Il natale di Angela
Ricordate le videocassette tarocche? Quella terribile epidemia che flagellò il mondo a partire dagli anni ’70, estintasi solo con la consacrazione dell’internet? Come non dimenticare Tata Gertrude che, piena di buone intenzioni, ti regalava “Pinocchio, prigioniero di Dumbo nel Regno delle Meraviglie” edito dalla Bilbo Pictures, prodotto in Georgia ma montato in Bhutan? Io non dimenticherò mai quei terribili pomeriggi, braccato in salotto, costretto all’ardua scelta: la D’Urso o quegli abomini animati. Per fortuna, con l’avvento della rete, tali virus andarono incontro all’estinzione … o almeno così pensavamo: e mentre Omicron livellava per gli inferi divenendo Cerberus, la videocassetta tarocca assumeva la parvenza di un prodotto in streaming su una nota piattaforma dai prezzi sempre più pruriginosi. “Angela’s Christmas”, di Damien O’Connor, è solo l’ultima variante di quelle terribili videocassette.
Irlanda, 1910 (lo capiamo solo perché ce lo dice la locandina): il Natale è alle porte, e in un paese sconosciuto tutto il villaggio si appresta ad ascoltare la sacra messa, inclusa la famiglia di Angela, protagonista della storia. Tra una noiosa omelia ed un’ostia insipida la nostra cinna si domanda come mai Gesù bambino (che, ricordo, essere un cicciobello di porcellana) non abbia una coperta (…), sia mai si prenda una bronchite prima dell’arrivo dei Re Magi … pertanto, probabilmente sotto l'effetto dell’incenso ecclesiastico, la nostra pargola elucubra codesta idea: trafugare la statua, portarsela a casa e mettersela a ninna sotto le lenzuola, così da cederle un po’ di calore (di sicuro non intelligenza). Riuscirà nel suo piano idiota?
Per carità, non vale la pena essere cattivi. Chiunque abbia un’età superiore alle dita di una mano noterà come la trama banale (mooolto banale) sia solo un escamotage per raccontare la solita fiabetta spicciola per bambini piccoli (mooolto piccoli). In effetti non ho nulla contro i cartoni Teletubbies' style, purché riescano in due cose: intrattenere ed insegnare. Ecco, questo corto animato riesce nell'antimpresa di floppare (e alla grande) in entrambi gli aspetti.
Per una volta cambiamo l’ordine dell’autopsia, e partiamo dall’estetica, dalla cute del nostro corto animato: grafica e audio. Oh sommo divino, della cui esistenza dubito, perché mi hai fatto questo? La grafica a chiamarla oscena le faccio un complimento: gli sfondi sono poveri di dettagli, così anonimi e insignificanti che potevano sostituirli con le spiagge di Malibù e non sarebbe cambiato nulla (che dico, ovviamente sarebbe stato meglio); i personaggi sono dei gommosi bambolotti 3D, così brutti da far sembrare Napo un gigante del character design. Ma giubilate, cari spettatori, perché l’audio riesce a cringiare ancora meglio: in un vuoto di OST più oscuro del Regno delle Ombre, emerge una terribile canzoncina di Natale, così melensa da quadruplicarmi la glicemia, e mandarmi dritto verso lo scompenso. Tale… roba non può (e non deve) piacere a nessuno: ripudiata dagli adulti perché zuccherosa, ripudiata dai bambini perché troppo gnignigni (cit. me stesso), ripudiata dai vivi che ci tengono alla loro glicemia e dai morti che risorgerebbero dalle tombe pur di sopprimere il creatore di questa atrocità.
La trama... beh, almeno c’è, anche se può essere riassunta in un rigo scarso: bambina rincoglionita cerca di rubare Gesù dal presepe, viene beccata ma alla fine è Natale quindi baci e abbracci. La sceneggiatura è invece una grossa e grassa risata, la stessa risata che avrebbero dovuto suscitare le battute messe di tanto in tanto per alleggerire una trama da peso piuma… ma che invece riescono solo ad irritare i pochi sopravvissuti ancora impegnati nella visione di codesto obbrobrio (l’altra metà è invece sicuramente già scappata verso lidi più sicuri, magari proprio a Malibù). La scena in cui la nostra Angela si diletta nel lancio del cicciobello aldilà del muretto di casa entra di default nella lista delle scene nocive, un vademecum per i novelli registi di ciò che non si deve fare in un cartone animato. Che poi, Pelor sia lodato, ringrazio di aver visto questa cosa solo adesso, che già sono avviato verso il declino neurologico, perché se l’avessi visionata da bambino avrei seriamente compromesso la mia crescita. Comunque l’aspetto commedia è così so bad it’s so good che riesce quasi a strappare un sorriso nervoso, quindi abbiamo un punto a favore. Parlare dei personaggi è inutile, nel senso che sono delle macchiette. Anche qui, se gli avessero sostituiti con i Magotti non avrebbe fatto alcuna differenza.
Arrivati al capolinea di questa impietosa autopsia, molti si staranno chiedendo: perché "tre" come voto? In effetti parliamo di un orrendo corto animato, che non è bello né visivamente né musicalmente, con delle battute da asilo sotto-nido e una morale da baci perugina, ma dov’è la trappola? Dov’è quell’elemento trash che fa affondare del tutto questo colabrodo?
Ebbene, Signori, non l’avrei mai detto, ma questo corto è riuscito in almeno una cosa positiva: stupirmi. Già, non l’avrei mai detto, ma per la prima volta siamo di fronte ad una specie nuova … (rullo di tamburi)… il narratore fantasma! Ma chi è il narratore fantasma (o phantom storyteller per gli amici anglosassoni)? Proviamo a spiegare (parte la musica di Superquark): il narratore fantasma è una specie rara, insolita, tanto da esser considerata dai più una mera leggenda; costui vorrebbe spiegare gli eventi narrati, e dare peso ad una storia insignificante, ma tutto ciò che racconta è effimero, superfluo, etereo come la mia recensione nella rete… Povero narratore! Vorrebbe davvero raccontare qualcosa, ma nessuno l’ascolta, al più viene osteggiato in quanto con la sua voce suadente molesta il corretto ascolto dei dialoghi… solo e ignorato da tutti, finisce per importunare lo spettatore, dandogli spunti che poi non verranno minimamente approfonditi. Nessuno sa quale sia il suo effettivo ruolo, né perché ci ammorbi con le sue vuote parole… ma è lì, incompreso in questo corto pronto a tormentare nuovi ignari spettatori. Probabilmente è in attesa di qualcuno che lo ascolti seriamente, e ponga così fine alla maledizione… ma non è questo il giorno!
Eh già, Aragorn ha proprio ragione, verrà un giorno... così come verrà un giorno in cui questo cartone si estinguerà, e lascerà spazio ad una nuova variante, alimentando così un ciclo di eterno trashume del quale sono vittima, ma non è questo il giorno! Oggi si soffre, si visiona codesta tortura, e si brinda alla gloria eterna dello shitaste che oggi e per sempre porterà giubilo nelle nostre vite!
L’autopsia è finita, andate in pace, amen.
Irlanda, 1910 (lo capiamo solo perché ce lo dice la locandina): il Natale è alle porte, e in un paese sconosciuto tutto il villaggio si appresta ad ascoltare la sacra messa, inclusa la famiglia di Angela, protagonista della storia. Tra una noiosa omelia ed un’ostia insipida la nostra cinna si domanda come mai Gesù bambino (che, ricordo, essere un cicciobello di porcellana) non abbia una coperta (…), sia mai si prenda una bronchite prima dell’arrivo dei Re Magi … pertanto, probabilmente sotto l'effetto dell’incenso ecclesiastico, la nostra pargola elucubra codesta idea: trafugare la statua, portarsela a casa e mettersela a ninna sotto le lenzuola, così da cederle un po’ di calore (di sicuro non intelligenza). Riuscirà nel suo piano idiota?
Per carità, non vale la pena essere cattivi. Chiunque abbia un’età superiore alle dita di una mano noterà come la trama banale (mooolto banale) sia solo un escamotage per raccontare la solita fiabetta spicciola per bambini piccoli (mooolto piccoli). In effetti non ho nulla contro i cartoni Teletubbies' style, purché riescano in due cose: intrattenere ed insegnare. Ecco, questo corto animato riesce nell'antimpresa di floppare (e alla grande) in entrambi gli aspetti.
Per una volta cambiamo l’ordine dell’autopsia, e partiamo dall’estetica, dalla cute del nostro corto animato: grafica e audio. Oh sommo divino, della cui esistenza dubito, perché mi hai fatto questo? La grafica a chiamarla oscena le faccio un complimento: gli sfondi sono poveri di dettagli, così anonimi e insignificanti che potevano sostituirli con le spiagge di Malibù e non sarebbe cambiato nulla (che dico, ovviamente sarebbe stato meglio); i personaggi sono dei gommosi bambolotti 3D, così brutti da far sembrare Napo un gigante del character design. Ma giubilate, cari spettatori, perché l’audio riesce a cringiare ancora meglio: in un vuoto di OST più oscuro del Regno delle Ombre, emerge una terribile canzoncina di Natale, così melensa da quadruplicarmi la glicemia, e mandarmi dritto verso lo scompenso. Tale… roba non può (e non deve) piacere a nessuno: ripudiata dagli adulti perché zuccherosa, ripudiata dai bambini perché troppo gnignigni (cit. me stesso), ripudiata dai vivi che ci tengono alla loro glicemia e dai morti che risorgerebbero dalle tombe pur di sopprimere il creatore di questa atrocità.
La trama... beh, almeno c’è, anche se può essere riassunta in un rigo scarso: bambina rincoglionita cerca di rubare Gesù dal presepe, viene beccata ma alla fine è Natale quindi baci e abbracci. La sceneggiatura è invece una grossa e grassa risata, la stessa risata che avrebbero dovuto suscitare le battute messe di tanto in tanto per alleggerire una trama da peso piuma… ma che invece riescono solo ad irritare i pochi sopravvissuti ancora impegnati nella visione di codesto obbrobrio (l’altra metà è invece sicuramente già scappata verso lidi più sicuri, magari proprio a Malibù). La scena in cui la nostra Angela si diletta nel lancio del cicciobello aldilà del muretto di casa entra di default nella lista delle scene nocive, un vademecum per i novelli registi di ciò che non si deve fare in un cartone animato. Che poi, Pelor sia lodato, ringrazio di aver visto questa cosa solo adesso, che già sono avviato verso il declino neurologico, perché se l’avessi visionata da bambino avrei seriamente compromesso la mia crescita. Comunque l’aspetto commedia è così so bad it’s so good che riesce quasi a strappare un sorriso nervoso, quindi abbiamo un punto a favore. Parlare dei personaggi è inutile, nel senso che sono delle macchiette. Anche qui, se gli avessero sostituiti con i Magotti non avrebbe fatto alcuna differenza.
Arrivati al capolinea di questa impietosa autopsia, molti si staranno chiedendo: perché "tre" come voto? In effetti parliamo di un orrendo corto animato, che non è bello né visivamente né musicalmente, con delle battute da asilo sotto-nido e una morale da baci perugina, ma dov’è la trappola? Dov’è quell’elemento trash che fa affondare del tutto questo colabrodo?
Ebbene, Signori, non l’avrei mai detto, ma questo corto è riuscito in almeno una cosa positiva: stupirmi. Già, non l’avrei mai detto, ma per la prima volta siamo di fronte ad una specie nuova … (rullo di tamburi)… il narratore fantasma! Ma chi è il narratore fantasma (o phantom storyteller per gli amici anglosassoni)? Proviamo a spiegare (parte la musica di Superquark): il narratore fantasma è una specie rara, insolita, tanto da esser considerata dai più una mera leggenda; costui vorrebbe spiegare gli eventi narrati, e dare peso ad una storia insignificante, ma tutto ciò che racconta è effimero, superfluo, etereo come la mia recensione nella rete… Povero narratore! Vorrebbe davvero raccontare qualcosa, ma nessuno l’ascolta, al più viene osteggiato in quanto con la sua voce suadente molesta il corretto ascolto dei dialoghi… solo e ignorato da tutti, finisce per importunare lo spettatore, dandogli spunti che poi non verranno minimamente approfonditi. Nessuno sa quale sia il suo effettivo ruolo, né perché ci ammorbi con le sue vuote parole… ma è lì, incompreso in questo corto pronto a tormentare nuovi ignari spettatori. Probabilmente è in attesa di qualcuno che lo ascolti seriamente, e ponga così fine alla maledizione… ma non è questo il giorno!
Eh già, Aragorn ha proprio ragione, verrà un giorno... così come verrà un giorno in cui questo cartone si estinguerà, e lascerà spazio ad una nuova variante, alimentando così un ciclo di eterno trashume del quale sono vittima, ma non è questo il giorno! Oggi si soffre, si visiona codesta tortura, e si brinda alla gloria eterna dello shitaste che oggi e per sempre porterà giubilo nelle nostre vite!
L’autopsia è finita, andate in pace, amen.
Premessa: ho quasi 60 anni e sinceramente non ho troppa voglia di vedere le cose dal punto di vista di un bambino. Questa mia recensione (?) adotterà il punto di vista di una persona alle soglie della vecchiaia, sia pur con qualche concessione. Anche se si tratta di un cartone natalizio, anche se pubblico questi miei pensieri nel giorno di Pasqua, la mia bontà ha un limite (non troppo elevato, in verità).
Questo cartone animato prende le mosse da un’opera di Francis McCourt, lo scrittore nato a Brooklin da famiglia irlandese ma a quattro anni tornato in Irlanda, a Limerik, durante la Grande Depressione. Secondo Wikipedia, l’autore vinse il premio Pulitzer per Angela’s ashes, libro di tragicomici ricordi della miseria e squallore della sua infanzia.
Sempre secondo Wikipedia, Francis avrebbe avuto sei fratelli e sorelle, di cui tre sarebbero morti di stenti in tenera età. Lo stesso Francis avrebbe rischiato di morire di febbre tifoide e la famiglia, poi abbandonata dal padre, avrebbe conosciuto per anni la miseria più assoluta, sopravvivendo a stento in una umida catapecchia.
L’opera in questione, Angela and the Baby Jesus, vanta una versione per adulti e una per bambini. Possiamo credere a scatola chiusa che quella utilizzata come base per questo breve della durata di circa 30 minuti sia la seconda.
Cosa mi è piaciuto di quest’opera? Sostanzialmente, i fondali: bellissimi nel loro descrivere una Limerik di inizio ‘900 umida e fredda, spietata nei suoi vicoli tortuosi di alti muri minacciosi e gelidi, chiusi ad ogni manifestazione di calore e pietà.
Per il resto, la computer grafica utilizzata per i personaggi, e in special modo per la piccola Angela di sei anni, è terribilmente sgradevole ai miei occhi, determinando un “effetto Cicciobello” che ha un che di sinistro, riportando alla mente echi di una certa bambola assassina di Manciniana memoria. Le figure umane sono molto rigide, e spesso ancor più gli abiti, tanto che mi sono scoperta a volte ad aspettarmi l’entrata in scena di Barbie Raperonzolo o di qualcuna delle sue sorelle. Capita che le animazioni vadano a farsi un giro e, insomma, per essere stato fatto cinque anni fa, graficamente è molto carente.
Le musiche? Mah, di vago sentore natalizio e passabili, senza voli di fantasia, ma come contentino c’è una canzoncina che, almeno nella versione italiana, potrebbe facilmente diventare materia per incubi notturni. In compenso, una fastidiosissima e invadente voce narrante ci racconta buona parte della storia, specificando chiaramente di essere il figlio di Angela, e presentandoci tutto il resto della famiglia. Si tratta presumibilmente della trasposizione della reale famiglia di Francis: il genere dei fratelli non combacia, ma in tutto i ragazzini sono pur sempre quattro. Andando a scavare un pelino sotto la superficie, si scopre anche che, nella versione originale, la voce narrante è fornita da Malachy McCourt, fratello minore di Francis, attore, politico, scrittore e proprietario di pub.
L’opera avrebbe potuto essere decisamente migliore. I dialoghi sono proprio lineari e la trama è semplicissima e ingenua: la piccola Angela che, vivendo in povertà, sa cos’è il freddo, alla messa di Natale vede il bambinello nudo nella mangiatoia e decide di portarselo a casa per scaldarlo con sé sotto le coperte. Il suo viso birichino mentre pronuncia con gli altri amen, perfetta rappresentazione di una bambina che ha avuto un’idea furba, è tutto un programma. Peccato che resti tale solo nelle aspirazioni.
Essendo un prodotto destinato – spero – a un pubblico infantile, ogni aspetto negativo viene in qualche modo addolcito e reso fiabesco, a partire dallo scambio iniziale dei cappotti tra i vari fratelli che, crescendo in fretta, non entrano più negli abiti vecchi, passando per la cena di Natale che, vista en passant, pare consistere di poco più di una fetta di pane per ognuno. Un breve flashback mostra una casa col fuoco spento dove, appena dopo la nascita della sorellina minore, gli altri fratelli si stringono nel letto con la mamma per scaldarsi al calore del loro amore. Nella fiaba, il padre è in prigione per aver cercato di rubare del carbone per scaldare la famiglia, ma nella realtà il padre di Francis, che aveva difficoltà a trovare lavoro, preferiva bersi i pochi soldi piuttosto che darli in casa e alla fine sparì definitivamente. E così via.
L’indigenza, in questa favola di Natale, è troppo dichiarata senza essere percepita. Il calore della famiglia risolve ogni difficoltà. L’unico momento in cui veramente si ha la sensazione di aver toccato il cuore del problema è quando il fisarmonicista mendicante prende un panino allungando una mano lurida. Ecco, questa è la miseria che in tutto il resto del film non si avverte.
Pur provenendo da una famiglia cattolica, ci si domanda se l’autore abbia avuto dei problemi con qualche sacerdote. Perché, altrimenti, pur spingendo sulle varie cerimonie e banalità natalizie, dipingere un prete molto in carne (e quindi ben nutrito, in contrapposizione con la nostra famiglia) che inizialmente insiste per far arrestare la piccola Angela, rea di aver “rubato” la statua di Gesù bambino, lasciando al gentile poliziotto il compito di difenderla? A poco serve che il sacerdote cambi presto idea: quella che conta è l’immagine iniziale. Se il target di destinazione è molto giovane, un sotto testo del genere senza alcuna spiegazione, all’interno di una favola di Natale incentrata sulle buone intenzioni, è semplicemente imbarazzante. Anzi, è pesantemente allusivo in sé, qualunque sia il pubblico di elezione: gli insegnamenti del cattolicesimo di amore e perdono vanno a farsi un bagno in una pozzanghera.
In sunto, si tratta di un’opera che non mi ha appagato visivamente, con un narratore invadente e superfluo e una storia semplice e troppo ingenua, che fa appello alle buone intenzioni, ma non è scevra di incongruenze e messaggi poco edificanti. Per questo motivo, l’operazione Forza, ragazzi, torniamo tutti bimbi per mezz’ora! non mi è proprio riuscita. E, visto da un adulto, questo titolo è proprio insufficiente.
Addì, 09 Aprile 2023, Pasqua di Resurrezione.
Questo cartone animato prende le mosse da un’opera di Francis McCourt, lo scrittore nato a Brooklin da famiglia irlandese ma a quattro anni tornato in Irlanda, a Limerik, durante la Grande Depressione. Secondo Wikipedia, l’autore vinse il premio Pulitzer per Angela’s ashes, libro di tragicomici ricordi della miseria e squallore della sua infanzia.
Sempre secondo Wikipedia, Francis avrebbe avuto sei fratelli e sorelle, di cui tre sarebbero morti di stenti in tenera età. Lo stesso Francis avrebbe rischiato di morire di febbre tifoide e la famiglia, poi abbandonata dal padre, avrebbe conosciuto per anni la miseria più assoluta, sopravvivendo a stento in una umida catapecchia.
L’opera in questione, Angela and the Baby Jesus, vanta una versione per adulti e una per bambini. Possiamo credere a scatola chiusa che quella utilizzata come base per questo breve della durata di circa 30 minuti sia la seconda.
Cosa mi è piaciuto di quest’opera? Sostanzialmente, i fondali: bellissimi nel loro descrivere una Limerik di inizio ‘900 umida e fredda, spietata nei suoi vicoli tortuosi di alti muri minacciosi e gelidi, chiusi ad ogni manifestazione di calore e pietà.
Per il resto, la computer grafica utilizzata per i personaggi, e in special modo per la piccola Angela di sei anni, è terribilmente sgradevole ai miei occhi, determinando un “effetto Cicciobello” che ha un che di sinistro, riportando alla mente echi di una certa bambola assassina di Manciniana memoria. Le figure umane sono molto rigide, e spesso ancor più gli abiti, tanto che mi sono scoperta a volte ad aspettarmi l’entrata in scena di Barbie Raperonzolo o di qualcuna delle sue sorelle. Capita che le animazioni vadano a farsi un giro e, insomma, per essere stato fatto cinque anni fa, graficamente è molto carente.
Le musiche? Mah, di vago sentore natalizio e passabili, senza voli di fantasia, ma come contentino c’è una canzoncina che, almeno nella versione italiana, potrebbe facilmente diventare materia per incubi notturni. In compenso, una fastidiosissima e invadente voce narrante ci racconta buona parte della storia, specificando chiaramente di essere il figlio di Angela, e presentandoci tutto il resto della famiglia. Si tratta presumibilmente della trasposizione della reale famiglia di Francis: il genere dei fratelli non combacia, ma in tutto i ragazzini sono pur sempre quattro. Andando a scavare un pelino sotto la superficie, si scopre anche che, nella versione originale, la voce narrante è fornita da Malachy McCourt, fratello minore di Francis, attore, politico, scrittore e proprietario di pub.
L’opera avrebbe potuto essere decisamente migliore. I dialoghi sono proprio lineari e la trama è semplicissima e ingenua: la piccola Angela che, vivendo in povertà, sa cos’è il freddo, alla messa di Natale vede il bambinello nudo nella mangiatoia e decide di portarselo a casa per scaldarlo con sé sotto le coperte. Il suo viso birichino mentre pronuncia con gli altri amen, perfetta rappresentazione di una bambina che ha avuto un’idea furba, è tutto un programma. Peccato che resti tale solo nelle aspirazioni.
Essendo un prodotto destinato – spero – a un pubblico infantile, ogni aspetto negativo viene in qualche modo addolcito e reso fiabesco, a partire dallo scambio iniziale dei cappotti tra i vari fratelli che, crescendo in fretta, non entrano più negli abiti vecchi, passando per la cena di Natale che, vista en passant, pare consistere di poco più di una fetta di pane per ognuno. Un breve flashback mostra una casa col fuoco spento dove, appena dopo la nascita della sorellina minore, gli altri fratelli si stringono nel letto con la mamma per scaldarsi al calore del loro amore. Nella fiaba, il padre è in prigione per aver cercato di rubare del carbone per scaldare la famiglia, ma nella realtà il padre di Francis, che aveva difficoltà a trovare lavoro, preferiva bersi i pochi soldi piuttosto che darli in casa e alla fine sparì definitivamente. E così via.
L’indigenza, in questa favola di Natale, è troppo dichiarata senza essere percepita. Il calore della famiglia risolve ogni difficoltà. L’unico momento in cui veramente si ha la sensazione di aver toccato il cuore del problema è quando il fisarmonicista mendicante prende un panino allungando una mano lurida. Ecco, questa è la miseria che in tutto il resto del film non si avverte.
Pur provenendo da una famiglia cattolica, ci si domanda se l’autore abbia avuto dei problemi con qualche sacerdote. Perché, altrimenti, pur spingendo sulle varie cerimonie e banalità natalizie, dipingere un prete molto in carne (e quindi ben nutrito, in contrapposizione con la nostra famiglia) che inizialmente insiste per far arrestare la piccola Angela, rea di aver “rubato” la statua di Gesù bambino, lasciando al gentile poliziotto il compito di difenderla? A poco serve che il sacerdote cambi presto idea: quella che conta è l’immagine iniziale. Se il target di destinazione è molto giovane, un sotto testo del genere senza alcuna spiegazione, all’interno di una favola di Natale incentrata sulle buone intenzioni, è semplicemente imbarazzante. Anzi, è pesantemente allusivo in sé, qualunque sia il pubblico di elezione: gli insegnamenti del cattolicesimo di amore e perdono vanno a farsi un bagno in una pozzanghera.
In sunto, si tratta di un’opera che non mi ha appagato visivamente, con un narratore invadente e superfluo e una storia semplice e troppo ingenua, che fa appello alle buone intenzioni, ma non è scevra di incongruenze e messaggi poco edificanti. Per questo motivo, l’operazione Forza, ragazzi, torniamo tutti bimbi per mezz’ora! non mi è proprio riuscita. E, visto da un adulto, questo titolo è proprio insufficiente.
Addì, 09 Aprile 2023, Pasqua di Resurrezione.
Questa è la storia di come mio nonno Mirokusama iniziò a scrivere una recensione nel giorno del Signore 31 dicembre 2022, un dono prezioso lasciato alla mia famiglia per chiudere l’anno in armonia e abbracciare la nuova stagione con rinnovato spirito ottimista. Non si diceva un gran bene di lui, ma in fondo si è sempre saputo che sotto quella scorza burbera e indolente si nascondeva, appunto, un grande burbero e indolente, solo più fesso di quanto apparisse all’esterno. Eppure questo suo atto di generosità cambiò completamente il corso della vita di chi gli stava vicino… oppure fu semplicemente l’incipit di una recensione per fare un mediocre accostamento a un’opera altrettanto mediocre che fu costretto a guardare in quel periodo, e cioè “Il Natale di Angela”.
Cortometraggio a tema evidentemente natalizio, “Il Natale d Angela” racconta, con ben poca fantasia, appunto la storia di Angela, bambina di una famiglia irlandese di inizio Novecento che, durante la vigilia di Natale, combina inconsapevolmente una “marachella” quando, a fin di bene, ruba la statua di Gesù Bambino presente nella classica rappresentazione della natività in Chiesa durante il periodo dell’Avvento, perché convinta che il bambino sentisse freddo e voleva quindi riscaldarlo. Va da sé che questo atto getterà un po’ di scompiglio nella piccola comunità locale, ma nonostante tutto sarà l’occasione per più di un personaggio per imparare nuovamente ad apprezzare la bontà d’animo altrui e la felicità che il Natale può infonderci al di là delle condizioni sociali ed economiche che attraversiamo.
E niente, questo è, c’è davvero poco da aggiungere a questo concentrato di miele e bontà lungo poco più di 20 minuti, è un cortometraggio innocuo e indirizzato principalmente a un pubblico poco diverso per età dalla piccola Angela che potrebbe apprezzarlo senza problemi sì, anche se secondo me rischia di risultare un poco noioso. Dal punto di vista tecnico è un’opera poco più che mediocre al massimo, un 3D che a livello cinematografico ha almeno 15 anni sulle spalle rispetto all’anno effettivo di produzione e che non brilla davvero in nulla, né nel grezzo design dei personaggi, né nelle semplicissime ambientazioni né tanto meno in qualche guizzo registico o animato assolutamente assente. Di livello simile la colonna sonora, con canzoncine forse pure peggiori, mentre si può salvare il doppiaggio italiano che, storto o morto, fa il suo dovere. La vera “perla”, se così vogliamo definirla, di questo film però è il suo incipit a cui mi sono voluto velocemente rifare quando ho cominciato questa recensione, perché l’ho trovato assolutamente incomprensibile dato che comincia con un racconto in terza persona del figlio futuro di Angela che si prodiga a presentarci la madre e la sua famiglia preannunciando chissà quale avvenimento a lei legato nella storia che accenna a narrarci, salvo poi chiudersi senza che sia successo nulla che abbia effettivamente influenzato il futuro suo, di sua madre o di altri membri della sua famiglia. Non so se questa scelta sia stata voluta ed involontariamente geniale oppure faceva parte di una sceneggiatura diversa poi rimaneggiata col tempo, fatto sta che in mezzo a questa storia insipida e dimenticabile rappresenta l’unico elemento che veramente finisci per notare, il che è tutto dire.
Anche in virtù di questo non me la sento onestamente di segnalare questo “Il Natale di Angela” come un’opera imprescindibile da vedere, anche nel periodo natalizio in cui parrebbe evidentemente più adatta, per carità non fa assolutamente male vederlo ma in un periodo pieno di film più o meno a tema, soprattutto animati, come quello natalizio direi che c’è veramente di molto, molto meglio da poter scegliere, o almeno così la pensava la buonanima mio nonno. Discorso diverso sarebbe nel caso un eventuale sequel, “La Pasqua di Angela”, che guarda caso si festeggia proprio oggi e che tra uova e conigli si scrive praticamente da solo, e potrebbe già rappresentare un unicum rispetto all’abusato tema natalizio, figuriamoci se facessero una grande trilogia della croce con “L’Assunzione di Angela” ma qui forse comincio a volare talmente alto che neanche lo spirito santo può pensare di raggiungermi. Però, semmai dovessero venire alla luce questi due gioielli, quantomeno questa recensione testimonierà la mia lungimiranza, e non (solo) la mia follia.
Cortometraggio a tema evidentemente natalizio, “Il Natale d Angela” racconta, con ben poca fantasia, appunto la storia di Angela, bambina di una famiglia irlandese di inizio Novecento che, durante la vigilia di Natale, combina inconsapevolmente una “marachella” quando, a fin di bene, ruba la statua di Gesù Bambino presente nella classica rappresentazione della natività in Chiesa durante il periodo dell’Avvento, perché convinta che il bambino sentisse freddo e voleva quindi riscaldarlo. Va da sé che questo atto getterà un po’ di scompiglio nella piccola comunità locale, ma nonostante tutto sarà l’occasione per più di un personaggio per imparare nuovamente ad apprezzare la bontà d’animo altrui e la felicità che il Natale può infonderci al di là delle condizioni sociali ed economiche che attraversiamo.
E niente, questo è, c’è davvero poco da aggiungere a questo concentrato di miele e bontà lungo poco più di 20 minuti, è un cortometraggio innocuo e indirizzato principalmente a un pubblico poco diverso per età dalla piccola Angela che potrebbe apprezzarlo senza problemi sì, anche se secondo me rischia di risultare un poco noioso. Dal punto di vista tecnico è un’opera poco più che mediocre al massimo, un 3D che a livello cinematografico ha almeno 15 anni sulle spalle rispetto all’anno effettivo di produzione e che non brilla davvero in nulla, né nel grezzo design dei personaggi, né nelle semplicissime ambientazioni né tanto meno in qualche guizzo registico o animato assolutamente assente. Di livello simile la colonna sonora, con canzoncine forse pure peggiori, mentre si può salvare il doppiaggio italiano che, storto o morto, fa il suo dovere. La vera “perla”, se così vogliamo definirla, di questo film però è il suo incipit a cui mi sono voluto velocemente rifare quando ho cominciato questa recensione, perché l’ho trovato assolutamente incomprensibile dato che comincia con un racconto in terza persona del figlio futuro di Angela che si prodiga a presentarci la madre e la sua famiglia preannunciando chissà quale avvenimento a lei legato nella storia che accenna a narrarci, salvo poi chiudersi senza che sia successo nulla che abbia effettivamente influenzato il futuro suo, di sua madre o di altri membri della sua famiglia. Non so se questa scelta sia stata voluta ed involontariamente geniale oppure faceva parte di una sceneggiatura diversa poi rimaneggiata col tempo, fatto sta che in mezzo a questa storia insipida e dimenticabile rappresenta l’unico elemento che veramente finisci per notare, il che è tutto dire.
Anche in virtù di questo non me la sento onestamente di segnalare questo “Il Natale di Angela” come un’opera imprescindibile da vedere, anche nel periodo natalizio in cui parrebbe evidentemente più adatta, per carità non fa assolutamente male vederlo ma in un periodo pieno di film più o meno a tema, soprattutto animati, come quello natalizio direi che c’è veramente di molto, molto meglio da poter scegliere, o almeno così la pensava la buonanima mio nonno. Discorso diverso sarebbe nel caso un eventuale sequel, “La Pasqua di Angela”, che guarda caso si festeggia proprio oggi e che tra uova e conigli si scrive praticamente da solo, e potrebbe già rappresentare un unicum rispetto all’abusato tema natalizio, figuriamoci se facessero una grande trilogia della croce con “L’Assunzione di Angela” ma qui forse comincio a volare talmente alto che neanche lo spirito santo può pensare di raggiungermi. Però, semmai dovessero venire alla luce questi due gioielli, quantomeno questa recensione testimonierà la mia lungimiranza, e non (solo) la mia follia.
Premetto che anche se è Pasqua non mi sento in vena di buonismi quindi con un eufemismo definirò questo cortometraggio "l'eccezione che conferma la regola". Se è vero infatti, come diceva Umberto Eco, che un clichè fa sorridere e cento commuovono, qui non si sorride e non ci si commuove, malgrado una pioggia incessante di luoghi comuni e un paio di tocchi di humor inglese. Insomma un prodotto la cui visione è da affrontare digrignando i denti... in alcuni (rari) momenti potreste infatti sogghignare (sempre a denti stretti), in altri (la maggior parte del tempo a dire il vero) "cringiare" sconsolati.
"Il Natale di Angela" è a conti fatti un prodotto audiovisivo ultra-religioso di stampo cattolico-ecumenico. Ma andiamo subito al punto, in un film sul Natale la banalità sarebbe dietro l'angolo, ce la si aspetta. È solo che qui andiamo ben oltre: siamo alla sperticata propaganda cattolica. Il corto procede infatti letteralmente per accumulo di materiale religioso (in senso metaforico e non!), tra l'altro in modo malcelato. La "travagliata" vigilia di Natale di Angela dura "solo" 30 minuti ma raccoglie "insegnamenti morali" ad ogni passo, buttati, un po' alla rinfusa tra i dialoghi.
La messa in scena è all'insegna di un bigottismo imbarazzante,e più che un film sul Natale sembra un'opera sulla religione che inizia con un rito e si chiude sul primo piano del bambinello. Narrativamente salvo i momenti più ironici come la scena del "furto", ma Angela che chiacchera e si arrabbia con la statua come farebbe con il suo orsacchiotto è ancora motivo di cringitudine acuta! Nonostante, o forse a causa di quest'aura da pauperismo d'accatto, i messaggi che la pellicola cerca di veicolare subdolamente nello spettatore sembrano (involontariamente) gridare ai quattro venti una nota frase di Carl Marx: sì... proprio quella!
Per il resto la narrazione non appassiona, anzi, l'atmosfera è tetra e questa sensazione è acuita dalla pressoché assenza di personaggi sullo sfondo delle azioni, quasi che la bambina attraversi una città deserta. In una delle ultime scene i due anziani gridano al miracolo, ma qua l'unico prodigio è stato che il regista, Damien O'Connor, si sia pure beccato una nomination ai prestigiosi "Daytime Emmy Awards" per la sua sceneggiatura non originale. Il cortometraggio è infatti tratto dal racconto per bambini di Frank Mccourt (lo stesso del più noto romanzo "Le ceneri di Angela" sempre ambientato a Limerick e da cui è tratto il noto film).
Tecnicamente le animazioni non sono molto fluide, il chara design invece ha un senso anche se non tutti i personaggi sono sullo stesso livello della protagonista. Si salva, ma di poco, anche la colonna sonora natalizia.
In definitiva giudico molto male "Il Natale di Angela": è un corto intasato di precetti religiosi e insegnamenti morali. Didascalico, ma soprattutto noioso e adatto più a gruppo di preghiera che a una visione in famiglia durante le feste. È inoltre evidente il tentativo di farlo passare per un generico film adatto a tutti. Falso! Insomma una cattiva azione perpetuata ai danni dei più piccoli. Un crimine che prevede una condanna: l'oblio.
"Il Natale di Angela" è a conti fatti un prodotto audiovisivo ultra-religioso di stampo cattolico-ecumenico. Ma andiamo subito al punto, in un film sul Natale la banalità sarebbe dietro l'angolo, ce la si aspetta. È solo che qui andiamo ben oltre: siamo alla sperticata propaganda cattolica. Il corto procede infatti letteralmente per accumulo di materiale religioso (in senso metaforico e non!), tra l'altro in modo malcelato. La "travagliata" vigilia di Natale di Angela dura "solo" 30 minuti ma raccoglie "insegnamenti morali" ad ogni passo, buttati, un po' alla rinfusa tra i dialoghi.
La messa in scena è all'insegna di un bigottismo imbarazzante,e più che un film sul Natale sembra un'opera sulla religione che inizia con un rito e si chiude sul primo piano del bambinello. Narrativamente salvo i momenti più ironici come la scena del "furto", ma Angela che chiacchera e si arrabbia con la statua come farebbe con il suo orsacchiotto è ancora motivo di cringitudine acuta! Nonostante, o forse a causa di quest'aura da pauperismo d'accatto, i messaggi che la pellicola cerca di veicolare subdolamente nello spettatore sembrano (involontariamente) gridare ai quattro venti una nota frase di Carl Marx: sì... proprio quella!
Per il resto la narrazione non appassiona, anzi, l'atmosfera è tetra e questa sensazione è acuita dalla pressoché assenza di personaggi sullo sfondo delle azioni, quasi che la bambina attraversi una città deserta. In una delle ultime scene i due anziani gridano al miracolo, ma qua l'unico prodigio è stato che il regista, Damien O'Connor, si sia pure beccato una nomination ai prestigiosi "Daytime Emmy Awards" per la sua sceneggiatura non originale. Il cortometraggio è infatti tratto dal racconto per bambini di Frank Mccourt (lo stesso del più noto romanzo "Le ceneri di Angela" sempre ambientato a Limerick e da cui è tratto il noto film).
Tecnicamente le animazioni non sono molto fluide, il chara design invece ha un senso anche se non tutti i personaggi sono sullo stesso livello della protagonista. Si salva, ma di poco, anche la colonna sonora natalizia.
In definitiva giudico molto male "Il Natale di Angela": è un corto intasato di precetti religiosi e insegnamenti morali. Didascalico, ma soprattutto noioso e adatto più a gruppo di preghiera che a una visione in famiglia durante le feste. È inoltre evidente il tentativo di farlo passare per un generico film adatto a tutti. Falso! Insomma una cattiva azione perpetuata ai danni dei più piccoli. Un crimine che prevede una condanna: l'oblio.
"Il natale di Angela" è un cortometraggio di circa trenta minuti diretto da Damien O’Connor nel 2017, e rilasciato su "Netflix" nel 2018.
Ambientato in Irlanda agli inizi del secolo scorso, vede come protagonisti la piccola Angela e la sua famiglia molto povera. La bambina, la notte di Natale, ingenuamente, prende il bambin Gesù dalla Chiesa per portarselo a casa con lo scopo di offrirgli riparo e calore famigliare.
Come si nota dalla trama, gli elementi che dovrebbero mostrare il vero significato del Natale, ci sono tutti: una famiglia povera, ma unita e contenta di quello che ha, e la generosità e ingenuità di un bambino che fa un gesto inconsueto, ma genuino.
Peccato che il tutto non sia stato confezionato a dovere, tanto meno per l'occasione natalizia!
La storia è raccontata da una voce fuori campo che si intuisce essere il figlio di Angela, ormai vecchio, il quale ricorda l'episodio di lei bambina. Ma questa voce narrante non ha nessun riscontro con gli eventi successivi, e ai fini della storia risulta praticamente inutile, quasi fuori contesto.
La trama è molto semplice, perché comunque deve comunicare un messaggio molto semplice, i dialoghi sono dunque semplici, e la grafica è fin troppo semplice, tanto che sembra datata. Insomma un corto semplice, in tutto e per tutto. In altre parole è insipido.
In un primo momento vien da pensare che sia più rivolto ad un target di pubblico di età prescolare, ma nel proseguo della visione ci si ricredere un po' anche su questo punto, perché basterebbe cambiare di qualche tono la colonna sonora che il corto ci apparirebbe come un mediocre tentativo di un film horror: il chara design dei personaggi ricorda film che hanno come protagonisti bambole inquietanti!
Invece la colonna sonora scelta non ha per niente uno stile horror, ma, per fortuna, è piacevole, così come son gradevoli pure tutti i fondali.
Tuttavia è un corto da non bocciare seduta stante. Va premiato il messaggio che dà (anche se sa di buonismo a tutti i costi), e la piacevolezza dell'atmosfera natalizia, data, appunto, da musiche e bei fondali, ma ne consiglio la visione solo se non avete niente di meglio da fare (o se avete l'esigenza di recensire prodotti un po' fiacchi).
Infine, considerato che è ambientato a natale, e in quel giorno dovremmo esser tutti più buoni, e che, perlopiù, oggi è il giorno di Pasqua... Assegno un "quasi sufficiente" per non avere sensi di colpa!
Ambientato in Irlanda agli inizi del secolo scorso, vede come protagonisti la piccola Angela e la sua famiglia molto povera. La bambina, la notte di Natale, ingenuamente, prende il bambin Gesù dalla Chiesa per portarselo a casa con lo scopo di offrirgli riparo e calore famigliare.
Come si nota dalla trama, gli elementi che dovrebbero mostrare il vero significato del Natale, ci sono tutti: una famiglia povera, ma unita e contenta di quello che ha, e la generosità e ingenuità di un bambino che fa un gesto inconsueto, ma genuino.
Peccato che il tutto non sia stato confezionato a dovere, tanto meno per l'occasione natalizia!
La storia è raccontata da una voce fuori campo che si intuisce essere il figlio di Angela, ormai vecchio, il quale ricorda l'episodio di lei bambina. Ma questa voce narrante non ha nessun riscontro con gli eventi successivi, e ai fini della storia risulta praticamente inutile, quasi fuori contesto.
La trama è molto semplice, perché comunque deve comunicare un messaggio molto semplice, i dialoghi sono dunque semplici, e la grafica è fin troppo semplice, tanto che sembra datata. Insomma un corto semplice, in tutto e per tutto. In altre parole è insipido.
In un primo momento vien da pensare che sia più rivolto ad un target di pubblico di età prescolare, ma nel proseguo della visione ci si ricredere un po' anche su questo punto, perché basterebbe cambiare di qualche tono la colonna sonora che il corto ci apparirebbe come un mediocre tentativo di un film horror: il chara design dei personaggi ricorda film che hanno come protagonisti bambole inquietanti!
Invece la colonna sonora scelta non ha per niente uno stile horror, ma, per fortuna, è piacevole, così come son gradevoli pure tutti i fondali.
Tuttavia è un corto da non bocciare seduta stante. Va premiato il messaggio che dà (anche se sa di buonismo a tutti i costi), e la piacevolezza dell'atmosfera natalizia, data, appunto, da musiche e bei fondali, ma ne consiglio la visione solo se non avete niente di meglio da fare (o se avete l'esigenza di recensire prodotti un po' fiacchi).
Infine, considerato che è ambientato a natale, e in quel giorno dovremmo esser tutti più buoni, e che, perlopiù, oggi è il giorno di Pasqua... Assegno un "quasi sufficiente" per non avere sensi di colpa!
"Brutto”
/brùt·to/
Aggettivo
1. Che riesce sgradevole o suscita contrarietà o repulsione sul piano dell'istinto o del giudizio estetico (opposto di bello): un uomo b. (anche s.m., f. -a : un b. che piace); b. come il demonio; un b. cane; un b. quartiere; una b. commedia; farsi b., fare il viso b., accigliarsi, farsi minaccioso; b. muso, duro, arcigno, ostile.
Cominciamo con una base da cui partire, esattamente come si cucina un dolce se non fossimo esperti di pasticceria o fossimo dei pessimi cuochi in generale, pronti a rimestare qualcosa d’inquietante e insipido: eccoci dunque a degustare un triste ammasso di ingredienti dal sapore di Scelta Sbagliata (sì, la scelta di volerlo vedere).
Una base dal funesto retrogusto apparentemente Natalizio (oh, se fosse stato Pasquale sarebbe stato uguale), completamente anacronistico. Pronti via e sembra di accendere la tanto cara, nostalgica Playstation 3, ammirandone la grafica ormai retro e ultra-superata: tale è la CG adoprata ne “Il Natale di Angela”, qualcosa che ricorda una intro di qualche giochetto indipendente, animato con esito mediocre.
Nato da una collaborazione fra Canada e Irlanda, si tratta di un corto animato digitale a tema appunto natalizio, il cui unico vero pregio è la breve durata.
A metà fra lagna propagandistica cristiana e fiabetta sbiadita, come già accennato, la qualità grafica è veramente troppo modesta rispetto a quasi tutte le altre produzioni contemporanee (imbarazzante l’abisso di distanza da Dreamworks o Disney), e nonostante si presenti nelle prime battute – e in alcuni camei - dolce, caldo e piacevole, e sfoggi una colonna sonora immersiva e adatta al tema, la somma di tutto ciò si dimostra banale, piatta e a tratti irritante causa l’insensatezza di numerosi elementi.
Angela è una bambina di inizio novecento che abita a Limerik, in Irlanda, unica sorella di quattro fratelli rimasti orfani di padre, membri di una famiglia molto povera nella quale è la madre ad occuparsi di tutto, costantemente aiutata e supportata dalla buona volontà di (quasi) tutta la prole. Giunge Natale, ed ella li porta alla messa di mezzanotte, ma è proprio al termine di questa che Angela, la nostra piccola (e paxxerella) protagonista deciderà di “aiutare” un altro “bambino” – più povero di lei – a proteggersi dal terribile freddo della notte dicembrina…
Nonostante le meste premesse a metà strada fra dolcezza e follia, lo sviluppo è ancora peggio: dallo schermo traspare il gelo della grande, rigida e granitica cittadina nordeuropea, i primi piani appannati dai tiepidi riverberi delle candele scandite da pixel grossolani, e le dolci luci della notte di Natale ci donano un’atmosfera vissuta e realistica, ma la resa dei personaggi immersi in tutto ciò, si rivela un mezzo disastro.
È giusto sottolineare che – mettendo le mani avanti - si tratta di una novella festiva dedicata ai più piccoli, ergo un target molto basso, uno sviluppo semplicissimo e fin troppo banale; il problema è che tutti questi tratti sono esasperati, e l’esito della storia non ha alcun senso: manca un finale, mancano dei punti di svolta, manca la qualità degli attimi che legherebbero i piccoli spettatori alla vicenda proprio come le grandi produzioni – o meglio, le ottime idee - sanno fare. È una trama lineare, semplicissima, per questo leggera e godibile, adatta sicuramente ad un pubblico infantile; va sicuramente vista con gli occhi di un bambino e accolta con lo stesso spirito, tuttavia, se messa a confronto con lavori di pari livello, target e fascia d’utenza, sfigura in modo imbarazzante.
L’unico pezzo cantato è mediocre, oserei dire agghiacciante: la perfetta definizione di “cringe”. L’adattamento italiano è ancora peggio.
Non si capisce perché la saccente voce narrante debba continuamente sottolineare, sin dalle prime battute determinate informazioni (o meglio, si sarebbe dovuto intuire, ma è narrato talmente male da far confondere e basta); alcune “rivelazioni” non hanno nessuna attinenza né con la storia, né con l’epilogo, e non v’è valenza alcuna nel rimarcarlo passo dopo passo all’interno della vicenda.
Già è un “corto” - e per definizione dura poco - ma se un terzo di questo lo riempi con scene, frasi e momenti morti, allora da “Corto” diventa “Morto”.
Omen-nomen.
Nella valutazione generale è proprio la trama a trascinarsi avanti rantolando nella sua stessa vacuità in cerca di scintille che non scoccano mai.
Le noiose parole del narratore suppongono che presto giungerà una grande rivelazione; qualcosa di potente, che dia un senso a tutta la vicenda, una svolta strappalacrime (?), ed invece questa non arriva mai. La parte finale tenta di farci sorridere ed intenerirci mostrandoci una situazione paradossale, quasi buffa, ma è solo un tentativo goffo e maldestro che non lascia traccia alcuna.
Facciamoci due agghiaccianti risate: se analizzassimo la situazione in modo freddo e distaccato (omettendo la dolce ingenuità con cui va obbligatoriamente presa tale opera), noteremmo solo una bambina dallo sguardo vacuo, la testa grossa come un’anguria deforme (resa con una grafica mediocre), che la notte di Natale scopre di essere una cleptomane squilibrata alle prime armi, ladra di statue di infanti seminudi, petulante ed esagitata, capace di allibire l’intera famiglia mentre gioca a fare la mamma facendo impazzire il parroco della città.
Roba che nemmeno il miglior David Lynch.
Nel complesso siamo di fronte a un film gravemente insufficiente, tecnicamente penoso (non ho proprio sopportato l’estetica dei volti e quei capoccioni da Funko Pop lanciati nel Microonde, lo squallore grafico generale, insipido e decisamente anacronistico per l’anno in cui è stato disegnato). Ma ciò che più delude, è l’aridità di contenuti trasversali o di ricchezza morale che spesso contraddistingue questo genere: magari zuccherosa e per nulla originale, rea di un dietrologismo pseudodisneyano, addirittura ipocrita se vogliamo, ma dalle buone e gentili intenzioni. Qui invece non c’è niente, a parte una spolverata di generica gentilezza che ci si aspetta come minimo sindacale, in un film indirizzato ai più piccoli. Una vera e propria mancanza, che ragionando col senno di poi, sembra frivola ma si fa sentire eccome.
Tirando le somme: basta un pizzico di maturità selettiva per trovarlo al limite dell’imbarazzante, e la tesi che agli occhi di un bimbo tutto questo possa non trasparire secondo me non regge affatto: esistono centinaia di film animati antecedenti a questo, capaci di farlo sfigurare spietatamente, e che scommetto la stragrande maggioranza della giovanissima utenza preferirebbe senza dubbio alcuno.
Ho visto natali migliori, e sentito narratori meno svitati.
Insomma, com'era il Natale di Angela?
Semplice: BRUTTO.
/brùt·to/
Aggettivo
1. Che riesce sgradevole o suscita contrarietà o repulsione sul piano dell'istinto o del giudizio estetico (opposto di bello): un uomo b. (anche s.m., f. -a : un b. che piace); b. come il demonio; un b. cane; un b. quartiere; una b. commedia; farsi b., fare il viso b., accigliarsi, farsi minaccioso; b. muso, duro, arcigno, ostile.
Cominciamo con una base da cui partire, esattamente come si cucina un dolce se non fossimo esperti di pasticceria o fossimo dei pessimi cuochi in generale, pronti a rimestare qualcosa d’inquietante e insipido: eccoci dunque a degustare un triste ammasso di ingredienti dal sapore di Scelta Sbagliata (sì, la scelta di volerlo vedere).
Una base dal funesto retrogusto apparentemente Natalizio (oh, se fosse stato Pasquale sarebbe stato uguale), completamente anacronistico. Pronti via e sembra di accendere la tanto cara, nostalgica Playstation 3, ammirandone la grafica ormai retro e ultra-superata: tale è la CG adoprata ne “Il Natale di Angela”, qualcosa che ricorda una intro di qualche giochetto indipendente, animato con esito mediocre.
Nato da una collaborazione fra Canada e Irlanda, si tratta di un corto animato digitale a tema appunto natalizio, il cui unico vero pregio è la breve durata.
A metà fra lagna propagandistica cristiana e fiabetta sbiadita, come già accennato, la qualità grafica è veramente troppo modesta rispetto a quasi tutte le altre produzioni contemporanee (imbarazzante l’abisso di distanza da Dreamworks o Disney), e nonostante si presenti nelle prime battute – e in alcuni camei - dolce, caldo e piacevole, e sfoggi una colonna sonora immersiva e adatta al tema, la somma di tutto ciò si dimostra banale, piatta e a tratti irritante causa l’insensatezza di numerosi elementi.
Angela è una bambina di inizio novecento che abita a Limerik, in Irlanda, unica sorella di quattro fratelli rimasti orfani di padre, membri di una famiglia molto povera nella quale è la madre ad occuparsi di tutto, costantemente aiutata e supportata dalla buona volontà di (quasi) tutta la prole. Giunge Natale, ed ella li porta alla messa di mezzanotte, ma è proprio al termine di questa che Angela, la nostra piccola (e paxxerella) protagonista deciderà di “aiutare” un altro “bambino” – più povero di lei – a proteggersi dal terribile freddo della notte dicembrina…
Nonostante le meste premesse a metà strada fra dolcezza e follia, lo sviluppo è ancora peggio: dallo schermo traspare il gelo della grande, rigida e granitica cittadina nordeuropea, i primi piani appannati dai tiepidi riverberi delle candele scandite da pixel grossolani, e le dolci luci della notte di Natale ci donano un’atmosfera vissuta e realistica, ma la resa dei personaggi immersi in tutto ciò, si rivela un mezzo disastro.
È giusto sottolineare che – mettendo le mani avanti - si tratta di una novella festiva dedicata ai più piccoli, ergo un target molto basso, uno sviluppo semplicissimo e fin troppo banale; il problema è che tutti questi tratti sono esasperati, e l’esito della storia non ha alcun senso: manca un finale, mancano dei punti di svolta, manca la qualità degli attimi che legherebbero i piccoli spettatori alla vicenda proprio come le grandi produzioni – o meglio, le ottime idee - sanno fare. È una trama lineare, semplicissima, per questo leggera e godibile, adatta sicuramente ad un pubblico infantile; va sicuramente vista con gli occhi di un bambino e accolta con lo stesso spirito, tuttavia, se messa a confronto con lavori di pari livello, target e fascia d’utenza, sfigura in modo imbarazzante.
L’unico pezzo cantato è mediocre, oserei dire agghiacciante: la perfetta definizione di “cringe”. L’adattamento italiano è ancora peggio.
Non si capisce perché la saccente voce narrante debba continuamente sottolineare, sin dalle prime battute determinate informazioni (o meglio, si sarebbe dovuto intuire, ma è narrato talmente male da far confondere e basta); alcune “rivelazioni” non hanno nessuna attinenza né con la storia, né con l’epilogo, e non v’è valenza alcuna nel rimarcarlo passo dopo passo all’interno della vicenda.
Già è un “corto” - e per definizione dura poco - ma se un terzo di questo lo riempi con scene, frasi e momenti morti, allora da “Corto” diventa “Morto”.
Omen-nomen.
Nella valutazione generale è proprio la trama a trascinarsi avanti rantolando nella sua stessa vacuità in cerca di scintille che non scoccano mai.
Le noiose parole del narratore suppongono che presto giungerà una grande rivelazione; qualcosa di potente, che dia un senso a tutta la vicenda, una svolta strappalacrime (?), ed invece questa non arriva mai. La parte finale tenta di farci sorridere ed intenerirci mostrandoci una situazione paradossale, quasi buffa, ma è solo un tentativo goffo e maldestro che non lascia traccia alcuna.
Facciamoci due agghiaccianti risate: se analizzassimo la situazione in modo freddo e distaccato (omettendo la dolce ingenuità con cui va obbligatoriamente presa tale opera), noteremmo solo una bambina dallo sguardo vacuo, la testa grossa come un’anguria deforme (resa con una grafica mediocre), che la notte di Natale scopre di essere una cleptomane squilibrata alle prime armi, ladra di statue di infanti seminudi, petulante ed esagitata, capace di allibire l’intera famiglia mentre gioca a fare la mamma facendo impazzire il parroco della città.
Roba che nemmeno il miglior David Lynch.
Nel complesso siamo di fronte a un film gravemente insufficiente, tecnicamente penoso (non ho proprio sopportato l’estetica dei volti e quei capoccioni da Funko Pop lanciati nel Microonde, lo squallore grafico generale, insipido e decisamente anacronistico per l’anno in cui è stato disegnato). Ma ciò che più delude, è l’aridità di contenuti trasversali o di ricchezza morale che spesso contraddistingue questo genere: magari zuccherosa e per nulla originale, rea di un dietrologismo pseudodisneyano, addirittura ipocrita se vogliamo, ma dalle buone e gentili intenzioni. Qui invece non c’è niente, a parte una spolverata di generica gentilezza che ci si aspetta come minimo sindacale, in un film indirizzato ai più piccoli. Una vera e propria mancanza, che ragionando col senno di poi, sembra frivola ma si fa sentire eccome.
Tirando le somme: basta un pizzico di maturità selettiva per trovarlo al limite dell’imbarazzante, e la tesi che agli occhi di un bimbo tutto questo possa non trasparire secondo me non regge affatto: esistono centinaia di film animati antecedenti a questo, capaci di farlo sfigurare spietatamente, e che scommetto la stragrande maggioranza della giovanissima utenza preferirebbe senza dubbio alcuno.
Ho visto natali migliori, e sentito narratori meno svitati.
Insomma, com'era il Natale di Angela?
Semplice: BRUTTO.
Devo ammettere che, a differenza di molti, io non sono il tipo che apprezza particolarmente il Natale, nonostante un tempo fosse la mia festa preferita; cosa che, a molti di voi, sembrerà quasi scontata. Per un bambino tanto appassionato di videogiochi come me, questa festività era l’espediente per chiedere al “leggendario” Santa Klaus giochi di vario genere, per lo più targati Game Freak, o nuove console, come la Wii o la Nintendo 3Ds. Passavo tanto tempo in famiglia, sballottato tra una cena e l’altra, in compagnia, specialmente, dei miei cugini e il divertimento era assicurato. Per me, come per la maggior parte di voi, la magia del Natale risiedeva in queste semplici cose e riusciva a regalarmi circa tre settimane di gioia allo stato puro. Poi sono cresciuto, la bellissima favola di Babbo Natale ha mostrato la sua vera natura, sono arrivate le prime preoccupazioni nella vita di un adolescente e, complice una situazione familiare non proprio delle più rosee, la magia del Natale è venuta progressivamente meno. Certo, le cene in famiglia continuano a farmi buttare tutto il duro allenamento di una settimana intera e, puntualmente, il 24 sera avviene lo scambio di regali tra me e quelli che ritengo i miei unici veri familiari, mio padre e mia madre. Per il resto, ai miei occhi, il Natale altro non è che un comunissimo giorno di festa, in mezzo a tantissimi altri di studio. Un inneggio al capitalismo e una festa svuotata di ogni suo significato, anche e soprattutto quello cristiano, perché, se non lo si fosse capito, non sono il tipo di persona che definireste credente convinto, ma al massimo miscredente fatto e finito.
In sostanza, il cortometraggio targato Netflix, “Il Natale di Angela”, mi ha ricordato tutte queste cose e, specialmente, perché io non ami questa festività. Il che, (non) è certamente da intendere come cosa positiva.
Il film, ambientato in Irlanda, durante il 1910, ha come protagonista la piccola Angela, che, dopo essere andata in chiesa alla Vigilia di Natale con la sua numerosa famiglia, ha una brillante idea, che le cambierà la vita.
Nell’arco di circa trenta minuti, la storia si pone l’obiettivo di mostrare quanto possa essere forte il potere della famiglia e come l’ingenuità dei bambini, spesso, li muova verso azioni rischiose, seppur fatte con sincero amore e ingenuità. Il risultato è qualcosa a metà tra l’osceno e il piacevole. La storia è sostanzialmente insipida, insignificante e riesce a salvarsi solamente grazie a delle belle musiche e all’ambientazione natalizia. Elementi che, a modo loro, riescono a scaldare il cuore, ma nulla più. Il film appartiene, infatti, alla categoria dei dimenticabili, perché, effettivamente, non c’è nulla che valga la pena di essere ricordato, né un personaggio, né una scena e questo è dovuto anche alla sua breve durata. Trenta minuti non bastano, di certo, ad un comunissimo regista Netflix, per creare una storia bella ed appassionante. Queste cose, per cortesia, lasciamole al sensei Shinkai, l’unico che sia riuscito veramente ad emozionarmi con i suoi corti e questo è un fatto. Graficamente assomiglia tanto ad un lavoro Disney dei primi anni duemila, che per l’epoca erano il top, ma nel 2018 non sono proprio al passo coi tempi. Una grafica stantia e difficile da mandare giù. Nonostante ciò, l’aspetto peggiore del film è un altro, il narratore. La sua è una presenza che dovrebbe arricchire la storia, mentre, invece, non fa altro che peggiorarla con i suoi interventi inutili. Peccato, perché questa scelta avrebbe potuto essere sfruttata meglio. Nota positiva, infine, il fisarmonicista cieco, a mani basse il miglior personaggio del film.
Come avrete intuito, dunque, il film non mi ha trasmesso nulla. Zero emozioni, zero sentimenti di gioia o di odio, che pure sarebbe andato bene. Nulla. Al termine della visione, avevo la stessa faccia di mio padre dopo aver saputo, come notizia principale del TG della sera, delle dimissioni del Papa dall'ospedale. Impassibile, imperturbabile e disinteressato.
Insomma, se mai doveste avere trenta minuti a disposizione, da spendere nella visione di un corto, potete optare per qualcosa di meglio, anche la puntata pilot di un anime da dodici episodi, purché non sia "Il Natale di Angela".
Mezzo voto in più, perché a Natale siamo tutti più buoni, anche se ormai siamo a Pasqua.
In sostanza, il cortometraggio targato Netflix, “Il Natale di Angela”, mi ha ricordato tutte queste cose e, specialmente, perché io non ami questa festività. Il che, (non) è certamente da intendere come cosa positiva.
Il film, ambientato in Irlanda, durante il 1910, ha come protagonista la piccola Angela, che, dopo essere andata in chiesa alla Vigilia di Natale con la sua numerosa famiglia, ha una brillante idea, che le cambierà la vita.
Nell’arco di circa trenta minuti, la storia si pone l’obiettivo di mostrare quanto possa essere forte il potere della famiglia e come l’ingenuità dei bambini, spesso, li muova verso azioni rischiose, seppur fatte con sincero amore e ingenuità. Il risultato è qualcosa a metà tra l’osceno e il piacevole. La storia è sostanzialmente insipida, insignificante e riesce a salvarsi solamente grazie a delle belle musiche e all’ambientazione natalizia. Elementi che, a modo loro, riescono a scaldare il cuore, ma nulla più. Il film appartiene, infatti, alla categoria dei dimenticabili, perché, effettivamente, non c’è nulla che valga la pena di essere ricordato, né un personaggio, né una scena e questo è dovuto anche alla sua breve durata. Trenta minuti non bastano, di certo, ad un comunissimo regista Netflix, per creare una storia bella ed appassionante. Queste cose, per cortesia, lasciamole al sensei Shinkai, l’unico che sia riuscito veramente ad emozionarmi con i suoi corti e questo è un fatto. Graficamente assomiglia tanto ad un lavoro Disney dei primi anni duemila, che per l’epoca erano il top, ma nel 2018 non sono proprio al passo coi tempi. Una grafica stantia e difficile da mandare giù. Nonostante ciò, l’aspetto peggiore del film è un altro, il narratore. La sua è una presenza che dovrebbe arricchire la storia, mentre, invece, non fa altro che peggiorarla con i suoi interventi inutili. Peccato, perché questa scelta avrebbe potuto essere sfruttata meglio. Nota positiva, infine, il fisarmonicista cieco, a mani basse il miglior personaggio del film.
Come avrete intuito, dunque, il film non mi ha trasmesso nulla. Zero emozioni, zero sentimenti di gioia o di odio, che pure sarebbe andato bene. Nulla. Al termine della visione, avevo la stessa faccia di mio padre dopo aver saputo, come notizia principale del TG della sera, delle dimissioni del Papa dall'ospedale. Impassibile, imperturbabile e disinteressato.
Insomma, se mai doveste avere trenta minuti a disposizione, da spendere nella visione di un corto, potete optare per qualcosa di meglio, anche la puntata pilot di un anime da dodici episodi, purché non sia "Il Natale di Angela".
Mezzo voto in più, perché a Natale siamo tutti più buoni, anche se ormai siamo a Pasqua.