di grasso.
Il comparto grafico è nella media, almeno per l’epoca. Molti frame sono eccessivamente statici, ma le animazioni sono discrete. Fortunatamente l’anime riesce a mantenere il bellissimo tratto dell’autrice, maestra impareggiabile dell’emotività. I volti, spigolosi, presentano gli stessi bellissimi occhi che ho visto ne “Il poema del vento e degli alberi”. Molto bello l’uso dell’acquerello, che conferisce uno stile classico simile ai meisaku dell’epoca. Le tracce audio sono limitate, ma discrete. Tecnicamente è un anime da 6,5.
Conclusioni
Beh, immagino l’abbiate capito. L’autopsia ha un referto inclemente.
“Natsu e no Tobira” è una bozza, una malacopia scartata della Takemiya, che per qualche misterioso motivo ha visto la luce come manga e poi come anime. Nonostante bocci in toto l’opera, mi sento di fare una precisazione. Ho ritrovato in questa storia alcune tematiche de “Il poema del vento e degli alberi”. Qui, in “Natsu e no Tobira”, sono solo abbozzate e mal gestite, ma ciò non toglie come questa mezza “schifezza” sia servita da trampolino di lancio per qualcosa di eccelso.
Non consiglio la visione di questo anime, forse solo agli studiosi di animazione e ai fan più accaniti della Takemiya. Sento però di doverlo ringraziare. Ringrazio questo flop se ha consentito all’autrice di partorire la sua più grande opera, come accade per tantissimi artisti. Anche Mozart, prima di arrivare a “Le nozze di Figaro”, passò per decine, che dico, centinaia di spartiti mai pubblicati, oggi custoditi nei musei di Vienna.
Ergo, se siete d’accordo con il mio pensiero, accettate la sfida, proprio come Marion lasciatevi allo shit taste, guardate questo anime. Lo disprezzerete (molto probabilmente), ma apprezzerete ancor di più la bellezza dello sbaglio, spesso preludio di un grande successo.
Mi piacciono gli errori.
È con questa frase ad effetto che voglio aprire la recensione, con un elogio allo “scivolone”. Sbagliare è umano, si sa, eppure molti ignorano quanto sia importante. “Errare” è un concetto denigrato, talvolta viene persino ritenuto inaccettabile. Viviamo in una società in cui si parla sempre del primo, di colui che vince e non sbaglia. È scorretto. Non dimentichiamo: senza l’errore il risultato è nullo. Ergo voglio credere che “Natsu e no Tobira”, anime del 1981 tratto dall’omonimo manga del 1975 di Takemiya K. sia solo un esperimento fallito, un flop destinato a risorgere pochi anni dopo in uno dei migliori manga che abbia mai letto.
A questo punto, come ormai da consuetudine, possiamo procedere con l’autopsia di codesto “anime”.
Trama e sceneggiatura
Disastro. Un vero e proprio “projettile litale”.
L’anime è ambientato in Francia, alla fine del XIX secolo. Un biondo ragazzino, Marion, che a tratti ricorda Gilbert de “Il poema del vento e degli alberi” (ma solo esteticamente), corre disperato, invocando i nomi di Jacques e Lind, due suoi amici che stanno per affrontarsi a duello.
Con una presentazione in medias res, l’anime sembrerebbe prendere fin da subito un’ottima piega, dai toni drammatici. Ci pensa però il flashback, che segue repentino il violento incipit, a far sparire la magia.
Andiamo indietro di una stagione: siamo in un collegio maschile, dove quattro baldi giovani si apprestano a passare insieme le vacanze estive. Marion, il biondino dell’incipit, è l’idolo della scuola, bello e innocente. Jacques, Lind e Claude sono i suoi tre compagni di merende, tutti invaghiti della timida Ledania, incantevole ragazzina che però è innamorata proprio di Marion. La giovane, in realtà, nonostante abbia la stessa personalità di una cassapanca, è ammirata da mezza Francia (cassapanche incluse), tant’è che Marion, per placare due studenti con gli ormoni a mille, si vede costretto a proteggerla ingaggiando una sfida pericolosa sulle rotaie di una ferrovia. Fortunatamente (ma non per il pubblico) è il biondino a trionfare, ma il folle gesto attira una passeggera: Sara Veeda, raffinata nobildonna (?), scende dal treno e lo bacia sulle labbra, con un tempismo (e una coerenza) secondo solo quello di Sekai di “School Days”... Tant’è che Marion, da bravo ragazzo, ne resta visibilmente turbato. Preso dall’agitazione, il bel biondo corre sconvolto sotto la pioggia, senza meta, fino a crollare a terra sfinito. Sara, con un tempismo più assurdo di un deus ex machina, lo trova e lo accoglie tra le proprie mura, ma non solo. Da brava laureata cum laude all’Università della tromba seduce il ragazzo (palesemente stordito), unendosi a lui in una notte di passione.
«Potrei vomitare...»
Ha ragione, Professor Piton, in effetti questa scena riesce nell’impresa di far schifo su tutti i fronti:
- A livello “letterale”. La regia è atroce, con l’aspetto erotico che viene a malapena accennato (tra l’altro in maniera confusa). Non che ci tenessi a vedere chissà cosa, ma, giacché vuoi andare sull’hot, fallo come si deve. Qui l’intero rapporto assume i connotati di uno stupro non consenziente, del quale tra l’altro si capisce poco o niente. La scena, complessivamente, è ridicola.
- A livello “allegorico”. Il rapporto tra il giovane e la donna matura è completamente inutile ai fini della trama, complice la sceneggiatura scollata. Non c’è alcun risvolto, nessuna conseguenza psicologica per il nostro Marion, che subisce come un pupazzo le avances della donna. Il ragazzo, in totale contraddizione con la sceneggiatura, finisce per accettare il tutto. Ammetto che questa relazione (tra giovane e meno giovane) sarebbe persino potuta essere intrigante, ma doveva essere contestualizzata (e coerente) con la trama. Così assume la stessa profondità di un hentai disimpegnato.
- A livello “morale”. Riassumibile nella frase di Sara Veeda, «Era agitato, così l’ho calmato», con tanto di benestare dell'amante/marito. In altre parole, se vedo una persona debole e indifesa, è giusto approfittarne sessualmente, così da rincuorarne lo spirito. Ma è strabiliante! Altro che farmaci... Dovrebbero introdurla nel Kaplan come strumento di riabilitazione psicoterapeutica. Eureka!
- A livello “anagogico”. Va beh, forse per questo cartone animato da due cent non ne vale nemmeno la pena, giacché la morale è così disastrata da impedire qualsivoglia riflessione universale. Ma sta di fatto che complessivamente è una scena inutile, gettata a caso per la sola libido dello spettatore o per qualche perversione dell’autrice.
Arrivati a fatica al quarantesimo minuto, tra frame interminabili e sceneggiatura sconclusionata, arriva il rush, come da manuale del pessimo regista: Marion è rimbambito, a metà tra una tempesta ormonale e una crisi spirituale, Jacques e Lind accettano la cosa e poi tornano a contendersi Ledania, tappezzeria dal sangue blu. Claude, segretamente innamorato di Marion, impazzisce: non riesce ad accettare la “relazione” tra Veeda e l’amico, finendo così per assalirlo (avete capito benissimo). Il biondo, evidente calamita per il sesso occasionale, si ribella con forza. Claude, confuso dal gesto e dalle proprie emozioni, prima scappa, poi si suicida. Le cose non vanno meglio per Jacques e Lind, che arrivano a sfidarsi mortalmente a duello per Ledania. Solo l’intervento di Marion pone fine alla lite (e allo strazio del film).
«Eravamo ancora ragazzi... poi arrivò l’autunno. Lind si trasferì in una scuola nella lontana Parigi. E Marion, che aveva ricevuto una grave ferita, finì per tornare alla casa della madre... anche l’autunno passò senza il suo ritorno... e Jacques, tornato da solo alla scuola, pare che si sia fidanzato con Ledania. All’ombra delle palme dorme l’estate dei ragazzi.»
E finisce così. No, non sto scherzando. Quando la storia sembrerebbe prendere uno pseudo-senso (con un mood da tragedia trash shakespeariana), tutto si conclude. Senza nemmeno la briga di dire che fine hanno fatto i nostri baldi giovani (non che interessi a qualcuno).
Sarò schietto: la sceneggiatura è oscena. Non si può nemmeno definire tale. Tolto l’incipit (classico), l’intera trama si regge sul nulla. È letteralmente una serie di drammi che si abbattono su un gruppo di ragazzini, in un’ambientazione priva di contesto. Il pacing è prima lento, con quaranta minuti di nulla cosmico, poi corre freneticamente, gestendo una cosa come tre sotto-trame in appena un quarto d’ora. Il risultato è disastroso, oltre che incompiuto. Siamo al di sotto della media di una fan fiction scritta di fretta e furia.
Le tematiche trattate sono troppe e mal gestite: omosessualità repressa, conflitto violento amoroso, crisi spirituale, pseudo-sofismi da Baci Perugina... Tutto questo dramma, buttato a caso senza un’adeguata contestualizzazione, assume connotati grotteschi, quasi comici.
La trama è complessivamente inesistente, fastidiosamente inutile. Più che una storia, questo anime ricorda una bozza, una malacopia di un autore intento a sperimentare varie idee. Ignoro come una simile “cosa” possa aver ricevuto l’approvazione di un editor ed essere prima pubblicata su carta, poi persino sceneggiata ad anime.
Personaggi
Il nulla. Zero assoluto.
I personaggi sono appena una manciata, eppure non sono minimamente approfonditi. Vengono delineati all’inizio, con tanto di volto e nome affibbiato a mo' di soap opera argentina. Poi si perdono nel nulla, muovendosi a caso nella (non) trama. Ed è qui che salta all'occhio l’aspetto più grave dell’intera opera, peggiore persino di una scrittura superficiale: l’incoerenza. Marion è un bravo e coraggioso ragazzo, fin troppo paladino della giustizia. Nell’arco di due minuti diviene molle, stordito sotto una tempesta ormonale che lo trasforma prima in un inetto, poi in un depresso. Le sue azioni sono completamente inutili ai fini della storia (salvo forse il finale). Subisce gli eventi come un parafulmine attira sciagure. Gli amici per la pelle Lind e Jacques, dopo una singola battuta, arrivano a trucidarsi a suon di rivoltella, in un nome di un amore che li ricambia come il mio cactus sul comodino. Claude, il migliore del cast, ha una crisi interessante, ma comunque è troppo rapida, fuori contesto, vittima dei problemi di trama sopra citati. Perlomeno è coerente. Ledania, la bella pietra ornamentale, non fa altro che farsi ammirare, a mo' di principessa irraggiungibile in cima alla torre (e che ci resti, a questo punto). «Marion!» rappresenta grossomodo tre quarti delle sue battute. Veeda è tra i peggiori personaggi mai scritti. È così mal gestita da assumere i connotati di un villain, un good e marginal character al tempo stesso. La sua ninfomania, fatta passare come un modo estremo di dare affetto a uno sconosciuto giù di morale, è talmente becera, da renderla sgradevole. Il suo comportamento è intollerabile, per non dire malato. Nel mondo reale, una persona del genere verrebbe prima insultata, e poi arrestata. Il problema comunque non è legato alla relazione sopra le righe, che trovo di per sé una tematica interessante. Il vero dramma è che, non essendoci una backstory, il gesto risulta alla fine inutile, becero e grottesco. Tutta la scena del rapporto pare una cattiveria fine a sé stessa con il solo scopo di mostrare due bocce al vento. Boh. Sono senza parole.
Grafica e audio
Magra consolazione, senza un fil di grasso.
Il comparto grafico è nella media, almeno per l’epoca. Molti frame sono eccessivamente statici, ma le animazioni sono discrete. Fortunatamente l’anime riesce a mantenere il bellissimo tratto dell’autrice, maestra impareggiabile dell’emotività. I volti, spigolosi, presentano gli stessi bellissimi occhi che ho visto ne “Il poema del vento e degli alberi”. Molto bello l’uso dell’acquerello, che conferisce uno stile classico simile ai meisaku dell’epoca. Le tracce audio sono limitate, ma discrete. Tecnicamente è un anime da 6,5.
Conclusioni
Beh, immagino l’abbiate capito. L’autopsia ha un referto inclemente.
“Natsu e no Tobira” è una bozza, una malacopia scartata della Takemiya, che per qualche misterioso motivo ha visto la luce come manga e poi come anime. Nonostante bocci in toto l’opera, mi sento di fare una precisazione. Ho ritrovato in questa storia alcune tematiche de “Il poema del vento e degli alberi”. Qui, in “Natsu e no Tobira”, sono solo abbozzate e mal gestite, ma ciò non toglie come questa mezza “schifezza” sia servita da trampolino di lancio per qualcosa di eccelso.
Non consiglio la visione di questo anime, forse solo agli studiosi di animazione e ai fan più accaniti della Takemiya. Sento però di doverlo ringraziare. Ringrazio questo flop se ha consentito all’autrice di partorire la sua più grande opera, come accade per tantissimi artisti. Anche Mozart, prima di arrivare a “Le nozze di Figaro”, passò per decine, che dico, centinaia di spartiti mai pubblicati, oggi custoditi nei musei di Vienna.
Ergo, se siete d’accordo con il mio pensiero, accettate la sfida, proprio come Marion lasciatevi allo shit taste, guardate questo anime. Lo disprezzerete (molto probabilmente), ma apprezzerete ancor di più la bellezza dello sbaglio, spesso preludio di un grande successo.
N2T2U 2 NO TO2I2A
Sordido pioniere dello shonen-ai e nel contempo d’uno shoujo ai limiti del paradossale, “Natsu e no Tobira”, suo malgrado, si palesa come antesignano sui generis, capace di racchiudere tutto e niente, patriarca di un disagio raramente vissuto davanti a uno schermo in quattro terzi, il tutto trasposto da un manga (ormai vintage) di Takemiya, stessa autrice de “Il poema del vento e degli alberi”, primo manga yaoi della storia.
Pronti via, ed ecco che una splendida melodia ci prende per mano. Ma... cosa succede? Le note si strozzano, tremano, complice una “pellicola” antidiluviana, e, quando il tutto finalmente si raddrizza, facciamo finalmente conoscenza con una colonna sonora semplicemente fantastica, sublime, malinconica e irresistibile: sarà l’unico punto di forza di quest’opera imbarazzante.
Dall’angolo più ingiallito degli acerbi anni ottanta (appena usciti dai brillanti settanta, fra ciuffi cotonati, vitine di vespa, arti sproporzionati e pantaloni a zampa d’elefante), emergono colori acquarellati (male), sfondi appena accennati, inquietanti, capaci di trasmettere una tristezza senza precedenti; ciò non è altro che l’anfiteatro nel quale si esibiranno alcuni collegiali francesi di fine Ottocento. Ogni elemento pare emergere in punta di piedi, parte di un incipit incomprensibile, confuso ancor di più da sfondi onirici, sfumature angoscianti che presagiscono tutto tranne che una bella estate di gioie adolescenziali.
Quel che sembrerebbe essere l’ibrido grottesco fra un film di Alvaro Vitali e la versione mediocre delle fantasie di Lars Von Trier, scopriamo esser ambientato in un collegio d’Oltralpe.
Qui facciamo la conoscenza di Marion, giovane, biondissimo e affascinante studente che nulla sa della complessità dell’amore, dei suoi tormenti e delle sue intensissime gioie, né può immaginare l’amarezza di noi spettatori nel sorbirci un simile film per cinquanta minuti filati. Marion è compagno di altri altolocati giovincelli frequentanti il sopracitato istituto - di soli maschi - in quel di Francia. L’unica ragazza in vista è Ledania, figlia del preside dell’istituto, desideratissima e corteggiata da tutti i maschi, orgogliosi bellimbusti che s’azzuffano e sfidano per contendersi la sua mano.
Lei, tuttavia, è segretamente innamorata proprio di Marion, il quale non la considera minimamente, per nulla attratto dai contorti meccanismi del cuore, tant’è che pare volerne stare lontano il più possibile.
Tutto ciò cambierà, quando, in uno dei tanti duelli fra maschietti-trogloditi dell’istituto, da un treno in piena corsa, fermato in extremis proprio a causa di tale sfida (credetemi, l’intera scena non ha alcun senso!), scenderà un’avvenente donna di mezz’età di nome Sara Vieda, scalpitante ‘milfona’ dal bacio facile e dalle voglie imprevedibili, incline a tendenze che oggi potremmo valutare tranquillamente al limite del penale, ma che in questo obsoleto contesto assumeranno un significato fondamentale ai fini della sgangherata trama.
A prescindere dalla funzionalità, la sua comparsa lascia davvero perplessi, proprio come tante altre scelte narrative: spesso le azioni dei protagonisti appaiono impulsive, casuali, insensate o forzate. Scatti d’umore e reazioni immotivate al limite del grottesco sostituiscono atteggiamenti che ci aspetteremmo più realistici; parimenti, ben si nota la mancanza d’approfondimenti sulle questioni romantiche e sofferte che avrebbero trasformato questo imbarazzante connubio fra Giovannona Coscialunga franco-iberica e mister Lolito in qualcosa di quantomeno accettabile.
Al di là dalle scelte degli autori, quest’opera s’impronta sin da subito e a tutti i costi come una rudimentale fiera del grottesco, donando ai posteri un intero vassoio di disagio assortito, una bibita al gusto di fallimento da bersi tutta d’un fiato per provare una discreta nausea, che difficilmente ci lascerà senza turbamenti. Sia ben chiaro: tali turbamenti non nascono dai temi che l’anime tratta, perché come scheletro narrativo sembrerebbe delinearsi una vicenda davvero intrigante, ricca di spunti importanti, un prodotto di formazione adolescenziale sia drammatico che conturbante, intento ad esplorare situazioni contorte e - per il tempo - davvero spinose da affrontare. Tali sopracitati turbamenti sono inevitabilmente generati dal miserabile, squallido e insensato modo con cui vengono esposti.
“Natsu e no Tobira” mostra un metodo di scorrimento inquietante, con pause narrative spesso inutili, imbarazzanti osservazioni da parte di un narratore sovente fuori luogo e - cromaticamente parlando - sfumature di vacui, smorti acquarelli che, di tanto in tanto, sembrano azzeccarci poco con le variegate frequenze emotive. La pletora di musiche malinconiche tanto belle quanto confondenti non aiutano a ricomporre un puzzle che pare mancare di tanti, importantissimi tasselli: è evidente che il prodotto sia invecchiato malissimo e, probabilmente, già al tempo faceva storcere il naso.
Le analogie nipponiche che si dedicano al tormento giovanile si sprecano. Adolescenti in piena fase turbolenta, anime incomplete, né ancora uomini né più innocenti ragazzini; il solito guardar avanti, oltre, verso un futuro più ottimistico è un discorso che qui regge poco, poco pertinente ai confusi e variegati eventi che vengono gettati davanti agli occhi dello spettatore, ammassandosi senza logica.
Avvertiamo le influenze di Ryoko Ikeda e della sua amatissima Oscar, ma “Le rose di Versailles” non aiutano certo a far fiorire questo campo di ortiche: il perno della vicenda è la comparsa, come anticipato, di Sara Vieda, bellissima donna dallo charme smisurato che, senza motivi apparenti, s’invaghisce del giovanissimo Marion, tirando fuori una filanda di motivi (scuse) per giustificare il suo desiderio, in primis la volontà di far scoprire al giovane e ignaro sbarbatello le differenze fra amore e sesso, i piaceri della carne e la leggiadria di due anime unite in un intenso amplesso mosso da mani esperte. Sorriso da infoiata, occhio voglioso a mezz’asta e sguardo di chi la sa fin troppo lunga: impossibile resisterle, se sei un giovincello confuso e in piena tempesta ormonale, e che, soprattutto, non ha mai assaggiato “l’unico frutto dell’amor” (citazione trash, in linea col prodotto recensito).
Il biondino spavaldo che fino a un minuto prima non sopportava le timide ma dolcissime occhiate di Ledania (prototipo della giovane pura e innocente, ahinoi soprammobile di poca rilevanza in una vicenda intrisa di falso machismo), cede immantinente alle avances e alle cosce profumate della viziosa madama, pronta a trascinarlo in una notte d’estasi e piaceri mai provati prima. Anche qui troviamo scelte registiche imbarazzanti, trovate grottesche che, invece di solleticare la fantasia e dare l’input per una trasgressione decisamente anticonvenzionale, fanno soltanto scuotere la testa: proprio quando l’anime mostra il “meglio” di sé, ovvero nella parte centrale - più intensa e ardente -, tali trovate fanno crepare l’intonaco delle buone intenzioni e tutto vien giù velocemente.
C’è ben poco da parafrasare: in una Francia post-reazionaria, questa vicenda, che come da titolo apre le porte a un’estate di travagli e cuori infranti, tenta di raccontare ogni aspetto di un romanticismo demodé, reo di concetti ormai sopiti, antichi e fuori registro per i nostri tempi, ma, si sa, le pulsioni adolescenziali sono identiche in ogni epoca, e la malinconia crescente di una storia che presto volgerà in tragedia fanno accrescere un rimpianto davvero grande, perché le basi per un prodotto davvero interessante c’erano tutte. Si continua ad assistere alla visione sperando in qualche spunto decisivo che svolti da una diffusa sensazione di fastidio, mentre invece accade l’opposto: il fastidio diviene irritazione, quando vengono introdotti altri elementi che dovrebbero aggiungere pathos e sofferenza, mentre finiscono per ispirare costernazione e delusioni frammentate. Un po' come quando trovi un paio di scarpe che sembrano carine, ma, una volta calzate, risultano insopportabili dopo solo due passi.
Tutto ruota comunque attorno a Marion e alle sue esperienze estive fino a un epilogo di tragedie, sfortune e delusioni, una fra tante la comparsa del marchese a cui Sara Vieda appartiene (?).
Marion è quindi una Lolita al maschile, ferito, confuso, eppure limpido e innocentissimo, calamitato e sconclusionato, protagonista di una vicenda fastidiosa e sbiadita.
Alcuni tratti quasi onirici paiono trasformare il metodo narrativo da realistico a un vago introspettivo, e tale trovata, invece di arricchire l’opera a livello poetico, confonde ancor di più lo spettatore.
Chiaramente anacronistica, invece, per i tempi che corrono - e come accennato precedentemente – la mercificazione di Ledania, bambolina-soprammobile che sembra dover esistere esclusivamente per apparire bella e contesa, la “fanciulla da sposare”, carina e basta, mai interpellata sui propri sentimenti, fino a quando non sarà lei ad esternarli: è appannaggio dei protagonisti decidere se amarla, sposarla, respingerla, come se il suo parere conti zero, essendo la storia ambientata negli ultimi anni del 1800 (e quindi, storicamente pertinente). Tuttavia, la giovane bistrattata riuscirà ad avere il suo piccolo momento di rivalsa proprio verso un finale confuso e sconcertante.
Già, il finale.
Un doppio climax troppo frettoloso e troppo forzato, con atteggiamenti ridicolmente esasperati (un vero scempio aver bruciato il tormento di uno dei compagni di Marion con un espediente narrativo rapido e poco curato!), e un percorso che permette di arrivarci (male), che non convince affatto.
“Natsu e no Tobira” è a tutti gli effetti un trash sentimentale con tratti di genio interpretati nel peggiore dei modi, un voler narrare le stagioni dell’amore e dell’erotismo in maniera goffa e per nulla convincente, tramite animazioni mediocri e dialoghi mediamente ridicoli.
A metà fra l’insopportabile e l’improbabile, a distanza di tanti anni la visione risulta decisamente insulsa e fallimentare: avrebbe potuto raccontarci molto, e in fondo lo fa, ma è come ascoltare un’intensa poesia di d’Annunzio recitata da un ubriaco in preda a spasmi epilettici.
Nel 1975 esordiva il manga di “Caro Fratello”, che affrontava tematiche simili e con toni forse ancor più forti, ma di tutt’altra caratura, metro di paragone impietoso. Unica nota davvero positiva, da ribadire, una colonna sonora splendida (il pezzo finale interpretato da Kentaro Haneda è sublime).
È vero, siamo di fronte a un antenato di un mix di generi oggi esplorati in lungo e in largo, e sappiamo tutti che senza questi primi esperimenti non ci sarebbe stato seguito, ma la valutazione complessiva non può che essere decisamente negativa.
Squallido, mal narrato, sconclusionato.
Sordido pioniere dello shonen-ai e nel contempo d’uno shoujo ai limiti del paradossale, “Natsu e no Tobira”, suo malgrado, si palesa come antesignano sui generis, capace di racchiudere tutto e niente, patriarca di un disagio raramente vissuto davanti a uno schermo in quattro terzi, il tutto trasposto da un manga (ormai vintage) di Takemiya, stessa autrice de “Il poema del vento e degli alberi”, primo manga yaoi della storia.
Pronti via, ed ecco che una splendida melodia ci prende per mano. Ma... cosa succede? Le note si strozzano, tremano, complice una “pellicola” antidiluviana, e, quando il tutto finalmente si raddrizza, facciamo finalmente conoscenza con una colonna sonora semplicemente fantastica, sublime, malinconica e irresistibile: sarà l’unico punto di forza di quest’opera imbarazzante.
Dall’angolo più ingiallito degli acerbi anni ottanta (appena usciti dai brillanti settanta, fra ciuffi cotonati, vitine di vespa, arti sproporzionati e pantaloni a zampa d’elefante), emergono colori acquarellati (male), sfondi appena accennati, inquietanti, capaci di trasmettere una tristezza senza precedenti; ciò non è altro che l’anfiteatro nel quale si esibiranno alcuni collegiali francesi di fine Ottocento. Ogni elemento pare emergere in punta di piedi, parte di un incipit incomprensibile, confuso ancor di più da sfondi onirici, sfumature angoscianti che presagiscono tutto tranne che una bella estate di gioie adolescenziali.
Quel che sembrerebbe essere l’ibrido grottesco fra un film di Alvaro Vitali e la versione mediocre delle fantasie di Lars Von Trier, scopriamo esser ambientato in un collegio d’Oltralpe.
Qui facciamo la conoscenza di Marion, giovane, biondissimo e affascinante studente che nulla sa della complessità dell’amore, dei suoi tormenti e delle sue intensissime gioie, né può immaginare l’amarezza di noi spettatori nel sorbirci un simile film per cinquanta minuti filati. Marion è compagno di altri altolocati giovincelli frequentanti il sopracitato istituto - di soli maschi - in quel di Francia. L’unica ragazza in vista è Ledania, figlia del preside dell’istituto, desideratissima e corteggiata da tutti i maschi, orgogliosi bellimbusti che s’azzuffano e sfidano per contendersi la sua mano.
Lei, tuttavia, è segretamente innamorata proprio di Marion, il quale non la considera minimamente, per nulla attratto dai contorti meccanismi del cuore, tant’è che pare volerne stare lontano il più possibile.
Tutto ciò cambierà, quando, in uno dei tanti duelli fra maschietti-trogloditi dell’istituto, da un treno in piena corsa, fermato in extremis proprio a causa di tale sfida (credetemi, l’intera scena non ha alcun senso!), scenderà un’avvenente donna di mezz’età di nome Sara Vieda, scalpitante ‘milfona’ dal bacio facile e dalle voglie imprevedibili, incline a tendenze che oggi potremmo valutare tranquillamente al limite del penale, ma che in questo obsoleto contesto assumeranno un significato fondamentale ai fini della sgangherata trama.
A prescindere dalla funzionalità, la sua comparsa lascia davvero perplessi, proprio come tante altre scelte narrative: spesso le azioni dei protagonisti appaiono impulsive, casuali, insensate o forzate. Scatti d’umore e reazioni immotivate al limite del grottesco sostituiscono atteggiamenti che ci aspetteremmo più realistici; parimenti, ben si nota la mancanza d’approfondimenti sulle questioni romantiche e sofferte che avrebbero trasformato questo imbarazzante connubio fra Giovannona Coscialunga franco-iberica e mister Lolito in qualcosa di quantomeno accettabile.
Al di là dalle scelte degli autori, quest’opera s’impronta sin da subito e a tutti i costi come una rudimentale fiera del grottesco, donando ai posteri un intero vassoio di disagio assortito, una bibita al gusto di fallimento da bersi tutta d’un fiato per provare una discreta nausea, che difficilmente ci lascerà senza turbamenti. Sia ben chiaro: tali turbamenti non nascono dai temi che l’anime tratta, perché come scheletro narrativo sembrerebbe delinearsi una vicenda davvero intrigante, ricca di spunti importanti, un prodotto di formazione adolescenziale sia drammatico che conturbante, intento ad esplorare situazioni contorte e - per il tempo - davvero spinose da affrontare. Tali sopracitati turbamenti sono inevitabilmente generati dal miserabile, squallido e insensato modo con cui vengono esposti.
“Natsu e no Tobira” mostra un metodo di scorrimento inquietante, con pause narrative spesso inutili, imbarazzanti osservazioni da parte di un narratore sovente fuori luogo e - cromaticamente parlando - sfumature di vacui, smorti acquarelli che, di tanto in tanto, sembrano azzeccarci poco con le variegate frequenze emotive. La pletora di musiche malinconiche tanto belle quanto confondenti non aiutano a ricomporre un puzzle che pare mancare di tanti, importantissimi tasselli: è evidente che il prodotto sia invecchiato malissimo e, probabilmente, già al tempo faceva storcere il naso.
Le analogie nipponiche che si dedicano al tormento giovanile si sprecano. Adolescenti in piena fase turbolenta, anime incomplete, né ancora uomini né più innocenti ragazzini; il solito guardar avanti, oltre, verso un futuro più ottimistico è un discorso che qui regge poco, poco pertinente ai confusi e variegati eventi che vengono gettati davanti agli occhi dello spettatore, ammassandosi senza logica.
Avvertiamo le influenze di Ryoko Ikeda e della sua amatissima Oscar, ma “Le rose di Versailles” non aiutano certo a far fiorire questo campo di ortiche: il perno della vicenda è la comparsa, come anticipato, di Sara Vieda, bellissima donna dallo charme smisurato che, senza motivi apparenti, s’invaghisce del giovanissimo Marion, tirando fuori una filanda di motivi (scuse) per giustificare il suo desiderio, in primis la volontà di far scoprire al giovane e ignaro sbarbatello le differenze fra amore e sesso, i piaceri della carne e la leggiadria di due anime unite in un intenso amplesso mosso da mani esperte. Sorriso da infoiata, occhio voglioso a mezz’asta e sguardo di chi la sa fin troppo lunga: impossibile resisterle, se sei un giovincello confuso e in piena tempesta ormonale, e che, soprattutto, non ha mai assaggiato “l’unico frutto dell’amor” (citazione trash, in linea col prodotto recensito).
Il biondino spavaldo che fino a un minuto prima non sopportava le timide ma dolcissime occhiate di Ledania (prototipo della giovane pura e innocente, ahinoi soprammobile di poca rilevanza in una vicenda intrisa di falso machismo), cede immantinente alle avances e alle cosce profumate della viziosa madama, pronta a trascinarlo in una notte d’estasi e piaceri mai provati prima. Anche qui troviamo scelte registiche imbarazzanti, trovate grottesche che, invece di solleticare la fantasia e dare l’input per una trasgressione decisamente anticonvenzionale, fanno soltanto scuotere la testa: proprio quando l’anime mostra il “meglio” di sé, ovvero nella parte centrale - più intensa e ardente -, tali trovate fanno crepare l’intonaco delle buone intenzioni e tutto vien giù velocemente.
C’è ben poco da parafrasare: in una Francia post-reazionaria, questa vicenda, che come da titolo apre le porte a un’estate di travagli e cuori infranti, tenta di raccontare ogni aspetto di un romanticismo demodé, reo di concetti ormai sopiti, antichi e fuori registro per i nostri tempi, ma, si sa, le pulsioni adolescenziali sono identiche in ogni epoca, e la malinconia crescente di una storia che presto volgerà in tragedia fanno accrescere un rimpianto davvero grande, perché le basi per un prodotto davvero interessante c’erano tutte. Si continua ad assistere alla visione sperando in qualche spunto decisivo che svolti da una diffusa sensazione di fastidio, mentre invece accade l’opposto: il fastidio diviene irritazione, quando vengono introdotti altri elementi che dovrebbero aggiungere pathos e sofferenza, mentre finiscono per ispirare costernazione e delusioni frammentate. Un po' come quando trovi un paio di scarpe che sembrano carine, ma, una volta calzate, risultano insopportabili dopo solo due passi.
Tutto ruota comunque attorno a Marion e alle sue esperienze estive fino a un epilogo di tragedie, sfortune e delusioni, una fra tante la comparsa del marchese a cui Sara Vieda appartiene (?).
Marion è quindi una Lolita al maschile, ferito, confuso, eppure limpido e innocentissimo, calamitato e sconclusionato, protagonista di una vicenda fastidiosa e sbiadita.
Alcuni tratti quasi onirici paiono trasformare il metodo narrativo da realistico a un vago introspettivo, e tale trovata, invece di arricchire l’opera a livello poetico, confonde ancor di più lo spettatore.
Chiaramente anacronistica, invece, per i tempi che corrono - e come accennato precedentemente – la mercificazione di Ledania, bambolina-soprammobile che sembra dover esistere esclusivamente per apparire bella e contesa, la “fanciulla da sposare”, carina e basta, mai interpellata sui propri sentimenti, fino a quando non sarà lei ad esternarli: è appannaggio dei protagonisti decidere se amarla, sposarla, respingerla, come se il suo parere conti zero, essendo la storia ambientata negli ultimi anni del 1800 (e quindi, storicamente pertinente). Tuttavia, la giovane bistrattata riuscirà ad avere il suo piccolo momento di rivalsa proprio verso un finale confuso e sconcertante.
Già, il finale.
Un doppio climax troppo frettoloso e troppo forzato, con atteggiamenti ridicolmente esasperati (un vero scempio aver bruciato il tormento di uno dei compagni di Marion con un espediente narrativo rapido e poco curato!), e un percorso che permette di arrivarci (male), che non convince affatto.
“Natsu e no Tobira” è a tutti gli effetti un trash sentimentale con tratti di genio interpretati nel peggiore dei modi, un voler narrare le stagioni dell’amore e dell’erotismo in maniera goffa e per nulla convincente, tramite animazioni mediocri e dialoghi mediamente ridicoli.
A metà fra l’insopportabile e l’improbabile, a distanza di tanti anni la visione risulta decisamente insulsa e fallimentare: avrebbe potuto raccontarci molto, e in fondo lo fa, ma è come ascoltare un’intensa poesia di d’Annunzio recitata da un ubriaco in preda a spasmi epilettici.
Nel 1975 esordiva il manga di “Caro Fratello”, che affrontava tematiche simili e con toni forse ancor più forti, ma di tutt’altra caratura, metro di paragone impietoso. Unica nota davvero positiva, da ribadire, una colonna sonora splendida (il pezzo finale interpretato da Kentaro Haneda è sublime).
È vero, siamo di fronte a un antenato di un mix di generi oggi esplorati in lungo e in largo, e sappiamo tutti che senza questi primi esperimenti non ci sarebbe stato seguito, ma la valutazione complessiva non può che essere decisamente negativa.
Squallido, mal narrato, sconclusionato.
Tratto dall'omonimo manga, la cui autrice, Keiko Takemiya, può essere considerata come una delle mangaka più di rilievo sul fronte "shojo" degli anni settanta, "Natsu e no Tobira", uscito nel 1981, è un film che mi ha deluso.
La storia è ambientata in Francia, a fine Ottocento, e vede come protagonista Marion, un adolescente che, assieme ai sui compagni, trascorre l'estate in un collegio. Il ragazzo è oggetto d'amore della bella Ledania, sua coetanea, ma è anche oggetto di desiderio di una donna matura, Sara, molto più grande di lui, con cui inizierà ben presto una losca relazione. Subentrerà pure una terza persona in questo triangolo, un suo compagno di scuola, cosicché il film andrà a sfiorare pure il tema dell'omosessualità.
In realtà, in questo film, tutte le tematiche, come l'amore adolescenziale, le relazioni con grande differenza d'età, l'omosessualità, appunto, seppur interessanti, e decisamente dei tabù per quegli anni, vengono solo abbozzate e affrontate davvero male.
Duelli, baci, pugni, dichiarazioni di matrimonio, schiaffi, sangue, sesso e abbracci sembrano sbucare dal nulla e buttati lì a caso. E così le emozioni e le reazioni emotive dei protagonisti. Tutto appare caotico e sconclusionato, senza vero sentimento e coinvolgimento.
I personaggi, poi, non sono per nulla ben caratterizzati, ragion per cui non ci si può né immedesimare (sebbene di materiale ce ne sarebbe per tutti i gusti per il quale immedesimarsi) né empatizzare.
Tuttavia, c'è un personaggio, e le azioni di questo, che mi ha colpito, perché turbato, o forse sarebbe meglio dire disgustato. Parlo di Sara Veeda, la donna matura, che avrebbe dovuto far la parte della signora distinta e raffinata, ma si distingue solo per motivi che di stile e raffinatezza hanno ben poco.
Premetto che la sottoscritta non si considera una persona bigotta e poco aperta, non si scandalizza di fronte a relazioni, diciamo, fuori dagli schemi. Anzi, mi affascinano. Ma qui, in questo film, si rasentano atti di pedofilia e di abuso sessuale. E questo mi ha preso in contropiede, perché mi aspettavo una storia intrigante e coinvolgente. Niente di tutto ciò. Sara Veeda seduce e si porta a casa, come niente fosse, il ragazzino. Lo lava e lo accudisce come fosse un bambino, e la grafica ha contribuito a darmi l'impressione che il personaggio maschile in oggetto fosse molto più piccolo di un adolescente. Non ho visto un ragazzo fatto, maturo. Ho visto solo un bambino sotto le grinfie di una matrona vogliosa. Difatti, "il ragazzo", di primo acchito si oppone con tutte le sue forze e grida alle avances di lei. E tutto questo, appunto, mi ha disgustato. Insomma, lo ribadisco, lei che seduce lui, in quel modo, non mi è piaciuto per niente. Mi è sembrato di vedere una madre a letto col figlio, una situazione fastidiosa!
Nulla da dire sulla bellezza del corpo di lei, le sue rotondità son state davvero ben rappresentate. Al contrario di lui, che, ripeto, l'ho trovato infantile (letteralmente), effeminato, e questa effemminatezza è stata acuita dalla sua non accondiscendenza e passività.
Non è la diversa età anagrafica a far la differenza, ma la maturità dei due, e il gioco dei ruoli.
Ciò che intendo dire è che una donna matura può benissimo essere affascinata da un uomo molto più giovane, e viceversa, non c'è da scandalizzarsi, succede. Ma è la maturità di entrambi a far la differenza nel gioco amoroso e a darne il giusto spessore. Se il ragazzo è immaturo di pensiero e personalità, e lo è pure la donna, immatura e inappropriata negli approcci, per l'età che ha, ne esce una situazione che davvero stona.
Nel film in questione, diverso sarebbe stato vedere un ragazzo diventare uomo, proprio perché ammaliato dal fascino di questa donna. Diverso sarebbe stato se fosse stata lei a farsi conquistare da lui, a farsi sedurre. Invece la parte del predatore l'ha fatta lei, e, addirittura, la preda non se l'è conquistata con grazia, ma di questa ne ha fatto un sol boccone velocemente! Per questo motivo, io non sono riuscita a farmi "convincere" che, dopo questi preamboli, Marion, il ragazzo, sia caduto vittima dell'amore per Sara. E neppure Sara si è comportata da donna innamorata, anzi, la definirei più capricciosa e... ninfomane!
L'unica cosa sensata che dice Marion, riguardo all'amore, è che, ora che è "innamorato", può accettare tutto, anche i suoi genitori, con cui è in conflitto (argomento anche questo solamente abbozzato, ahimè), o perdere tutto, anche i suoi amici, con i quali è molto legato. Un pensiero molto vero. A significare che, quando sei preso dall'amore, nulla ti scalfigge, e vedi tutto con occhi nuovi, e rinnovata energia.
Ma... Come e quando Marion si sia "innamorato" dell'orca assassina, io non ne ho la più pallida idea. Forse, più che innamorato, è stato colto dalla Sindrome di Stoccolma, nella quale è noto che tra la vittima e il proprio aguzzino si sviluppa un certo legame emotivo.
Ma forse, più semplicemente, come spesso accade tra gli adolescenti, Marion ha un forte dissidio interiore per quel che concerne l'amore e il sesso. A farla breve, e misera, questa storia, superato l'iniziale imbarazzo (più precisamente, abuso subito), in Marion hanno avuto la meglio gli ormoni maschili e... gli è piaciuto, confondendo il piacere fisico con l'innamoramento.
Come si può vedere, da qualsiasi punto si guardi questa vicenda, non c'è proprio spessore in questo pseudo-amore.
E che dire degli altri personaggi? Macchiette.
Ledania, che dovrebbe essere perdutamente innamorata di Marion, non mi ha detto nulla. Piatta, passiva e dalle improvvise reazioni illogiche. L'amico omosessuale, la cui omosessualità viene solo affrontata di striscio e superficialmente, come Ledania non dà rilievo al proprio amore. Il marito di Sara, cameo di questo capolavoro, sembra far la parte dell'uomo evoluto e aperto, per i commenti di approvazione che fa alla moglie riguardo al suo approccio "affettivo" verso Marion. Tutti gli altri attori non li ricordo neppure.
Spendendo due parole anche sul comparto grafico, direi che disegni e animazioni sono mediocri, i fondali sono piatti e sbiaditi. Probabilmente il risultato non è soddisfacente perché il lavoro è datato. Tuttavia, se penso che in quegli anni uscirono prodotti come "Lady Oscar" (che nel character design dei personaggi, qui, un poco lo ricorda), non posso che storcere il naso e pensare che si poteva di sicuro far di meglio.
Il comparto sonoro invece è discreto, e buono quando subentrano pezzi al pianoforte che danno quel senso drammatico della storia. Laddove non ci riescono trama e personaggio, la musica almeno fa il suo dovere e ti trasmette un'emozione.
Invece, mi ha fatto sorridere, perché ho trovato un po' ridicolo, la comparsa improvvisa di musica celestiale/erotica tipica dei film alla Alvaro Vitali ed Edwige Fenech degli anni settanta/ottanta, ogni volta che entrava in scena la pornodiva, in arte Sara Veeda. Questo, direi, un vero tocco di classe.
Concludendo, questo è un film che avrebbe potuto incollarmi allo schermo, proprio per tutte le tematiche trattate (sfiorate!) e per una storia d'amore che potenzialmente poteva essere davvero intrigante e coinvolgente. E invece è stata la fiera del pacchiano, degli amori impossibili gestiti male e, di sicuro, del cattivo gusto. Anche il finale è assurdo e sconclusionato come il resto del film (che ovviamente non vi posso dire), e non insegna nulla.
"In questa terra senza strade, sotto questo cielo senza orizzonte, ho molte ragioni per scomparire. Ieri esistevo senza rendermene conto. E diversamente da oggi, niente verrà dimenticato, un motivo meraviglioso, una splendida idea, e una soluzione che deve essere figlia di quell'idea. In questo scenario, la natura è mia".
E si chiude così.
Traetene voi le conclusioni.
22.02.2022
La storia è ambientata in Francia, a fine Ottocento, e vede come protagonista Marion, un adolescente che, assieme ai sui compagni, trascorre l'estate in un collegio. Il ragazzo è oggetto d'amore della bella Ledania, sua coetanea, ma è anche oggetto di desiderio di una donna matura, Sara, molto più grande di lui, con cui inizierà ben presto una losca relazione. Subentrerà pure una terza persona in questo triangolo, un suo compagno di scuola, cosicché il film andrà a sfiorare pure il tema dell'omosessualità.
In realtà, in questo film, tutte le tematiche, come l'amore adolescenziale, le relazioni con grande differenza d'età, l'omosessualità, appunto, seppur interessanti, e decisamente dei tabù per quegli anni, vengono solo abbozzate e affrontate davvero male.
Duelli, baci, pugni, dichiarazioni di matrimonio, schiaffi, sangue, sesso e abbracci sembrano sbucare dal nulla e buttati lì a caso. E così le emozioni e le reazioni emotive dei protagonisti. Tutto appare caotico e sconclusionato, senza vero sentimento e coinvolgimento.
I personaggi, poi, non sono per nulla ben caratterizzati, ragion per cui non ci si può né immedesimare (sebbene di materiale ce ne sarebbe per tutti i gusti per il quale immedesimarsi) né empatizzare.
Tuttavia, c'è un personaggio, e le azioni di questo, che mi ha colpito, perché turbato, o forse sarebbe meglio dire disgustato. Parlo di Sara Veeda, la donna matura, che avrebbe dovuto far la parte della signora distinta e raffinata, ma si distingue solo per motivi che di stile e raffinatezza hanno ben poco.
Premetto che la sottoscritta non si considera una persona bigotta e poco aperta, non si scandalizza di fronte a relazioni, diciamo, fuori dagli schemi. Anzi, mi affascinano. Ma qui, in questo film, si rasentano atti di pedofilia e di abuso sessuale. E questo mi ha preso in contropiede, perché mi aspettavo una storia intrigante e coinvolgente. Niente di tutto ciò. Sara Veeda seduce e si porta a casa, come niente fosse, il ragazzino. Lo lava e lo accudisce come fosse un bambino, e la grafica ha contribuito a darmi l'impressione che il personaggio maschile in oggetto fosse molto più piccolo di un adolescente. Non ho visto un ragazzo fatto, maturo. Ho visto solo un bambino sotto le grinfie di una matrona vogliosa. Difatti, "il ragazzo", di primo acchito si oppone con tutte le sue forze e grida alle avances di lei. E tutto questo, appunto, mi ha disgustato. Insomma, lo ribadisco, lei che seduce lui, in quel modo, non mi è piaciuto per niente. Mi è sembrato di vedere una madre a letto col figlio, una situazione fastidiosa!
Nulla da dire sulla bellezza del corpo di lei, le sue rotondità son state davvero ben rappresentate. Al contrario di lui, che, ripeto, l'ho trovato infantile (letteralmente), effeminato, e questa effemminatezza è stata acuita dalla sua non accondiscendenza e passività.
Non è la diversa età anagrafica a far la differenza, ma la maturità dei due, e il gioco dei ruoli.
Ciò che intendo dire è che una donna matura può benissimo essere affascinata da un uomo molto più giovane, e viceversa, non c'è da scandalizzarsi, succede. Ma è la maturità di entrambi a far la differenza nel gioco amoroso e a darne il giusto spessore. Se il ragazzo è immaturo di pensiero e personalità, e lo è pure la donna, immatura e inappropriata negli approcci, per l'età che ha, ne esce una situazione che davvero stona.
Nel film in questione, diverso sarebbe stato vedere un ragazzo diventare uomo, proprio perché ammaliato dal fascino di questa donna. Diverso sarebbe stato se fosse stata lei a farsi conquistare da lui, a farsi sedurre. Invece la parte del predatore l'ha fatta lei, e, addirittura, la preda non se l'è conquistata con grazia, ma di questa ne ha fatto un sol boccone velocemente! Per questo motivo, io non sono riuscita a farmi "convincere" che, dopo questi preamboli, Marion, il ragazzo, sia caduto vittima dell'amore per Sara. E neppure Sara si è comportata da donna innamorata, anzi, la definirei più capricciosa e... ninfomane!
L'unica cosa sensata che dice Marion, riguardo all'amore, è che, ora che è "innamorato", può accettare tutto, anche i suoi genitori, con cui è in conflitto (argomento anche questo solamente abbozzato, ahimè), o perdere tutto, anche i suoi amici, con i quali è molto legato. Un pensiero molto vero. A significare che, quando sei preso dall'amore, nulla ti scalfigge, e vedi tutto con occhi nuovi, e rinnovata energia.
Ma... Come e quando Marion si sia "innamorato" dell'orca assassina, io non ne ho la più pallida idea. Forse, più che innamorato, è stato colto dalla Sindrome di Stoccolma, nella quale è noto che tra la vittima e il proprio aguzzino si sviluppa un certo legame emotivo.
Ma forse, più semplicemente, come spesso accade tra gli adolescenti, Marion ha un forte dissidio interiore per quel che concerne l'amore e il sesso. A farla breve, e misera, questa storia, superato l'iniziale imbarazzo (più precisamente, abuso subito), in Marion hanno avuto la meglio gli ormoni maschili e... gli è piaciuto, confondendo il piacere fisico con l'innamoramento.
Come si può vedere, da qualsiasi punto si guardi questa vicenda, non c'è proprio spessore in questo pseudo-amore.
E che dire degli altri personaggi? Macchiette.
Ledania, che dovrebbe essere perdutamente innamorata di Marion, non mi ha detto nulla. Piatta, passiva e dalle improvvise reazioni illogiche. L'amico omosessuale, la cui omosessualità viene solo affrontata di striscio e superficialmente, come Ledania non dà rilievo al proprio amore. Il marito di Sara, cameo di questo capolavoro, sembra far la parte dell'uomo evoluto e aperto, per i commenti di approvazione che fa alla moglie riguardo al suo approccio "affettivo" verso Marion. Tutti gli altri attori non li ricordo neppure.
Spendendo due parole anche sul comparto grafico, direi che disegni e animazioni sono mediocri, i fondali sono piatti e sbiaditi. Probabilmente il risultato non è soddisfacente perché il lavoro è datato. Tuttavia, se penso che in quegli anni uscirono prodotti come "Lady Oscar" (che nel character design dei personaggi, qui, un poco lo ricorda), non posso che storcere il naso e pensare che si poteva di sicuro far di meglio.
Il comparto sonoro invece è discreto, e buono quando subentrano pezzi al pianoforte che danno quel senso drammatico della storia. Laddove non ci riescono trama e personaggio, la musica almeno fa il suo dovere e ti trasmette un'emozione.
Invece, mi ha fatto sorridere, perché ho trovato un po' ridicolo, la comparsa improvvisa di musica celestiale/erotica tipica dei film alla Alvaro Vitali ed Edwige Fenech degli anni settanta/ottanta, ogni volta che entrava in scena la pornodiva, in arte Sara Veeda. Questo, direi, un vero tocco di classe.
Concludendo, questo è un film che avrebbe potuto incollarmi allo schermo, proprio per tutte le tematiche trattate (sfiorate!) e per una storia d'amore che potenzialmente poteva essere davvero intrigante e coinvolgente. E invece è stata la fiera del pacchiano, degli amori impossibili gestiti male e, di sicuro, del cattivo gusto. Anche il finale è assurdo e sconclusionato come il resto del film (che ovviamente non vi posso dire), e non insegna nulla.
"In questa terra senza strade, sotto questo cielo senza orizzonte, ho molte ragioni per scomparire. Ieri esistevo senza rendermene conto. E diversamente da oggi, niente verrà dimenticato, un motivo meraviglioso, una splendida idea, e una soluzione che deve essere figlia di quell'idea. In questo scenario, la natura è mia".
E si chiude così.
Traetene voi le conclusioni.
22.02.2022
È terminato il film.
E io non so bene che dire.
Tu pensi che sia una boiata? Una catastrofe animata di cattivo gusto?
Forse hai ragione tu.
Anzi, è molto facile che abbia ragione tu.
Invece a me viene in mente un verso di una canzone:
"E corre corre corre la locomotiva."
Sì, lo so, sento già che stai pensando: "Che c'entra la locomotiva?"
Lo so.
A parte il fatto che la locomotiva c'è eccome.
Com'è la locomotiva?
O almeno quella descritta dal Guccio? (n.d.r. l'autore del verso di cui sopra)
La locomotiva è veloce, è inarrestabile, è viva. La locomotiva divora le rotaie con muscoli d'acciaio, non si guarda indietro, prosegue; con forza cieca di baleno.
E forse, è un po' così anche la giovinezza, o almeno una parte di essa.
La giovinezza corre, e anche veloce.
Se puoi, ci aggiungi una sceneggiatura esageratamente immaginifica, e per certi versi forse anche teatrale, per quanto riguarda l'uso del dramma: ecco che questo film ne risulta per forza di cose appesantito ed esasperato, accelerato, ma lento.
Ma la mia impressione è che volesse essere proprio così.
Le tensioni ci sono, sono gestite tutto sommato benino, e la musica aiuta parecchio il veicolare del dramma. Se non ci fosse, tutto avrebbe metà del senso che ha; pur rimanendo una easy listening classicheggiante tanto di moda negli anni '80.
Il film di un'oretta è però anche lento, come scrivevo appunto sopra, ma l'intreccio è abbastanza complesso e riesce a tenere mediamente viva l'attenzione.
E poi si parla di amore, sessualità, risentimento, seduzione, invidia, tutte sensazioni impulsive, forti, che bruciano, veloci e inarrestabili, nei cuori ingenui dei protagonisti.
Vedi che ora la metafora della locomotiva non è più così campata per aria?
Ora però devo anche chiedere scusa al sommo per aver interpellato una sua frase in una mia umile recensione su un filmetto di serie C.
Comunque, tornando al film, non è malaccio. Ha diversi difetti sì, ma è guardabile, e ha un senso se visto con la giusta inclinazione.
Ma, ripeto, forse è una boiata, e io non me ne sono accorto.
Forse perché oggi è un giorno strano.
22.02.2022
E io non so bene che dire.
Tu pensi che sia una boiata? Una catastrofe animata di cattivo gusto?
Forse hai ragione tu.
Anzi, è molto facile che abbia ragione tu.
Invece a me viene in mente un verso di una canzone:
"E corre corre corre la locomotiva."
Sì, lo so, sento già che stai pensando: "Che c'entra la locomotiva?"
Lo so.
A parte il fatto che la locomotiva c'è eccome.
Com'è la locomotiva?
O almeno quella descritta dal Guccio? (n.d.r. l'autore del verso di cui sopra)
La locomotiva è veloce, è inarrestabile, è viva. La locomotiva divora le rotaie con muscoli d'acciaio, non si guarda indietro, prosegue; con forza cieca di baleno.
E forse, è un po' così anche la giovinezza, o almeno una parte di essa.
La giovinezza corre, e anche veloce.
Se puoi, ci aggiungi una sceneggiatura esageratamente immaginifica, e per certi versi forse anche teatrale, per quanto riguarda l'uso del dramma: ecco che questo film ne risulta per forza di cose appesantito ed esasperato, accelerato, ma lento.
Ma la mia impressione è che volesse essere proprio così.
Le tensioni ci sono, sono gestite tutto sommato benino, e la musica aiuta parecchio il veicolare del dramma. Se non ci fosse, tutto avrebbe metà del senso che ha; pur rimanendo una easy listening classicheggiante tanto di moda negli anni '80.
Il film di un'oretta è però anche lento, come scrivevo appunto sopra, ma l'intreccio è abbastanza complesso e riesce a tenere mediamente viva l'attenzione.
E poi si parla di amore, sessualità, risentimento, seduzione, invidia, tutte sensazioni impulsive, forti, che bruciano, veloci e inarrestabili, nei cuori ingenui dei protagonisti.
Vedi che ora la metafora della locomotiva non è più così campata per aria?
Ora però devo anche chiedere scusa al sommo per aver interpellato una sua frase in una mia umile recensione su un filmetto di serie C.
Comunque, tornando al film, non è malaccio. Ha diversi difetti sì, ma è guardabile, e ha un senso se visto con la giusta inclinazione.
Ma, ripeto, forse è una boiata, e io non me ne sono accorto.
Forse perché oggi è un giorno strano.
22.02.2022
Sarò franco fin dall’inizio, “Natsu e no Tobira” è un film dimenticabile nella riuscita, apprezzabile per le intenzioni, da vedere per l’aspetto pionieristico, visto che è l’adattamento di uno dei primi manga shoujo che introduceva, seppur timidamente, la tematica dell’amore omosessuale tra ragazzi; cionondimeno, questa tutto sommato lodevole caratteristica lo potrà differenziare dalla massa di opere di genere dell’epoca, ma non può nascondere il fatto che mi sia sembrato un melodramma forzato e farsesco dalla scarsa presa emotiva, per tutti i motivi che andrò poi ad elencare.
Nel frattempo, mi pare cosa buona e giusta dare un’idea di cosa sto parlando: “Natsu e no Tobira” (lett. “La porta verso l’estate”) è un anime ambientato nella Francia di fine ‘800 e, più precisamente, in un collegio di campagna dove si approssimano le vacanze estive; qui, tra la felicità degli studenti, spicca l’apatia dei quattro personaggi principali, amici a cui piace atteggiarsi a filosofi razionali apparentemente disinteressati alle vicende della vita quotidiana, capeggiati dal protagonista assoluto della storia, il bel Marion, ragazzo freddo e calcolatore che sembra rifuggire qualsiasi legame umano o appiglio emotivo che lo smuova dalla sua ideale posizione razionale e felice. Il caso però lo metterà in contatto con Sara Vieda, signora di classe pienamente consapevole del suo fascino e molto disinibita, che lo attirerà a sé, finendo per iniziarlo ai piaceri del sesso e dell’amore reciproco, causando un grande cambiamento psicologico ed emotivo nel ragazzo. Questo cambiamento purtroppo non influirà solo su di lui ma anche nelle dinamiche del suo gruppo, formato dagli amici Claude, Jack e Lind, cui si unirà la bella Ledania, ragazza innamorata di Marion ma contesa anche dal gruppo sopracitato.
Come si può intuire, gli ingredienti per un bel dramma romantico ci sarebbero tutti, dall’inquietudine adolescenziale alla scoperta di sé stessi, passando per tradimenti, sotterfugi, inganni, coincidenze e casualità, il prontuario completo; peccato che “Natsu e no Tobira” sciorini tutto questo ben di Dio in poco più di mezz’ora, caratterizzando i suoi personaggi con l’accetta e impedendo a chi guarda di empatizzare davvero con loro. L’esempio più eclatante di tutto questo probabilmente è la figura di Ledania, tanto centrale nelle vicende della storia quanto impalpabile come personaggio. Ledania infatti è semplicemente bella, stop, è una ragazza angelica, innamorata di Marion e che attira le attenzioni di, praticamente, ogni altro coetaneo maschile, ma non fa niente né per inseguire il suo sentimento né per scoraggiare quello degli altri, è semplice spettatrice degli eventi in preda alle sue frustrazioni e ai suoi dolori, che tali resteranno. Non sarà un caso che impallidisca nei confronti dell’altro personaggio femminile principale della storia, l’unico davvero riuscito per me, quella Sara che è una via di mezzo tra femme fatale, sogno erotico e donna dalla mentalità aperta, capace di districarsi in una società che deplora ogni sua azione, tanto in un rapporto con un giovane ragazzo quanto col suo signore, al quale non riserva altro che la verità, venendo ripagata da un’invidiabile fiducia e amore reciproco. Ed è sempre legata a lei la scena più coinvolgente, e in parte disturbante, della storia, quell’amplesso voluto fortemente, anche imposto in alcuni momenti all’altra parte, ma che di fatto rappresenta la svolta emotiva e la presa di coscienza sulla natura umana e sui piaceri che può dare, non solo dal punto di vista fisico, poter amare fortemente un’altra persona. Certo, parliamoci chiaro, la cosa poteva svilupparsi anche in modo diverso e decisamente negativo, ma il film prende una sua strada e io mi concentro su quella, senza considerare potenziali ‘what if’. Di fronte a cotanta dimostrazione di desiderio, attaccamento e voluttà, le misere beghe vissute dagli altri personaggi, dall’algida Ledania al tormentato Claude (lui segretamente innamorato di Marion), passando per il sincero Jack e il torbido Lind, non possono che passare nettamente in secondo piano, nonostante di fatto siano le tappe principali di questo dramma artefatto di cui alla fine si finisce per ricordare un’unica figura e un unico evento degno di nota.
Ma almeno dal punto di vista tecnico com’è questo “Natsu e no Tobira”? Beh, devo dire che da questo lato almeno ho un giudizio più lusinghiero; nei limiti della produzione e del tempo, in fondo questo è un film che ha già più di quarant’anni, “Natsu e no Tobira” è una produzione gradevole col suo fascino retrò, pur soffrendo alcuni difetti ‘sistemici’ derivanti dalla sua fonte di provenienza, e cioè lo shoujo manga classico coi suoi personaggi magri, molto longilinei e dagli occhi estremamente grandi, che personalmente non apprezzo in modo particolare. C’è da dire però che, rispetto al manga originale in un singolo volume del 1975 di Keiko Takemiya, il character designer Kazuo Tomizawa fa un ottimo lavoro di pulizia e arricchimento nel design dei personaggi che li rende, quantomeno, affascinanti il giusto da restare impressi in chi guarda. Molto apprezzabili le ambientazioni e l’opera del regista Masaki Mori, nonostante il film presenti poche animazioni e tante scene statiche, che con un bel lavoro di inquadrature e cambi di scena restituisce pienamente la sensazione di movimento. Il vero fiore all’occhiello della produzione, forse, è però la colonna sonora di Kentarō Haneda, con melodie dolenti che mi hanno restituito pienamente ambientazioni da soap opera degli anni ’80, mentre ho trovato passabile senza particolari guizzi il doppiaggio giapponese, unico visionabile in questo caso, visto che il film è ufficialmente ancora inedito in Italia e, con tutta probabilità, lo resterà pure.
Lo resterà perché fuori tempo massimo, certo, ma anche perché, al di fuori della cerchia di appassionati di genere, “Natsu e no Tobira” non è un film in grado di colpire il grande pubblico, soprattutto oggi che i suoi temi sono stati presi, usati e abusati in tante salse; come dicevo all’inizio, non ho solo opinioni negative su questo mediometraggio, e continuo a pensare che con tempi e modi diversi avrebbe potuto comunque fornire un’esperienza differente e più appagante allo spettatore, ma nei fatti ha scelto la strada opposta, e così farò io nel caso, in futuro, si riproponesse l’occasione di guardarlo ancora, senza rancori ma senza rimpianti, Sara Vieda esclusa; hic Mirokusama scripsit, XXII Februarius MMXXII.
Nel frattempo, mi pare cosa buona e giusta dare un’idea di cosa sto parlando: “Natsu e no Tobira” (lett. “La porta verso l’estate”) è un anime ambientato nella Francia di fine ‘800 e, più precisamente, in un collegio di campagna dove si approssimano le vacanze estive; qui, tra la felicità degli studenti, spicca l’apatia dei quattro personaggi principali, amici a cui piace atteggiarsi a filosofi razionali apparentemente disinteressati alle vicende della vita quotidiana, capeggiati dal protagonista assoluto della storia, il bel Marion, ragazzo freddo e calcolatore che sembra rifuggire qualsiasi legame umano o appiglio emotivo che lo smuova dalla sua ideale posizione razionale e felice. Il caso però lo metterà in contatto con Sara Vieda, signora di classe pienamente consapevole del suo fascino e molto disinibita, che lo attirerà a sé, finendo per iniziarlo ai piaceri del sesso e dell’amore reciproco, causando un grande cambiamento psicologico ed emotivo nel ragazzo. Questo cambiamento purtroppo non influirà solo su di lui ma anche nelle dinamiche del suo gruppo, formato dagli amici Claude, Jack e Lind, cui si unirà la bella Ledania, ragazza innamorata di Marion ma contesa anche dal gruppo sopracitato.
Come si può intuire, gli ingredienti per un bel dramma romantico ci sarebbero tutti, dall’inquietudine adolescenziale alla scoperta di sé stessi, passando per tradimenti, sotterfugi, inganni, coincidenze e casualità, il prontuario completo; peccato che “Natsu e no Tobira” sciorini tutto questo ben di Dio in poco più di mezz’ora, caratterizzando i suoi personaggi con l’accetta e impedendo a chi guarda di empatizzare davvero con loro. L’esempio più eclatante di tutto questo probabilmente è la figura di Ledania, tanto centrale nelle vicende della storia quanto impalpabile come personaggio. Ledania infatti è semplicemente bella, stop, è una ragazza angelica, innamorata di Marion e che attira le attenzioni di, praticamente, ogni altro coetaneo maschile, ma non fa niente né per inseguire il suo sentimento né per scoraggiare quello degli altri, è semplice spettatrice degli eventi in preda alle sue frustrazioni e ai suoi dolori, che tali resteranno. Non sarà un caso che impallidisca nei confronti dell’altro personaggio femminile principale della storia, l’unico davvero riuscito per me, quella Sara che è una via di mezzo tra femme fatale, sogno erotico e donna dalla mentalità aperta, capace di districarsi in una società che deplora ogni sua azione, tanto in un rapporto con un giovane ragazzo quanto col suo signore, al quale non riserva altro che la verità, venendo ripagata da un’invidiabile fiducia e amore reciproco. Ed è sempre legata a lei la scena più coinvolgente, e in parte disturbante, della storia, quell’amplesso voluto fortemente, anche imposto in alcuni momenti all’altra parte, ma che di fatto rappresenta la svolta emotiva e la presa di coscienza sulla natura umana e sui piaceri che può dare, non solo dal punto di vista fisico, poter amare fortemente un’altra persona. Certo, parliamoci chiaro, la cosa poteva svilupparsi anche in modo diverso e decisamente negativo, ma il film prende una sua strada e io mi concentro su quella, senza considerare potenziali ‘what if’. Di fronte a cotanta dimostrazione di desiderio, attaccamento e voluttà, le misere beghe vissute dagli altri personaggi, dall’algida Ledania al tormentato Claude (lui segretamente innamorato di Marion), passando per il sincero Jack e il torbido Lind, non possono che passare nettamente in secondo piano, nonostante di fatto siano le tappe principali di questo dramma artefatto di cui alla fine si finisce per ricordare un’unica figura e un unico evento degno di nota.
Ma almeno dal punto di vista tecnico com’è questo “Natsu e no Tobira”? Beh, devo dire che da questo lato almeno ho un giudizio più lusinghiero; nei limiti della produzione e del tempo, in fondo questo è un film che ha già più di quarant’anni, “Natsu e no Tobira” è una produzione gradevole col suo fascino retrò, pur soffrendo alcuni difetti ‘sistemici’ derivanti dalla sua fonte di provenienza, e cioè lo shoujo manga classico coi suoi personaggi magri, molto longilinei e dagli occhi estremamente grandi, che personalmente non apprezzo in modo particolare. C’è da dire però che, rispetto al manga originale in un singolo volume del 1975 di Keiko Takemiya, il character designer Kazuo Tomizawa fa un ottimo lavoro di pulizia e arricchimento nel design dei personaggi che li rende, quantomeno, affascinanti il giusto da restare impressi in chi guarda. Molto apprezzabili le ambientazioni e l’opera del regista Masaki Mori, nonostante il film presenti poche animazioni e tante scene statiche, che con un bel lavoro di inquadrature e cambi di scena restituisce pienamente la sensazione di movimento. Il vero fiore all’occhiello della produzione, forse, è però la colonna sonora di Kentarō Haneda, con melodie dolenti che mi hanno restituito pienamente ambientazioni da soap opera degli anni ’80, mentre ho trovato passabile senza particolari guizzi il doppiaggio giapponese, unico visionabile in questo caso, visto che il film è ufficialmente ancora inedito in Italia e, con tutta probabilità, lo resterà pure.
Lo resterà perché fuori tempo massimo, certo, ma anche perché, al di fuori della cerchia di appassionati di genere, “Natsu e no Tobira” non è un film in grado di colpire il grande pubblico, soprattutto oggi che i suoi temi sono stati presi, usati e abusati in tante salse; come dicevo all’inizio, non ho solo opinioni negative su questo mediometraggio, e continuo a pensare che con tempi e modi diversi avrebbe potuto comunque fornire un’esperienza differente e più appagante allo spettatore, ma nei fatti ha scelto la strada opposta, e così farò io nel caso, in futuro, si riproponesse l’occasione di guardarlo ancora, senza rancori ma senza rimpianti, Sara Vieda esclusa; hic Mirokusama scripsit, XXII Februarius MMXXII.
Se mi limitassi a dire “È una ciofeca inqualificabile”, non raggiungerei il limite minimo di parole per poter pubblicare una recensione. Il lavoro in sé non lo merita, ma bisogna fare buon viso a cattivo gioco, e quindi...
“All’ombra delle palme di Betel dorme l’estate dei ragazzi.”
Attenzione: la recensione contiene spoiler
(cosa ci sia da guastare lo lascio alla sensibilità del lettore)
La porta per l’estate è un film del 1981 della durata di circa un’ora, tratto dall’omonimo manga di Keiko Takemiya, probabilmente molto più conosciuta per il successivo Il poema del vento e degli alberi, e Verso la Terra, tutte opere che hanno ricevuto trasposizioni animate. L’autrice fa parte del “Gruppo 24”, famoso per avere rivoluzionato il genere shoujo intorno alla metà degli anni ‘70.
Sappiamo ormai tutti, o quasi, che Il poema del vento e degli alberi viene considerato il primo BL (boys love) del panorama giapponese, ed è per questo assurto a fama pressoché imperitura. Tuttavia, benché in questa opera il tema dell’omosessualità venga affrontato in modo molto affrettato, non è assente, nonostante il racconto si focalizzi su problematiche diverse.
Il film che, pur con poche ma importanti differenze, nelle vicende segue abbastanza fedelmente il manga originale, è ambientato in un collegio maschile francese nella seconda metà dell’ ‘800, alla fine dell’anno scolastico. I ragazzi stanno quasi tutti per tornare a casa, mentre, senza motivo apparente, resteranno i quattro appartenenti al club dei razionalisti, capitanati da Marion, il biondo ed efebico protagonista della storia. Resterà anche la bellissima e innocente figlia del preside, Ledania, della quale praticamente tutti i ragazzi sono innamorati.
Adolescenti, amore e troppi rivali formano una miscela esplosiva, e per l’affetto della bella Ledania, che è comunque innamorata di Marion, risse e duelli fioriscono. In conseguenza di ciò, Marion viene invitato, come leader dei razionalisti, a sedare gli animi, ma finisce per partecipare anch’egli a un duello. Il suo coraggio, o incoscienza che dir si voglia, viene notato da Sara Vida, una matura cortigiana, che se ne invaghisce.
Ora, sicuramente per il Giappone dell’epoca - per il manga stiamo parlando dei tardi anni ’70 - il concetto di relazione fra un ragazzino di buona famiglia e una donna molto più matura, e per di più una mantenuta, era sicuramente qualcosa di poco esplorato. Pur se lodevole è l’intento di approcciare tematiche nuove e scottanti, l’esecuzione però lascia a tratti parecchio a desiderare.
Si fa notare molto la voce narrante, a volte anche abbastanza fastidiosa. Ci si domanda se alcuni concetti non avrebbero potuto essere esposti in maniera diversa. Sono nella norma dell’epoca, senza infamia né lode, i doppiatori originali. Ciò significa che, per il gusto moderno, sono stucchevoli.
Per quanto riguarda il comparto visivo, le animazioni sono proprio carenti, ma dovremmo forse usare un poco di indulgenza, considerando la vetustà dell’opera. Abbondano i quadri fissi e gli effetti di luce e colore che dovrebbero servire a suggerire accadimenti nella storia, ma che, di fatto, sembrano messi lì solo per risparmiare soldi su disegni e animazioni mentre la musica scorre. I personaggi sono sicuramente in linea col gusto dell’epoca: abbiamo i soliti occhioni che si mangiano mezza faccia e figure allampanate, con gambe magrissime e lunghissime, per cui i ragazzi assumono tutti più o meno l’aspetto di spaventapasseri deambulanti. Aggiungiamoci che in principio avevo preso Marion per una ragazza.
Una menzione particolare va fatta per i colori e gli sfondi. La saturazione del colore non è certo al massimo e la tinta delle pareti delle stanze vira spesso verso il verdastro, tanto da dare l’idea di ambienti malsani, umidi e cupi, anche quando si tratta di edifici che si potrebbero definire di lusso. Questa scelta contribuisce a rendere le atmosfere molto torbide, così come le vicende che vengono delineate.
Il gruppo dei quattro razionalisti pare intriso del sacro fuoco adolescenziale della ribellione alle regole, per quanto, all’occorrenza, non esiti a farne uso. Di fatto, è Marion il più estremo, che dichiara di voler perfino sottrarsi all’irrazionalità dell’amore e alla regola che vuole che un uomo e una donna si amino e facciano sesso. Rifiuta perfino di essere toccato! Perciò, pur essendo invaghito di Ledania, respinge il suo approccio. In questo suo iniziale rigetto assoluto del rapporto amoroso potrebbe avere un ruolo la sua difficile relazione con la madre, figura sempre assente, i cui principali interessi, almeno agli occhi del figlio, parrebbero essere il nuovo marito e la figlioletta appena nata.
La relazione fra Marion e Sara non si può certo definire paritaria. Il loro incontro viene suggellato da un bacio che lei, donna adulta e certamente navigata, gli ruba. In pubblico. E da qui comincia, per il ragazzo, la fine dell’innocenza. Sara non è sicuramente una dolce pulzella di buona famiglia, e il nostro ci cascherà con tutte le scarpe.
Il successivo incontro tra i due avviene in una notte piovosa, dopo che Marion ha respinto Ledania. Non si comprende perché il ragazzo debba svenire sotto la pioggia, ma lo ritroviamo nudo nel letto di Sara e, al contrario del manga che offre una seppur misera spiegazione, nell’anime non ci è dato sapere come e perché ci sia arrivato. L’iniziale ribellione di Marion, debole e febbrile, viene presto vinta da Sara, che lo convince a parole e con uno spogliarello che è l’epitome di ogni situazione cringe del genere. L’amplesso che segue è qualcosa di terribilmente disgustoso. La differenza di età, di esperienza, di dimensione fra i due, di condizione di partenza - lui è nudo da subito, e non per sua volontà, e lei rifiuta perfino di rendergli i vestiti - fanno sì che quello a cui si assiste sia in realtà configurabile come uno stupro.
In questo contesto, il fatto che Sara dica a Marion “Non prenderò niente da te, solo tu puoi prendere qualcosa” è una menzogna evidente e crudele: lei gli sta rubando l’innocenza per un capriccio, tanto più che sa perfettamente di essere la mantenuta di un conte e che la sua permanenza in quel luogo sarà effimera. Forse è pure invaghita di questo ragazzino puro e bellissimo, vibrante della luce dell’estate della sua gioventù, ma l’impressione che si ha durante il prolungato amplesso è che si tratti di una vampira che, invece del sangue, succhi via l’innocenza di un bambino. Sarà pure un’iniziazione al sesso, ma di sicuro non viene fatta con spirito di crocerossina. Disegni, colori e musiche contribuiscono a rendere questa lunghissima scena asfissiante, torbida e pruriginosa, molto difficile da guardare, come se si trattasse del filmato di un crimine. Probabilmente, considerato che Marion è intorno ai quindici anni, ai giorni nostri verrebbe trattato da tale.
Per contro, subito dopo si glissa sul successivo svolgersi dell’estate, in cui intuiamo che i due continuano a vedersi, con un susseguirsi di quadri fissi. Marion si è trasferito da Sara, scatenando un putiferio di voci in paese e tensioni nel club dei razionalisti. Il ritorno del conte, amante di Sara, farà esplodere qualche bubbone e rivelerà il vero pensiero degli adulti. Rivalità e tensioni verranno a maturazione, portando a un finale già annunciato e, tutto sommato, quello sì, soddisfacente.
L’estate, l’estate che è il momento del passaggio dei ragazzi dall’adolescenza all’età adulta, la loro età d’oro, in cui tutto è possibile, sta finendo. Arriva l’autunno, con le sue foglie morte, e i ragazzi torneranno a scuola. Non tutti.
Cosa mi piace di quest’opera? Giuro che ci ho pensato a lungo, davvero. E non mi è venuto in mente nulla.
-273,15 °C.
Cosa non mi piace, allora? La cosa peggiore, a prescindere dalle musiche e dal comparto grafico, che è ovviamente datato, è che si sia premuto troppo sul pedale del torbido. Tutto il film pare culminare nella scena centrale dell’amplesso, prolungata in eccesso e sottolineata da un commento musicale completamente a sproposito. Lo stesso commento musicale è in generale abbastanza mediocre, tranne l’ending, che è invece molto gradevole.
I personaggi, specie quelli maschili, più che dalla logica o dalle proprie emozioni, sembrano spinti dalla furia di pulsioni primordiali che li fanno agire in modo spropositato e macchiettistico. In realtà, se non si trattasse di un drammone, parrebbe di guardare una parodia, in cui vengano di proposito accentuate le caratteristiche dei vari personaggi, esagerandone ogni tratto distintivo.
Diverse cose accadono senza alcuna ragione apparente, come il rimanere dei quattro ragazzi a scuola o l’arrivo di Marion a casa di Sara. Colori spesso dilavati e ambienti quasi lugubri contribuiscono a dare l’idea di una situazione malsana e al tempo stesso provocante, squallida. La stessa Sara, tolti i vestiti, rivela un corpo dalle forme sovrabbondanti e piuttosto sgradevoli. La scena di sesso, lungi dall’essere eccitante, provoca sensazioni di disturbo allo stomaco, volendo parafrasare. Forme e colori, viste con gli occhi di oggi, danno l’impressione che si sia voluto demonizzare la femminilità libera e matura, vestendo la nudità muliebre di un’aura predatoria. Ma allora perché poi suggerire che da questa relazione scaturisca la maturazione di Marion?
Dopo la breve relazione con Sara, Marion parrebbe aver velocemente cambiato tutte le sue idee, forse troppo velocemente, senza un minimo di transizione. L’esperienza lo avrebbe maturato di punto in bianco, stravolgendo il suo modo di pensare ed essere: poco plausibile e non descritto, ma solo dichiarato. Ma, soprattutto, il tutto è in contrasto con l’inizio della loro storia, perché non mi è possibile accettare che da una violenza sessuale, perché a parer mio è di questo che si tratta, derivi una simile scioccante maturazione.
Né si può dimenticare la presenza di un elemento BL, che viene però anticipato ben poco, e si consuma in una breve scena di tragico furore che non rende alcuna giustizia alla tematica e rimane appiccicata lì come un ripensamento, senza capo né coda. Una vera vergogna.
I lati negativi della trasposizione animata si notano ancor di più se la si paragona col breve manga originale, che ammonta a una sessantina di pagine. La ormai famigerata scena dell’amplesso nel manga è molto meno traumatica e prolungata, e la stessa figura di Sara è più gentile rispetto alla versione dell’anime, dove è una cinica predatrice. Nel manga è molto più invaghita, addirittura tenera, anche se poi compie le stesse scelte. Le ambientazioni originali non sono cupe, è tutto molto più arioso e, pur non mancando l’elemento tragedia, pare del tutto assente la squallida morbosità della versione animata. A parer mio, la relazione fra i due protagonisti è stata completamente stravolta a causa della diversa lettura del loro primo rapporto. Per quanto la storia non sia allegra, nel manga disegni e ambientazioni fanno sì che sembri molto di più una storia per ragazzine, mentre l’anime pare rivolto a un pubblico più adulto e soprattutto malizioso. Viene anche maggiormente esplorato il conflitto di classe tra due dei personaggi e ci viene detto a chiare lettere che il presunto razionalismo di Marion è in realtà un suo meccanismo di autoprotezione. Anche il finale ha una piccola differenza.
In definitiva: è un’opera alla quale personalmente ascrivo il solo merito di affrontare tematiche all’epoca inesplorate in Giappone, ma che ha completamente sciupato l’occasione puntando sul sensazionalismo, condito da connotazioni fin troppo morbose. A tratti prolissa e disturbante, è stata piuttosto difficile da guardare, costringendomi a fare delle pause durante la visione per occuparmi d’altro. Non un buon biglietto da visita. Probabilmente, se l’avessi vista prima de Il poema del vento e degli alberi, quest’ultimo non lo avrei guardato.
Consigliato solo a chi ambisca documentarsi sulla produzione anime dell’epoca.
22.02.2022
“All’ombra delle palme di Betel dorme l’estate dei ragazzi.”
Attenzione: la recensione contiene spoiler
(cosa ci sia da guastare lo lascio alla sensibilità del lettore)
La porta per l’estate è un film del 1981 della durata di circa un’ora, tratto dall’omonimo manga di Keiko Takemiya, probabilmente molto più conosciuta per il successivo Il poema del vento e degli alberi, e Verso la Terra, tutte opere che hanno ricevuto trasposizioni animate. L’autrice fa parte del “Gruppo 24”, famoso per avere rivoluzionato il genere shoujo intorno alla metà degli anni ‘70.
Sappiamo ormai tutti, o quasi, che Il poema del vento e degli alberi viene considerato il primo BL (boys love) del panorama giapponese, ed è per questo assurto a fama pressoché imperitura. Tuttavia, benché in questa opera il tema dell’omosessualità venga affrontato in modo molto affrettato, non è assente, nonostante il racconto si focalizzi su problematiche diverse.
Il film che, pur con poche ma importanti differenze, nelle vicende segue abbastanza fedelmente il manga originale, è ambientato in un collegio maschile francese nella seconda metà dell’ ‘800, alla fine dell’anno scolastico. I ragazzi stanno quasi tutti per tornare a casa, mentre, senza motivo apparente, resteranno i quattro appartenenti al club dei razionalisti, capitanati da Marion, il biondo ed efebico protagonista della storia. Resterà anche la bellissima e innocente figlia del preside, Ledania, della quale praticamente tutti i ragazzi sono innamorati.
Adolescenti, amore e troppi rivali formano una miscela esplosiva, e per l’affetto della bella Ledania, che è comunque innamorata di Marion, risse e duelli fioriscono. In conseguenza di ciò, Marion viene invitato, come leader dei razionalisti, a sedare gli animi, ma finisce per partecipare anch’egli a un duello. Il suo coraggio, o incoscienza che dir si voglia, viene notato da Sara Vida, una matura cortigiana, che se ne invaghisce.
Ora, sicuramente per il Giappone dell’epoca - per il manga stiamo parlando dei tardi anni ’70 - il concetto di relazione fra un ragazzino di buona famiglia e una donna molto più matura, e per di più una mantenuta, era sicuramente qualcosa di poco esplorato. Pur se lodevole è l’intento di approcciare tematiche nuove e scottanti, l’esecuzione però lascia a tratti parecchio a desiderare.
Si fa notare molto la voce narrante, a volte anche abbastanza fastidiosa. Ci si domanda se alcuni concetti non avrebbero potuto essere esposti in maniera diversa. Sono nella norma dell’epoca, senza infamia né lode, i doppiatori originali. Ciò significa che, per il gusto moderno, sono stucchevoli.
Per quanto riguarda il comparto visivo, le animazioni sono proprio carenti, ma dovremmo forse usare un poco di indulgenza, considerando la vetustà dell’opera. Abbondano i quadri fissi e gli effetti di luce e colore che dovrebbero servire a suggerire accadimenti nella storia, ma che, di fatto, sembrano messi lì solo per risparmiare soldi su disegni e animazioni mentre la musica scorre. I personaggi sono sicuramente in linea col gusto dell’epoca: abbiamo i soliti occhioni che si mangiano mezza faccia e figure allampanate, con gambe magrissime e lunghissime, per cui i ragazzi assumono tutti più o meno l’aspetto di spaventapasseri deambulanti. Aggiungiamoci che in principio avevo preso Marion per una ragazza.
Una menzione particolare va fatta per i colori e gli sfondi. La saturazione del colore non è certo al massimo e la tinta delle pareti delle stanze vira spesso verso il verdastro, tanto da dare l’idea di ambienti malsani, umidi e cupi, anche quando si tratta di edifici che si potrebbero definire di lusso. Questa scelta contribuisce a rendere le atmosfere molto torbide, così come le vicende che vengono delineate.
Il gruppo dei quattro razionalisti pare intriso del sacro fuoco adolescenziale della ribellione alle regole, per quanto, all’occorrenza, non esiti a farne uso. Di fatto, è Marion il più estremo, che dichiara di voler perfino sottrarsi all’irrazionalità dell’amore e alla regola che vuole che un uomo e una donna si amino e facciano sesso. Rifiuta perfino di essere toccato! Perciò, pur essendo invaghito di Ledania, respinge il suo approccio. In questo suo iniziale rigetto assoluto del rapporto amoroso potrebbe avere un ruolo la sua difficile relazione con la madre, figura sempre assente, i cui principali interessi, almeno agli occhi del figlio, parrebbero essere il nuovo marito e la figlioletta appena nata.
La relazione fra Marion e Sara non si può certo definire paritaria. Il loro incontro viene suggellato da un bacio che lei, donna adulta e certamente navigata, gli ruba. In pubblico. E da qui comincia, per il ragazzo, la fine dell’innocenza. Sara non è sicuramente una dolce pulzella di buona famiglia, e il nostro ci cascherà con tutte le scarpe.
Il successivo incontro tra i due avviene in una notte piovosa, dopo che Marion ha respinto Ledania. Non si comprende perché il ragazzo debba svenire sotto la pioggia, ma lo ritroviamo nudo nel letto di Sara e, al contrario del manga che offre una seppur misera spiegazione, nell’anime non ci è dato sapere come e perché ci sia arrivato. L’iniziale ribellione di Marion, debole e febbrile, viene presto vinta da Sara, che lo convince a parole e con uno spogliarello che è l’epitome di ogni situazione cringe del genere. L’amplesso che segue è qualcosa di terribilmente disgustoso. La differenza di età, di esperienza, di dimensione fra i due, di condizione di partenza - lui è nudo da subito, e non per sua volontà, e lei rifiuta perfino di rendergli i vestiti - fanno sì che quello a cui si assiste sia in realtà configurabile come uno stupro.
In questo contesto, il fatto che Sara dica a Marion “Non prenderò niente da te, solo tu puoi prendere qualcosa” è una menzogna evidente e crudele: lei gli sta rubando l’innocenza per un capriccio, tanto più che sa perfettamente di essere la mantenuta di un conte e che la sua permanenza in quel luogo sarà effimera. Forse è pure invaghita di questo ragazzino puro e bellissimo, vibrante della luce dell’estate della sua gioventù, ma l’impressione che si ha durante il prolungato amplesso è che si tratti di una vampira che, invece del sangue, succhi via l’innocenza di un bambino. Sarà pure un’iniziazione al sesso, ma di sicuro non viene fatta con spirito di crocerossina. Disegni, colori e musiche contribuiscono a rendere questa lunghissima scena asfissiante, torbida e pruriginosa, molto difficile da guardare, come se si trattasse del filmato di un crimine. Probabilmente, considerato che Marion è intorno ai quindici anni, ai giorni nostri verrebbe trattato da tale.
Per contro, subito dopo si glissa sul successivo svolgersi dell’estate, in cui intuiamo che i due continuano a vedersi, con un susseguirsi di quadri fissi. Marion si è trasferito da Sara, scatenando un putiferio di voci in paese e tensioni nel club dei razionalisti. Il ritorno del conte, amante di Sara, farà esplodere qualche bubbone e rivelerà il vero pensiero degli adulti. Rivalità e tensioni verranno a maturazione, portando a un finale già annunciato e, tutto sommato, quello sì, soddisfacente.
L’estate, l’estate che è il momento del passaggio dei ragazzi dall’adolescenza all’età adulta, la loro età d’oro, in cui tutto è possibile, sta finendo. Arriva l’autunno, con le sue foglie morte, e i ragazzi torneranno a scuola. Non tutti.
Cosa mi piace di quest’opera? Giuro che ci ho pensato a lungo, davvero. E non mi è venuto in mente nulla.
-273,15 °C.
Cosa non mi piace, allora? La cosa peggiore, a prescindere dalle musiche e dal comparto grafico, che è ovviamente datato, è che si sia premuto troppo sul pedale del torbido. Tutto il film pare culminare nella scena centrale dell’amplesso, prolungata in eccesso e sottolineata da un commento musicale completamente a sproposito. Lo stesso commento musicale è in generale abbastanza mediocre, tranne l’ending, che è invece molto gradevole.
I personaggi, specie quelli maschili, più che dalla logica o dalle proprie emozioni, sembrano spinti dalla furia di pulsioni primordiali che li fanno agire in modo spropositato e macchiettistico. In realtà, se non si trattasse di un drammone, parrebbe di guardare una parodia, in cui vengano di proposito accentuate le caratteristiche dei vari personaggi, esagerandone ogni tratto distintivo.
Diverse cose accadono senza alcuna ragione apparente, come il rimanere dei quattro ragazzi a scuola o l’arrivo di Marion a casa di Sara. Colori spesso dilavati e ambienti quasi lugubri contribuiscono a dare l’idea di una situazione malsana e al tempo stesso provocante, squallida. La stessa Sara, tolti i vestiti, rivela un corpo dalle forme sovrabbondanti e piuttosto sgradevoli. La scena di sesso, lungi dall’essere eccitante, provoca sensazioni di disturbo allo stomaco, volendo parafrasare. Forme e colori, viste con gli occhi di oggi, danno l’impressione che si sia voluto demonizzare la femminilità libera e matura, vestendo la nudità muliebre di un’aura predatoria. Ma allora perché poi suggerire che da questa relazione scaturisca la maturazione di Marion?
Dopo la breve relazione con Sara, Marion parrebbe aver velocemente cambiato tutte le sue idee, forse troppo velocemente, senza un minimo di transizione. L’esperienza lo avrebbe maturato di punto in bianco, stravolgendo il suo modo di pensare ed essere: poco plausibile e non descritto, ma solo dichiarato. Ma, soprattutto, il tutto è in contrasto con l’inizio della loro storia, perché non mi è possibile accettare che da una violenza sessuale, perché a parer mio è di questo che si tratta, derivi una simile scioccante maturazione.
Né si può dimenticare la presenza di un elemento BL, che viene però anticipato ben poco, e si consuma in una breve scena di tragico furore che non rende alcuna giustizia alla tematica e rimane appiccicata lì come un ripensamento, senza capo né coda. Una vera vergogna.
I lati negativi della trasposizione animata si notano ancor di più se la si paragona col breve manga originale, che ammonta a una sessantina di pagine. La ormai famigerata scena dell’amplesso nel manga è molto meno traumatica e prolungata, e la stessa figura di Sara è più gentile rispetto alla versione dell’anime, dove è una cinica predatrice. Nel manga è molto più invaghita, addirittura tenera, anche se poi compie le stesse scelte. Le ambientazioni originali non sono cupe, è tutto molto più arioso e, pur non mancando l’elemento tragedia, pare del tutto assente la squallida morbosità della versione animata. A parer mio, la relazione fra i due protagonisti è stata completamente stravolta a causa della diversa lettura del loro primo rapporto. Per quanto la storia non sia allegra, nel manga disegni e ambientazioni fanno sì che sembri molto di più una storia per ragazzine, mentre l’anime pare rivolto a un pubblico più adulto e soprattutto malizioso. Viene anche maggiormente esplorato il conflitto di classe tra due dei personaggi e ci viene detto a chiare lettere che il presunto razionalismo di Marion è in realtà un suo meccanismo di autoprotezione. Anche il finale ha una piccola differenza.
In definitiva: è un’opera alla quale personalmente ascrivo il solo merito di affrontare tematiche all’epoca inesplorate in Giappone, ma che ha completamente sciupato l’occasione puntando sul sensazionalismo, condito da connotazioni fin troppo morbose. A tratti prolissa e disturbante, è stata piuttosto difficile da guardare, costringendomi a fare delle pause durante la visione per occuparmi d’altro. Non un buon biglietto da visita. Probabilmente, se l’avessi vista prima de Il poema del vento e degli alberi, quest’ultimo non lo avrei guardato.
Consigliato solo a chi ambisca documentarsi sulla produzione anime dell’epoca.
22.02.2022
Grottesco aggettivo e sostantivo maschile. - 1. agg. Stranamente e bizzarramente deforme, riferito in origine alle pitture parietali dette grottesche, e poi in genere a tutto ciò che, per essere goffo, paradossale, innaturale, muove il riso pur senza rallegrare. - 2. Con uso sostantivato: a. La particolare situazione, e insieme la sensazione, prodotta da ciò che è paradossale, sproporzionato, strano. In letteratura, è uno degli aspetti del comico, che nasce da uno squilibrio, da una sproporzione voluta fra gli elementi rappresentativi, o dal contrasto fra la drammaticità, la grandiosità della rappresentazione obiettiva di un personaggio e lo spirito parodistico o satirico nel quale lo scrittore lo immerge o con cui risolve inaspettatamente una situazione non comica.
Probabilmente, vi starete chiedendo perché ho iniziato la recensione citando una voce del vocabolario Treccani; beh, forse chi ha visto e disprezzato questo cortometraggio tanto quanto me lo può capire. E intendiamoci, cari amici lettori, uso grottesco perché trash sarebbe troppo poco dignitoso e ogni opera (d’arte) merita quantomeno rispetto.
Parto col dirvi che sono il tipo di persona che guarda tutto con gusto e con piacere, anche quando la trama è un po’ lenta e fa fatica a ingranare, perché spero sempre in una buona risoluzione o nella scintilla che viene a portare uno sprazzo di luce nel buio più totale. Inoltre, di anime ne ho visti parecchi e raramente mi è capitato di imbattermi in qualcosa che non soddisfacesse i miei gusti, eppure qualche opera ha subito il mio giudizio negativo; ma credetemi se vi dico che, mai nella mia vita, mi sono confrontato con un’opera che sapesse di stantio dopo neanche dieci minuti dall’inizio della visione.
Pesante, lento, forzato, innaturale, che cerca di modellare una storia e un mondo surreali, che hanno poco della vita di tutti i giorni, tentando di giungere al filosofico e al poetico, fallendo miseramente. In grado di portare lo spettatore a ridere di un riso amaro, quasi isterico; toccando poche tematiche e facendolo male. Insomma, grottesco o, se preferite, dannunziano.
Attenzione: la parte seguente contiene leggeri spoiler
Francia. Ultimo decennio dell’Ottocento. Altolocata scuola francese. Periodo estivo.
La trama si incentra sulle vicende di un gruppo di quattro ragazzi che si ispira al razionalismo, pensiero filosofico in cui i giovani credono fermamente. Il protagonista è Morion, ragazzo bellissimo e leader del gruppo. Morion con la sua bellezza dai tratti femminei attrae su di sé le attenzioni di Lédania, la figlia del preside dell’istituto, nonché la ragazza più corteggiata della scuola. Da poco sono arrivate le vacanze estive e, mentre i giovani amici si trovano seduti ad un bar a parlare del più e del meno, scoppia una rissa tra due studenti più grandi di loro. Morion interviene per placare gli animi, ma uno dei due non ci sta e si giunge al duello, che permette al nostro protagonista di conoscere Sara Vieda, la donna che gli cambierà per sempre la vita. I due intrattengono una “relazione amorosa”, e questo porterà a diverse fratture nel gruppo, il che ci avvia al finale drammatico, tipico della tragedia greca.
Il grande filone tematico dell’opera, che vede come protagonisti dei giovani nel pieno dell’adolescenza, non può che essere l’amore.
L’amore viene trattato in tutte le sue forme. La ragazza più bella della scuola, un po’ timida, corteggiata da tutti ma invaghita dell’unico uomo che non sembra far caso al suo amore, per cui lei si strugge e si addolora. Lui, il ragazzo più bello dell’istituto a cui le donne non interessano minimamente, anche perché amore e ragione come potrebbero andare d’accordo (?), ma che perde la testa per una donna più grande di lui. Lei, donna matura già impegnata con un altro uomo e che gioca con i sentimenti del povero fanciullo. Le due donne protagoniste, che non potrebbero essere più diverse di come sono, Lédania, candida e pura, Sara, incarnazione della passione e del sesso, in tutto e per tutto una femme fatale. Insomma, Maria Ferres e Elena Muti (ecco che torna D’Annunzio) o, se preferite, la Vergine Maria ed Elena di Troia. Infine, tocco di classe, quello che per l’epoca si potrebbe considerare un amore proibito, quello di un uomo per qualcuno del suo stesso sesso, destinato a finire in tragedia. In sostanza, nulla di nuovo. Però sono sempre i dettagli a fare la differenza e, credetemi, non è questo il caso. La strada tracciata sembra buona, ma la sensazione è quella di star girando a vuoto. I giovani, più che da sentimenti puri, sembrano animati da passioni puramente carnali, che portano, inevitabilmente, a delle relazioni tossiche. Non è tanto l’amore ciò di cui si parla, ma la carnalità, che giunge all’apice nella scena in cui Sara e Morion copulano, su cui la regia punta il suo sguardo con insistenza. Inoltre, dato che ritengo più che valida come forma d’amore quella che nasce tra amici, allora anche il tema dell’amicizia trova spazio nel cortometraggio. Un valore tanto importante che viene ripetutamente calpestato e infangato. I ragazzi non perdono occasione per dare sfogo ai loro sentimenti, anche a costo di fare del male ad un amico, ma tutto ciò, più che essere dettato dalla loro incoscienza, sembra essere mosso da un vero e proprio egoismo, che Tommaso Campanella definiva la radice dei grandi mali del mondo. Ecco, quindi, che non si riuscirà a provare la minima compassione, neanche nei momenti più tragici e drammatici della storia.
A sapere di stantio sono anche le animazioni, ma parlando di un’opera degli anni ’80 non è che mi aspettassi molto altro. Il vero problema è quando le immagini 3D iniziano ad assomigliare a quelle in 2D, e allora capisci che nulla di questo film si può salvare nulla tranne, in alcuni casi, le musiche.
P.S. Molti di voi penseranno che io sia brutale e spietato, ma vi giuro che non avevo mai visto, prima d’ora, un film nella speranza che questo finisse il prima possibile. Quindi, se vi volete bene, impiegate meglio quest’ora della vostra vita per qualcosa di più produttivo e non per vedere “Natsu e no Tobira”.
22/02/2022
Probabilmente, vi starete chiedendo perché ho iniziato la recensione citando una voce del vocabolario Treccani; beh, forse chi ha visto e disprezzato questo cortometraggio tanto quanto me lo può capire. E intendiamoci, cari amici lettori, uso grottesco perché trash sarebbe troppo poco dignitoso e ogni opera (d’arte) merita quantomeno rispetto.
Parto col dirvi che sono il tipo di persona che guarda tutto con gusto e con piacere, anche quando la trama è un po’ lenta e fa fatica a ingranare, perché spero sempre in una buona risoluzione o nella scintilla che viene a portare uno sprazzo di luce nel buio più totale. Inoltre, di anime ne ho visti parecchi e raramente mi è capitato di imbattermi in qualcosa che non soddisfacesse i miei gusti, eppure qualche opera ha subito il mio giudizio negativo; ma credetemi se vi dico che, mai nella mia vita, mi sono confrontato con un’opera che sapesse di stantio dopo neanche dieci minuti dall’inizio della visione.
Pesante, lento, forzato, innaturale, che cerca di modellare una storia e un mondo surreali, che hanno poco della vita di tutti i giorni, tentando di giungere al filosofico e al poetico, fallendo miseramente. In grado di portare lo spettatore a ridere di un riso amaro, quasi isterico; toccando poche tematiche e facendolo male. Insomma, grottesco o, se preferite, dannunziano.
Attenzione: la parte seguente contiene leggeri spoiler
Francia. Ultimo decennio dell’Ottocento. Altolocata scuola francese. Periodo estivo.
La trama si incentra sulle vicende di un gruppo di quattro ragazzi che si ispira al razionalismo, pensiero filosofico in cui i giovani credono fermamente. Il protagonista è Morion, ragazzo bellissimo e leader del gruppo. Morion con la sua bellezza dai tratti femminei attrae su di sé le attenzioni di Lédania, la figlia del preside dell’istituto, nonché la ragazza più corteggiata della scuola. Da poco sono arrivate le vacanze estive e, mentre i giovani amici si trovano seduti ad un bar a parlare del più e del meno, scoppia una rissa tra due studenti più grandi di loro. Morion interviene per placare gli animi, ma uno dei due non ci sta e si giunge al duello, che permette al nostro protagonista di conoscere Sara Vieda, la donna che gli cambierà per sempre la vita. I due intrattengono una “relazione amorosa”, e questo porterà a diverse fratture nel gruppo, il che ci avvia al finale drammatico, tipico della tragedia greca.
Il grande filone tematico dell’opera, che vede come protagonisti dei giovani nel pieno dell’adolescenza, non può che essere l’amore.
L’amore viene trattato in tutte le sue forme. La ragazza più bella della scuola, un po’ timida, corteggiata da tutti ma invaghita dell’unico uomo che non sembra far caso al suo amore, per cui lei si strugge e si addolora. Lui, il ragazzo più bello dell’istituto a cui le donne non interessano minimamente, anche perché amore e ragione come potrebbero andare d’accordo (?), ma che perde la testa per una donna più grande di lui. Lei, donna matura già impegnata con un altro uomo e che gioca con i sentimenti del povero fanciullo. Le due donne protagoniste, che non potrebbero essere più diverse di come sono, Lédania, candida e pura, Sara, incarnazione della passione e del sesso, in tutto e per tutto una femme fatale. Insomma, Maria Ferres e Elena Muti (ecco che torna D’Annunzio) o, se preferite, la Vergine Maria ed Elena di Troia. Infine, tocco di classe, quello che per l’epoca si potrebbe considerare un amore proibito, quello di un uomo per qualcuno del suo stesso sesso, destinato a finire in tragedia. In sostanza, nulla di nuovo. Però sono sempre i dettagli a fare la differenza e, credetemi, non è questo il caso. La strada tracciata sembra buona, ma la sensazione è quella di star girando a vuoto. I giovani, più che da sentimenti puri, sembrano animati da passioni puramente carnali, che portano, inevitabilmente, a delle relazioni tossiche. Non è tanto l’amore ciò di cui si parla, ma la carnalità, che giunge all’apice nella scena in cui Sara e Morion copulano, su cui la regia punta il suo sguardo con insistenza. Inoltre, dato che ritengo più che valida come forma d’amore quella che nasce tra amici, allora anche il tema dell’amicizia trova spazio nel cortometraggio. Un valore tanto importante che viene ripetutamente calpestato e infangato. I ragazzi non perdono occasione per dare sfogo ai loro sentimenti, anche a costo di fare del male ad un amico, ma tutto ciò, più che essere dettato dalla loro incoscienza, sembra essere mosso da un vero e proprio egoismo, che Tommaso Campanella definiva la radice dei grandi mali del mondo. Ecco, quindi, che non si riuscirà a provare la minima compassione, neanche nei momenti più tragici e drammatici della storia.
A sapere di stantio sono anche le animazioni, ma parlando di un’opera degli anni ’80 non è che mi aspettassi molto altro. Il vero problema è quando le immagini 3D iniziano ad assomigliare a quelle in 2D, e allora capisci che nulla di questo film si può salvare nulla tranne, in alcuni casi, le musiche.
P.S. Molti di voi penseranno che io sia brutale e spietato, ma vi giuro che non avevo mai visto, prima d’ora, un film nella speranza che questo finisse il prima possibile. Quindi, se vi volete bene, impiegate meglio quest’ora della vostra vita per qualcosa di più produttivo e non per vedere “Natsu e no Tobira”.
22/02/2022
Non mi ritengo una persona bigotta e non ho alcun problema con le storie dove il sesso - anche dichiaratamente "immorale" (per l'epoca, il luogo o la cultura di riferimento dell'opera) e senza patine romantiche - è una parte centrale della vicenda. Detto questo, ho trovato questo film estremamente pesante, torbido, marcio nel midollo e addirittura trash. E tutto questo non per la storia in sé, ma per il modo in cui quest'ultima è stata gestita.
Natsu e no tobira (La porta sull'estate) è un manga auto-conclusivo di Keiko Takemiya, pubblicato nel 1975. L'autrice fa parte del cosiddetto "Gruppo 24", un insieme di giovani autrici di shoujo manga, che rivoluzionarono questo genere e lo plasmarono, grazie a tematiche a sfondo sentimentale e drammatico, intrecci complessi e una forte caratterizzazione dei personaggi. L'autrice è ricordata soprattutto per un'opera lunga, Kaze to Ki no Uta (Il poema del vento e degli alberi) - la cui pubblicazione iniziò un anno dopo Natsu e no tobira - noto per essere il primo manga yaoi della storia del fumetto giapponese.
Nel 1981, mentre l'autrice continuava a riscuotere successo con il suo dramma a sfondo omosessuale, fu deciso di trasporre in un film animato da un'ora la sua opera precedente. Non ho letto il manga, anche se da quello che ho potuto trovare sul web sembrerebbe che l'anime rispecchi piuttosto fedelmente l'opera cartacea. Pertanto immagino che i molti difetti che caratterizzano il film - su tutti il modo di gestire una storia tanto delicata e la caratterizzazione dei personaggi - siano imputabili in parte anche al fumetto originale della Takemiya. Ma devo dire che lo staff del film ha senz'altro collaborato molto a presentare sotto una luce ancora peggiore quanto già imputridiva sulle pagine di Hana to yume (nota rivista di shoujo manga).
La trama del nostro racconto di per sé non è neanche malvagia, sebbene risponda a vicende già sdoganate con molta più efficacia dai romanzieri europei.
Francia, ultimo decennio dell'Ottocento. In un prestigioso collegio francese arrivano le tanto agognate vacanze estive: partono tutti, fuorché quattro ragazzi, tra di loro amici, che insieme fanno parte di un gruppo che si ispira alla filosofia del razionalismo. Il capo, nonché nostro protagonista, è un bellissimo ragazzo di nome Marion. Altro personaggio chiave della vicenda è Lédania, candida e altrettanto bella figlia del preside della scuola, desiderata e corteggiata da tutti i ragazzi dell'istituto. A causa di una lite scatenata dalle gelosie di due studenti più grandi, Marion si trova a sostenere un duello, che per fatalità gli farà conoscere Sara Vida. Quest'ultima, proveniente dal demi-monde, è una signora provocante e disinibita, che farà scoprire al giovane Marion cosa sia il sesso. Nel frattempo la vicenda prosegue inglobando nella torbida relazione tra Sara e Marion anche gli amici di quest'ultimo, e tutto si prepara a conflagrare in un drammone finale... (ma non farò spoiler).
Come dicevo, non ho problemi di sorta a vedere un ragazzino sedotto da una cortigiana e pronto a scoprire la realtà, il sesso in tutta la sua nuda e naturale istintività, rappresentata dalla figura disinibita e matura di Sara, contrapposta all'immagine candida di Lédania, archetipo dell'amore puro e cristallino della prima giovinezza. In più, cosa che senz'altro rappresentava una novità per l'epoca, nella vicenda è anche trattato, seppur brevemente, il tema dell'omosessualità maschile tra giovani adolescenti (tema che, come già detto, la Takemiya svilupperà poi nella sua opera più nota).
Tutto questo suona molto bello, ma quello che vediamo nel film è invece molto brutto. I personaggi sono inquietantemente irreali e forzati nelle loro azioni, quasi psicotici, mentre intorno a loro si dipana un turbine non tanto di sentimenti quanto di pesantissime passioni dal sapore appiccicoso. La regia insiste con occhio quasi voyeuristico sulla scena in cui Marion e Sara copulano, ma poi salta a piè pari tutto il resto dei momenti che i due passano insieme, mostrandoceli semplicemente come tanti bei disegni con una musica in sottofondo (mi è parso che in maniera grezza si sia imitato l'effetto "cartolina" di Osamu Dezaki). Questo salto è decisamente la lacuna più grossa e anche il macigno che rende il film quasi volgare: sembra che tutto si debba risolvere nel mostrarci semplicemente una scena di sesso (in cui spiccano i seni cucurbitacei di Sara), dopo la quale troviamo un Marion maturato (per modo di dire) di punto in bianco senza soluzione di continuità con quanto pensasse precedentemente sulle relazioni degli uomini con le donne. La rapida, prematura, sensuale e se vogliamo drammatica presa di coscienza che questo ragazzino dovrebbe avere della vita risulta quindi forzata e teatrale. Anche l'inserto sul tema dell'omosessualità, che ovviamente va a finire nel peggiore dei modi, è tanto improvviso, artefatto e forzatamente drammatico da far perdere tutta la carica emotiva che dovrebbe circondare il personaggio gay.
Capisco che siamo agli albori della trattazione di tematiche tanto forti all'interno di un manga (e quindi di un film) per ragazze, ma trovo che qui si siano messi insieme i pezzi nel peggiore dei modi e si sia di gran lunga superato il limite del buon gusto. A questo senz'altro contribuiscono delle scelte singolari, come le musiche, che risultano disgraziatamente stonate. Salvo l'ultimo bel pezzo suonato al pianoforte, per il resto troviamo una colonna sonora assolutamente fuori luogo, che a tratti fa pensare a Lupin III. Tra tutte le musiche si segnala quello che potremmo definire il "tema di Sara", una musichetta dal "sapore commedia all'italiana", che rende ancora più sciocche le scene erotiche.
La regia, seppur con diverse trovate eleganti, risulta svogliata e, come già detto, sembra voler imitare senza troppo successo quello che realizzava Dezaki. Il character design, piuttosto fedele al tratto della Takemiya, regge bene sui primi piani ma diventa scialbo sul resto (con anche qualche effetto sgradevole nei profili). Le animazioni sono mediocri, i colori inquietantemente pastello e dilavati (dico inquietantemente perché sembrano contribuire a rendere l'atmosfera ulteriormente umida e putrescente). Siamo insomma ben lontani da quanto farà sei anni dopo Yoshikazu Yasuhiko con l'adattamento di Kaze to Ki no Uta, che - pur con tutti i suoi limiti - si segnala senz'altro per l'ottima grafica, una regia posata e una felice scelta delle musiche.
Senza andare troppo lontano, vale la pena ricordare che nel 1975 compariva il manga Caro fratello... di Riyoko Ikeda, in cui, pur con i toni melodrammatici tipici del periodo e oggi ritenuti probabilmente eccessivi, l'autrice riusciva a tracciare una sentita vicenda sui temi dell'omosessualità e del suicidio, con personaggi splendidamente caratterizzati. In questo film invece sembra quasi di assistere alla parodia del genere, probabilmente a causa delle già citate scelte dello staff che rendono ancora più grottesco quanto già partorito dall'autrice. Raramente ho provato un tal senso di pesantezza alla fine della visione di un film di a mala pena un'ora.
In conclusione, ma in realtà l'ho già scritto in apertura, ho trovato questa "roba" un qualcosa di tremendamente torbido, squallido e marcio.
Natsu e no tobira (La porta sull'estate) è un manga auto-conclusivo di Keiko Takemiya, pubblicato nel 1975. L'autrice fa parte del cosiddetto "Gruppo 24", un insieme di giovani autrici di shoujo manga, che rivoluzionarono questo genere e lo plasmarono, grazie a tematiche a sfondo sentimentale e drammatico, intrecci complessi e una forte caratterizzazione dei personaggi. L'autrice è ricordata soprattutto per un'opera lunga, Kaze to Ki no Uta (Il poema del vento e degli alberi) - la cui pubblicazione iniziò un anno dopo Natsu e no tobira - noto per essere il primo manga yaoi della storia del fumetto giapponese.
Nel 1981, mentre l'autrice continuava a riscuotere successo con il suo dramma a sfondo omosessuale, fu deciso di trasporre in un film animato da un'ora la sua opera precedente. Non ho letto il manga, anche se da quello che ho potuto trovare sul web sembrerebbe che l'anime rispecchi piuttosto fedelmente l'opera cartacea. Pertanto immagino che i molti difetti che caratterizzano il film - su tutti il modo di gestire una storia tanto delicata e la caratterizzazione dei personaggi - siano imputabili in parte anche al fumetto originale della Takemiya. Ma devo dire che lo staff del film ha senz'altro collaborato molto a presentare sotto una luce ancora peggiore quanto già imputridiva sulle pagine di Hana to yume (nota rivista di shoujo manga).
La trama del nostro racconto di per sé non è neanche malvagia, sebbene risponda a vicende già sdoganate con molta più efficacia dai romanzieri europei.
Francia, ultimo decennio dell'Ottocento. In un prestigioso collegio francese arrivano le tanto agognate vacanze estive: partono tutti, fuorché quattro ragazzi, tra di loro amici, che insieme fanno parte di un gruppo che si ispira alla filosofia del razionalismo. Il capo, nonché nostro protagonista, è un bellissimo ragazzo di nome Marion. Altro personaggio chiave della vicenda è Lédania, candida e altrettanto bella figlia del preside della scuola, desiderata e corteggiata da tutti i ragazzi dell'istituto. A causa di una lite scatenata dalle gelosie di due studenti più grandi, Marion si trova a sostenere un duello, che per fatalità gli farà conoscere Sara Vida. Quest'ultima, proveniente dal demi-monde, è una signora provocante e disinibita, che farà scoprire al giovane Marion cosa sia il sesso. Nel frattempo la vicenda prosegue inglobando nella torbida relazione tra Sara e Marion anche gli amici di quest'ultimo, e tutto si prepara a conflagrare in un drammone finale... (ma non farò spoiler).
Come dicevo, non ho problemi di sorta a vedere un ragazzino sedotto da una cortigiana e pronto a scoprire la realtà, il sesso in tutta la sua nuda e naturale istintività, rappresentata dalla figura disinibita e matura di Sara, contrapposta all'immagine candida di Lédania, archetipo dell'amore puro e cristallino della prima giovinezza. In più, cosa che senz'altro rappresentava una novità per l'epoca, nella vicenda è anche trattato, seppur brevemente, il tema dell'omosessualità maschile tra giovani adolescenti (tema che, come già detto, la Takemiya svilupperà poi nella sua opera più nota).
Tutto questo suona molto bello, ma quello che vediamo nel film è invece molto brutto. I personaggi sono inquietantemente irreali e forzati nelle loro azioni, quasi psicotici, mentre intorno a loro si dipana un turbine non tanto di sentimenti quanto di pesantissime passioni dal sapore appiccicoso. La regia insiste con occhio quasi voyeuristico sulla scena in cui Marion e Sara copulano, ma poi salta a piè pari tutto il resto dei momenti che i due passano insieme, mostrandoceli semplicemente come tanti bei disegni con una musica in sottofondo (mi è parso che in maniera grezza si sia imitato l'effetto "cartolina" di Osamu Dezaki). Questo salto è decisamente la lacuna più grossa e anche il macigno che rende il film quasi volgare: sembra che tutto si debba risolvere nel mostrarci semplicemente una scena di sesso (in cui spiccano i seni cucurbitacei di Sara), dopo la quale troviamo un Marion maturato (per modo di dire) di punto in bianco senza soluzione di continuità con quanto pensasse precedentemente sulle relazioni degli uomini con le donne. La rapida, prematura, sensuale e se vogliamo drammatica presa di coscienza che questo ragazzino dovrebbe avere della vita risulta quindi forzata e teatrale. Anche l'inserto sul tema dell'omosessualità, che ovviamente va a finire nel peggiore dei modi, è tanto improvviso, artefatto e forzatamente drammatico da far perdere tutta la carica emotiva che dovrebbe circondare il personaggio gay.
Capisco che siamo agli albori della trattazione di tematiche tanto forti all'interno di un manga (e quindi di un film) per ragazze, ma trovo che qui si siano messi insieme i pezzi nel peggiore dei modi e si sia di gran lunga superato il limite del buon gusto. A questo senz'altro contribuiscono delle scelte singolari, come le musiche, che risultano disgraziatamente stonate. Salvo l'ultimo bel pezzo suonato al pianoforte, per il resto troviamo una colonna sonora assolutamente fuori luogo, che a tratti fa pensare a Lupin III. Tra tutte le musiche si segnala quello che potremmo definire il "tema di Sara", una musichetta dal "sapore commedia all'italiana", che rende ancora più sciocche le scene erotiche.
La regia, seppur con diverse trovate eleganti, risulta svogliata e, come già detto, sembra voler imitare senza troppo successo quello che realizzava Dezaki. Il character design, piuttosto fedele al tratto della Takemiya, regge bene sui primi piani ma diventa scialbo sul resto (con anche qualche effetto sgradevole nei profili). Le animazioni sono mediocri, i colori inquietantemente pastello e dilavati (dico inquietantemente perché sembrano contribuire a rendere l'atmosfera ulteriormente umida e putrescente). Siamo insomma ben lontani da quanto farà sei anni dopo Yoshikazu Yasuhiko con l'adattamento di Kaze to Ki no Uta, che - pur con tutti i suoi limiti - si segnala senz'altro per l'ottima grafica, una regia posata e una felice scelta delle musiche.
Senza andare troppo lontano, vale la pena ricordare che nel 1975 compariva il manga Caro fratello... di Riyoko Ikeda, in cui, pur con i toni melodrammatici tipici del periodo e oggi ritenuti probabilmente eccessivi, l'autrice riusciva a tracciare una sentita vicenda sui temi dell'omosessualità e del suicidio, con personaggi splendidamente caratterizzati. In questo film invece sembra quasi di assistere alla parodia del genere, probabilmente a causa delle già citate scelte dello staff che rendono ancora più grottesco quanto già partorito dall'autrice. Raramente ho provato un tal senso di pesantezza alla fine della visione di un film di a mala pena un'ora.
In conclusione, ma in realtà l'ho già scritto in apertura, ho trovato questa "roba" un qualcosa di tremendamente torbido, squallido e marcio.
Nel 1975 veniva pubblicato sulla rivista "Hana to Yume", l'operetta, seppur breve intensa, "Natsu e no Tobira", ovvero "La porta verso l'estate". Come detto, l'anno era il 1975 e la mano la cui penna versava inchiostro al fine di creare una storia cotanto innovativa fu quella di Keiko Takemiya.
In un' "epoca" dove le tematiche psicologiche e introspettive all'interno dei manga erano prettamente disinteressate e fiorite, il tanto decantato "gruppo 24" favorì, appunto, lo sviluppo di un'introspezione tragica e mirata, puntata verso l'estremizzazione dei sentimenti e della drammaticità al fine di rendere quello che è il puro talento recitativo dell'animo umano.
L'opera è un puro affresco sulla giovinezza, espressa dal simbolo dell'estate, senza remore sulla coscienza di sé, degli altri, della sessualità e dei sentimenti, con una vista attenta all'ingenuità e all'utopico spirito che anima un adolescente incantato.
All'epoca dell'uscita del manga, le tematiche come l'omosessualità o l'avere una relazione con una donna non solo di un'età superiore ma di una data posizione sociale, quella della prostituta, erano nuove e quasi scandalistiche. Tematiche che avrebbero ispirato poi, il più approfondito e lungo "Il poema del vento e degli alberi" del 1976.
Nel 1981, lo studio MADHOUSE ne produce un lungometraggio di una sessantina di minuti la cui regia è affidata a Mamoru Masaki e Toshio Hirata. La versione animata segue a puntino l'opera scritta, la quale oltre a darne una riproduzione fedelissima e accurata, allunga il brodo in modo molto più espressivo e drammatico con un alone che il manga, data la brevità, aveva solamente accennato.
La storia segue, appunto, la durata della stagione estiva, o meglio quella delle vacanze degli studenti di una scuola maschile privata, nella Francia della fine dell'800.
Il protagonista è Marion, il quale segue perfettamente (da sciocco adolescente) gli ideali del razionalismo, arrivando addirittura a credere di poter decidere esso stesso di morire o di esser toccato fisicamente o spiritualmente.
Ledania è la figlia del preside dell'istituto, tanto bella quanto desiderata, in quanto, giustamente, tutti gli uomini della scuola la corteggiano. Ed è proprio la conseguenza di una rissa avvenuta per Ledania tra due senpai di Marion, e di un duello tra il protagonista e uno dei due rissosi per porre fine al litigio, a concedere l'occasione d'incontro tra Marion e Sara Veda.
Se Ledania rappresenta l'idilliaco amore puro e fanciullesco, Sara viene rappresentata come la donna, la sessualità e la passione, il ponte per comprendere la differenza tra un amore adolescenziale e uno adulto, ed è dopo il legame e la conoscenza di una donna adulta che Marion scopre se stesso, il proprio corpo, il sentimento e la possibilità di poter comprendere gli altri non come problemi ma come persone, diverse da noi ma al contempo vicine. Infatti egli vede diversamente la madre, figura assente che lo trascura, comprende l'errore di aver abbandonato nella sua disperazione l'amico Klaus, il quale scopre di essere innamorato di Marion e nel contempo nasce in lui una disperazione tanto tragica quanto l'immaturità di poter riflettere sulla propria natura, accettarla e darle vita.
Marion scopre Sara essere l'amante di un conte, e così capacitato dell'impossibilità di un amore pratico, si dispera ma al contempo si rallegra, sentendosi grato di essere cambiato, di aver compreso cosa può renderlo migliore, semplicemente provare un sentimento che non si limita all'adorazione di sé stessi ma che invade anche gli altri.
Rinominato un affresco dell'adolescenza, la storia rimane però marginale e di formazione tematica, testando tematiche che saranno poi, come sopra detto, rivoltate e sottolineate nelle opere pilastro della Takemiya.
La differenza tra l'opera cartacea e quella animata sta proprio nello spessore sia drammatico sia superficiale. Se la prima è breve e superficiale la seconda diviene lunga e approfondita, puntando più su un maggiore impatto incisivo che sulla spensieratezza accurata dell'opera scritta. Questo particolare "non lo frega e non lo salva". Infatti il film diviene molto più pesante e angosciante rispetto il manga, che nonostante si trovi a essere breve rimane profondo e introspettivo, cosciente e deciso. L'anime, invece, accentua quell'alone di pesantezza, squallore e cupezza che caratterizzano, inoltre, altri anime, come "Caro fratello" o "Siamo in 11".
Non lo frega in quanto la sua visione come opera in sé lo rende unico e non lo salva in quanto non gli dona quel qualcosa in più rispetto al manga.
Il comparto grafico è quello tipico dell'epoca, sempre molto attinente allo stile grafico dell'autrice ma dai toni fin troppo cupi e d'un pastello ormai marcio che, oltre ad accentuare la drammaticità ridicola ed esasperante, crea un alone di squallido.
Sicuramente "Natsu e no tobira" è un accessorio da vedere se interessati ai predecessori dei moderni e ovviamente impudici manga, prendendola come opera a sé stante che non ha nulla da invidiare ma che eccelle in quelle dosi che la Takemiya aveva ben misurato per non finire nel ridicolo ma nel sapiente.
In un' "epoca" dove le tematiche psicologiche e introspettive all'interno dei manga erano prettamente disinteressate e fiorite, il tanto decantato "gruppo 24" favorì, appunto, lo sviluppo di un'introspezione tragica e mirata, puntata verso l'estremizzazione dei sentimenti e della drammaticità al fine di rendere quello che è il puro talento recitativo dell'animo umano.
L'opera è un puro affresco sulla giovinezza, espressa dal simbolo dell'estate, senza remore sulla coscienza di sé, degli altri, della sessualità e dei sentimenti, con una vista attenta all'ingenuità e all'utopico spirito che anima un adolescente incantato.
All'epoca dell'uscita del manga, le tematiche come l'omosessualità o l'avere una relazione con una donna non solo di un'età superiore ma di una data posizione sociale, quella della prostituta, erano nuove e quasi scandalistiche. Tematiche che avrebbero ispirato poi, il più approfondito e lungo "Il poema del vento e degli alberi" del 1976.
Nel 1981, lo studio MADHOUSE ne produce un lungometraggio di una sessantina di minuti la cui regia è affidata a Mamoru Masaki e Toshio Hirata. La versione animata segue a puntino l'opera scritta, la quale oltre a darne una riproduzione fedelissima e accurata, allunga il brodo in modo molto più espressivo e drammatico con un alone che il manga, data la brevità, aveva solamente accennato.
La storia segue, appunto, la durata della stagione estiva, o meglio quella delle vacanze degli studenti di una scuola maschile privata, nella Francia della fine dell'800.
Il protagonista è Marion, il quale segue perfettamente (da sciocco adolescente) gli ideali del razionalismo, arrivando addirittura a credere di poter decidere esso stesso di morire o di esser toccato fisicamente o spiritualmente.
Ledania è la figlia del preside dell'istituto, tanto bella quanto desiderata, in quanto, giustamente, tutti gli uomini della scuola la corteggiano. Ed è proprio la conseguenza di una rissa avvenuta per Ledania tra due senpai di Marion, e di un duello tra il protagonista e uno dei due rissosi per porre fine al litigio, a concedere l'occasione d'incontro tra Marion e Sara Veda.
Se Ledania rappresenta l'idilliaco amore puro e fanciullesco, Sara viene rappresentata come la donna, la sessualità e la passione, il ponte per comprendere la differenza tra un amore adolescenziale e uno adulto, ed è dopo il legame e la conoscenza di una donna adulta che Marion scopre se stesso, il proprio corpo, il sentimento e la possibilità di poter comprendere gli altri non come problemi ma come persone, diverse da noi ma al contempo vicine. Infatti egli vede diversamente la madre, figura assente che lo trascura, comprende l'errore di aver abbandonato nella sua disperazione l'amico Klaus, il quale scopre di essere innamorato di Marion e nel contempo nasce in lui una disperazione tanto tragica quanto l'immaturità di poter riflettere sulla propria natura, accettarla e darle vita.
Marion scopre Sara essere l'amante di un conte, e così capacitato dell'impossibilità di un amore pratico, si dispera ma al contempo si rallegra, sentendosi grato di essere cambiato, di aver compreso cosa può renderlo migliore, semplicemente provare un sentimento che non si limita all'adorazione di sé stessi ma che invade anche gli altri.
Rinominato un affresco dell'adolescenza, la storia rimane però marginale e di formazione tematica, testando tematiche che saranno poi, come sopra detto, rivoltate e sottolineate nelle opere pilastro della Takemiya.
La differenza tra l'opera cartacea e quella animata sta proprio nello spessore sia drammatico sia superficiale. Se la prima è breve e superficiale la seconda diviene lunga e approfondita, puntando più su un maggiore impatto incisivo che sulla spensieratezza accurata dell'opera scritta. Questo particolare "non lo frega e non lo salva". Infatti il film diviene molto più pesante e angosciante rispetto il manga, che nonostante si trovi a essere breve rimane profondo e introspettivo, cosciente e deciso. L'anime, invece, accentua quell'alone di pesantezza, squallore e cupezza che caratterizzano, inoltre, altri anime, come "Caro fratello" o "Siamo in 11".
Non lo frega in quanto la sua visione come opera in sé lo rende unico e non lo salva in quanto non gli dona quel qualcosa in più rispetto al manga.
Il comparto grafico è quello tipico dell'epoca, sempre molto attinente allo stile grafico dell'autrice ma dai toni fin troppo cupi e d'un pastello ormai marcio che, oltre ad accentuare la drammaticità ridicola ed esasperante, crea un alone di squallido.
Sicuramente "Natsu e no tobira" è un accessorio da vedere se interessati ai predecessori dei moderni e ovviamente impudici manga, prendendola come opera a sé stante che non ha nulla da invidiare ma che eccelle in quelle dosi che la Takemiya aveva ben misurato per non finire nel ridicolo ma nel sapiente.