Ai City - La notte dei cloni
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Come definire questo anime movie? In una parola "mosaico". Dal mio punto di vista l'anime comincia in maniera sorprendente con il tipico inseguimento lungo le strade di Tokyo e questo è un classico degli anime d'azione. Subentra poi l'elemento dei poteri di cui sia il protagonista, sia gli altri personaggi e, ovviamente, anche l'antagonista sono dotati. Questo elemento conferisce all'anime una buona parte della sua struttura portante ed introduce i successivi tasselli/tessere come ad esempio la questione morale dell'uso che si fa dei poteri quindi la questione della scelta/decisione riguardo l'impiego dei poteri e/o capacità, citazione indiretta di Harry Potter che qui ha poco o niente a che a vedere con la trama di questo film. Diciamo che i veri collegamenti con altri film sono ad esempio ovviamente Matrix, se pensiamo ad esempio alla spiegazione degli scienziati che dicono che il nostro corpo è più potente di un supercomputer mi viene in mente l'analogia di Morpheus il quale spiega a Neo che il corpo umano genera bioelettricità otto volte in più rispetto a una batteria. Poi altro collegamento inevitabile è Dragon Ball poiché i personaggi sono dotati di poteri incredibili con i quali superano dei limiti che in questo caso non dovrebbero superare, ma che lo fanno ugualmente per portare avanti la propria causa. Non si può non fare un paragone anche con Akira perché abbiamo a che fare con delle persone ordinarie la cui vita viene cambiata a seguito di questi esperimenti e mi vengono in mente anche diversi super-eroi della Marvel e della DC Comics (Hulk, Spider Man, Superman, Lanterna Verde, Captain Marvel e via discorrendo). Poi c'è qualche riferimento/parodia di Lamù, visto che due dei personaggi sembrano rimandano alla ragazza dotata di super-poteri e al classico uomo sfortunato con le donne, ma che trova la sua redenzione con questa ragazza.
Il tema trattato principalmente è la questione dell'evoluzione e di come essa debba essere presa un attimo con le pinze, perché appunto perché sempre citando Morpheus le capacità, le abilità, le conoscenze, competenze e/o poteri di cui siamo dotati sono sempre il prodotto della Natura e quindi di un sistema che osserva delle regole, le quali possono essere trascese fino ad un certo punto e quindi entro certi limiti già prestabiliti. Però, paradossalmente, verso la fine dell'anime -quando il cattivo di turno Lao Le Ching/Alloy sta per essere sconfitto- Ai fa un'affermazione altrettanto importante, la quale non può essere ignorata, soprattutto è rivolta a Lao Le Ching/Alloy (il cui nome non è stato scelto a caso, visto si riferisce al Ching o Libro Dei Mutamenti del Taoismo Cinese e ad Alloy o lega ovvero che credere di essere la mutazione definitiva è una bestemmia e/o eresia... e qui mi viene in mente l'analogia con Cell, personaggio di Dragon Ball, il quale mira a diventare l'essere perfetto. Ma come abbiamo già visto, la Natura ragiona relativamente in termini di perfezione, piuttosto si direbbe in termini di miglioramento/cambiamento.. Altri collegamenti ipotetici che si possono fare sono con forse Ghost In The Shell, ma non più di tanto e neppure tanto con Transformers per la presenza del robot che cattura. Proprio per i tanti collegamenti forniscono tanti messaggi, sempre attuali, dei veri e propri sempreverde o evergreen. La responsabilità della scienza di fronte all'umanità e alla Natura di cui l'umanità fa parte, quindi il buon senso, il giudizio, la coscienza, la consapevolezza, la coerenza, il discernimento nel capire quando fermarsi e non andare oltre determinati limiti.
La grafica è quella dei classici anime Anni 80 e 90 che hanno segnato la nostra infanzia e quindi c'è un buon equilibrio tra realtà, realismo e finzione. I colori sono ben distribuiti e i giochi di luce sono sempre una garanzia di buon apparato grafico. La colonna sonora, con la sigla di apertura/chiusura è semplicemente soave, delicata, lieve e quindi ha un effetto calmante piacevole e gradevole. I personaggi hanno uno spessore, il quale che si rivela gradualmente nel corso della trama ed anche questo è una garanzia. Possiamo definire questo anime come un'anticipazione di tanti brand di successo degli anni successivi.
Voto: 8,5
Come definire questo anime movie? In una parola "mosaico". Dal mio punto di vista l'anime comincia in maniera sorprendente con il tipico inseguimento lungo le strade di Tokyo e questo è un classico degli anime d'azione. Subentra poi l'elemento dei poteri di cui sia il protagonista, sia gli altri personaggi e, ovviamente, anche l'antagonista sono dotati. Questo elemento conferisce all'anime una buona parte della sua struttura portante ed introduce i successivi tasselli/tessere come ad esempio la questione morale dell'uso che si fa dei poteri quindi la questione della scelta/decisione riguardo l'impiego dei poteri e/o capacità, citazione indiretta di Harry Potter che qui ha poco o niente a che a vedere con la trama di questo film. Diciamo che i veri collegamenti con altri film sono ad esempio ovviamente Matrix, se pensiamo ad esempio alla spiegazione degli scienziati che dicono che il nostro corpo è più potente di un supercomputer mi viene in mente l'analogia di Morpheus il quale spiega a Neo che il corpo umano genera bioelettricità otto volte in più rispetto a una batteria. Poi altro collegamento inevitabile è Dragon Ball poiché i personaggi sono dotati di poteri incredibili con i quali superano dei limiti che in questo caso non dovrebbero superare, ma che lo fanno ugualmente per portare avanti la propria causa. Non si può non fare un paragone anche con Akira perché abbiamo a che fare con delle persone ordinarie la cui vita viene cambiata a seguito di questi esperimenti e mi vengono in mente anche diversi super-eroi della Marvel e della DC Comics (Hulk, Spider Man, Superman, Lanterna Verde, Captain Marvel e via discorrendo). Poi c'è qualche riferimento/parodia di Lamù, visto che due dei personaggi sembrano rimandano alla ragazza dotata di super-poteri e al classico uomo sfortunato con le donne, ma che trova la sua redenzione con questa ragazza.
Il tema trattato principalmente è la questione dell'evoluzione e di come essa debba essere presa un attimo con le pinze, perché appunto perché sempre citando Morpheus le capacità, le abilità, le conoscenze, competenze e/o poteri di cui siamo dotati sono sempre il prodotto della Natura e quindi di un sistema che osserva delle regole, le quali possono essere trascese fino ad un certo punto e quindi entro certi limiti già prestabiliti. Però, paradossalmente, verso la fine dell'anime -quando il cattivo di turno Lao Le Ching/Alloy sta per essere sconfitto- Ai fa un'affermazione altrettanto importante, la quale non può essere ignorata, soprattutto è rivolta a Lao Le Ching/Alloy (il cui nome non è stato scelto a caso, visto si riferisce al Ching o Libro Dei Mutamenti del Taoismo Cinese e ad Alloy o lega ovvero che credere di essere la mutazione definitiva è una bestemmia e/o eresia... e qui mi viene in mente l'analogia con Cell, personaggio di Dragon Ball, il quale mira a diventare l'essere perfetto. Ma come abbiamo già visto, la Natura ragiona relativamente in termini di perfezione, piuttosto si direbbe in termini di miglioramento/cambiamento.. Altri collegamenti ipotetici che si possono fare sono con forse Ghost In The Shell, ma non più di tanto e neppure tanto con Transformers per la presenza del robot che cattura. Proprio per i tanti collegamenti forniscono tanti messaggi, sempre attuali, dei veri e propri sempreverde o evergreen. La responsabilità della scienza di fronte all'umanità e alla Natura di cui l'umanità fa parte, quindi il buon senso, il giudizio, la coscienza, la consapevolezza, la coerenza, il discernimento nel capire quando fermarsi e non andare oltre determinati limiti.
La grafica è quella dei classici anime Anni 80 e 90 che hanno segnato la nostra infanzia e quindi c'è un buon equilibrio tra realtà, realismo e finzione. I colori sono ben distribuiti e i giochi di luce sono sempre una garanzia di buon apparato grafico. La colonna sonora, con la sigla di apertura/chiusura è semplicemente soave, delicata, lieve e quindi ha un effetto calmante piacevole e gradevole. I personaggi hanno uno spessore, il quale che si rivela gradualmente nel corso della trama ed anche questo è una garanzia. Possiamo definire questo anime come un'anticipazione di tanti brand di successo degli anni successivi.
Voto: 8,5
In una marea di robaccia dimenticata, c'è sempre della robaccia buona. "Ai City" emerge dal marasma degli OAV anni '80 filo-statiunitensi in modo quanto mai eclatante e sborone: già la scena di apertura è tutta un programma. Si accendono le luci della città, ed ecco che parte una musica J-POP composta da un'ispirato Shiru Sagisu che rimanda ai gloriosi fasti di "Megazone 23"; le trombe midi squillano, le chitarre elettriche ringhiano aggressive, scandiscono note possenti, meccaniche; sono ritmi da musica dance, quella vera, e vengono giustamente coadiuvati da un cantato banale e senza senso alcuno. E lo spettatore, che se ne sta lì, sdraiato sul divano con lo sguardo apatico e fiacco, anch'egli diventa anni '80. Gli crescono i capelli, con tanto di tinta ed acconciatura Glam Rock, mentre si esalta di fronte all'inseguimento iniziale alla "Miami Vice" animato a ventiquattro frames al secondo, pieno di luci, colori, ombreggiature e riflessi studiati al dettaglio. I grattacieli, le donne alte due metri, gli esper che devastano tutto muovendosi con delle coreografie che paiono appena uscite da un video di Michael Jackson... che l'esaltazione abbia inizio. Ci vuole lo stato d'animo giusto: gli anni '80 bisogna sentirli dentro. Bisogna riviverli.
La trama di "Ai City" c'è. E' presente (ma poteva anche non esserci, andava bene lo stesso). Una bambina possiede la chiave per innescare la distruzione del mondo; degli esper creati in un misterioso laboratorio la cercano; un'altro esper, dalla faccia meno alla "Terminator" dei cattivi, la ama e la protegge, siccome è la clone della sua defunta donna; c'è un investigatore squattrinato che non fa mai nulla oltre a farsi corteggiare dall'esper più gnocca di tutte: una rossa da brividi che scorrazza in giro per la città vestita da coniglietta di PlayBoy. Ci sono pure tecnobubbole sulla genetica e sull'evoluzione umana messe lì a caso, che paiono parodiare "Il Gene Egoista" di Dawkins; raccapriccianti scene di metamorfosi organica che anticipano di tre anni il film di "Akira"; scienziati che clonano, manipolano... e tutto esplode, si fonde, si riplasma, annichilisce lo spettatore. Non mancano incursioni nel surrealismo più spinto ed insensato: il protagonista prende per mano la sua "donna", il contatore sulla sua testa schizza ad infinito e viene immediatamente lanciato un attacco psichico combinato, che imprigiona la Rossa (con la R maiuscola) in una dimensione alternativa, probabilmente uscita dalla penna di un André Breton ubriaco; la malcapitata viene automaticamente denudata: vagherà mostrando le sue forme perfette nel metaspazio rosso cremisi. E tutto questo succede un'anno prima di "Wicked City".
E se poi non siete contenti, se volete di più, "Ai City" è pure un po' splatter. Splatter come si deve: ci sono teste che esplodono, con tanto di pezzetti di cervello puzzolenti ed imbrattati di sangue che svolazzano qua e là andando a sporcare la faccina bianca come il latte di una donna bellissima a caso la quale, d'altronde, pare non curarsene affatto, giacché altrimenti il tutto sembrerebbe addirittura realistico. Niente isteria, niente grida di terrore. Tutto è figo e possente al massimo, allo stesso modo del cattivo con gli occhi bionici che levita con fare inquietante.
L'anime in sé si rifà pienamente allo sci-fi dell'epoca: sono presenti alcune affinità con quel gioiellino di "Iczer One" per quanto riguarda il design iperdettagliato, la lolita a bagno in una capsula amniotica e gli orrendi mostri sui quali Lovercraft ci metterebbe la firma. Anche le atmosfere quando s'incupiscono non scherzano, e sono in parte affini alla magnum opus di Toshiko Hirano.
Il regista è uno che ne sa tante. Aveva già diretto "Dominion Tank Police", e si vede: alcune scene sono completamente assurde, con bianchi e neri espressionisti, ingengose, goffe trovate da Pop Art che paiono quasi eleganti nella loro assoluta bruttezza. Tecnicamente l'anime è avanti anni luce: il design, gli onnipresenti riflessi patinati, la cura dei dettagli... anni '80! Bolla economica! Budget elavati! Roba che oggi vi sognate.
Una critica cinematografica - evidentemente con un po' di senso dell'umorismo -, tale Helen McCarthy, nel suo libro "500 Essential Anime Movies: The Ultimate Guide" asserisce che quello di "Ai City" è uno dei migliori finali di sempre nella storia dell'animazione. Ed ha ragione: "Ai City" resta sborone e senza logica alcuna fino alla fine; fino al suo finale provocatorio, superficiale ed insensato; un finale "troll", come si direbbe presso i nostri lidi. Ma "troll" con stile, con grande baldanza, con un mood che spacca tutto vomitando in faccia allo spettatore superficialità, inconsistenza e perizia tecnica figlia dell'americanismo più sfrenato. Perché "Ai City" è anche un po' trash; ma trash buono, appassionante, che ti fa volorantariamente spegnere il cervello per godere di più mentre le luci, i colori e i suoni corrispondono tra loro creando la giusta atmosfera. E qualche bella tipa vestita da coniglietta di PlayBoy con un cannone a raggi fotonici in mano non guasta mai. Questo è poco ma sicuro.
La trama di "Ai City" c'è. E' presente (ma poteva anche non esserci, andava bene lo stesso). Una bambina possiede la chiave per innescare la distruzione del mondo; degli esper creati in un misterioso laboratorio la cercano; un'altro esper, dalla faccia meno alla "Terminator" dei cattivi, la ama e la protegge, siccome è la clone della sua defunta donna; c'è un investigatore squattrinato che non fa mai nulla oltre a farsi corteggiare dall'esper più gnocca di tutte: una rossa da brividi che scorrazza in giro per la città vestita da coniglietta di PlayBoy. Ci sono pure tecnobubbole sulla genetica e sull'evoluzione umana messe lì a caso, che paiono parodiare "Il Gene Egoista" di Dawkins; raccapriccianti scene di metamorfosi organica che anticipano di tre anni il film di "Akira"; scienziati che clonano, manipolano... e tutto esplode, si fonde, si riplasma, annichilisce lo spettatore. Non mancano incursioni nel surrealismo più spinto ed insensato: il protagonista prende per mano la sua "donna", il contatore sulla sua testa schizza ad infinito e viene immediatamente lanciato un attacco psichico combinato, che imprigiona la Rossa (con la R maiuscola) in una dimensione alternativa, probabilmente uscita dalla penna di un André Breton ubriaco; la malcapitata viene automaticamente denudata: vagherà mostrando le sue forme perfette nel metaspazio rosso cremisi. E tutto questo succede un'anno prima di "Wicked City".
E se poi non siete contenti, se volete di più, "Ai City" è pure un po' splatter. Splatter come si deve: ci sono teste che esplodono, con tanto di pezzetti di cervello puzzolenti ed imbrattati di sangue che svolazzano qua e là andando a sporcare la faccina bianca come il latte di una donna bellissima a caso la quale, d'altronde, pare non curarsene affatto, giacché altrimenti il tutto sembrerebbe addirittura realistico. Niente isteria, niente grida di terrore. Tutto è figo e possente al massimo, allo stesso modo del cattivo con gli occhi bionici che levita con fare inquietante.
L'anime in sé si rifà pienamente allo sci-fi dell'epoca: sono presenti alcune affinità con quel gioiellino di "Iczer One" per quanto riguarda il design iperdettagliato, la lolita a bagno in una capsula amniotica e gli orrendi mostri sui quali Lovercraft ci metterebbe la firma. Anche le atmosfere quando s'incupiscono non scherzano, e sono in parte affini alla magnum opus di Toshiko Hirano.
Il regista è uno che ne sa tante. Aveva già diretto "Dominion Tank Police", e si vede: alcune scene sono completamente assurde, con bianchi e neri espressionisti, ingengose, goffe trovate da Pop Art che paiono quasi eleganti nella loro assoluta bruttezza. Tecnicamente l'anime è avanti anni luce: il design, gli onnipresenti riflessi patinati, la cura dei dettagli... anni '80! Bolla economica! Budget elavati! Roba che oggi vi sognate.
Una critica cinematografica - evidentemente con un po' di senso dell'umorismo -, tale Helen McCarthy, nel suo libro "500 Essential Anime Movies: The Ultimate Guide" asserisce che quello di "Ai City" è uno dei migliori finali di sempre nella storia dell'animazione. Ed ha ragione: "Ai City" resta sborone e senza logica alcuna fino alla fine; fino al suo finale provocatorio, superficiale ed insensato; un finale "troll", come si direbbe presso i nostri lidi. Ma "troll" con stile, con grande baldanza, con un mood che spacca tutto vomitando in faccia allo spettatore superficialità, inconsistenza e perizia tecnica figlia dell'americanismo più sfrenato. Perché "Ai City" è anche un po' trash; ma trash buono, appassionante, che ti fa volorantariamente spegnere il cervello per godere di più mentre le luci, i colori e i suoni corrispondono tra loro creando la giusta atmosfera. E qualche bella tipa vestita da coniglietta di PlayBoy con un cannone a raggi fotonici in mano non guasta mai. Questo è poco ma sicuro.
Film non molto reperibile e altrettanto privo di vasta fama, "Ai City: La Notte dei Cloni", basato su un soggetto di Shuho Itabashi e diretto da Koichi Mashimo, non si differenzia di molto dalle vecchie produzioni fantascientifiche, ma nemmeno propone tematiche banali per il periodo di rilascio (1986).
Si tratta comunque di un progetto senza troppe pretese, che, in ogni caso, riesce a offrire tantissima azione e scontri a colpi di poteri ESP.
Ci troviamo a Tokyo. Il detective privato Raiden un tempo faceva parte della polizia, ma è stato cacciato dopo aver disubbidito agli ordini nel corso di un'indagine relativa ai misteriosi e potentissimi Fraud. Ora Raiden è di nuovo coinvolto in un caso che li riguarda, grazie ad Ai e Kay, quest'ultimo uno psicometro frutto di un esperimento dei Fraud. Nel momento del pericolo uno strano numero appare sulla fronte di Kay e un raggio psichico parte dal ragazzo distruggendo gli avversari. Il trio si troverà coinvolto in qualcosa di potente e arcano, le cui radici affondano nell'essenza stessa della vita e in un passato remoto...
Ciò che colpisce di più è forse la risaltante proposta di effetti cromatici di ogni tipo, di luci e ombre che corredano ogni elemento sullo schermo rendendo se non altro molto scenografica l'ambientazione, ma i difetti principali saltano subito all'occhio: una caratterizzazione piuttosto mediocre dei personaggi (soprattutto esteriormente), una sceneggiatura meno che modesta, animazioni altalenanti e una colonna sonora trapassata.
La trama, in fin dei conti, non esce malconcia dagli effetti di un complesso senza fronzoli, quanto basta a meritare una stretta sufficienza.
Sconsigliato al pubblico di nuova generazione; consigliato, nonostante i difetti, ai cultori della fantascienza.
Si tratta comunque di un progetto senza troppe pretese, che, in ogni caso, riesce a offrire tantissima azione e scontri a colpi di poteri ESP.
Ci troviamo a Tokyo. Il detective privato Raiden un tempo faceva parte della polizia, ma è stato cacciato dopo aver disubbidito agli ordini nel corso di un'indagine relativa ai misteriosi e potentissimi Fraud. Ora Raiden è di nuovo coinvolto in un caso che li riguarda, grazie ad Ai e Kay, quest'ultimo uno psicometro frutto di un esperimento dei Fraud. Nel momento del pericolo uno strano numero appare sulla fronte di Kay e un raggio psichico parte dal ragazzo distruggendo gli avversari. Il trio si troverà coinvolto in qualcosa di potente e arcano, le cui radici affondano nell'essenza stessa della vita e in un passato remoto...
Ciò che colpisce di più è forse la risaltante proposta di effetti cromatici di ogni tipo, di luci e ombre che corredano ogni elemento sullo schermo rendendo se non altro molto scenografica l'ambientazione, ma i difetti principali saltano subito all'occhio: una caratterizzazione piuttosto mediocre dei personaggi (soprattutto esteriormente), una sceneggiatura meno che modesta, animazioni altalenanti e una colonna sonora trapassata.
La trama, in fin dei conti, non esce malconcia dagli effetti di un complesso senza fronzoli, quanto basta a meritare una stretta sufficienza.
Sconsigliato al pubblico di nuova generazione; consigliato, nonostante i difetti, ai cultori della fantascienza.