Little Witch Academia (TV)
Chara design accattivante e un’aria “potteriana” sono il biglietto da visita di questo anime sulle streghette targato Netflix. Di primo acchito sembra essere esattamente così, con la protagonista che cerca di entrare a far parte di questo mondo a lei conosciuto solo tramite delle carte collezionabili e spettacoli della propria beniamina, equipaggiata esclusivamente di un inesauribile entusiasmo. L’incipit sembrerebbe bastare, tuttavia come trama da sviluppare si dimostra ben presto abbastanza debole. È un male? No, perché, pur non regalando una storia trascendentale, come leggero prodotto d’intrattenimento svolge bene il proprio compito, dove l’unica pecca sta nell’essere ‘so shiny’, eccessivamente chiaro e diurno per la fatidica ora delle streghe... o per gli amanti delle ambientazioni create dalla Rowling.
Ad un certo punto, però, le basi per una trama orizzontale più articolata - e anche “impegnata” - vengono gettate, e il tutto viene portato su un altro livello, dove persino quella che sino ad allora pareva essere la nemesi della nostra mattatrice Akko si darà da fare per soddisfare la quest. Ahimè, non si tratta altro che di un fuoco di paglia, per un argomento che si rivela spesso ridondante e che in generale va gradualmente a levare pure quell’atmosfera fatata (o forse sarebbe meglio dire stregata) che a modo suo si percepiva, rendendola invece una pretenziosa forzatura.
Sono di gran lunga preferibili quegli episodi fini a sé stessi, per quanto talvolta frivoli, come la corsa con le scope, la scrittrice di romanzi o gli approfondimenti sui personaggi secondari, dove, nonostante qualche scivolone, l’incanto rimane intatto grazie alla loro semplicità e dinamismo.
In seguito avviene un ulteriore cambio di registro, con l’introduzione della villainess e il plot che viene instradato sui binari di un diretto per il connubio/contrasto fra tecnologia e magia, un’alchimia mai perfettamente riuscita che va leggermente ma sensibilmente a snaturare il contesto (con singola eccezione a confermare la regola, Constanze Amalie von Braunschbank-Albrechtsberger). Si punta sul classico cattivo, insomma, e dal punto di vista del racconto il titolo ne trae sicuramente giovamento, a discapito però ancora una volta della magia, rinunciando a una parte di sé - quella che seguivo più volentieri. Un plot twist lungo e telefonato e uno invece tanto improvviso quanto sorprendete ci accompagnano al finale di questa serie in una modalità molto 2.0, nonostante le dichiarazioni d’amore al tradizionalismo.
Nel complesso, un titolo che si fa apprezzare (e molto) più per quegli elementi che se ne stanno sullo sfondo a definire il background e la personalità di “Little Witch Academia” che per il filone principale di quest’avventura. Merita comunque un giudizio positivo, perché, nonostante non sia riuscita ad esprimere quanto aveva da dare e una caratterizzazione un po’ diversa da quanto era lecito aspettarsi, nel complesso Luna Nova ha regalato anche diversi bei, vivaci, momenti... di quelli che riaffiorano con piacere alla memoria ogni volta che ci si imbatte in qualche immagine (graficamente sì che sono incantevoli senza se e senza ma) di una di loro.
Ad un certo punto, però, le basi per una trama orizzontale più articolata - e anche “impegnata” - vengono gettate, e il tutto viene portato su un altro livello, dove persino quella che sino ad allora pareva essere la nemesi della nostra mattatrice Akko si darà da fare per soddisfare la quest. Ahimè, non si tratta altro che di un fuoco di paglia, per un argomento che si rivela spesso ridondante e che in generale va gradualmente a levare pure quell’atmosfera fatata (o forse sarebbe meglio dire stregata) che a modo suo si percepiva, rendendola invece una pretenziosa forzatura.
Sono di gran lunga preferibili quegli episodi fini a sé stessi, per quanto talvolta frivoli, come la corsa con le scope, la scrittrice di romanzi o gli approfondimenti sui personaggi secondari, dove, nonostante qualche scivolone, l’incanto rimane intatto grazie alla loro semplicità e dinamismo.
In seguito avviene un ulteriore cambio di registro, con l’introduzione della villainess e il plot che viene instradato sui binari di un diretto per il connubio/contrasto fra tecnologia e magia, un’alchimia mai perfettamente riuscita che va leggermente ma sensibilmente a snaturare il contesto (con singola eccezione a confermare la regola, Constanze Amalie von Braunschbank-Albrechtsberger). Si punta sul classico cattivo, insomma, e dal punto di vista del racconto il titolo ne trae sicuramente giovamento, a discapito però ancora una volta della magia, rinunciando a una parte di sé - quella che seguivo più volentieri. Un plot twist lungo e telefonato e uno invece tanto improvviso quanto sorprendete ci accompagnano al finale di questa serie in una modalità molto 2.0, nonostante le dichiarazioni d’amore al tradizionalismo.
Nel complesso, un titolo che si fa apprezzare (e molto) più per quegli elementi che se ne stanno sullo sfondo a definire il background e la personalità di “Little Witch Academia” che per il filone principale di quest’avventura. Merita comunque un giudizio positivo, perché, nonostante non sia riuscita ad esprimere quanto aveva da dare e una caratterizzazione un po’ diversa da quanto era lecito aspettarsi, nel complesso Luna Nova ha regalato anche diversi bei, vivaci, momenti... di quelli che riaffiorano con piacere alla memoria ogni volta che ci si imbatte in qualche immagine (graficamente sì che sono incantevoli senza se e senza ma) di una di loro.
Anche questa volta lo studio Trigger si fa valere con un anime fresco e divertente, e, nonostante il target sia dagli undici ai sedici anni, la storia non cade mai troppo nel banale; la maggior parte dei personaggi ha una caratterizzazione semplice, ma mai troppo stereotipata o blanda, con cui non si può fare a meno di entrare subito in simpatia.
Le animazioni sono fluide e i disegni vivacemente colorati, a evidenziare la magia e la spettacolarità dei paesaggi, e per i più attenti le varie citazioni pop culture e ad altri lavori di Trigger presenti all'interno rendono il tutto ancora più godibile (episodio 18, sto parlando proprio di te!).
Le opening non sono il massimo secondo me, ma le soundtrack fanno un ottimo lavoro nel trascinarti all'interno di quel mondo magico, allo stesso modo in cui vi riuscì John Williams con "Harry Potter".
Nel complesso un ottimo anime per passare il tempo, non troppo impegnativo ma sicuramente capace di donare momenti di emozione.
Le animazioni sono fluide e i disegni vivacemente colorati, a evidenziare la magia e la spettacolarità dei paesaggi, e per i più attenti le varie citazioni pop culture e ad altri lavori di Trigger presenti all'interno rendono il tutto ancora più godibile (episodio 18, sto parlando proprio di te!).
Le opening non sono il massimo secondo me, ma le soundtrack fanno un ottimo lavoro nel trascinarti all'interno di quel mondo magico, allo stesso modo in cui vi riuscì John Williams con "Harry Potter".
Nel complesso un ottimo anime per passare il tempo, non troppo impegnativo ma sicuramente capace di donare momenti di emozione.
"Little Witch Academia" è stato il primo shojo che ho visto, e devo dire che mi ha soddisfatto molto. Probabilmente è il miglior shojo degli ultimi tempi, perché diversamente dagli altri maho shojo qui le ragazze non vengono irradiate da una luce magica e poi si trasformano, e, anche se non indossano una maschera, nessuno le riconosce. Invece le ragazze di questo anime sono delle aspiranti streghe, la cui identità è di dominio pubblico. Molti poi, vedendo "Academia" nel titolo, hanno subito definito questo anime "My Hero Academia con le maghette", ma non è così. Io penso che sia di più una versione nipponica di Harry Potter.
Naturalmente, essendo un anime Trigger, i momenti "nonsense" e le citazioni ci sono.
La prima cosa che mi ha colpito è stata la protagonista, che non so come definire... però penso che sia una delle migliori protagoniste degli anime, infatti Akko (il suo nomignolo che deriva da Hatsuko Kagari) si distingue dalle altre protagoniste shojo, e la cosa mi fa piacere.
Le animazioni poi sono semplicemente fantastiche, e i desing dei personaggi sono tutti unici; ho adorato particolarmente quello di Chariot. La trama l'ho apprezzata molto, non ho niente di male da dire. Le due opening sono belle, però in varie occasioni le ho saltate, mentre poi la colonna sonora (OST) mi è piaciuta veramente molto.
Io consiglio questo anime a tutti, anche perché è abbastanza leggero.
Voto opening, colonna sonora, animazioni, disegni e trama: 8,5.
Voto finale 8,5/10.
Naturalmente, essendo un anime Trigger, i momenti "nonsense" e le citazioni ci sono.
La prima cosa che mi ha colpito è stata la protagonista, che non so come definire... però penso che sia una delle migliori protagoniste degli anime, infatti Akko (il suo nomignolo che deriva da Hatsuko Kagari) si distingue dalle altre protagoniste shojo, e la cosa mi fa piacere.
Le animazioni poi sono semplicemente fantastiche, e i desing dei personaggi sono tutti unici; ho adorato particolarmente quello di Chariot. La trama l'ho apprezzata molto, non ho niente di male da dire. Le due opening sono belle, però in varie occasioni le ho saltate, mentre poi la colonna sonora (OST) mi è piaciuta veramente molto.
Io consiglio questo anime a tutti, anche perché è abbastanza leggero.
Voto opening, colonna sonora, animazioni, disegni e trama: 8,5.
Voto finale 8,5/10.
"Little Witch Academia" è uno dei titoli più attesi e di successo del 2017.
Evito di descrivere nuovamente la trama, così da evitare spoiler, comunque non ha niente di particolare, molte puntate autoconclusive e un filone centrale che promette bene ma poco mantiene; dico solo che ho trovato difficoltà a finire la serie, e ci sono riuscito solo con la speranza che qualcosa potesse risollevare la serie.
L'ambientazione delle serie anni '80 è ben realizzata, e il punto forte sono proprio le animazioni e il comparto visivo. Il punto più dolente a mio avviso è la protagonista, i cui difetti la rendono irritante: ok, è una bambina, ma troppo stereotipata, e la cosa peggiore è che non ha crescita o sviluppo.
Al venticinquesimo episodio è come al primo, e i comprimari fanno poco meglio, eppure le basi c'erano, ma tutto va a finire in un niente di fatto. Per il resto, nulla di particolare da segnalare, nessun messaggio specifico, solo semplice intrattenimento per qualche nostalgico, nulla che possa salvare la serie.
Consiglio la serie agli under 13 o ai nostalgici senza particolari aspettative; per gli altri, guardate altrove.
Evito di descrivere nuovamente la trama, così da evitare spoiler, comunque non ha niente di particolare, molte puntate autoconclusive e un filone centrale che promette bene ma poco mantiene; dico solo che ho trovato difficoltà a finire la serie, e ci sono riuscito solo con la speranza che qualcosa potesse risollevare la serie.
L'ambientazione delle serie anni '80 è ben realizzata, e il punto forte sono proprio le animazioni e il comparto visivo. Il punto più dolente a mio avviso è la protagonista, i cui difetti la rendono irritante: ok, è una bambina, ma troppo stereotipata, e la cosa peggiore è che non ha crescita o sviluppo.
Al venticinquesimo episodio è come al primo, e i comprimari fanno poco meglio, eppure le basi c'erano, ma tutto va a finire in un niente di fatto. Per il resto, nulla di particolare da segnalare, nessun messaggio specifico, solo semplice intrattenimento per qualche nostalgico, nulla che possa salvare la serie.
Consiglio la serie agli under 13 o ai nostalgici senza particolari aspettative; per gli altri, guardate altrove.
"It", "Stranger Things", "Kung Fury", la gente che inspiegabilmente torna a comprare le cassette audio... è da qualche anno che in Occidente è di moda una sorta di revival degli anni '80; per quanto riguarda l'Oriente, invece, ci ha pensato lo Studio Trigger a sfornare un prodotto retrò.
Questo "Little Witch Academia" è infatti un concentrato di situazioni e chara design decisamente anni '80, fortunatamente con delle animazioni invece estremamente fluide, che sono decisamente la punta di diamante dello Studio Trigger. Purtroppo gli anni '80 di cui questo anime è una somma erano un periodo dell'animazione ricco non solo di pregi, ma anche di difetti: se le gag di "Little Witch Academia" spassose e con perfetti tempi comici ricordano da vicino i migliori anime di questo tipo, la parte della sceneggiatura invece è carente, pressapochista, infarcita di retorica motivazionista spicciola anch'essa retrò. Ma la parte peggiore è sicuramente quella degli imbarazzanti dialoghi-cliché: sentire dire innumerevoli volte che "la vera magia è credere in sé stessi" oppure "Oh no! Non ce la possono fare!", "Invece sì, Akko può riuscirci!" provoca in me la stessa sensazione di vedere un film d'azione del 2017 in cui, prendendosi sul serio, dicano "Dannazione! Quel gran figlio di p***ana ce l'ha fatta!". Il contrasto quindi è fra delle belle gag e una sceneggiatura incomprensibilmente orrenda.
Fui incuriosito da questo anime grazie a uno spezzone della puntata "Nel mondo di Susy", senza sapere che fosse la puntata più divertente e senza sapere che le puntate comiche fossero in minoranza all'interno della serie, e praticamente assenti nella seconda parte, la quale è stata da me terminata per sfinimento. Qualche idea caruccia sparsa qua e là come la magia-informatica con i suoi robot per le pulizie al posto delle scope, o la similitudine fra il mondo della magia in difficoltà assediato dalla modernità e il mondo dell'animazione giapponese assediato dalla CGI non bastano per riempire il vuoto e la ridondanza presenti in gran parte delle puntate, così come non bastano le citazioni e le auto-citazioni di cui l'opera è piena.
Il risultato per me è un buco nell'acqua; magari la sceneggiatrice voleva suscitare nostalgia in un pubblico trentenne-tardo ventenne, ma con me non ci è riuscita, non mi sono mai piaciuti gli anni '80 e certi dialoghi insulsi li detestavo anche da piccolissimo all'epoca di "Bim Bum Bam".
Questo "Little Witch Academia" è infatti un concentrato di situazioni e chara design decisamente anni '80, fortunatamente con delle animazioni invece estremamente fluide, che sono decisamente la punta di diamante dello Studio Trigger. Purtroppo gli anni '80 di cui questo anime è una somma erano un periodo dell'animazione ricco non solo di pregi, ma anche di difetti: se le gag di "Little Witch Academia" spassose e con perfetti tempi comici ricordano da vicino i migliori anime di questo tipo, la parte della sceneggiatura invece è carente, pressapochista, infarcita di retorica motivazionista spicciola anch'essa retrò. Ma la parte peggiore è sicuramente quella degli imbarazzanti dialoghi-cliché: sentire dire innumerevoli volte che "la vera magia è credere in sé stessi" oppure "Oh no! Non ce la possono fare!", "Invece sì, Akko può riuscirci!" provoca in me la stessa sensazione di vedere un film d'azione del 2017 in cui, prendendosi sul serio, dicano "Dannazione! Quel gran figlio di p***ana ce l'ha fatta!". Il contrasto quindi è fra delle belle gag e una sceneggiatura incomprensibilmente orrenda.
Fui incuriosito da questo anime grazie a uno spezzone della puntata "Nel mondo di Susy", senza sapere che fosse la puntata più divertente e senza sapere che le puntate comiche fossero in minoranza all'interno della serie, e praticamente assenti nella seconda parte, la quale è stata da me terminata per sfinimento. Qualche idea caruccia sparsa qua e là come la magia-informatica con i suoi robot per le pulizie al posto delle scope, o la similitudine fra il mondo della magia in difficoltà assediato dalla modernità e il mondo dell'animazione giapponese assediato dalla CGI non bastano per riempire il vuoto e la ridondanza presenti in gran parte delle puntate, così come non bastano le citazioni e le auto-citazioni di cui l'opera è piena.
Il risultato per me è un buco nell'acqua; magari la sceneggiatrice voleva suscitare nostalgia in un pubblico trentenne-tardo ventenne, ma con me non ci è riuscita, non mi sono mai piaciuti gli anni '80 e certi dialoghi insulsi li detestavo anche da piccolissimo all'epoca di "Bim Bum Bam".
Se mai dovessero chiedermi quale sia stata la serie rivelazione del 2017, con il senno di poi risponderei senza alcuna dubbio "Little Witch Academia", ma partiamo con ordine.
"Little Witch Academia" nasce inizialmente come singolo special, realizzato nel 2013 sotto la firma del talentuoso studio Trigger, studio divenuto ormai famoso per la grande qualità delle proprie opere, nonché formato da alcuni ex membri del ben più famoso Studio Gainax. Il successo di tale special portò lo studio a realizzare nel 2015 un lungometraggio denominato "Little Witch Academia: The Enchanted Parade". Infine il rinnovato successo di tale lungometraggio portò lo studio nel 2017 alla scelta di realizzare una serie reboot di venticinque episodi, ispirata alle due opere precedenti, ed è su tale serie che ci concentreremo ora.
Trama: Astuko Kagari, anche soprannominata Akko, è sempre stata affascinata dal mondo della magia, e il motivo è dovuto a uno spettacolo che vide quando era ancora una bambina: protagonista di tale spettacolo era la famosa maga chiamata Shiny Chariot, che da lì a poco divenne un punto di riferimento per la nostra giovane Akko. Passano gli anni, e la figura di Shiny Chiariot finisce oramai nel dimenticatoio, e la magia sta ormai attraversando un periodo di decadenza, considerata una pratica fin troppo sorpassata e vetusta, soprattutto se comparata con le emergenti pratiche scientifiche e tecnologiche attualmente in sviluppo.
Ma Akko non si lascerà scoraggiare da tali difficoltà, decidendo così di iscriversi alla famosa e secolare accademia per streghe "Luna Nova". Una volta raggiunta la città vicina alla "Ley Line", il teletrasporto magico per raggiungere la scuola, Akko farà la conoscenza di due ragazze, Lotte Jasson e Susy Manbavaran, che l'aiuteranno a raggiungere la Luna Nova, non però prima di avere un piccolo contrattempo con il teletrasporto, finendo così nella foresta proibita di Acturus. Ma grazie al misterioso ritrovamento dello "Shiny Rod", la bacchetta utilizzata da Shiny Chariot, e all'aiuto di Ursula, una giovane insegnante della Luna Nova, riusciranno a sfuggire a tale difficoltà e a raggiungere la scuola. Qui Akko si ritroverà a dover fare i conti con la dura realtà, cioè con il noioso metodo di insegnamento di tipo conservatore utilizzato dalle insegnanti. Fortunatamente avrà ugualmente l'occasione di imparare a utilizzare la magia, grazie sempre all'aiuto della professoressa Ursula, che diverrà una specie di mentore per lei. Inoltre qui farà la conoscenza di Diana Cavendish, talentuosa strega, appartenente a una famosa famiglia di streghe, con la quale Akko entrerà rapidamente in contrasto. Ed è con queste ottime premesse che partirà questa fantasmagorica avventura, tra incredibili magie e profonde emozioni.
I personaggi: tra i vari personaggi ce ne sono diversi degni di nota, e adesso ve ne elencherò alcuni, ovviamente evitando con la dovuta attenzione di farvi spoiler. Quindi, fatta questa premessa, iniziamo.
Il primo personaggio di cui vorrei parlarvi è la nostra protagonista, Akko, una ragazza solare ed energica, con la grande capacità di non arrendersi mai, ma ovviamente questa non è l'unica qualità che la contraddistingue: difatti, contrariamente alla maggior parte dei protagonisti di storie simili, lei non ha nessun passato tragico o simili, ma è semplicemente una ragazza come tante altre. Inoltre Akko subirà una profonda crescita nel corso delle varie puntate, che la faranno maturare sia come strega sia come persona.
Invece il prossimo personaggio di cui vorrei parlarvi è Diana, la "rivale" di Akko. Diana è una ragazza molto calma e responsabile, sulla quale pende il destino della famosa famiglia Cavendish, considerata a detta dei più come una ragazza estremamente generosa, caratterizzata da una difficile storia personale, della quale eviterò di entrare nei dettagli. Inoltre anche lei subirà una profonda crescita, in un certo senso ben più profonda della stessa Akko, che ve la farà completamente rivalutare.
Per quanto riguarda il personaggio della professoressa Ursula, ci sarebbe tanto di cui parlare, ma rischierei di incappare in fin troppi spoiler. Vi basterà sapere però che vi sorprenderà non poco nel corso delle puntate, ve lo posso caldamente assicurare.
Infine vorrei parlarvi di altri due personaggi, Lotte e Sucy. La prima è una ragazza estremamente timida, ma con la grande capacita di comunicare con gli spiriti, mentre la seconda è una ragazza decisamente particolare, con la grande passione di creare pozioni, le quali infine finiranno per creare un profondo legame con la nostra Akko, e che l'aiuteranno tanto nel corso della serie. Unica nota abbastanza dolente, ahimè, è il fatto che non sono state approfondite con la dovuta attenzione, ma rimangono ugualmente due personaggi estremamente importanti a parer mio.
Per quanto riguarda il resto dei personaggi, vi posso assicurare che anche loro non vi deluderanno, soprattutto un "certo" personaggio, che vi anticipo già verrà introdotto nella seconda parte di stagione.
Fatti i relativi approfondimenti sulla componente narrativa della serie, vorrei illustravi il comparto tecnico, audio e musicale.
Comparto tecnico: come ben sapete, lo Studio Trigger è ben rinomato per le sue capacità, e direi che nel corso della serie il suo tocco si è notato eccome. Difatti la serie vanta un livello di dettaglio estremamente alto, con un chara semplice ma decisamente azzeccato, e delle animazioni da paura, come solo Trigger è in grado di fare, e vi posso assicurare che resterete facilmente incantati di fronte allo schermo.
Comparto audio: la serie è caratterizzata da un ottimo comparto audio e sonoro, caratterizzato anche da un cast altamente qualificato di doppiatori, in particolar modo la doppiatrice di Akko, che è riuscita a rappresentare perfettamente la sua allegria e esuberanza, ma degne di nota ci sono anche le rispettive doppiatrici di Lotte e Sucy, che sono state anch'esse ben rese. Riguardo gli altri personaggi, devo ammettere di non essere rimasto affatto deluso.
Per quanto riguarda il doppiaggio nostrano, non avendo ancora avuto il tempo di ascoltarlo, eviterò di parlarne, quindi starà a voi il compito di analizzarne la qualità.
Comparto musicale: questo è un altro punto a favore della serie, ben caratterizzata dalle rispettive opening e ending, realizzate sempre rispettivamente dalle cantanti YURiKA e Yuiko Ohara. La prima difatti canta le opening, "Shiny Ray" e "Mind Conductor". Mentre la seconda canta le ending, "Hoshi wo Tadoreba" e "Toumei na Tsubasa", che sintetizzano perfettamente le sensazioni provate nel corso degli episodi. Ovviamente degne di nota sono anche le varie OST, in grado facilmente di incantare il più maturo degli spettatori.
Quindi, la domanda è: "Mi è piaciuto "Little Witch Academia"?" Beh, direi che la risposta e più che scontata. Quindi, se siete giunti a questo punto della recensione, vi consiglio caldamente di buttarvi in questo meraviglioso e magico mondo, perché non ne rimarrete affatto delusi, ve lo posso assicurare!
"Little Witch Academia" nasce inizialmente come singolo special, realizzato nel 2013 sotto la firma del talentuoso studio Trigger, studio divenuto ormai famoso per la grande qualità delle proprie opere, nonché formato da alcuni ex membri del ben più famoso Studio Gainax. Il successo di tale special portò lo studio a realizzare nel 2015 un lungometraggio denominato "Little Witch Academia: The Enchanted Parade". Infine il rinnovato successo di tale lungometraggio portò lo studio nel 2017 alla scelta di realizzare una serie reboot di venticinque episodi, ispirata alle due opere precedenti, ed è su tale serie che ci concentreremo ora.
Trama: Astuko Kagari, anche soprannominata Akko, è sempre stata affascinata dal mondo della magia, e il motivo è dovuto a uno spettacolo che vide quando era ancora una bambina: protagonista di tale spettacolo era la famosa maga chiamata Shiny Chariot, che da lì a poco divenne un punto di riferimento per la nostra giovane Akko. Passano gli anni, e la figura di Shiny Chiariot finisce oramai nel dimenticatoio, e la magia sta ormai attraversando un periodo di decadenza, considerata una pratica fin troppo sorpassata e vetusta, soprattutto se comparata con le emergenti pratiche scientifiche e tecnologiche attualmente in sviluppo.
Ma Akko non si lascerà scoraggiare da tali difficoltà, decidendo così di iscriversi alla famosa e secolare accademia per streghe "Luna Nova". Una volta raggiunta la città vicina alla "Ley Line", il teletrasporto magico per raggiungere la scuola, Akko farà la conoscenza di due ragazze, Lotte Jasson e Susy Manbavaran, che l'aiuteranno a raggiungere la Luna Nova, non però prima di avere un piccolo contrattempo con il teletrasporto, finendo così nella foresta proibita di Acturus. Ma grazie al misterioso ritrovamento dello "Shiny Rod", la bacchetta utilizzata da Shiny Chariot, e all'aiuto di Ursula, una giovane insegnante della Luna Nova, riusciranno a sfuggire a tale difficoltà e a raggiungere la scuola. Qui Akko si ritroverà a dover fare i conti con la dura realtà, cioè con il noioso metodo di insegnamento di tipo conservatore utilizzato dalle insegnanti. Fortunatamente avrà ugualmente l'occasione di imparare a utilizzare la magia, grazie sempre all'aiuto della professoressa Ursula, che diverrà una specie di mentore per lei. Inoltre qui farà la conoscenza di Diana Cavendish, talentuosa strega, appartenente a una famosa famiglia di streghe, con la quale Akko entrerà rapidamente in contrasto. Ed è con queste ottime premesse che partirà questa fantasmagorica avventura, tra incredibili magie e profonde emozioni.
I personaggi: tra i vari personaggi ce ne sono diversi degni di nota, e adesso ve ne elencherò alcuni, ovviamente evitando con la dovuta attenzione di farvi spoiler. Quindi, fatta questa premessa, iniziamo.
Il primo personaggio di cui vorrei parlarvi è la nostra protagonista, Akko, una ragazza solare ed energica, con la grande capacità di non arrendersi mai, ma ovviamente questa non è l'unica qualità che la contraddistingue: difatti, contrariamente alla maggior parte dei protagonisti di storie simili, lei non ha nessun passato tragico o simili, ma è semplicemente una ragazza come tante altre. Inoltre Akko subirà una profonda crescita nel corso delle varie puntate, che la faranno maturare sia come strega sia come persona.
Invece il prossimo personaggio di cui vorrei parlarvi è Diana, la "rivale" di Akko. Diana è una ragazza molto calma e responsabile, sulla quale pende il destino della famosa famiglia Cavendish, considerata a detta dei più come una ragazza estremamente generosa, caratterizzata da una difficile storia personale, della quale eviterò di entrare nei dettagli. Inoltre anche lei subirà una profonda crescita, in un certo senso ben più profonda della stessa Akko, che ve la farà completamente rivalutare.
Per quanto riguarda il personaggio della professoressa Ursula, ci sarebbe tanto di cui parlare, ma rischierei di incappare in fin troppi spoiler. Vi basterà sapere però che vi sorprenderà non poco nel corso delle puntate, ve lo posso caldamente assicurare.
Infine vorrei parlarvi di altri due personaggi, Lotte e Sucy. La prima è una ragazza estremamente timida, ma con la grande capacita di comunicare con gli spiriti, mentre la seconda è una ragazza decisamente particolare, con la grande passione di creare pozioni, le quali infine finiranno per creare un profondo legame con la nostra Akko, e che l'aiuteranno tanto nel corso della serie. Unica nota abbastanza dolente, ahimè, è il fatto che non sono state approfondite con la dovuta attenzione, ma rimangono ugualmente due personaggi estremamente importanti a parer mio.
Per quanto riguarda il resto dei personaggi, vi posso assicurare che anche loro non vi deluderanno, soprattutto un "certo" personaggio, che vi anticipo già verrà introdotto nella seconda parte di stagione.
Fatti i relativi approfondimenti sulla componente narrativa della serie, vorrei illustravi il comparto tecnico, audio e musicale.
Comparto tecnico: come ben sapete, lo Studio Trigger è ben rinomato per le sue capacità, e direi che nel corso della serie il suo tocco si è notato eccome. Difatti la serie vanta un livello di dettaglio estremamente alto, con un chara semplice ma decisamente azzeccato, e delle animazioni da paura, come solo Trigger è in grado di fare, e vi posso assicurare che resterete facilmente incantati di fronte allo schermo.
Comparto audio: la serie è caratterizzata da un ottimo comparto audio e sonoro, caratterizzato anche da un cast altamente qualificato di doppiatori, in particolar modo la doppiatrice di Akko, che è riuscita a rappresentare perfettamente la sua allegria e esuberanza, ma degne di nota ci sono anche le rispettive doppiatrici di Lotte e Sucy, che sono state anch'esse ben rese. Riguardo gli altri personaggi, devo ammettere di non essere rimasto affatto deluso.
Per quanto riguarda il doppiaggio nostrano, non avendo ancora avuto il tempo di ascoltarlo, eviterò di parlarne, quindi starà a voi il compito di analizzarne la qualità.
Comparto musicale: questo è un altro punto a favore della serie, ben caratterizzata dalle rispettive opening e ending, realizzate sempre rispettivamente dalle cantanti YURiKA e Yuiko Ohara. La prima difatti canta le opening, "Shiny Ray" e "Mind Conductor". Mentre la seconda canta le ending, "Hoshi wo Tadoreba" e "Toumei na Tsubasa", che sintetizzano perfettamente le sensazioni provate nel corso degli episodi. Ovviamente degne di nota sono anche le varie OST, in grado facilmente di incantare il più maturo degli spettatori.
Quindi, la domanda è: "Mi è piaciuto "Little Witch Academia"?" Beh, direi che la risposta e più che scontata. Quindi, se siete giunti a questo punto della recensione, vi consiglio caldamente di buttarvi in questo meraviglioso e magico mondo, perché non ne rimarrete affatto delusi, ve lo posso assicurare!
Dopo aver incantato con un film e un OAV, "Little Witch Academia" si è presentata come una delle serie più attese del 2017. Non sono in grado di dire se tali aspettative siano state soddisfatte, visto che non ho visto le precedenti produzioni inerenti questo franchise, ma come appassionato di animazione mi ritengo più che soddisfatto da ciò che lo studio "Trigger" è riuscito a creare.
"Little Witch Academia" possiede un grande pregio che è ben chiaro fin dal primo episodio: ha un obiettivo e sa come raggiungerlo, e questo obiettivo è intrattenere lo spettatore, niente di più e niente di meno. E per me questo scopo è stato pienamente raggiunto in tutti e venticinque gli episodi che compongono la serie. Che sia attraverso le splendide animazioni durante le scene più movimentate, il citazionismo, l'ironia (memorabili in questo senso gli episodi sull'insegnante pesce e la visita al villaggio natale di Lotte), ho trovato difficilissimo annoiarmi o distrarmi anche solo per un secondo (e parla uno che è tutto fuorché un appassionato del genere majokko).
Ma Yoh Yoshinari, da vecchia volpe dell'animazione qual è, sa perfettamente che da soli questi elementi non bastano per riuscire a creare un'ottima serie. Per quello c'è bisogno di una protagonista all'altezza, e "Little Witch Academia" ha anche questo: Akko è una bambina e in quanto tale è tutt'altro che perfetta, infatti quasi sempre si comporta in maniera testarda, petulante, egocentrica ed egoista, ma possiede un entusiasmo a dir poco contagioso e quindi risulta quasi impossibile non fare il tifo per lei (brava Megumi Han nel darle voce e rendere l'animo estroverso di Akko).
Ad aiutare nella riuscita della serie ci pensano l'ottima colonna sonora di Michiru Oshima e il fatto che molte puntate siano autoconclusive ma non fini a sé stesse, poiché risultano utili alla crescita della protagonista.
Ora, a tutti voi cari lettori che mi avete seguito fino a questo punto della recensione sembrerà che io stia parlando di una serie mirata al mero intrattenimento fine a sé stesso, indubbiamente ben confezionata, ma comunque una serie da guardare a cervello spento. E invece "Little Witch Academia" è risultata una serie sorprendente anche da questo punto di vista, dimostrandosi molto meno stupida di quanto appaia a prima vista.
Oltre a un palese messaggio a inseguire i propri sogni indipendentemente da ciò che la gente intorno pensa, "Little Witch Academia" propone anche un invito a cercare qualcosa che sia in grado di stupirci ed emozionarci, e una volta che avremo trovato quella cosa a tenercela stretta e a non lasciarla più. Inoltre mi è sembrato che Yoshinari, nel finale con il "Grand Triskelion", si sia riferito al grande potere che possiede l'animazione, ovvero la capacità di rendere reali i sogni della gente e in questo modo stupire. Nulla di eclatante o innovativo, d'accordo, ma il messaggio arriva forte e chiaro.
Purtroppo "Little Witch Academia" non è esente da difetti, che ho considerato piuttosto gravi, visto che a mio avviso sarebbero stati facilmente risolvibili con un po' di attenzione in più. Invero questa serie patisce un'ambientazione piatta e anonima, un antagonista potenzialmente molto interessante, ma colpevolmente sottosviluppato, e una eccessiva concentrazione sul personaggio principale.
Come ho già detto, Akko mi è simpatica, ma il fatto che ci sia sempre lei al centro della narrazione, anche quando gli episodi sono incentrati sui personaggi secondari, e sia quasi sempre solo lei a risolvere la situazione, blocca qualsiasi spazio alla crescita degli altri personaggi.
Ma questi sono solo dettagli che non hanno influito più di tanto in quella che è stata comunque una piacevolissima visione.
Perché, in fin dei conti, come ho già detto all'inizio, "Little Witch Academia" nasce con l'intento di intrattenere, e in questo compito la serie dello studio "Trigger" ci riesce dannatamente bene. Provare per credere.
"Little Witch Academia" possiede un grande pregio che è ben chiaro fin dal primo episodio: ha un obiettivo e sa come raggiungerlo, e questo obiettivo è intrattenere lo spettatore, niente di più e niente di meno. E per me questo scopo è stato pienamente raggiunto in tutti e venticinque gli episodi che compongono la serie. Che sia attraverso le splendide animazioni durante le scene più movimentate, il citazionismo, l'ironia (memorabili in questo senso gli episodi sull'insegnante pesce e la visita al villaggio natale di Lotte), ho trovato difficilissimo annoiarmi o distrarmi anche solo per un secondo (e parla uno che è tutto fuorché un appassionato del genere majokko).
Ma Yoh Yoshinari, da vecchia volpe dell'animazione qual è, sa perfettamente che da soli questi elementi non bastano per riuscire a creare un'ottima serie. Per quello c'è bisogno di una protagonista all'altezza, e "Little Witch Academia" ha anche questo: Akko è una bambina e in quanto tale è tutt'altro che perfetta, infatti quasi sempre si comporta in maniera testarda, petulante, egocentrica ed egoista, ma possiede un entusiasmo a dir poco contagioso e quindi risulta quasi impossibile non fare il tifo per lei (brava Megumi Han nel darle voce e rendere l'animo estroverso di Akko).
Ad aiutare nella riuscita della serie ci pensano l'ottima colonna sonora di Michiru Oshima e il fatto che molte puntate siano autoconclusive ma non fini a sé stesse, poiché risultano utili alla crescita della protagonista.
Ora, a tutti voi cari lettori che mi avete seguito fino a questo punto della recensione sembrerà che io stia parlando di una serie mirata al mero intrattenimento fine a sé stesso, indubbiamente ben confezionata, ma comunque una serie da guardare a cervello spento. E invece "Little Witch Academia" è risultata una serie sorprendente anche da questo punto di vista, dimostrandosi molto meno stupida di quanto appaia a prima vista.
Oltre a un palese messaggio a inseguire i propri sogni indipendentemente da ciò che la gente intorno pensa, "Little Witch Academia" propone anche un invito a cercare qualcosa che sia in grado di stupirci ed emozionarci, e una volta che avremo trovato quella cosa a tenercela stretta e a non lasciarla più. Inoltre mi è sembrato che Yoshinari, nel finale con il "Grand Triskelion", si sia riferito al grande potere che possiede l'animazione, ovvero la capacità di rendere reali i sogni della gente e in questo modo stupire. Nulla di eclatante o innovativo, d'accordo, ma il messaggio arriva forte e chiaro.
Purtroppo "Little Witch Academia" non è esente da difetti, che ho considerato piuttosto gravi, visto che a mio avviso sarebbero stati facilmente risolvibili con un po' di attenzione in più. Invero questa serie patisce un'ambientazione piatta e anonima, un antagonista potenzialmente molto interessante, ma colpevolmente sottosviluppato, e una eccessiva concentrazione sul personaggio principale.
Come ho già detto, Akko mi è simpatica, ma il fatto che ci sia sempre lei al centro della narrazione, anche quando gli episodi sono incentrati sui personaggi secondari, e sia quasi sempre solo lei a risolvere la situazione, blocca qualsiasi spazio alla crescita degli altri personaggi.
Ma questi sono solo dettagli che non hanno influito più di tanto in quella che è stata comunque una piacevolissima visione.
Perché, in fin dei conti, come ho già detto all'inizio, "Little Witch Academia" nasce con l'intento di intrattenere, e in questo compito la serie dello studio "Trigger" ci riesce dannatamente bene. Provare per credere.
Magia, streghe, majokko: esiste forse un tema più abusato nel mondo dell’animazione nipponica di questo? Magari c’è, eh, non si può certo conoscere ogni cosa, ma sicuramente questo potrebbe lottare per le prime posizioni, vista la grande quantità di streghe, streghette e, più in generale, ragazze dotate di poteri magici a cui abbiamo assistito in questi anni con più o meno soddisfazione nella visione, senza contare le innumerevoli presenze degli stessi elementi nella letteratura e nella cinematografia mondiale, che danno ormai la sensazione di un genere saturo da questo punto di vista. Proprio per questo il primo pensiero col quale mi sono approcciato, più per curiosità che per effettivo desiderio, alla visione di “Little Witch Academia” è stato: “Varrà ancora la pena puntare su qualcosa che sa di già visto in ogni suo aspetto?”; ebbene, dopo sei mesi di incantevole visione, posso dire che, sì, quando si crea qualcosa con questa qualità, ne vale assolutamente la pena!
“Little Witch Academia” è un’anime di venticinque episodi andato in onda in Giappone dal 9 gennaio al 25 giugno 2017, opera dello Studio Trigger i cui diritti per la trasmissione in streaming a livello internazionale sono stati acquisiti da Netflix, anche per l’Italia; in realtà non è un’opera prima, bensì la terza trasposizione di un prodotto nato nel 2013: “Little Witch Academia” nasce infatti come OAV unico nell’ambito dell’Anime Mirai, un progetto che prevede la sovvenzione a vari studi di animazione affinché promuovano l’inserimento e l’insegnamento a nuovi giovani animatori. Scritto da Masahiko Otsuka e diretto da Yoh Yoshinari, questo OAV ha riscosso un successo tale, da convincere lo studio Trigger a produrre un mediometraggio dal titolo “Little Witch Academia: The Enchanted Parade”, che ha ampliato il background di base del mondo creato nell’OAV, introducendo i principali personaggi ripresi poi in pianta stabile nella serie animata ivi recensita.
“Little Witch Academia” (da qui in poi contratto con l’acronimo “LWA”) racconta le avventure di Atsuko Kagari, detta Akko, e delle sue amiche/compagne in un mondo assimilabile al nostro dove la magia è nota e praticata pur con diverse limitazioni. Akko non proviene da una famiglia di maghi, ma, da quando ha assistito da bambina a uno spettacolo di Shiny Chariot, una strega famosa per la bellezza e la grandiosità degli spettacoli dove mette in mostra la sua magia, e che è scomparsa poi misteriosamente, ha il sogno di seguire le sue orme e diventare anche lei una strega provetta, per riuscire magari anche a incontrarla. Spinta da questa sua convinzione incrollabile, riesce a farsi ammettere all’accademia Luna Nova, che da secoli avvia ragazze di tutto il mondo all’apprendimento della magia, e sarà lì che comincerà il suo viaggio in un mondo a lei in gran parte sconosciuto del quale ha visto solo la scintillante copertina, sostenuta dai principali personaggi che interagiranno con lei nella storia: le amiche e compagne di stanza Lotte Jansson e Sucy Manbavaran, la professoressa Ursula Callistis, che la prenderà stranamente in grande simpatia e la porrà sotto la sua ala protettrice, e la compagna/rivale Diana Cavendish.
Tutto qui, si dirà? Una ragazza che vuole diventare strega, l’ennesima scuola di magia, bacchette, scope volanti, qual è la novità in tutto questo? Beh, non c’è, è chiaro: fin quando si resta su questi aspetti “LWA” ricicla elementi visti e stravisti, per cui dov’è che si distanzia dal resto, rendendo meritevole la sua visione? Innanzitutto nella potenza e nella caratterizzazione dei suoi personaggi, partendo dalla protagonista. Akko non è la tipica protagonista di opere simili, caratterialmente ricalca gli stereotipi delle opere shonen, certo (è spensierata, vivace, allegra, altruista ma anche goffa, testarda e pasticciona), ma tendenzialmente è una ragazza normalissima, non ha un passato tragico alle spalle, non ha subito esperienze negative che la spingono a cercare una qualche rivalsa, non ha nemici da combattere, ha semplicemente tanta fiducia in sé stessa e un sogno da realizzare a tutti i costi, e questa sua luminosità si riflette nei rapporti che costruisce con tutti i personaggi che pian piano finisce sempre per conquistare con la sua brutale, onesta faccia tosta e comportamento ‘caciarone’. Akko è un potente catalizzatore di attenzione, ma anche gli altri personaggi contribuiscono a regalare spessore e interesse all’opera tutta: Lotte e Sucy sono le due compagne di stanza di Akko, le prime aspiranti streghe con cui costruisce un rapporto di amicizia, dal carattere molto diverso; la prima è una ragazza timida, tranquilla e introversa, ama la sua famiglia, leggere ed è portata per le magie che comportano l’evocazione e la comunicazione con spiriti e fate, mentre la seconda è una ragazza cinica, all’apparenza quasi insensibile e disinteressata alla sorte di chi la circonda, esperta di pozioni, funghi e veleni, che non lesina di testare anche sulla povera Akko. Diana invece è la controparte ideale di Akko, dalla quale si differenzia in (quasi) ogni aspetto: laddove la protagonista è carina ma non appariscente, incapace e sognatrice, lei è invece bella, perfetta in ogni aspetto scolastico, esperta di qualsiasi magia e saldamente ancorata alla realtà, è consapevole del suo ruolo di rappresentante di una celebre famiglia magica e in quanto tale studia con l’obiettivo di essere degna erede del nome dei Cavendish che porta. La professoressa Ursula infine è la guida ‘spirituale’ di Akko, caratterialmente è più morigerata della protagonista, ma negli atteggiamenti le assomiglia, visto che anche lei è una novizia come insegnante ed è quindi portata a compiere errori dettati dall’inesperienza. Questi sono i personaggi ricorrenti più presenti nella serie, una piccola parte del mondo di “LWA” ma un valido esempio della sua natura bizzarra e variegata.
Altro elemento di novità è la gestione della trama e dei generi in cui si evolve “LWA”, che comincia come una commedia leggera in salsa fantasy incentrata sulle (dis)avventure di Akko e finisce come un’opera quasi drammatica dove il destino stesso dei mondi magico e reale viene messo nelle fragili ma volenterose mani di Akko, chiamata all’impresa di riscoprire una misteriosa magia che si dice sia in grado di ‘cambiare il mondo’; il bello è che in entrambi i casi funziona a meraviglia. La prima metà di episodi infatti è esilarante, soprattutto quando pone in primo piano il contrasto tra il rigido mondo magico dell’accademia Luna Nova, figlio di secoli e secoli di tradizioni consolidate, col temperamento “bohémien” di Akko, refrattaria a limitazioni, regolamenti e a qualsiasi cosa che ponga la magia da lei amata come semplice materia di studio, rendendola finanche noiosa; la seconda parte invece, pur conservando per larghi tratti l’atmosfera leggera che caratterizza dall’inizio “LWA”, prova ad approfondire maggiormente il background dei personaggi, mette Akko e le sue amiche alla prova con esami sempre più difficili da affrontare, perché esulano dall’ambito scolastico, ma si concentrano nella vita di tutti i giorni, coi suoi sogni da coltivare ma anche dolorosi sacrifici da compiere. E’ in questa parte che emerge una trama di sottofondo finora solo intravista, che porterà attraverso un continuo crescendo di emozioni e colpi di scena a un finale spettacolare, e viene presentato anche l’unico vero personaggio negativo dell’anime, e neanche quello fino in fondo. Perché anche questa è una delle innovazioni di “LWA”: personaggi “cattivi” assimilabili a questa categoria praticamente non esistono, ovviamente ci sono momenti in cui emergono atteggiamenti egoistici, superbi, arroganti, ma sono aspetti dell’animo umano riscontrabili in chiunque e sarebbe assurdo se non ci fossero; eppure la storia non avverte questa mancanza, facendosi seguire tranquillamente dall’inizio alla fine. Come non si nota un’altra assenza e altro aspetto innovativo in anime del genere, cioè quella dei personaggi maschili; se si esclude Andrew Hanbridge, infatti, giovane rampollo di un importante uomo politico e amico d’infanzia di Diana, i personaggi maschili in “LWA” non hanno nessuna importanza effettiva né ruolo di primo piano, anzi perlopiù sono mostrati con connotazioni negative, quali un disinteresse diffuso verso la magia che a volte sfocia anche in un’aperta ostilità nei suoi confronti, cosa per niente rara nel mondo di “LWA”, dove la magia è da una parte affermata, compresa, studiata, ma dall’altra anche osteggiata, perché vista come una cosa datata e inutile all’umanità nei tempi odierni. Questi e anche altri motivi contribuiscono a rendere “LWA” una serie dall’aspetto antico ma dal carattere fresco e originale, capace di catturare l’attenzione del pubblico più variegato, sia quello cresciuto con le avventure di streghe e majokko varie sia quello che adesso si affaccia a questo genere e può trovare in quest’opera un’ideale punto di inizio per avvicinarsi anche solo all’animazione giapponese, vista la sua storia accattivante ma anche i suoi disegni.
Già, perché anche dal punto di vista tecnico “LWA” è un anime che ha ben poco da invidiare agli altri; forte evidentemente della base costruita con OAV e film, lo Studio Trigger, in collaborazione con Good Smile Company e Toho, non ha badato a spese nella produzione della serie televisiva, realizzando un prodotto di qualità anche visiva e sonora decisamente sopra la media. La sceneggiatura è stata scritta a cinque mani, comprendendo tra l’altro l’originale Masahiko Otsuka, e anche la regia è affidata allo stesso Yoh Yoshinari che ha curato le prime trasposizioni con ottimi risultati. Il charachter design, opera dello stesso Yoshinari e di Shuhei Handa, è vivace e innovativo, chiaramente diverso dalla media di quanto si vede nell’animazione odierna: i personaggi sono tutti diversi uno dall’altro, ognuno ha caratteristiche peculiari inconfondibili e, pur essendo il 99% di essi di genere femminile, tra cui diverse donne e ragazze molto carine, i disegni non sono mai volgari e non puntano a sfruttare fanservice ecchi di alcun tipo, scelta anche questa inusuale nella realtà odierna, dove è facilissimo vedere richiami e ammiccamenti sessuali più o meno velati verso lo spettatore anche in opere che per il loro indirizzo non dovrebbero averne. Non solo i personaggi ma anche le ambientazioni e gli sfondi sono realizzati benissimo, i colori usati sono brillanti, ora forti, ora tenui, comunque tutto è enfatizzato per far risaltare al massimo gli effetti fantastici della magia, in modo che lo spettatore finisca quasi per provare le stesse sensazioni avute da Akko, quando è rimasta estasiata dallo spettacolo di Chariot. Tutto questo viene armonizzato ed esaltato da animazioni di altissimo valore: “LWA” infatti è un anime raramente statico, la sua natura, unita alla personalità esplosiva della protagonista, fa sì che, tra voli ad alta velocità, capitomboli vari e magie scenograficamente imponenti, siano soprattutto le scene dinamiche a farla da padrone. La camera vola letteralmente per evidenziare le peripezie di tutti i personaggi e ci riesce grazie anche a un (ab)uso sapiente del super deformed, che è sempre presente ma mai fastidioso.
E se è vero che, come recita l’antico adagio, anche l’occhio vuole la sua parte (e in questo caso se la tiene tutta!) sarebbe ingiusto penalizzare l’orecchio, ma, fortunatamente, anche qui “LWA” viene in soccorso dello spettatore, fornendo un comparto audio di tutto rispetto che tra colonna sonora, sigle e doppiaggio non fa altro che enfatizzare la bellezza della serie. Le musiche sono opera di Michiru Oshima (“Fullmetal Alchemist”, “The Tatami Galaxy” e altri) e fanno da legante tra le scene lente e quelle più veloci, seguono l’evoluzione della storia, dei protagonisti e accompagnano nella visione il pubblico, catturando costantemente la sua attenzione e il suo interesse; le sigle utilizzate nel periodo di trasmissione sono in tutto quattro, due opening e due ending, entrambe curiosamente interpretate dalla stessa artista - le opening infatti sono opera della cantante YURiKA, mentre le ending della cantante Yuiko Ohara. Personalmente sono sempre convinto che soprattutto l’opening sia un elemento fondamentale nella presentazione di un anime, capace di influenzare anche da sola il desiderio di provare a guardare una serie da parte dell’ignaro spettatore; anche per questo non posso che lodare il lavoro fatto a livello di musica e video con le due opening, simili a un primo sguardo ma diverse in piccoli dettagli come i due archi di storia che aprono, perché aiutano chi segue l’anime a immedesimarsi subito nell’ambiente di “LWA”. La prima opening, infatti, “Shiny Ray”, punta molto sull’aspetto ludico della magia, ci mostra la Akko bambina sognante di fronte a prodigi mai visti, la Akko cresciuta studente volenterosa pronta a inseguire il suo sogno e sommariamente una carrellata dei principali personaggi della serie; la seconda opening invece, “Mind conductor”, lascia poco spazio al divertimento, ci presenta una Akko consapevole del suo ruolo, della sua missione, fa respirare un’atmosfera diversa, come se ci fosse una minaccia incombente dietro l’angolo, mentre una panoramica divisa tra presente e passato ripropone di nuovo i personaggi principali, regalando loro più spazio come effettivamente succede anche nella serie. Scelte simili anche per le due ending: ritmo rilassato e disegni stilizzati, appena abbozzati nella seconda; musicalmente non mi hanno convinto come le altre due, ma si fanno guardare tranquillamente. In chiusura dell’argomento comparto sonoro non posso non citare lo splendido doppiaggio giapponese; purtroppo posso giudicare solo quello ad oggi, e l’impeccabile lavoro svolto da tutte le seiyuu sui rispettivi personaggi, tanto che sarebbe troppo lungo ricordare singolarmente ogni professionista chiamata a svolgere questo compito. Ne cito giusto tre tra quelle che mi hanno colpito di più: Megumi Han, chiamata a dare vita alla personalità di quel terremoto umano corrispondente ad Atsuko Kagari, bravissima a rappresentarla in ogni suo aspetto, Michiyo Murase che ha svolto la difficile missione di interpretare la natura misteriosa e perniciosa di Sucy, e infine Yoko Hikasa, che ha dato voce a Diana, impersonando di fatto il personaggio che subisce il cambiamento più radicale nella serie, paragonando la prima e l’ultima apparizione, in maniera sempre accorta e convincente.
Bene, penso di aver racchiuso in questa recensione tutti i (tanti) motivi che mi hanno spinto ad apprezzare a tal punto “Little Witch Academia”; personalmente non avevo visto né l’OAV né il film che avevano lanciato questo franchise (ma che ho recuperato ben prima che la serie finisse), per cui mi sono approcciato alla visione solo con la serie televisiva che ho scelto di guardare non tanto per l’argomento, che come ho detto all’inizio mi sembrava già troppo trattato, ma perché mi incuriosiva il particolare stile di disegno. Ovviamente, ho scoperto ben altro dietro un inusuale e intrigante disegno, e cioè una storia affascinante, capace di farmi ridere tantissimo, di farmi commuovere il giusto, senza scadere esageratamente nel dramma, ricca di personaggi singolari, di situazioni paradossali, anche di citazioni e parodie del mondo dell’animazione giapponese e oltre (si va da blockbuster come “Your Name.” a parodie sul genere mecha o su opere di fantascienza come “Star Wars”), un’opera sorprendente, visivamente splendida, che consiglierei tranquillamente a tutti, persino a chi non ha mai visto un anime in vita sua; col suo richiamo più o meno velato a tanti generi del passato potrebbe essere anche una porta da spalancare verso un universo sconfinato nel quale “Little Witch Academia” trova ormai legittimamente e perfettamente posto.
“Little Witch Academia” è un’anime di venticinque episodi andato in onda in Giappone dal 9 gennaio al 25 giugno 2017, opera dello Studio Trigger i cui diritti per la trasmissione in streaming a livello internazionale sono stati acquisiti da Netflix, anche per l’Italia; in realtà non è un’opera prima, bensì la terza trasposizione di un prodotto nato nel 2013: “Little Witch Academia” nasce infatti come OAV unico nell’ambito dell’Anime Mirai, un progetto che prevede la sovvenzione a vari studi di animazione affinché promuovano l’inserimento e l’insegnamento a nuovi giovani animatori. Scritto da Masahiko Otsuka e diretto da Yoh Yoshinari, questo OAV ha riscosso un successo tale, da convincere lo studio Trigger a produrre un mediometraggio dal titolo “Little Witch Academia: The Enchanted Parade”, che ha ampliato il background di base del mondo creato nell’OAV, introducendo i principali personaggi ripresi poi in pianta stabile nella serie animata ivi recensita.
“Little Witch Academia” (da qui in poi contratto con l’acronimo “LWA”) racconta le avventure di Atsuko Kagari, detta Akko, e delle sue amiche/compagne in un mondo assimilabile al nostro dove la magia è nota e praticata pur con diverse limitazioni. Akko non proviene da una famiglia di maghi, ma, da quando ha assistito da bambina a uno spettacolo di Shiny Chariot, una strega famosa per la bellezza e la grandiosità degli spettacoli dove mette in mostra la sua magia, e che è scomparsa poi misteriosamente, ha il sogno di seguire le sue orme e diventare anche lei una strega provetta, per riuscire magari anche a incontrarla. Spinta da questa sua convinzione incrollabile, riesce a farsi ammettere all’accademia Luna Nova, che da secoli avvia ragazze di tutto il mondo all’apprendimento della magia, e sarà lì che comincerà il suo viaggio in un mondo a lei in gran parte sconosciuto del quale ha visto solo la scintillante copertina, sostenuta dai principali personaggi che interagiranno con lei nella storia: le amiche e compagne di stanza Lotte Jansson e Sucy Manbavaran, la professoressa Ursula Callistis, che la prenderà stranamente in grande simpatia e la porrà sotto la sua ala protettrice, e la compagna/rivale Diana Cavendish.
Tutto qui, si dirà? Una ragazza che vuole diventare strega, l’ennesima scuola di magia, bacchette, scope volanti, qual è la novità in tutto questo? Beh, non c’è, è chiaro: fin quando si resta su questi aspetti “LWA” ricicla elementi visti e stravisti, per cui dov’è che si distanzia dal resto, rendendo meritevole la sua visione? Innanzitutto nella potenza e nella caratterizzazione dei suoi personaggi, partendo dalla protagonista. Akko non è la tipica protagonista di opere simili, caratterialmente ricalca gli stereotipi delle opere shonen, certo (è spensierata, vivace, allegra, altruista ma anche goffa, testarda e pasticciona), ma tendenzialmente è una ragazza normalissima, non ha un passato tragico alle spalle, non ha subito esperienze negative che la spingono a cercare una qualche rivalsa, non ha nemici da combattere, ha semplicemente tanta fiducia in sé stessa e un sogno da realizzare a tutti i costi, e questa sua luminosità si riflette nei rapporti che costruisce con tutti i personaggi che pian piano finisce sempre per conquistare con la sua brutale, onesta faccia tosta e comportamento ‘caciarone’. Akko è un potente catalizzatore di attenzione, ma anche gli altri personaggi contribuiscono a regalare spessore e interesse all’opera tutta: Lotte e Sucy sono le due compagne di stanza di Akko, le prime aspiranti streghe con cui costruisce un rapporto di amicizia, dal carattere molto diverso; la prima è una ragazza timida, tranquilla e introversa, ama la sua famiglia, leggere ed è portata per le magie che comportano l’evocazione e la comunicazione con spiriti e fate, mentre la seconda è una ragazza cinica, all’apparenza quasi insensibile e disinteressata alla sorte di chi la circonda, esperta di pozioni, funghi e veleni, che non lesina di testare anche sulla povera Akko. Diana invece è la controparte ideale di Akko, dalla quale si differenzia in (quasi) ogni aspetto: laddove la protagonista è carina ma non appariscente, incapace e sognatrice, lei è invece bella, perfetta in ogni aspetto scolastico, esperta di qualsiasi magia e saldamente ancorata alla realtà, è consapevole del suo ruolo di rappresentante di una celebre famiglia magica e in quanto tale studia con l’obiettivo di essere degna erede del nome dei Cavendish che porta. La professoressa Ursula infine è la guida ‘spirituale’ di Akko, caratterialmente è più morigerata della protagonista, ma negli atteggiamenti le assomiglia, visto che anche lei è una novizia come insegnante ed è quindi portata a compiere errori dettati dall’inesperienza. Questi sono i personaggi ricorrenti più presenti nella serie, una piccola parte del mondo di “LWA” ma un valido esempio della sua natura bizzarra e variegata.
Altro elemento di novità è la gestione della trama e dei generi in cui si evolve “LWA”, che comincia come una commedia leggera in salsa fantasy incentrata sulle (dis)avventure di Akko e finisce come un’opera quasi drammatica dove il destino stesso dei mondi magico e reale viene messo nelle fragili ma volenterose mani di Akko, chiamata all’impresa di riscoprire una misteriosa magia che si dice sia in grado di ‘cambiare il mondo’; il bello è che in entrambi i casi funziona a meraviglia. La prima metà di episodi infatti è esilarante, soprattutto quando pone in primo piano il contrasto tra il rigido mondo magico dell’accademia Luna Nova, figlio di secoli e secoli di tradizioni consolidate, col temperamento “bohémien” di Akko, refrattaria a limitazioni, regolamenti e a qualsiasi cosa che ponga la magia da lei amata come semplice materia di studio, rendendola finanche noiosa; la seconda parte invece, pur conservando per larghi tratti l’atmosfera leggera che caratterizza dall’inizio “LWA”, prova ad approfondire maggiormente il background dei personaggi, mette Akko e le sue amiche alla prova con esami sempre più difficili da affrontare, perché esulano dall’ambito scolastico, ma si concentrano nella vita di tutti i giorni, coi suoi sogni da coltivare ma anche dolorosi sacrifici da compiere. E’ in questa parte che emerge una trama di sottofondo finora solo intravista, che porterà attraverso un continuo crescendo di emozioni e colpi di scena a un finale spettacolare, e viene presentato anche l’unico vero personaggio negativo dell’anime, e neanche quello fino in fondo. Perché anche questa è una delle innovazioni di “LWA”: personaggi “cattivi” assimilabili a questa categoria praticamente non esistono, ovviamente ci sono momenti in cui emergono atteggiamenti egoistici, superbi, arroganti, ma sono aspetti dell’animo umano riscontrabili in chiunque e sarebbe assurdo se non ci fossero; eppure la storia non avverte questa mancanza, facendosi seguire tranquillamente dall’inizio alla fine. Come non si nota un’altra assenza e altro aspetto innovativo in anime del genere, cioè quella dei personaggi maschili; se si esclude Andrew Hanbridge, infatti, giovane rampollo di un importante uomo politico e amico d’infanzia di Diana, i personaggi maschili in “LWA” non hanno nessuna importanza effettiva né ruolo di primo piano, anzi perlopiù sono mostrati con connotazioni negative, quali un disinteresse diffuso verso la magia che a volte sfocia anche in un’aperta ostilità nei suoi confronti, cosa per niente rara nel mondo di “LWA”, dove la magia è da una parte affermata, compresa, studiata, ma dall’altra anche osteggiata, perché vista come una cosa datata e inutile all’umanità nei tempi odierni. Questi e anche altri motivi contribuiscono a rendere “LWA” una serie dall’aspetto antico ma dal carattere fresco e originale, capace di catturare l’attenzione del pubblico più variegato, sia quello cresciuto con le avventure di streghe e majokko varie sia quello che adesso si affaccia a questo genere e può trovare in quest’opera un’ideale punto di inizio per avvicinarsi anche solo all’animazione giapponese, vista la sua storia accattivante ma anche i suoi disegni.
Già, perché anche dal punto di vista tecnico “LWA” è un anime che ha ben poco da invidiare agli altri; forte evidentemente della base costruita con OAV e film, lo Studio Trigger, in collaborazione con Good Smile Company e Toho, non ha badato a spese nella produzione della serie televisiva, realizzando un prodotto di qualità anche visiva e sonora decisamente sopra la media. La sceneggiatura è stata scritta a cinque mani, comprendendo tra l’altro l’originale Masahiko Otsuka, e anche la regia è affidata allo stesso Yoh Yoshinari che ha curato le prime trasposizioni con ottimi risultati. Il charachter design, opera dello stesso Yoshinari e di Shuhei Handa, è vivace e innovativo, chiaramente diverso dalla media di quanto si vede nell’animazione odierna: i personaggi sono tutti diversi uno dall’altro, ognuno ha caratteristiche peculiari inconfondibili e, pur essendo il 99% di essi di genere femminile, tra cui diverse donne e ragazze molto carine, i disegni non sono mai volgari e non puntano a sfruttare fanservice ecchi di alcun tipo, scelta anche questa inusuale nella realtà odierna, dove è facilissimo vedere richiami e ammiccamenti sessuali più o meno velati verso lo spettatore anche in opere che per il loro indirizzo non dovrebbero averne. Non solo i personaggi ma anche le ambientazioni e gli sfondi sono realizzati benissimo, i colori usati sono brillanti, ora forti, ora tenui, comunque tutto è enfatizzato per far risaltare al massimo gli effetti fantastici della magia, in modo che lo spettatore finisca quasi per provare le stesse sensazioni avute da Akko, quando è rimasta estasiata dallo spettacolo di Chariot. Tutto questo viene armonizzato ed esaltato da animazioni di altissimo valore: “LWA” infatti è un anime raramente statico, la sua natura, unita alla personalità esplosiva della protagonista, fa sì che, tra voli ad alta velocità, capitomboli vari e magie scenograficamente imponenti, siano soprattutto le scene dinamiche a farla da padrone. La camera vola letteralmente per evidenziare le peripezie di tutti i personaggi e ci riesce grazie anche a un (ab)uso sapiente del super deformed, che è sempre presente ma mai fastidioso.
E se è vero che, come recita l’antico adagio, anche l’occhio vuole la sua parte (e in questo caso se la tiene tutta!) sarebbe ingiusto penalizzare l’orecchio, ma, fortunatamente, anche qui “LWA” viene in soccorso dello spettatore, fornendo un comparto audio di tutto rispetto che tra colonna sonora, sigle e doppiaggio non fa altro che enfatizzare la bellezza della serie. Le musiche sono opera di Michiru Oshima (“Fullmetal Alchemist”, “The Tatami Galaxy” e altri) e fanno da legante tra le scene lente e quelle più veloci, seguono l’evoluzione della storia, dei protagonisti e accompagnano nella visione il pubblico, catturando costantemente la sua attenzione e il suo interesse; le sigle utilizzate nel periodo di trasmissione sono in tutto quattro, due opening e due ending, entrambe curiosamente interpretate dalla stessa artista - le opening infatti sono opera della cantante YURiKA, mentre le ending della cantante Yuiko Ohara. Personalmente sono sempre convinto che soprattutto l’opening sia un elemento fondamentale nella presentazione di un anime, capace di influenzare anche da sola il desiderio di provare a guardare una serie da parte dell’ignaro spettatore; anche per questo non posso che lodare il lavoro fatto a livello di musica e video con le due opening, simili a un primo sguardo ma diverse in piccoli dettagli come i due archi di storia che aprono, perché aiutano chi segue l’anime a immedesimarsi subito nell’ambiente di “LWA”. La prima opening, infatti, “Shiny Ray”, punta molto sull’aspetto ludico della magia, ci mostra la Akko bambina sognante di fronte a prodigi mai visti, la Akko cresciuta studente volenterosa pronta a inseguire il suo sogno e sommariamente una carrellata dei principali personaggi della serie; la seconda opening invece, “Mind conductor”, lascia poco spazio al divertimento, ci presenta una Akko consapevole del suo ruolo, della sua missione, fa respirare un’atmosfera diversa, come se ci fosse una minaccia incombente dietro l’angolo, mentre una panoramica divisa tra presente e passato ripropone di nuovo i personaggi principali, regalando loro più spazio come effettivamente succede anche nella serie. Scelte simili anche per le due ending: ritmo rilassato e disegni stilizzati, appena abbozzati nella seconda; musicalmente non mi hanno convinto come le altre due, ma si fanno guardare tranquillamente. In chiusura dell’argomento comparto sonoro non posso non citare lo splendido doppiaggio giapponese; purtroppo posso giudicare solo quello ad oggi, e l’impeccabile lavoro svolto da tutte le seiyuu sui rispettivi personaggi, tanto che sarebbe troppo lungo ricordare singolarmente ogni professionista chiamata a svolgere questo compito. Ne cito giusto tre tra quelle che mi hanno colpito di più: Megumi Han, chiamata a dare vita alla personalità di quel terremoto umano corrispondente ad Atsuko Kagari, bravissima a rappresentarla in ogni suo aspetto, Michiyo Murase che ha svolto la difficile missione di interpretare la natura misteriosa e perniciosa di Sucy, e infine Yoko Hikasa, che ha dato voce a Diana, impersonando di fatto il personaggio che subisce il cambiamento più radicale nella serie, paragonando la prima e l’ultima apparizione, in maniera sempre accorta e convincente.
Bene, penso di aver racchiuso in questa recensione tutti i (tanti) motivi che mi hanno spinto ad apprezzare a tal punto “Little Witch Academia”; personalmente non avevo visto né l’OAV né il film che avevano lanciato questo franchise (ma che ho recuperato ben prima che la serie finisse), per cui mi sono approcciato alla visione solo con la serie televisiva che ho scelto di guardare non tanto per l’argomento, che come ho detto all’inizio mi sembrava già troppo trattato, ma perché mi incuriosiva il particolare stile di disegno. Ovviamente, ho scoperto ben altro dietro un inusuale e intrigante disegno, e cioè una storia affascinante, capace di farmi ridere tantissimo, di farmi commuovere il giusto, senza scadere esageratamente nel dramma, ricca di personaggi singolari, di situazioni paradossali, anche di citazioni e parodie del mondo dell’animazione giapponese e oltre (si va da blockbuster come “Your Name.” a parodie sul genere mecha o su opere di fantascienza come “Star Wars”), un’opera sorprendente, visivamente splendida, che consiglierei tranquillamente a tutti, persino a chi non ha mai visto un anime in vita sua; col suo richiamo più o meno velato a tanti generi del passato potrebbe essere anche una porta da spalancare verso un universo sconfinato nel quale “Little Witch Academia” trova ormai legittimamente e perfettamente posto.