Klaus - I segreti del Natale
Il lungometraggio, come noto, è la prima produzione cinematografica animata del gruppo Netflix, figlia dell'audacia inventiva e della perseveranza del regista e sceneggiatore spagnolo Sergio Pablos, che ha a lungo insistito con Netflix per realizzare il progetto inizialmente respinto. Non è stata la prima volta che Pablos ha visto una sua idea, scarsamente considerata all'inizio, ottenere una volta realizzata un grande successo. Alle sue spalle Pablos ha un'ampia carriera nella Disney Animation, è stato fra gli autori de "L'isola del tesoro", e del successo mondiale del franchise di "Cattivissimo Me" e dei "Minions". Opere in cui la CG prevale in maniera assoluta.
Per questo film, nato ispirandosi alle idee che sono alla base di "Batman Begins" (la ri-narrazione delle origini di un personaggio), il nostro ha voluto seguire una strada diversa, tornando a usare la grafica in 2D. Il film è stato realizzato interamente a mano, ma sfruttando le migliori tecnologie digitali, come ha chiarito lo stesso regista più volte. Un'opera dunque che cerca di coniugare tradizione e "maraviglie" tecnologiche digitali, come insegna la nuova scuola d'animazione europea di cui Klaus rappresenta uno dei frutti più interessanti. Dietro a questa scelta, costosa e complessa, la volontà di proporre un progetto antico negli impianti narrativi, basato su gag, equivoci, colpi di scena, ma veramente innovativo sul piano della realizzazione, sfuggendo agli eccessi di standardizzazione in cui la grafica in CG troppo spesso finisce per infilarsi.
Contrapporre animazione in 2D a quella in 3D, demonizzando quest'ultima, ha poco significato nell'impostazione di Pablos.
Il 3D deve avere alla sua base una vera capacità di immaginare e disegnare degli autori che lo usano, capacità che si sviluppa solo attraverso un vero percorso di approfondimento di cosa sia la pittura, il disegno, l'arte grafica. Senza questi elementi la grafica 3D si riduce ad un mero orpello grafico, per "risparmiar denaro e tempo" - o per credere di risparmiarlo -, ma alla fine non riesce a produrre opere che restano nella memoria e nella cultura, ma spariscono appena salta fuori un nuovo e più "maraviglioso" programma di animazione 3D.
Dall'altro lato, l'animazione in 2D, l'animazione "tradizionale", deve sapersi rinnovare, rendersi forte di quelle che sono le moderne innovazioni della tecnica e dell'arte cinematografica, pena il trasformarsi in mera testimonianza del bel tempo che fu. Di quando "i cartoni (non) si facevano con i computer" (giusto per citare), producendo opere, magari di grande valore, ma senza spinta innovativa. Testimoni di sé stessi, non del mondo che è (e sarà).
Chiuso (magari!) questo capitolo, andiamo a quel che veramente spicca in "Klaus": l'elemento della narrazione. "Klaus", anche se fosse stato fatto con la "mefitica" CG, è un bel film. La sua trama è semplice ma ricchissima di idee e contenuti.
Sergio Pablos ha costruito un lungometraggio non d'occasione come potrebbe far intendere il titolo: questo è anche un film sul Natale, ma non è semplicemente un film di Natale, per narrare le origini di Babbo Natale.
Jasper è il figlio viziato e svogliato del direttore generale delle poste. Poltrire fra lenzuola di seta è la sua attività preferita. Per metterlo alla prova, suo padre decide di spedirlo sull'isola di Smeerenburg (il nome è ripreso da quello di una vera base dei balenieri danesi e olandesi dei primi anni del Seicento). Dovrà rimettere in piedi il locale ufficio postale e consegnare almeno 6000 lettere. Altrimenti sarà diseredato. Il luogo, in un angolo remoto del Polo Nord, è davvero inospitale e gelido, ma il vero problema è l'ostilità e la reciproca diffidenza degli abitanti. Nell'isola, praticamente nessuno scrive a nessuno, perché tutti si odiano, e la popolazione è divisa dalla faida secolare fra due famiglie che avvelena gli animi. Jasper in quei luoghi incontra la bella Alva, una maestra, che, arrivata nell'isola per insegnare ai più piccoli, ha finito per rinunciarvi, a causa dell'ostilità e della rabbia che cova nella popolazione, e ora vende pesce, nella classe disertata dai suoi piccoli alunni, e non vede l'ora di andarsene; e il burbero Klaus, un boscaiolo che vive isolato da tutti, nel ricordo della moglie, creando centinaia di giocattoli.
Riuscirà con il loro aiuto a consegnare 6000 lettere? Soprattutto, riuscirà Jasper a superare la propria apatia emotiva verso tutto il resto del mondo?
Nella realizzazione del film Sergio Pablos ha trasfuso la sua ampia esperienza di creatore di caratteri. Tutti i personaggi, grandi e piccoli, cattivi e buoni, hanno una propria caratterizzazione autentica. Un loro vissuto. Un loro ruolo nella storia (e nella vita dell'isola). Nessuno di loro è una figurina su uno sfondo colorato che recita una parte. I topos del genere sono tutti ripresi. Abbiamo l'eroe incerto, e non proprio tanto "eroico" nel suo approcciarsi, anzi. Abbiamo l'uomo solo, di gran cuore, ma perso nel proprio dramma, umano e morale, dovuto alla perdita della moglie, capace però di cogliere l'occasione di nascere a nuova vita. Abbiamo una bella (davvero bella), ma non esattamente tradizionale nel suo agire, una persona incattivita dal crollo delle sue speranze, che non vede l'ora di andarsene (e francamente neppure considera l'eroe un partner possibile); riuscirà a tornar sé stessa e ritrovare la sua strada. Abbiamo i "cattivi, cattivissimi", persi nella propria cattiveria che propongono i propri controvalori in maniera rozza ma ben efficace. I bambini sono molto belli e veri, e sono i veri protagonisti, i bambini che parlano (mentre gli adulti stanno ben zitti o nascondono la propria volontà dietro mille fumisterie). Abbiamo umorismo, azione, un finale basato sulle più classiche delle cavalcate folli di disneyana memoria, ma ben congegnato nella sua semplicità. Un film trasversale, non solo per bambini “piccini picciò”. Vengono proposti valori e idee, spunti di riflessione, situazioni che rendono il film godibile anche dagli spettatori "più adulti", e non solo. Valori e idee progressiste, che nella migliore tradizione culturale non sono mai imposti, solo proposti e suggeriti. Pensateci voi a fare le vostre valutazioni su quel che vi mostriamo.
Attenzione: il seguente paragrafo contiene spoiler
Il finale può apparire telefonato. Alla fine la città basata sul rancore e la paura deve cedere il passo a un futuro diverso. L'eroe accetta il suo ruolo - o quasi - impalma la bella (oppure è impalmato... la mia impressione è stata questa). Ma si tratta di un vero finale, non un semplice "e vissero felici e contenti", come potrete vedere negli ultimi minuti. Va davvero visto fino alla fine, e rivisto per essere apprezzato nei suoi tanti aspetti.
Fine parte contenente spoiler
Il film ha ottenuto un vero successo agli Annie Awards di quest'anno, un risultato davvero meritato. L'Oscar si vedrà.
Cosa mi ha ricordato? Tre opere diversissime: "La freccia azzurra", "Il gigante di ferro" e la "Principessa Mononoke", e, come riferimento più moderno, ironicamente, "Summer Wars".
Mi chiedo se Sergio Pablos riuscirà a ripetere questa vera magia.
Per questo film, nato ispirandosi alle idee che sono alla base di "Batman Begins" (la ri-narrazione delle origini di un personaggio), il nostro ha voluto seguire una strada diversa, tornando a usare la grafica in 2D. Il film è stato realizzato interamente a mano, ma sfruttando le migliori tecnologie digitali, come ha chiarito lo stesso regista più volte. Un'opera dunque che cerca di coniugare tradizione e "maraviglie" tecnologiche digitali, come insegna la nuova scuola d'animazione europea di cui Klaus rappresenta uno dei frutti più interessanti. Dietro a questa scelta, costosa e complessa, la volontà di proporre un progetto antico negli impianti narrativi, basato su gag, equivoci, colpi di scena, ma veramente innovativo sul piano della realizzazione, sfuggendo agli eccessi di standardizzazione in cui la grafica in CG troppo spesso finisce per infilarsi.
Contrapporre animazione in 2D a quella in 3D, demonizzando quest'ultima, ha poco significato nell'impostazione di Pablos.
Il 3D deve avere alla sua base una vera capacità di immaginare e disegnare degli autori che lo usano, capacità che si sviluppa solo attraverso un vero percorso di approfondimento di cosa sia la pittura, il disegno, l'arte grafica. Senza questi elementi la grafica 3D si riduce ad un mero orpello grafico, per "risparmiar denaro e tempo" - o per credere di risparmiarlo -, ma alla fine non riesce a produrre opere che restano nella memoria e nella cultura, ma spariscono appena salta fuori un nuovo e più "maraviglioso" programma di animazione 3D.
Dall'altro lato, l'animazione in 2D, l'animazione "tradizionale", deve sapersi rinnovare, rendersi forte di quelle che sono le moderne innovazioni della tecnica e dell'arte cinematografica, pena il trasformarsi in mera testimonianza del bel tempo che fu. Di quando "i cartoni (non) si facevano con i computer" (giusto per citare), producendo opere, magari di grande valore, ma senza spinta innovativa. Testimoni di sé stessi, non del mondo che è (e sarà).
Chiuso (magari!) questo capitolo, andiamo a quel che veramente spicca in "Klaus": l'elemento della narrazione. "Klaus", anche se fosse stato fatto con la "mefitica" CG, è un bel film. La sua trama è semplice ma ricchissima di idee e contenuti.
Sergio Pablos ha costruito un lungometraggio non d'occasione come potrebbe far intendere il titolo: questo è anche un film sul Natale, ma non è semplicemente un film di Natale, per narrare le origini di Babbo Natale.
Jasper è il figlio viziato e svogliato del direttore generale delle poste. Poltrire fra lenzuola di seta è la sua attività preferita. Per metterlo alla prova, suo padre decide di spedirlo sull'isola di Smeerenburg (il nome è ripreso da quello di una vera base dei balenieri danesi e olandesi dei primi anni del Seicento). Dovrà rimettere in piedi il locale ufficio postale e consegnare almeno 6000 lettere. Altrimenti sarà diseredato. Il luogo, in un angolo remoto del Polo Nord, è davvero inospitale e gelido, ma il vero problema è l'ostilità e la reciproca diffidenza degli abitanti. Nell'isola, praticamente nessuno scrive a nessuno, perché tutti si odiano, e la popolazione è divisa dalla faida secolare fra due famiglie che avvelena gli animi. Jasper in quei luoghi incontra la bella Alva, una maestra, che, arrivata nell'isola per insegnare ai più piccoli, ha finito per rinunciarvi, a causa dell'ostilità e della rabbia che cova nella popolazione, e ora vende pesce, nella classe disertata dai suoi piccoli alunni, e non vede l'ora di andarsene; e il burbero Klaus, un boscaiolo che vive isolato da tutti, nel ricordo della moglie, creando centinaia di giocattoli.
Riuscirà con il loro aiuto a consegnare 6000 lettere? Soprattutto, riuscirà Jasper a superare la propria apatia emotiva verso tutto il resto del mondo?
Nella realizzazione del film Sergio Pablos ha trasfuso la sua ampia esperienza di creatore di caratteri. Tutti i personaggi, grandi e piccoli, cattivi e buoni, hanno una propria caratterizzazione autentica. Un loro vissuto. Un loro ruolo nella storia (e nella vita dell'isola). Nessuno di loro è una figurina su uno sfondo colorato che recita una parte. I topos del genere sono tutti ripresi. Abbiamo l'eroe incerto, e non proprio tanto "eroico" nel suo approcciarsi, anzi. Abbiamo l'uomo solo, di gran cuore, ma perso nel proprio dramma, umano e morale, dovuto alla perdita della moglie, capace però di cogliere l'occasione di nascere a nuova vita. Abbiamo una bella (davvero bella), ma non esattamente tradizionale nel suo agire, una persona incattivita dal crollo delle sue speranze, che non vede l'ora di andarsene (e francamente neppure considera l'eroe un partner possibile); riuscirà a tornar sé stessa e ritrovare la sua strada. Abbiamo i "cattivi, cattivissimi", persi nella propria cattiveria che propongono i propri controvalori in maniera rozza ma ben efficace. I bambini sono molto belli e veri, e sono i veri protagonisti, i bambini che parlano (mentre gli adulti stanno ben zitti o nascondono la propria volontà dietro mille fumisterie). Abbiamo umorismo, azione, un finale basato sulle più classiche delle cavalcate folli di disneyana memoria, ma ben congegnato nella sua semplicità. Un film trasversale, non solo per bambini “piccini picciò”. Vengono proposti valori e idee, spunti di riflessione, situazioni che rendono il film godibile anche dagli spettatori "più adulti", e non solo. Valori e idee progressiste, che nella migliore tradizione culturale non sono mai imposti, solo proposti e suggeriti. Pensateci voi a fare le vostre valutazioni su quel che vi mostriamo.
Attenzione: il seguente paragrafo contiene spoiler
Il finale può apparire telefonato. Alla fine la città basata sul rancore e la paura deve cedere il passo a un futuro diverso. L'eroe accetta il suo ruolo - o quasi - impalma la bella (oppure è impalmato... la mia impressione è stata questa). Ma si tratta di un vero finale, non un semplice "e vissero felici e contenti", come potrete vedere negli ultimi minuti. Va davvero visto fino alla fine, e rivisto per essere apprezzato nei suoi tanti aspetti.
Fine parte contenente spoiler
Il film ha ottenuto un vero successo agli Annie Awards di quest'anno, un risultato davvero meritato. L'Oscar si vedrà.
Cosa mi ha ricordato? Tre opere diversissime: "La freccia azzurra", "Il gigante di ferro" e la "Principessa Mononoke", e, come riferimento più moderno, ironicamente, "Summer Wars".
Mi chiedo se Sergio Pablos riuscirà a ripetere questa vera magia.
“Un atto di gentilezza, ne ispira sempre un altro.”
Iniziato a vedere sia per curiosità sia sotto consiglio di amici, vengo a conoscenza di questo lungometraggio reperibile esclusivamente (almeno al momento) su Netflix: ed è amore a prima vista.
“Klaus - I segreti del Natale” è sostanzialmente un prodotto per famiglie, una rivisitazione della misteriosa, unica, favolosa e magica leggenda di San Nicolaus, meglio conosciuto come Santa Klaus, dalle nostre parti con il dolcissimo appellativo di Babbo Natale.
Il 2D alla ribalta come nella più classica tradizione. Ma è solo questo? No di certo.
Klaus è molto più che un film per adulti e bambini capace di parlare dell’atmosfera di Natale, dell’importanza delle buone azioni e del clima speciale che si respira in quel periodo. In realtà va ben oltre la stucchevole ipocrisia dei luoghi comuni di fine dicembre: esplora superficialmente il lato lappone e pagano del periodo natalizio, reinventando una leggenda nota a tutti, con una costruzione di background solida e inaspettatamente emozionante.
Forte di un tratto minimalista ma incisivo, capace di offrire un mix fra design moderno e fondali in stile classico, mischia sapientemente CG e disegno animato, riuscendo per quasi un’ora e mezza a trascinare gli spettatori di tutte le età in un mondo gelido e affascinante come pochi altri lungometraggi del genere sono riusciti a fare negli ultimi anni. Sia ambienti che strutture artificiali che figure umane sono stilizzate secondo uno stile più moderno e dinamico, e, nel complesso, creano un bilanciamento estetico armonioso che non stanca né disturba.
Gli autori sfruttano argutamente una delle leggende nordiche più classiche del genere umano per arrivare a parlare direttamente al cuore degli spettatori, utilizzando metafore e termini non sempre diretti; il sistema è facile e incisivo, e l’armonia fra design, colonna sonora davvero apprezzabile e una storia per niente scontata (che andrà a completarsi in un fantastico crescendo dolce e malinconico) fa da teatro a insegnamenti tanto semplici e scontati, quanto toccanti e unici, perché la gentilezza e l’amore non possono e non potranno mai passare di moda, nonostante, nella vita di tutti i giorni, ogni tanto, il dubbio verrebbe.
È questa l’avventurosa storia di Jesper, giovane viziato oltremodo dai genitori, un ragazzo che vive la sua vita servito e riverito da camerieri e domestici, fra colazioni a letto, lenzuola di seta e decine di altri vizi che lo hanno reso egoista, rammollito e privo di ambizioni.
Stanco della vita dissoluta del figlio, il padre, potente e influente uomo d’affari, cerca di farlo entrare a lavorare nel servizio postale reale di cui è proprietario, ma Jesper si dimostra un fallimento totale. Al limite della frustrazione, di fronte a una situazione che pare irrecuperabile, il padre di Jesper comprende - a malincuore - che suo figlio ha bisogno di una vera e propria scossa, e decide di punirlo mandandolo a fare il postino molto più a nord delle loro terre... addirittura al Circolo Polare Artico (!), in una località assurda, fredda e inospitale: un villaggio fra monti ghiacciati e crepacci oscuri, popolato da gente aspra e poco incline alle novità, immischiata in una faida locale che coinvolge due fazioni ben distinte all’interno del paese. E dovrà rimanerci fin che non avrà spedito un quantitativo di lettere inimmaginabile: seimila!
Jesper non crede a quel che sta accadendo: come può suo padre fargli una cosa simile?! Come potrà sopravvivere in una bettola gelata, senza riscaldamento, dal tetto bucato e circondato da gente fuori di testa come i cittadini di quel maledetto posto?
Ma non tutto è come sembra, ed è nelle difficoltà che la vita diviene inevitabile, spietata ma saggia insegnante. Fra giornate orribili, capitani di pescherecci dal dubbio umorismo, bambini dall’aria sinistra e buche delle lettere sempre vuote, Jesper farà anche conoscenze non così terribili, come una giovane donna che, all’interno di quella che dovrebbe essere la scuola elementare del borgo, vende pesce marcio al posto di insegnare, esaurita, stanca da quel posto, e che, come lui, non vede l’ora di andarsene.
È proprio così: la situazione appare drammatica. Di questo passo, Jesper, non lascerà mai quel paesino, e il suo futuro comincia a sembrare davvero compromesso. Almeno, fino a quando non fa la conoscenza di un possente boscaiolo, cupo e taciturno, spaventoso nell’aspetto, un vero bestione dalla folta barba bianca, capace di lavorare il legno in modo sublime e creare oggetti di una grazia e di una bellezza senza pari, come il giovane postino mai aveva visto.
Klaus non è la solita storia sulla magia del Natale e di come dovrebbe ricordarci di essere “tutti più buoni”: senza alcuna remora si oltrepassa a piè pari la solita morale proposta ormai all’infinito, e si ha l’ardire di esaminare qualcosa di mai esplorato. Si tratta di una toccante, sorprendente rivisitazione di come sia nata la leggenda del vecchio uomo vestito di rosso e dalla folta barba bianca, di chi fosse stato prima di essere conosciuto come “Santa” Klaus, di cosa indossasse prima di indossare le vesti rosse e bianche, di chi conoscesse e, soprattutto, del perché vivesse tutto solo nel bosco.
Da un’idea tanto semplice quanto originale ne scaturisce un piccolo capolavoro, capace di intrattenere grandi e piccini con una semplicità che non si poteva apprezzare da tempo, e che sfrutta l’evoluzione dei protagonisti lungo l’arco narrativo per mostrare pregi e debolezze che risiedono in ognuno di noi.
Senza alcuno sforzo, l’opera si dimostra un amorevole ossimoro; trasuda atmosfere natalizie autentiche, senza il bisogno di mostrare realmente nessun cliché natalizio.
Gli scenari nordici e gli ambienti in cui sono immersi i personaggi collimano perfettamente con una colonna sonora studiata in modo calibrato, essenziale e incisiva come non mai (che si sublima in “Invisible”, una canzone che davvero sfiora l’anima); man mano che la trama si sviluppa, gli autori riescono a dare una spiegazione logica (a volte divertente, a volte quasi commovente) a tutti gli aspetti caratteristici e “magici” della figura di Santa Klaus, come la celebre slitta con le renne “volanti”, la sua favolosa risata piena di gioia e, soprattutto, il modo in cui è diventato a tutti gli effetti l’uomo capace di consegnare i regali a tutti i bambini del mondo.
Che ogni leggenda abbia un fondo di verità, e che le antiche verità vengano mitizzate e, di generazione in generazione, la storia muti trasformandosi in leggenda, è un classico del folklore popolare.
Klaus merita attenzione da subito; la grazia, i sentimenti e la delicatezza che si respirano al suo interno non hanno niente da invidiare ai più famosi lungometraggi Disney. La seconda parte del film, in un crescendo di emozioni inaspettate - che mai ci saremmo aspettati, all’inizio - ci trascina verso un finale intenso, forte di una potenza emotiva inimmaginabile.
L’augurio è che nel corso dei prossimi anni diventi al più presto un classico di Natale conosciuto e apprezzato da più gente possibile, da rivedere durante il periodo di fine anno, perché negli ultimi vent’anni raramente abbiamo assistito a un prodotto dedicato a questo target così curato e di qualità.
Se cercate un regalo da scartare sotto l’albero, questa è la sorpresa più bella in assoluto, ma non lo raccomando solo a chi ama le atmosfere natalizie o a chi è legato al Natale per i più disparati motivi: Klaus è una perla da vedere assolutamente, perché, che sia Natale o meno, non fa alcuna differenza. A prescindere dal tema, si tratta di un film che parla d’amore, di amicizia, di altruismo, ma anche di solitudine, di discriminazione, di dolore, e sì, anche di perdita, e, purtroppo, accenna anche alla famigerata “cultura dell’odio” che respiriamo, purtroppo, ogni giorno.
“Un atto di gentilezza ne ispira sempre un altro”, dicevamo all’inizio, giusto? È davvero così, ed è anche vero che le cose più importanti della nostra vita, proprio come veniva espresso ne “Il Piccolo Principe”, sono invisibili agli occhi.
E questi sono concetti che ci dovremmo portare dentro 365 giorni all’anno.
Siete davvero convinti che la storia di Babbo Natale sia una storia inventata per illudere i bambini?
Iniziato a vedere sia per curiosità sia sotto consiglio di amici, vengo a conoscenza di questo lungometraggio reperibile esclusivamente (almeno al momento) su Netflix: ed è amore a prima vista.
“Klaus - I segreti del Natale” è sostanzialmente un prodotto per famiglie, una rivisitazione della misteriosa, unica, favolosa e magica leggenda di San Nicolaus, meglio conosciuto come Santa Klaus, dalle nostre parti con il dolcissimo appellativo di Babbo Natale.
Il 2D alla ribalta come nella più classica tradizione. Ma è solo questo? No di certo.
Klaus è molto più che un film per adulti e bambini capace di parlare dell’atmosfera di Natale, dell’importanza delle buone azioni e del clima speciale che si respira in quel periodo. In realtà va ben oltre la stucchevole ipocrisia dei luoghi comuni di fine dicembre: esplora superficialmente il lato lappone e pagano del periodo natalizio, reinventando una leggenda nota a tutti, con una costruzione di background solida e inaspettatamente emozionante.
Forte di un tratto minimalista ma incisivo, capace di offrire un mix fra design moderno e fondali in stile classico, mischia sapientemente CG e disegno animato, riuscendo per quasi un’ora e mezza a trascinare gli spettatori di tutte le età in un mondo gelido e affascinante come pochi altri lungometraggi del genere sono riusciti a fare negli ultimi anni. Sia ambienti che strutture artificiali che figure umane sono stilizzate secondo uno stile più moderno e dinamico, e, nel complesso, creano un bilanciamento estetico armonioso che non stanca né disturba.
Gli autori sfruttano argutamente una delle leggende nordiche più classiche del genere umano per arrivare a parlare direttamente al cuore degli spettatori, utilizzando metafore e termini non sempre diretti; il sistema è facile e incisivo, e l’armonia fra design, colonna sonora davvero apprezzabile e una storia per niente scontata (che andrà a completarsi in un fantastico crescendo dolce e malinconico) fa da teatro a insegnamenti tanto semplici e scontati, quanto toccanti e unici, perché la gentilezza e l’amore non possono e non potranno mai passare di moda, nonostante, nella vita di tutti i giorni, ogni tanto, il dubbio verrebbe.
È questa l’avventurosa storia di Jesper, giovane viziato oltremodo dai genitori, un ragazzo che vive la sua vita servito e riverito da camerieri e domestici, fra colazioni a letto, lenzuola di seta e decine di altri vizi che lo hanno reso egoista, rammollito e privo di ambizioni.
Stanco della vita dissoluta del figlio, il padre, potente e influente uomo d’affari, cerca di farlo entrare a lavorare nel servizio postale reale di cui è proprietario, ma Jesper si dimostra un fallimento totale. Al limite della frustrazione, di fronte a una situazione che pare irrecuperabile, il padre di Jesper comprende - a malincuore - che suo figlio ha bisogno di una vera e propria scossa, e decide di punirlo mandandolo a fare il postino molto più a nord delle loro terre... addirittura al Circolo Polare Artico (!), in una località assurda, fredda e inospitale: un villaggio fra monti ghiacciati e crepacci oscuri, popolato da gente aspra e poco incline alle novità, immischiata in una faida locale che coinvolge due fazioni ben distinte all’interno del paese. E dovrà rimanerci fin che non avrà spedito un quantitativo di lettere inimmaginabile: seimila!
Jesper non crede a quel che sta accadendo: come può suo padre fargli una cosa simile?! Come potrà sopravvivere in una bettola gelata, senza riscaldamento, dal tetto bucato e circondato da gente fuori di testa come i cittadini di quel maledetto posto?
Ma non tutto è come sembra, ed è nelle difficoltà che la vita diviene inevitabile, spietata ma saggia insegnante. Fra giornate orribili, capitani di pescherecci dal dubbio umorismo, bambini dall’aria sinistra e buche delle lettere sempre vuote, Jesper farà anche conoscenze non così terribili, come una giovane donna che, all’interno di quella che dovrebbe essere la scuola elementare del borgo, vende pesce marcio al posto di insegnare, esaurita, stanca da quel posto, e che, come lui, non vede l’ora di andarsene.
È proprio così: la situazione appare drammatica. Di questo passo, Jesper, non lascerà mai quel paesino, e il suo futuro comincia a sembrare davvero compromesso. Almeno, fino a quando non fa la conoscenza di un possente boscaiolo, cupo e taciturno, spaventoso nell’aspetto, un vero bestione dalla folta barba bianca, capace di lavorare il legno in modo sublime e creare oggetti di una grazia e di una bellezza senza pari, come il giovane postino mai aveva visto.
Klaus non è la solita storia sulla magia del Natale e di come dovrebbe ricordarci di essere “tutti più buoni”: senza alcuna remora si oltrepassa a piè pari la solita morale proposta ormai all’infinito, e si ha l’ardire di esaminare qualcosa di mai esplorato. Si tratta di una toccante, sorprendente rivisitazione di come sia nata la leggenda del vecchio uomo vestito di rosso e dalla folta barba bianca, di chi fosse stato prima di essere conosciuto come “Santa” Klaus, di cosa indossasse prima di indossare le vesti rosse e bianche, di chi conoscesse e, soprattutto, del perché vivesse tutto solo nel bosco.
Da un’idea tanto semplice quanto originale ne scaturisce un piccolo capolavoro, capace di intrattenere grandi e piccini con una semplicità che non si poteva apprezzare da tempo, e che sfrutta l’evoluzione dei protagonisti lungo l’arco narrativo per mostrare pregi e debolezze che risiedono in ognuno di noi.
Senza alcuno sforzo, l’opera si dimostra un amorevole ossimoro; trasuda atmosfere natalizie autentiche, senza il bisogno di mostrare realmente nessun cliché natalizio.
Gli scenari nordici e gli ambienti in cui sono immersi i personaggi collimano perfettamente con una colonna sonora studiata in modo calibrato, essenziale e incisiva come non mai (che si sublima in “Invisible”, una canzone che davvero sfiora l’anima); man mano che la trama si sviluppa, gli autori riescono a dare una spiegazione logica (a volte divertente, a volte quasi commovente) a tutti gli aspetti caratteristici e “magici” della figura di Santa Klaus, come la celebre slitta con le renne “volanti”, la sua favolosa risata piena di gioia e, soprattutto, il modo in cui è diventato a tutti gli effetti l’uomo capace di consegnare i regali a tutti i bambini del mondo.
Che ogni leggenda abbia un fondo di verità, e che le antiche verità vengano mitizzate e, di generazione in generazione, la storia muti trasformandosi in leggenda, è un classico del folklore popolare.
Klaus merita attenzione da subito; la grazia, i sentimenti e la delicatezza che si respirano al suo interno non hanno niente da invidiare ai più famosi lungometraggi Disney. La seconda parte del film, in un crescendo di emozioni inaspettate - che mai ci saremmo aspettati, all’inizio - ci trascina verso un finale intenso, forte di una potenza emotiva inimmaginabile.
L’augurio è che nel corso dei prossimi anni diventi al più presto un classico di Natale conosciuto e apprezzato da più gente possibile, da rivedere durante il periodo di fine anno, perché negli ultimi vent’anni raramente abbiamo assistito a un prodotto dedicato a questo target così curato e di qualità.
Se cercate un regalo da scartare sotto l’albero, questa è la sorpresa più bella in assoluto, ma non lo raccomando solo a chi ama le atmosfere natalizie o a chi è legato al Natale per i più disparati motivi: Klaus è una perla da vedere assolutamente, perché, che sia Natale o meno, non fa alcuna differenza. A prescindere dal tema, si tratta di un film che parla d’amore, di amicizia, di altruismo, ma anche di solitudine, di discriminazione, di dolore, e sì, anche di perdita, e, purtroppo, accenna anche alla famigerata “cultura dell’odio” che respiriamo, purtroppo, ogni giorno.
“Un atto di gentilezza ne ispira sempre un altro”, dicevamo all’inizio, giusto? È davvero così, ed è anche vero che le cose più importanti della nostra vita, proprio come veniva espresso ne “Il Piccolo Principe”, sono invisibili agli occhi.
E questi sono concetti che ci dovremmo portare dentro 365 giorni all’anno.
Siete davvero convinti che la storia di Babbo Natale sia una storia inventata per illudere i bambini?