Penguin Highway
Hiroyasu Ishida esordisce alla regia di un lungometraggio anime tratto dall’omonimo romanzo di Tomihiko Morimicon, dando vita così a un assurdo insieme dove la ricerca della più logica spiegazione apre un vero e proprio mare di possibilità inaspettate.
La routine del piccolo genio Aoyama viene notevolmente sconvolta dall’inspiegabile apparizione di tanti pinguini nel bel mezzo della sua città; indagando al riguardo, arriverà a una serie di assurde constatazioni, soprattutto riguardanti il rapporto che ha da sempre con la “sorellona”, una ragazza più grande di cui è invaghito, e sulle sue inaspettate doti che porteranno a conseguenze altrettanto inaspettate.
Un originale quadro dove però l’aspetto più fantasioso riesce a convivere appieno con gli elementi più realistici, che paradossalmente si rivelano essere in fondo il vero centro del mistero.
Man mano si fa più evidente infatti come il fulcro della vicenda sia la crescita di Aoyama, la cui ferrea logica gli permette di ergersi intellettualmente al di sopra di tutto e tutti, ma esponendo in questo anche la sua immaturità di bambino nel cercare di comprendere a fondo situazioni ben più essenziali, in forte contrasto con la ben più aperta ai sentimenti “sorellona”, specialmente in relazione alle apparizioni dei pinguini.
Pur risultando dunque intrigante e ben illustrato, il film non è comunque esente da evidenti difetti, dovuti forse proprio al suo essere un’opera prima, soffrendo in particolare di un ritmo altalenante nello sviluppo di determinate svolte di trama, della non del tutto riuscita combinazione tra 2D e 3D, e forse di una durata che per alcuni potrebbe risultare troppo lunga, ma senza per questo affossare tutti quegli aspetti descritti prima che ci riconducono agli istinti più intimi e familiari anche nel mezzo della più inventiva atmosfera.
In sostanza, un buon titolo incompleto, ma non per questo privo di ottimi e simpatici spunti da godere nella più caotica allegria.
La routine del piccolo genio Aoyama viene notevolmente sconvolta dall’inspiegabile apparizione di tanti pinguini nel bel mezzo della sua città; indagando al riguardo, arriverà a una serie di assurde constatazioni, soprattutto riguardanti il rapporto che ha da sempre con la “sorellona”, una ragazza più grande di cui è invaghito, e sulle sue inaspettate doti che porteranno a conseguenze altrettanto inaspettate.
Un originale quadro dove però l’aspetto più fantasioso riesce a convivere appieno con gli elementi più realistici, che paradossalmente si rivelano essere in fondo il vero centro del mistero.
Man mano si fa più evidente infatti come il fulcro della vicenda sia la crescita di Aoyama, la cui ferrea logica gli permette di ergersi intellettualmente al di sopra di tutto e tutti, ma esponendo in questo anche la sua immaturità di bambino nel cercare di comprendere a fondo situazioni ben più essenziali, in forte contrasto con la ben più aperta ai sentimenti “sorellona”, specialmente in relazione alle apparizioni dei pinguini.
Pur risultando dunque intrigante e ben illustrato, il film non è comunque esente da evidenti difetti, dovuti forse proprio al suo essere un’opera prima, soffrendo in particolare di un ritmo altalenante nello sviluppo di determinate svolte di trama, della non del tutto riuscita combinazione tra 2D e 3D, e forse di una durata che per alcuni potrebbe risultare troppo lunga, ma senza per questo affossare tutti quegli aspetti descritti prima che ci riconducono agli istinti più intimi e familiari anche nel mezzo della più inventiva atmosfera.
In sostanza, un buon titolo incompleto, ma non per questo privo di ottimi e simpatici spunti da godere nella più caotica allegria.
Non ci siamo, un film che vorrebbe tentare di dire qualcosa, ma alla fine non riesce a dire niente. Tutto resta in superficie a surfare con andamento tranquillo dall'inizio alla fine, senza momenti topici o noiosi, sempre sulla media di una mediocre mediocrità.
Peccato, perché il comparto tecnico non è poi così male (ma niente di che); i fondali sono molto curati e realistici, i colori sono molteplici e brillantemente primaverili (questo non è un punto a favore, visto che siamo in piena estate), il character un po' troppo anonimo e il frame rate un po' troppo scarso per un film da sala cinematografica.
Le musiche? Boh, l'ho guardato ieri sera e non me ne ricordo manco una...
La regia? Sì, piacevole, ma senza inquadrature da "lampi di genio", direi quasi più televisiva che cinematografica.
I contenuti? Ecco, ci sarebbero anche stati, sempre sul punto di saltar fuori... Ho aspettato tutto il film, fino alla fine, ma probabilmente hanno preferito rimanere nascosti.
Peccato, perché il comparto tecnico non è poi così male (ma niente di che); i fondali sono molto curati e realistici, i colori sono molteplici e brillantemente primaverili (questo non è un punto a favore, visto che siamo in piena estate), il character un po' troppo anonimo e il frame rate un po' troppo scarso per un film da sala cinematografica.
Le musiche? Boh, l'ho guardato ieri sera e non me ne ricordo manco una...
La regia? Sì, piacevole, ma senza inquadrature da "lampi di genio", direi quasi più televisiva che cinematografica.
I contenuti? Ecco, ci sarebbero anche stati, sempre sul punto di saltar fuori... Ho aspettato tutto il film, fino alla fine, ma probabilmente hanno preferito rimanere nascosti.
Un film dall’andamento tranquillo, senza cali ma anche senza mai culminare in qualche grande cliffhanger o in qualche scena che, imprevista, ti sorprende. Con questo non voglio dire che sia piatto o che sia un brutto prodotto... anzi, supera la sufficienza abbondantemente.
Ma cos’è “Penguin Highway”? Uno slice of life che parla di bambini, bambini che si credono già sulla via di essere adulti e vogliono diventare scienziati o ricercatori... poi improvvisamente il fantastico compare! Una fila di pinguini che gira per la città, prima di molte cose fantastiche e misteri che vedremo nel film: un fiume senza origine, una bolla di mare, oggetti che si animano improvvisamente, la penguin energy... tante cose collegate fra loro e delle risposte che a me sembrano insufficienti, ma che non si può dire inficiano il lavoro del regista Hiroyasu Ishida (del quale è il primo lavoro che vedo).
Le animazioni e le musiche sono buone, senza però essere eccelse, e accompagnano lo svolgimento del film in modo ottimo.
Il protagonista all’inizio potrebbe dare un po’ di fastidio con la sua alta autostima, ma è propedeutica al continuo del film: e poi chi di noi da bambino non ha fatto sogni magari arroganti per il futuro?
Come dicevo, promuovo il film, gli do sette e mezzo di voto e lo consiglio a bambini e famiglie.
Ma cos’è “Penguin Highway”? Uno slice of life che parla di bambini, bambini che si credono già sulla via di essere adulti e vogliono diventare scienziati o ricercatori... poi improvvisamente il fantastico compare! Una fila di pinguini che gira per la città, prima di molte cose fantastiche e misteri che vedremo nel film: un fiume senza origine, una bolla di mare, oggetti che si animano improvvisamente, la penguin energy... tante cose collegate fra loro e delle risposte che a me sembrano insufficienti, ma che non si può dire inficiano il lavoro del regista Hiroyasu Ishida (del quale è il primo lavoro che vedo).
Le animazioni e le musiche sono buone, senza però essere eccelse, e accompagnano lo svolgimento del film in modo ottimo.
Il protagonista all’inizio potrebbe dare un po’ di fastidio con la sua alta autostima, ma è propedeutica al continuo del film: e poi chi di noi da bambino non ha fatto sogni magari arroganti per il futuro?
Come dicevo, promuovo il film, gli do sette e mezzo di voto e lo consiglio a bambini e famiglie.
Vola alta la fantasia generatrice sulle ali della fanciullezza, per sua natura incline all’indagine dell’irrazionale; tanto più irrazionale quanto più ignoto, misterioso e propedeutico a innescare nell’animo ancora parzialmente incontaminato, nonostante le innumerevoli informazioni che oggi arrivano anche a questa età, quel senso di epifania che un adulto può solo ricordare con vaga, quanto irrinunciabile nostalgia. E “Penguin Highway” potrebbe essere davvero tutto qui e sarebbe senz’altro sufficiente a renderci lieto il prosieguo della giornata, ma l’opera d’esordio dell’ottimo Ishida va ben oltre la semplice appartenenza al genere, per incontrare tematiche che strizzano l’occhio a un pubblico certamente più adulto rispetto a quello dei coetanei del protagonista di questa storia. Per quanto l’opera possa avere un suo naturale target di riferimento, sorprende decisamente il modo in cui è ben caratterizzato il piccolo Aoyama, il quale nonostante in principio possa dare l’impressione di essere saccente, pieno di sé e poco incline al confronto con i pari età, si rivelerà al contrario, man mano che la storia sviluppa i motivi essenziali, un bambino sensibile, aperto al confronto, allo stesso tempo responsabile e avventato quanto basta per superare ciò che la ragione non aiuta a comprendere. Fino ad accettare anche il sopraggiungere del dubbio, la gioia della condivisione, l’aiuto dell’altro, il senso di vuoto dovuto alla perdita di chi si ama. Il tutto all’interno di una storia bizzarra, agile nella sua struttura e lieve come può esserlo un vento di primavera, ma profonda quanto basta per far emergere dal contesto surreale suggestioni di una certa complessità e sentimenti che reali lo sono più che mai. Sentimenti che non hanno tempo né età, né tanto meno un confine tematico entro cui debbano essere necessariamente circoscritti.
Tra sci-fi e racconto di formazione, la vicenda si sviluppa attraverso le riflessioni, i dubbi, le scoperte e le prese di coscienza del piccolo Aoyama, e incentra i suoi sui motivi più intimi ed esistenziali sul rapporto tra il bambino e la sorellona, alternando sapientemente serio e faceto, e poggiando tutto ciò su dialoghi non banali, soprattutto considerando il gap dovuto alla differenza d’età tra i due personaggi principali. “Quando si va lontanissimo si finisce per arrivare al punto di partenza”, dice la sorellona ad Aoyama, circa a metà della pellicola. “Penguin Highway” evidenzia più volte questa circolarità, sia narrativa che “filosofica”, se così la si può definire, questo tornare al punto di partenza dopo un lungo percorso, che sia reale o ideale non importa. Quello che l’opera ci tiene in effetti a rimarcare è che ciò che conta è il percorso, rispetto all’approdo. Evidente il richiamo ai fondamenti della dottrina shintoista, e più in generale a una ciclicità della vita che permea da secoli la cultura giapponese e larga parte delle filosofie estremo orientali. A differenza di “Weathering with You”, del pur bravo Makoto Shinkai, qui il richiamo alla dottrina tradizionale nipponica non è un puro pretesto per giustificare l’elemento fantastico, ma ha una precisa valenza narrativa, a partire proprio dall’apparizione dei pinguini. Molto più in linea con il cinema di Hayao Miyazaki, da questo peculiare punto vista, l’opera di Ishida attinge al culto animista e alla dimensione che trascende la realtà non tanto per indagare la dimensione stessa o spiegarne l’improvvisa comparsa, quanto per dimostrare che i sentimenti umani restano tali anche di fronte al mistero più insondabile. “Il mondo diventa sempre più assurdo. Dici che è un problema?” Chiede in un momento non semplice, ma con fare quasi divertito, la sorellona a Aoyama. È una domanda meno retorica e banale di ciò che in apparenza può sembrare e prelude al pirotecnico finale, nel quale scopriremo che la via dei pinguini non è altro che un tragitto per entrare in contatto con una dimensione parallela (quelle tipiche dei romanzi di Haruki Murakami, per intenderci) che gli esseri umani, in particolari circostanze, hanno la possibilità di attraversare.
La pellicola si avvale di un apparato tecnico di buonissimo livello che poggia su animazioni piacevoli, pur non essendo originalissime, su una solida regia e su un supporto sonoro adeguato. Da un’idea buffa e stravagante, ne deriva dunque un film animato che si eleva decisamente oltre la media di genere, dando l’opportunità a Ishida, utilizzando al meglio il testo di Tomihiko Morimi, di mostrare in modo riconoscibile, già da questo primo lungometraggio, la sua personale poetica cinematografica, la quale sembra dichiarare i suoi debiti nei confronti dell’opera del compianto maestro Satoshi Kon e di quella, più recente, di un altro grande regista come Mamoru Hosoda.
“Penguin Highway” è un anime certamente da vedere, forte di una storia che coinvolge più per come innesta i motivi sentimentali in una dinamica buffa e surreale che per la sua cornice fantasy. Si concentra sui personaggi, evitando volutamente le spiegazioni su tutto ciò che di straordinario avviene, e chiude su note malinconiche, non negando agli spettatori quel filo di commozione che dà sostanza ai sentimenti che emergono nell’agrodolce epilogo.
Tra sci-fi e racconto di formazione, la vicenda si sviluppa attraverso le riflessioni, i dubbi, le scoperte e le prese di coscienza del piccolo Aoyama, e incentra i suoi sui motivi più intimi ed esistenziali sul rapporto tra il bambino e la sorellona, alternando sapientemente serio e faceto, e poggiando tutto ciò su dialoghi non banali, soprattutto considerando il gap dovuto alla differenza d’età tra i due personaggi principali. “Quando si va lontanissimo si finisce per arrivare al punto di partenza”, dice la sorellona ad Aoyama, circa a metà della pellicola. “Penguin Highway” evidenzia più volte questa circolarità, sia narrativa che “filosofica”, se così la si può definire, questo tornare al punto di partenza dopo un lungo percorso, che sia reale o ideale non importa. Quello che l’opera ci tiene in effetti a rimarcare è che ciò che conta è il percorso, rispetto all’approdo. Evidente il richiamo ai fondamenti della dottrina shintoista, e più in generale a una ciclicità della vita che permea da secoli la cultura giapponese e larga parte delle filosofie estremo orientali. A differenza di “Weathering with You”, del pur bravo Makoto Shinkai, qui il richiamo alla dottrina tradizionale nipponica non è un puro pretesto per giustificare l’elemento fantastico, ma ha una precisa valenza narrativa, a partire proprio dall’apparizione dei pinguini. Molto più in linea con il cinema di Hayao Miyazaki, da questo peculiare punto vista, l’opera di Ishida attinge al culto animista e alla dimensione che trascende la realtà non tanto per indagare la dimensione stessa o spiegarne l’improvvisa comparsa, quanto per dimostrare che i sentimenti umani restano tali anche di fronte al mistero più insondabile. “Il mondo diventa sempre più assurdo. Dici che è un problema?” Chiede in un momento non semplice, ma con fare quasi divertito, la sorellona a Aoyama. È una domanda meno retorica e banale di ciò che in apparenza può sembrare e prelude al pirotecnico finale, nel quale scopriremo che la via dei pinguini non è altro che un tragitto per entrare in contatto con una dimensione parallela (quelle tipiche dei romanzi di Haruki Murakami, per intenderci) che gli esseri umani, in particolari circostanze, hanno la possibilità di attraversare.
La pellicola si avvale di un apparato tecnico di buonissimo livello che poggia su animazioni piacevoli, pur non essendo originalissime, su una solida regia e su un supporto sonoro adeguato. Da un’idea buffa e stravagante, ne deriva dunque un film animato che si eleva decisamente oltre la media di genere, dando l’opportunità a Ishida, utilizzando al meglio il testo di Tomihiko Morimi, di mostrare in modo riconoscibile, già da questo primo lungometraggio, la sua personale poetica cinematografica, la quale sembra dichiarare i suoi debiti nei confronti dell’opera del compianto maestro Satoshi Kon e di quella, più recente, di un altro grande regista come Mamoru Hosoda.
“Penguin Highway” è un anime certamente da vedere, forte di una storia che coinvolge più per come innesta i motivi sentimentali in una dinamica buffa e surreale che per la sua cornice fantasy. Si concentra sui personaggi, evitando volutamente le spiegazioni su tutto ciò che di straordinario avviene, e chiude su note malinconiche, non negando agli spettatori quel filo di commozione che dà sostanza ai sentimenti che emergono nell’agrodolce epilogo.
Mentre Myazaki continua ad essere autoreferenziale e celebrativo, mentre Shinkai continua a copiare l'atmosfera onirica di Miyazaki, rendendo confusi i suoi film, Ishida porta sul grande schermo la trasposizione animata di un romanzo per ragazzi. Questo film ha dell'incredibile, non ha mai buchi di sceneggiatura, non si perde mai nell'inseguire teorie o intermezzi onirici, non disperde mai l'attenzione dello spettatore... ti rapisce, e lo fa alla grande.
Tecnicamente nulla da eccepire: scala cromatica, animazione, CG... tutto equilibrato.
I personaggi sono realistici e ben caratterizzati, Aoyama e sorellona su tutti.
Il comparto musicale è essenziale, nulla di che, ma non si può pretendere di avere da Abe le BGM di Hisaishi, per intenderci.
Ho letto il romanzo e acquistato Il Bluray, attendo fiducioso il manga... dei film d'animazione giapponesi degli ultimi cinque anni è sicuramente il migliore.
Tecnicamente nulla da eccepire: scala cromatica, animazione, CG... tutto equilibrato.
I personaggi sono realistici e ben caratterizzati, Aoyama e sorellona su tutti.
Il comparto musicale è essenziale, nulla di che, ma non si può pretendere di avere da Abe le BGM di Hisaishi, per intenderci.
Ho letto il romanzo e acquistato Il Bluray, attendo fiducioso il manga... dei film d'animazione giapponesi degli ultimi cinque anni è sicuramente il migliore.
Siamo nella terra del Sol Levante, dove un gruppo di pinguini trotterella in un campo verde con la tipica andatura goffa, del tutto indifferente al mormorio e agli sguardi dei curiosi. E poi c'è un pinguino che vaga per conto proprio; pesta la coda a un gatto, ne fugge spaventato, nuota pacifico nel vicino canale di scolo.
Inizia così "Penguin Highway", con una sequenza di apertura visivamente spettacolare e allo stesso tempo idealmente celebrativa di alcuni memorabili scorci del Giappone sub-urbano. Un quadro particolarmente bucolico che reca con sé anche qualcosa di particolarmente buffo: un pinguino la cui provenienza è sconosciuta, così come lo è la sua ragione di essere nel bel mezzo del Paese del Sol Levante. Già da questo intuiamo che la realtà potrebbe finire per spalancarci porte su un mondo di fantasia, cosa che "Penguin Highway" in effetti farà.
Il film è giunto sui grandi schermi nelle date del 20 e del 21 novembre 2018 nell'ambito della Stagione degli Anime al Cinema, distribuita da Nexo Digital in collaborazione con Dynit e con il sostegno dei media partner Radio DEEJAY, MYmovies.it, Lucca Comics & Games e VVVVID. La pellicola è anche stata proiettata in anteprima, in una versione in lingua originale sottotitolata in italiano, al Cinema Centrale durante Lucca Comics & Games 2018, nella data di sabato 3 novembre alle 11:00.
Ed è dunque con certe domande sui pinguini nella testa che facciamo la conoscenza di Aoyama (in lingua originale doppiato da Kana Kita), un ragazzino precoce e intelligente, parecchio più in gamba di altri; alla giovane età di dieci anni già conosce il numero esatto di giorni che lo separano dal diventare adulto, ha letto un libro sulla Teoria della Relatività e nutre uno spiccato interesse per la scienza, le osservazioni scientifiche, la "sorellona" (Yu Aoi) per la quale serba una cotta e di cui adora candidamente il bel seno.
I pinguini arrivati nella cittadina di Aoyama sembrano il soggetto perfetto per lo studio approfondito di un mistero che in verità non fa che allargarsi a cerchio sempre più, arrivando a cercare risposte a domande che mai Aoyama avrebbe pensato di doversi porre.
"Penguin Highway" è una storia che inizia nell'ambito del genere slice-of-life, a piccoli passi, introducendoci la figura di un ragazzino fin troppo sveglio eppure non saccente, e della sua vita fatta di curiosità, di un quaderno per annotare i risultati delle sue osservazioni scientifiche, di un amico fedele, di un compagno di scuola che lo bullizza, e della bella igienista dentale con la quale sviluppa un rapporto peculiare di fratellino e sorellona, di discepolo e maestra, oltre che di innocente oggetto di desiderio. Aoyama desidera crescere in fretta per sposare la "sorellona", che per tutta la durata del film rimane senza nome, misteriosa e affascinante, intelligente e rigorosa.
La comparsa dei pinguini, tuttavia, distorce la felice quotidianità di Aoyama e ne cattura irrimediabilmente e inevitabilmente l'attenzione; la mutazione in pinguino di una lattina di coca cola, acquistata dalla "sorellona" presso un banale distributore automatico, provvede a fare il resto. Lo slice-of-life diventa così la cornice entro la quale un intero universo di elementi fantascientifici lentamente prende vita, e si muove attorno al protagonista. Di pari passo Aoyama ne prende atto, li analizza compitamente e li fa propri: è quindi un percorso in primis di crescita e maturazione interiore, ciò che l' "autostrada dei pinguini" induce al protagonista, ed è invero il nucleo centrale del film che corre in parallelo al dipanarsi della storia.
Probabilmente non è un caso nemmeno che col progredire del racconto siano i coetanei di Aoyama Hamamoto (Megumi Han) e Uchida (Rie Kugimiya) ad acquisire sempre maggiore importanza nella vita del ragazzino e si ridimensioni lo spazio della "sorellona": da soggetto con cui Aoyama trascorre diverse ore del giorno a vero e proprio suo misterioso oggetto di studio, parte di un tutto ben più ampio e complesso.
Così, da un lato Aoyama viene implicitamente ricondotto a un'infanzia più in linea con la propria età, fatta di avventure vissute con gli amici e di segreti da mantenere, perché il mondo degli adulti può insegnare atteggiamenti propositivi di fronte a problemi che sembrano non avere soluzione, può non osteggiare la sincera passione e la peculiare curiosità scientifica di un bambino, ma non può capire fino in fondo.
Così, al tempo stesso, Aoyama aprirà gli occhi su un mare dalla forma mai vista, apprenderà che il mondo è persino più vasto di quanto egli non possa arrivare a vedere, e proprio in questo modo il suo atteggiamento nei confronti delle cose diverrà più umile, più posato e indirettamente più adulto. E' un passaggio, questo, forse sottile eppure fondamentale se ripensiamo a quando, all'inizio del film, il ragazzino ci viene presentato come qualcuno che appare quasi persuaso di poter sinceramente bastare a sé stesso, e alla sua fame di conoscenza.
Per la sua peculiare intelligenza, Aoyama non rappresenta quel bambino ordinario e senza particolari doti che la maggior parte di noi è stato durante l'infanzia; e tuttavia è difficile ad esempio non immedesimarsi nei suoi occhi che brillano di fronte a quelle scoperte che in un battibaleno cambiavano il senso di un'intera giornata.
Rimane inoltre piuttosto impresso l'episodio in cui Aoyama accetta stoicamente di subire una sgradevole punizione da parte del bullo della classe; eppure lui non piange, non s'indigna, non si arrabbia, ma nemmeno evita di controbattere alla sua arroganza mediante un uso caparbio e sagace delle parole, cosa che condurrà a un'interessante svolta nel rapporto tra i due.
La veste grafica donata a "Penguin Highway" è sbalorditiva: vivida e luminosa, dal character design morbido dell'ex Studio Ghibli Youjirou Arai e con una palette di colori che fa grandemente risaltare sia i personaggi umani che i bellissimi sfondi.
I pinguini, poi, si rendono protagonisti di una delle scene conclusive del film tra le più spettacolari dell'intera pellicola: è una scena che richiamerà a più di qualche spettatore una certa familiarità a uno dei film dello Studio Ghibli, e che al tempo stesso ripristina una verve che il film smarrisce di poco nel corpo centrale della storia, più lento e pacato.
Il ritmo, tuttavia, rimane sempre gradevole, ben sostenuto anche dai sempre efficaci momenti di ilarità suscitati in più occasioni durante la visione del film.
"Penguin Highway" è il secondo appuntamento di stagione di anime al cinema in Italia dopo "Mirai" di Mamoru Hosoda, ed è un titolo tratto dal romanzo omonimo di Tomihiko Morimi che ha conquistato la critica vincendo il prestigioso Japan SF Grand Prize; in Italia il romanzo per ragazzi è disponibile proprio dal mese di novembre 2018 per Kappalab.
Se il nome di Morimi, giovane scrittore giapponese originario di Nara, potrebbe non dirvi alcunché, è il caso di ricordare che si tratta dell'autore dei romanzi quali "Yojōhan Shinwa Taikei", trasposto in animazione col titolo "The Tatami Galaxy", "Yoru wa Mijikashi Aruke yo Otome", divenuto un recente lungometraggio animato conosciuto come "Night is short, Walk on Girl", e infine "Uchōten Kazoku", ovvero "The Eccentric Family", che ha goduto sinora di ben due serie animate di successo.
L'inventivo lungometraggio d'animazione dello Studio Colorido è firmato dalla regia di Hiroyasu Ishida, che con i suoi precedenti lavori ("Fumiko’s Confession", "Sonny Boy & Dewdrop Girl") ha raccolto numerosi consensi da parte della critica e vinto numerosi premi: basti citare il Fantasia International Film Festival, il Best Animated Feature Film 2018, il Satoshi Kon Award e l’Audience Award. Proprio Ishida ha fondato lo Studio Colorido, assieme all'ex animatore Ghibli Yojiro Arai.
La sceneggiatura è invece stata curata da Makoto Ueda, mentre le musiche sono state affidate ad Umitarou Abe.
In chiusura il film ci fa omaggio della theme song "Good Night", composta e interpretata da Hikaru Utada e dalla sua splendida voce; la canzone è tratta dal suo settimo album "Hatsukoi", rilasciato lo scorso 27 giugno 2018 a commemorare al contempo i vent'anni di carriera della celebre artista.
"Penguin Highway" appare tecnicamente ineccepibile dunque, sia a livello di genesi della storia sia relativamente al suo adattamento in lungometraggio animato; si tratta di un racconto più impegnativo di quanto non appaia a un primo "puccioso" sguardo, e per questo il film non è interamente accessibile anche alle famiglie con bimbi più piccini.
Di certo però si tratta di un bel viaggio nella fantasia, che la magia del cinema ancora una volta, fortunatamente, ci regala.
"È un po’ strano, ma non lo dimenticherò mai, l’inizio di quella estate, apparve un pinguino nella mia città…"
Inizia così "Penguin Highway", con una sequenza di apertura visivamente spettacolare e allo stesso tempo idealmente celebrativa di alcuni memorabili scorci del Giappone sub-urbano. Un quadro particolarmente bucolico che reca con sé anche qualcosa di particolarmente buffo: un pinguino la cui provenienza è sconosciuta, così come lo è la sua ragione di essere nel bel mezzo del Paese del Sol Levante. Già da questo intuiamo che la realtà potrebbe finire per spalancarci porte su un mondo di fantasia, cosa che "Penguin Highway" in effetti farà.
Il film è giunto sui grandi schermi nelle date del 20 e del 21 novembre 2018 nell'ambito della Stagione degli Anime al Cinema, distribuita da Nexo Digital in collaborazione con Dynit e con il sostegno dei media partner Radio DEEJAY, MYmovies.it, Lucca Comics & Games e VVVVID. La pellicola è anche stata proiettata in anteprima, in una versione in lingua originale sottotitolata in italiano, al Cinema Centrale durante Lucca Comics & Games 2018, nella data di sabato 3 novembre alle 11:00.
Ed è dunque con certe domande sui pinguini nella testa che facciamo la conoscenza di Aoyama (in lingua originale doppiato da Kana Kita), un ragazzino precoce e intelligente, parecchio più in gamba di altri; alla giovane età di dieci anni già conosce il numero esatto di giorni che lo separano dal diventare adulto, ha letto un libro sulla Teoria della Relatività e nutre uno spiccato interesse per la scienza, le osservazioni scientifiche, la "sorellona" (Yu Aoi) per la quale serba una cotta e di cui adora candidamente il bel seno.
I pinguini arrivati nella cittadina di Aoyama sembrano il soggetto perfetto per lo studio approfondito di un mistero che in verità non fa che allargarsi a cerchio sempre più, arrivando a cercare risposte a domande che mai Aoyama avrebbe pensato di doversi porre.
"Penguin Highway" è una storia che inizia nell'ambito del genere slice-of-life, a piccoli passi, introducendoci la figura di un ragazzino fin troppo sveglio eppure non saccente, e della sua vita fatta di curiosità, di un quaderno per annotare i risultati delle sue osservazioni scientifiche, di un amico fedele, di un compagno di scuola che lo bullizza, e della bella igienista dentale con la quale sviluppa un rapporto peculiare di fratellino e sorellona, di discepolo e maestra, oltre che di innocente oggetto di desiderio. Aoyama desidera crescere in fretta per sposare la "sorellona", che per tutta la durata del film rimane senza nome, misteriosa e affascinante, intelligente e rigorosa.
La comparsa dei pinguini, tuttavia, distorce la felice quotidianità di Aoyama e ne cattura irrimediabilmente e inevitabilmente l'attenzione; la mutazione in pinguino di una lattina di coca cola, acquistata dalla "sorellona" presso un banale distributore automatico, provvede a fare il resto. Lo slice-of-life diventa così la cornice entro la quale un intero universo di elementi fantascientifici lentamente prende vita, e si muove attorno al protagonista. Di pari passo Aoyama ne prende atto, li analizza compitamente e li fa propri: è quindi un percorso in primis di crescita e maturazione interiore, ciò che l' "autostrada dei pinguini" induce al protagonista, ed è invero il nucleo centrale del film che corre in parallelo al dipanarsi della storia.
Probabilmente non è un caso nemmeno che col progredire del racconto siano i coetanei di Aoyama Hamamoto (Megumi Han) e Uchida (Rie Kugimiya) ad acquisire sempre maggiore importanza nella vita del ragazzino e si ridimensioni lo spazio della "sorellona": da soggetto con cui Aoyama trascorre diverse ore del giorno a vero e proprio suo misterioso oggetto di studio, parte di un tutto ben più ampio e complesso.
Così, da un lato Aoyama viene implicitamente ricondotto a un'infanzia più in linea con la propria età, fatta di avventure vissute con gli amici e di segreti da mantenere, perché il mondo degli adulti può insegnare atteggiamenti propositivi di fronte a problemi che sembrano non avere soluzione, può non osteggiare la sincera passione e la peculiare curiosità scientifica di un bambino, ma non può capire fino in fondo.
Così, al tempo stesso, Aoyama aprirà gli occhi su un mare dalla forma mai vista, apprenderà che il mondo è persino più vasto di quanto egli non possa arrivare a vedere, e proprio in questo modo il suo atteggiamento nei confronti delle cose diverrà più umile, più posato e indirettamente più adulto. E' un passaggio, questo, forse sottile eppure fondamentale se ripensiamo a quando, all'inizio del film, il ragazzino ci viene presentato come qualcuno che appare quasi persuaso di poter sinceramente bastare a sé stesso, e alla sua fame di conoscenza.
Per la sua peculiare intelligenza, Aoyama non rappresenta quel bambino ordinario e senza particolari doti che la maggior parte di noi è stato durante l'infanzia; e tuttavia è difficile ad esempio non immedesimarsi nei suoi occhi che brillano di fronte a quelle scoperte che in un battibaleno cambiavano il senso di un'intera giornata.
Rimane inoltre piuttosto impresso l'episodio in cui Aoyama accetta stoicamente di subire una sgradevole punizione da parte del bullo della classe; eppure lui non piange, non s'indigna, non si arrabbia, ma nemmeno evita di controbattere alla sua arroganza mediante un uso caparbio e sagace delle parole, cosa che condurrà a un'interessante svolta nel rapporto tra i due.
La veste grafica donata a "Penguin Highway" è sbalorditiva: vivida e luminosa, dal character design morbido dell'ex Studio Ghibli Youjirou Arai e con una palette di colori che fa grandemente risaltare sia i personaggi umani che i bellissimi sfondi.
I pinguini, poi, si rendono protagonisti di una delle scene conclusive del film tra le più spettacolari dell'intera pellicola: è una scena che richiamerà a più di qualche spettatore una certa familiarità a uno dei film dello Studio Ghibli, e che al tempo stesso ripristina una verve che il film smarrisce di poco nel corpo centrale della storia, più lento e pacato.
Il ritmo, tuttavia, rimane sempre gradevole, ben sostenuto anche dai sempre efficaci momenti di ilarità suscitati in più occasioni durante la visione del film.
"Penguin Highway" è il secondo appuntamento di stagione di anime al cinema in Italia dopo "Mirai" di Mamoru Hosoda, ed è un titolo tratto dal romanzo omonimo di Tomihiko Morimi che ha conquistato la critica vincendo il prestigioso Japan SF Grand Prize; in Italia il romanzo per ragazzi è disponibile proprio dal mese di novembre 2018 per Kappalab.
Se il nome di Morimi, giovane scrittore giapponese originario di Nara, potrebbe non dirvi alcunché, è il caso di ricordare che si tratta dell'autore dei romanzi quali "Yojōhan Shinwa Taikei", trasposto in animazione col titolo "The Tatami Galaxy", "Yoru wa Mijikashi Aruke yo Otome", divenuto un recente lungometraggio animato conosciuto come "Night is short, Walk on Girl", e infine "Uchōten Kazoku", ovvero "The Eccentric Family", che ha goduto sinora di ben due serie animate di successo.
L'inventivo lungometraggio d'animazione dello Studio Colorido è firmato dalla regia di Hiroyasu Ishida, che con i suoi precedenti lavori ("Fumiko’s Confession", "Sonny Boy & Dewdrop Girl") ha raccolto numerosi consensi da parte della critica e vinto numerosi premi: basti citare il Fantasia International Film Festival, il Best Animated Feature Film 2018, il Satoshi Kon Award e l’Audience Award. Proprio Ishida ha fondato lo Studio Colorido, assieme all'ex animatore Ghibli Yojiro Arai.
La sceneggiatura è invece stata curata da Makoto Ueda, mentre le musiche sono state affidate ad Umitarou Abe.
In chiusura il film ci fa omaggio della theme song "Good Night", composta e interpretata da Hikaru Utada e dalla sua splendida voce; la canzone è tratta dal suo settimo album "Hatsukoi", rilasciato lo scorso 27 giugno 2018 a commemorare al contempo i vent'anni di carriera della celebre artista.
"Penguin Highway" appare tecnicamente ineccepibile dunque, sia a livello di genesi della storia sia relativamente al suo adattamento in lungometraggio animato; si tratta di un racconto più impegnativo di quanto non appaia a un primo "puccioso" sguardo, e per questo il film non è interamente accessibile anche alle famiglie con bimbi più piccini.
Di certo però si tratta di un bel viaggio nella fantasia, che la magia del cinema ancora una volta, fortunatamente, ci regala.
"È un po’ strano, ma non lo dimenticherò mai, l’inizio di quella estate, apparve un pinguino nella mia città…"
Vedere “Penguin Highway” si è rivelato completamente diverso da come mi ero immaginata. Forse perché, complici le figure ‘coccolose’ dei pinguini, mi aspettavo un film sì carino, ma rilassante e semplice. “Penguin Highway” si è rivelato quasi “complesso” da capire, tanto è vero che alcune cose per me restano ancora poco chiare...
Aoyama è un protagonista che può risultare antipatico di primo acchito, con cui sembra difficile entrare in empatia, proprio per il suo essere così meticoloso, tanto che fa del metodo scientifico il suo approccio quotidiano, e della razionalità la sua unica ragione di vita. Aoyama ha dieci/undici anni, ma già conta uno ad uno i giorni che lo separano dall’essere un adulto, obiettivo che vuole raggiungere diventando sempre più maturo e colto di quanto già non sia. L’esatto opposto del Piccolo Principe, per dire.
La comparsa dei pinguini in città, con conseguenti misteri irrazionali legati alla sua “sorellona”, lo pongono di fronte a un nuovo percorso di crescita. Aoyama ha in mano qualcosa di irrazionale, qualcosa che la scienza e la ragione non possono spiegare, qualcosa di magico che lo destabilizza completamente. E, con le situazioni inspiegabili, arrivano anche nuovi sentimenti a cui il bambino dovrà fare fronte per la prima volta.
“Penguin Highway” è tutto sommato un percorso di crescita, visto con gli occhi di un bambino che ancora non sa spiegarsi niente della vita, pur essendo certo di essere abbastanza intelligente per farlo. Un percorso di crescita che non manca di mettere a confronto la visione di un bambino che finge di capire ogni cosa con quella di un adulto (la sorellona in primis, ma anche i ricercatori in qualche modo) che invece non capisce neanche ciò che lo circonda.
Non so dire se fosse l’intenzione della pellicola, dal momento che - come ho premesso - alcune cose mi risultano seriamente poco chiare. Ma a una prima visione sembra davvero mostrare il protagonista come metafora di ogni bambino al mondo che, crescendo, impara nuovi sentimenti e nuove emozioni, ma anche diventando adulto non sa dare risposte a molte cose.
Collegato a questo, c’è il tema dell’ “ambiente”: i bambini sono alla continua ricerca di posti incontaminati, non a caso fanno “loro” l’unico spazio della foresta che neanche gli adulti conoscono. E forse non è del tutto errato pensare che, benché molto secondario, ci sia il tema della natura che si ribella all’uomo. Tant’è vero che, a metà visione, mi è sorto il dubbio che la giovane sorellona fosse in realtà Gea, la Terra stessa.
Anche tecnicamente, il film risulta ben fatto, i colori usati sono molto vivi e vivaci, e rendono piacevolissima la visione.
Aoyama è un protagonista che può risultare antipatico di primo acchito, con cui sembra difficile entrare in empatia, proprio per il suo essere così meticoloso, tanto che fa del metodo scientifico il suo approccio quotidiano, e della razionalità la sua unica ragione di vita. Aoyama ha dieci/undici anni, ma già conta uno ad uno i giorni che lo separano dall’essere un adulto, obiettivo che vuole raggiungere diventando sempre più maturo e colto di quanto già non sia. L’esatto opposto del Piccolo Principe, per dire.
La comparsa dei pinguini in città, con conseguenti misteri irrazionali legati alla sua “sorellona”, lo pongono di fronte a un nuovo percorso di crescita. Aoyama ha in mano qualcosa di irrazionale, qualcosa che la scienza e la ragione non possono spiegare, qualcosa di magico che lo destabilizza completamente. E, con le situazioni inspiegabili, arrivano anche nuovi sentimenti a cui il bambino dovrà fare fronte per la prima volta.
“Penguin Highway” è tutto sommato un percorso di crescita, visto con gli occhi di un bambino che ancora non sa spiegarsi niente della vita, pur essendo certo di essere abbastanza intelligente per farlo. Un percorso di crescita che non manca di mettere a confronto la visione di un bambino che finge di capire ogni cosa con quella di un adulto (la sorellona in primis, ma anche i ricercatori in qualche modo) che invece non capisce neanche ciò che lo circonda.
Non so dire se fosse l’intenzione della pellicola, dal momento che - come ho premesso - alcune cose mi risultano seriamente poco chiare. Ma a una prima visione sembra davvero mostrare il protagonista come metafora di ogni bambino al mondo che, crescendo, impara nuovi sentimenti e nuove emozioni, ma anche diventando adulto non sa dare risposte a molte cose.
Collegato a questo, c’è il tema dell’ “ambiente”: i bambini sono alla continua ricerca di posti incontaminati, non a caso fanno “loro” l’unico spazio della foresta che neanche gli adulti conoscono. E forse non è del tutto errato pensare che, benché molto secondario, ci sia il tema della natura che si ribella all’uomo. Tant’è vero che, a metà visione, mi è sorto il dubbio che la giovane sorellona fosse in realtà Gea, la Terra stessa.
Anche tecnicamente, il film risulta ben fatto, i colori usati sono molto vivi e vivaci, e rendono piacevolissima la visione.
In un mercato dominato da giganti, Studio Colorido non solo non si fa pestare i piedi da nessuno, ma dimostra di aver premuto l'acceleratore fino in fondo per raggiungere, in solo sette anni, i livelli di colossi come Ghibli e Madhouse. Tra un ampio ventaglio di colori saturi, brillanti, vivi, e una tecnica di animazione avanzatissima per uno studio così giovane, "Penguin Highway" è a mio parere un campanello d'allarme di uno studio da tenere d'occhio e che in futuro potrebbe rivelare sorprese. Hiroyasu Ishida dimostra di aver assimilato pienamente la sapienza dei grandi maestri dell'animazione giapponese e di averla fatta sua, confezionando un prodotto fortemente moderno che tuttavia non dimentica la minuziosità di Miyazaki e l'emozione di Shinkai.
"Penguin Highway" è un film avvincente, giovane, un bacio alla razionalità scientifica e un tributo all'amore che non conosce età né appartenenza. È un film che unisce delicatamente l'acutezza e il bisogno di crescere di un bambino quasi adolescente, Aoyama, con la dolcezza e la malinconia di una giovane donna che in qualche modo non trova il suo ruolo nel Mondo, tanto da non avere nemmeno un nome all'interno della storia - la conosciamo unicamente come "sorellona" - e da chiedere ad Aoyama di "risolvere il suo caso" su più livelli di significato. In mezzo a tutto ciò trova uno spazio sublime la componente soprannaturale che tipicamente caratterizza le opere di finzione giapponesi e che potrebbe ricordare a tratti i capolavori di Murakami e Banana Yoshimoto. E in effetti è proprio dall'omonimo romanzo di Tomihiko Morimi che il film è ispirato.
Particolarmente indagati, inoltre, sono i temi della crescita e dell'innamoramento, veicolati attraverso gli sguardi di personaggi con personalità profondamente diverse: quello di Aoyama, bambino sensibilmente maturo e razionale per la sua età che si affaccia per la prima volta all'amore e si interroga sull'effetto che gli fanno un paio di tette - nel senso più ingenuo del termine - e quello di Suzuki e Hamamoto, che per la prima volta sperimentano la gelosia e il senso di colpa.
Tra vicende avventurose, comiche e a tratti dense di suspense, le due ore di film non si sentono nemmeno, lasciando allo spettatore moltissimi spunti su cui riflettere, oltre che un ricordo piacevolmente nostalgico dal gusto tutto giapponese. Tutto ciò crea un contrasto apprezzabile con la moodboard visiva del film, fatta di atmosfere vivaci e sempre allegre, di cieli blu e bizzarre creature, di appunti ordinati e, soprattutto, di genuina dolcezza. Insomma, si tratta di un'opera che trasporta con sé una brezza nuova e fresca nel mondo dell'animazione del Sol Levante, pur tuttavia adattando con metodo il passato alla modernità piuttosto che stravolgere tutto. Una scelta che personalmente condivido appieno e, se questo è solo l'inizio, l'eccellenza per Ishida e per Studio Colorido non tarderà ad arrivare.
"Penguin Highway" è un film avvincente, giovane, un bacio alla razionalità scientifica e un tributo all'amore che non conosce età né appartenenza. È un film che unisce delicatamente l'acutezza e il bisogno di crescere di un bambino quasi adolescente, Aoyama, con la dolcezza e la malinconia di una giovane donna che in qualche modo non trova il suo ruolo nel Mondo, tanto da non avere nemmeno un nome all'interno della storia - la conosciamo unicamente come "sorellona" - e da chiedere ad Aoyama di "risolvere il suo caso" su più livelli di significato. In mezzo a tutto ciò trova uno spazio sublime la componente soprannaturale che tipicamente caratterizza le opere di finzione giapponesi e che potrebbe ricordare a tratti i capolavori di Murakami e Banana Yoshimoto. E in effetti è proprio dall'omonimo romanzo di Tomihiko Morimi che il film è ispirato.
Particolarmente indagati, inoltre, sono i temi della crescita e dell'innamoramento, veicolati attraverso gli sguardi di personaggi con personalità profondamente diverse: quello di Aoyama, bambino sensibilmente maturo e razionale per la sua età che si affaccia per la prima volta all'amore e si interroga sull'effetto che gli fanno un paio di tette - nel senso più ingenuo del termine - e quello di Suzuki e Hamamoto, che per la prima volta sperimentano la gelosia e il senso di colpa.
Tra vicende avventurose, comiche e a tratti dense di suspense, le due ore di film non si sentono nemmeno, lasciando allo spettatore moltissimi spunti su cui riflettere, oltre che un ricordo piacevolmente nostalgico dal gusto tutto giapponese. Tutto ciò crea un contrasto apprezzabile con la moodboard visiva del film, fatta di atmosfere vivaci e sempre allegre, di cieli blu e bizzarre creature, di appunti ordinati e, soprattutto, di genuina dolcezza. Insomma, si tratta di un'opera che trasporta con sé una brezza nuova e fresca nel mondo dell'animazione del Sol Levante, pur tuttavia adattando con metodo il passato alla modernità piuttosto che stravolgere tutto. Una scelta che personalmente condivido appieno e, se questo è solo l'inizio, l'eccellenza per Ishida e per Studio Colorido non tarderà ad arrivare.