Roujin Z
Ci sono film destinati ad entrare nel cuore di tutti gli appassionati, diventando vere e proprie icone nella cultura popolare, mentre altri, seppur con una buona qualità, vengono ingiustamente dimenticati per vari motivi, vuoi per la scarsa pubblicità o un basso budget e altri esempi; "Roujin Z" è uno di quelli che fa parte della seconda categoria, nonostante dietro alla realizzazione ci siano due nomi piuttosto importanti: Hiroyuki Kitakubo alla regia e Katsuhiro Ōtomo alla sceneggiatura.
La trama ci mostra come un anziano viene scelto come cavia dal Ministero della Salute per testare un nuovo tipo di letto robotico multiuso chiamato Z-001, allo scopo di poter rendere la cura degli anziani gravi più immediata, tramite tecnologie super-accessoriate, e alleviare le fatiche dei giovani infermieri, sebbene questi ultimi rischierebbero di essere letteralmente scalzati via per via della tecnologia sempre più in evoluzione. Tuttavia, la macchina Z-001 si evolverà in maniera del tutto inaspettata, dando vita a una serie di eventi bizzarri ma esilaranti allo stesso tempo, che farà forse ravvedere le intenzioni iniziali del Ministero della Salute.
Per quanto possa sembrare un film assurdo, sa essere però assai riflessivo, soprattutto se lo si guarda in questi giorni, in cui si sta vivendo in un mondo dove le IA stanno prendendo sempre più il sopravvento in ogni attività e l'essere umano sempre più messo in ombra, e nel film appunto viene gestito tale tema in diversi modi: c'è chi è cinicamente d'accordo di abbandonare gli anziani bisognosi alle macchine, e così pensa di più ai propri interessi, chi ambisce a voler rendere più avanzata la tecnologia militare, e questo non era necessario secondo me, e chi invece non è d'accordo, come appunto una giovane stagista di nome Haruko che si oppone a questa "cinica evoluzione", affermando che "una macchina non darebbe mai l'affetto che darebbe una reale persona ai più bisognosi". Tuttavia, l'attenzione si concentra tutta sulla macchina Z-001, che ha la misteriosa capacità di esaudire i desideri più forti dell'anziano paziente che si trova al suo interno e di avere persino una propria personalità, agendo indipendentemente dai propri creatori. Da notare però che la macchina inizialmente era stata hackerata da un gruppetto di simpatici anziani, ingiustamente trascurati, e non è ben spiegato se l'automa è diventato così grazie a loro. A parte le follie dell'automa, gli altri personaggi purtroppo non sono altro che una semplice comparsa, quando alcuni meritavano più attenzione, come il gruppetto di anziani hacker citati prima o anche gli amici di Haruka, personaggi messi in disparte velocemente, dando quindi alla trama una rigida linearità.
Il comparto animazione, dietro la cui direzione artistica vi sono Hiroshi Sasaki e Satoshi Kon, è comunque molto buono, mostrando scenari sì urbani ma anche un che di futuristico; i volti di alcuni personaggi però... lasciamo perdere.
Certo è un film con qualche difetto qua e là, ma nulla gli impedisce di essere comunque un piccolo cult trascurato che varrebbe la pena ripescare per il suo tema da non prendere sottogamba.
La trama ci mostra come un anziano viene scelto come cavia dal Ministero della Salute per testare un nuovo tipo di letto robotico multiuso chiamato Z-001, allo scopo di poter rendere la cura degli anziani gravi più immediata, tramite tecnologie super-accessoriate, e alleviare le fatiche dei giovani infermieri, sebbene questi ultimi rischierebbero di essere letteralmente scalzati via per via della tecnologia sempre più in evoluzione. Tuttavia, la macchina Z-001 si evolverà in maniera del tutto inaspettata, dando vita a una serie di eventi bizzarri ma esilaranti allo stesso tempo, che farà forse ravvedere le intenzioni iniziali del Ministero della Salute.
Per quanto possa sembrare un film assurdo, sa essere però assai riflessivo, soprattutto se lo si guarda in questi giorni, in cui si sta vivendo in un mondo dove le IA stanno prendendo sempre più il sopravvento in ogni attività e l'essere umano sempre più messo in ombra, e nel film appunto viene gestito tale tema in diversi modi: c'è chi è cinicamente d'accordo di abbandonare gli anziani bisognosi alle macchine, e così pensa di più ai propri interessi, chi ambisce a voler rendere più avanzata la tecnologia militare, e questo non era necessario secondo me, e chi invece non è d'accordo, come appunto una giovane stagista di nome Haruko che si oppone a questa "cinica evoluzione", affermando che "una macchina non darebbe mai l'affetto che darebbe una reale persona ai più bisognosi". Tuttavia, l'attenzione si concentra tutta sulla macchina Z-001, che ha la misteriosa capacità di esaudire i desideri più forti dell'anziano paziente che si trova al suo interno e di avere persino una propria personalità, agendo indipendentemente dai propri creatori. Da notare però che la macchina inizialmente era stata hackerata da un gruppetto di simpatici anziani, ingiustamente trascurati, e non è ben spiegato se l'automa è diventato così grazie a loro. A parte le follie dell'automa, gli altri personaggi purtroppo non sono altro che una semplice comparsa, quando alcuni meritavano più attenzione, come il gruppetto di anziani hacker citati prima o anche gli amici di Haruka, personaggi messi in disparte velocemente, dando quindi alla trama una rigida linearità.
Il comparto animazione, dietro la cui direzione artistica vi sono Hiroshi Sasaki e Satoshi Kon, è comunque molto buono, mostrando scenari sì urbani ma anche un che di futuristico; i volti di alcuni personaggi però... lasciamo perdere.
Certo è un film con qualche difetto qua e là, ma nulla gli impedisce di essere comunque un piccolo cult trascurato che varrebbe la pena ripescare per il suo tema da non prendere sottogamba.
Tre grandi nomi dietro a un solo prodotto: Hiroyuki Kitakubo (regista di “Blood - The Last Vampire”) l’ha diretto; Katsuhiro Otomo l’ha scritto; e Satoshi Kon ne è il direttore artistico... questo è “Roujin Z”, film del 1991.
In realtà l’impronta di Otomo, tra i tre, è quella che sicuramente salta di più all’occhio. Anche solo per la locandina del film che ricorda quella che è stata la locandina di “Akira”.
La trama è semplice: per far fronte al problema dell’invecchiamento, e della conseguente devozione dei giovani alla cura degli anziani, viene creata una macchina miracolosa, in grado di fornire assistenza e cura, senza più bisogno della mano umana. A fare da cavia al macchinario, denominato Z-001, è il signor Kiyuro Takazawa. Ma quella che doveva essere una scoperta tecnologica incredibile e innovativa si trasforma in qualcosa che nessuno aveva previsto...
In quest’opera diventa evidente che, più che sulla trama, l’autore volesse focalizzarsi sullo Z-001. Pur muovendosi sullo sfondo di una critica sociale alla nuova tecnologia, e al costante bisogno del contatto umano (qui rappresentato dall’energica infermiera Haruko, doppiata da una magnifica Pacotto), non ci si focalizza minimamente sui personaggi, sulla loro evoluzione o sulla loro caratterizzazione. Anche se sono interessanti i modi in cui vengono palesati gli inconsci desideri del vecchio Takezawa, vittima di una macchina che ha preso ormai il sopravvento.
Più che altro l’incipit della trama nasconde il semplice voler mostrare le continue metamorfosi meccaniche della macchina, fino alla sua antropomorfizzazione.
Ed è alla fin fine con questa premessa che va visto e goduto il film, senza aspettarsi che i personaggi (anche le comparse) abbiano uno spazio degno.
Nulla da dire sulla qualità artistica, ineccepibile, e sul doppiaggio, decisamente azzeccato.
In realtà l’impronta di Otomo, tra i tre, è quella che sicuramente salta di più all’occhio. Anche solo per la locandina del film che ricorda quella che è stata la locandina di “Akira”.
La trama è semplice: per far fronte al problema dell’invecchiamento, e della conseguente devozione dei giovani alla cura degli anziani, viene creata una macchina miracolosa, in grado di fornire assistenza e cura, senza più bisogno della mano umana. A fare da cavia al macchinario, denominato Z-001, è il signor Kiyuro Takazawa. Ma quella che doveva essere una scoperta tecnologica incredibile e innovativa si trasforma in qualcosa che nessuno aveva previsto...
In quest’opera diventa evidente che, più che sulla trama, l’autore volesse focalizzarsi sullo Z-001. Pur muovendosi sullo sfondo di una critica sociale alla nuova tecnologia, e al costante bisogno del contatto umano (qui rappresentato dall’energica infermiera Haruko, doppiata da una magnifica Pacotto), non ci si focalizza minimamente sui personaggi, sulla loro evoluzione o sulla loro caratterizzazione. Anche se sono interessanti i modi in cui vengono palesati gli inconsci desideri del vecchio Takezawa, vittima di una macchina che ha preso ormai il sopravvento.
Più che altro l’incipit della trama nasconde il semplice voler mostrare le continue metamorfosi meccaniche della macchina, fino alla sua antropomorfizzazione.
Ed è alla fin fine con questa premessa che va visto e goduto il film, senza aspettarsi che i personaggi (anche le comparse) abbiano uno spazio degno.
Nulla da dire sulla qualità artistica, ineccepibile, e sul doppiaggio, decisamente azzeccato.
L'idea originale di questo film, partorita dalla mente del genio Katsuhiro Otomo, è sicuramente accattivante ed estremamente valida anche al giorno d'oggi. Si parla qui della cura degli anziani e si dibatte il problema dell'affidamento di tale fardello alla mano calda e affettuosa di un essere umano, parente o semplice badante che sia, oppure a quella fredda e insensibile di un computer di ultima generazione che sostituisce l'agire umano in ogni gesto scomodo. Come è logico aspettarsi, tuttavia, tale tematica è presentata tanto semplicemente e apertamente quanto poco approfonditamente e vediamo la fantasia del noto padre di "Akira" soffermarsi molto più curiosamente e piacevolmente sull'evoluzione fisica e psicologica dello Z-001, il computer modernissimo progettato appositamente per la cura agli anziani. La componente robotica è infatti alla base dei lavori più noti del famoso regista. Sfortunatamente per lui, l'anziano protagonista Kijuru Takazawa è stato scelto come cavia per il prototipo del primo Z-001 ma ciò che né lui né le persone che gli stanno vicino sanno è che questo prodotto, sponsorizzato dal Ministero della salute pubblica, nasconde al suo interno un cervello cibernetico all'avanguardia con capacità di autoapprendimento che dovrebbe essere utilizzato a scopo militare. Non voglio rivelare altro di una trama già abbastanza scarna, cercherò quindi di raccontarvi le mie impressioni sull'aspetto tecnico.
Come detto, Katsuhiro Otomo è la mente degli avvenimenti e in parte il realizzatore del mecha design ma la regia appartiene a Hiroyuki Kitakubo, mentre il character design a Hisashi Eguchi. Soprattutto quest'ultimo contributo, unito a quello dei vari animatori, rende vani gli sforzi, seppur lievi rispetto ad opere più grandi, di Otomo. Tutto all'interno di questa visione si muove in maniera oltremodo lenta e a scatti, dandoci la continua sensazione che manchino dei fotogrammi. La conseguenza più grave di questa assenza di fluidità è la resa approssimativa delle varie trasformazioni che lo Z-001 subisce durante la pellicola, mutamenti che pure Otomo aveva dovuto curare con qualche soddisfazione. La definizione dei personaggi poi è alquanto approssimativa, nell'aspetto fisico come nella fisionomia. Non viene sfruttato per niente il tratteggio per dare profondità, viene invece adoperato un chiaro-scuro dato dalla semplice giustapposizione di colori differenti anche solo per tonalità. Percepiamo appena delle linee di contorno che delimitano solo parti principali (ad esempio occhi, zigomi, chiome dei capelli...) con l'ovvio risultato che tutto sembra più piatto di una tavola da surf. Orribile, infine, il fermo immagine che ci viene rifilato verso la fine del film: l'infermiera incaricata di accudire il signor Takazawa, Haruko, si blocca atterrita dinnanzi allo Z-001, ormai agli apici ella sua trasformazione, ma viene utilizzato un unico frame con la ragazza in primo piano e le mani al volto, col solo audio delle urla ad "animare" la scena. Se si tratta di una svista è davvero un errore grossolano.
Insomma, cercate il giusto approccio se volete visionare quest'opera e non fatevi fuorviare dall'altisonante nome di Katsuhiro Otomo.
Nota Bene: questo cartone è stato adattato a manga col nome di "ZeD". Avverto però che non è un pratica usuale quella di produrre prima gli anime e poi le rispettive trasposizioni cartacee, quindi prendete anche questo fumetto con le dovute precauzioni.
Come detto, Katsuhiro Otomo è la mente degli avvenimenti e in parte il realizzatore del mecha design ma la regia appartiene a Hiroyuki Kitakubo, mentre il character design a Hisashi Eguchi. Soprattutto quest'ultimo contributo, unito a quello dei vari animatori, rende vani gli sforzi, seppur lievi rispetto ad opere più grandi, di Otomo. Tutto all'interno di questa visione si muove in maniera oltremodo lenta e a scatti, dandoci la continua sensazione che manchino dei fotogrammi. La conseguenza più grave di questa assenza di fluidità è la resa approssimativa delle varie trasformazioni che lo Z-001 subisce durante la pellicola, mutamenti che pure Otomo aveva dovuto curare con qualche soddisfazione. La definizione dei personaggi poi è alquanto approssimativa, nell'aspetto fisico come nella fisionomia. Non viene sfruttato per niente il tratteggio per dare profondità, viene invece adoperato un chiaro-scuro dato dalla semplice giustapposizione di colori differenti anche solo per tonalità. Percepiamo appena delle linee di contorno che delimitano solo parti principali (ad esempio occhi, zigomi, chiome dei capelli...) con l'ovvio risultato che tutto sembra più piatto di una tavola da surf. Orribile, infine, il fermo immagine che ci viene rifilato verso la fine del film: l'infermiera incaricata di accudire il signor Takazawa, Haruko, si blocca atterrita dinnanzi allo Z-001, ormai agli apici ella sua trasformazione, ma viene utilizzato un unico frame con la ragazza in primo piano e le mani al volto, col solo audio delle urla ad "animare" la scena. Se si tratta di una svista è davvero un errore grossolano.
Insomma, cercate il giusto approccio se volete visionare quest'opera e non fatevi fuorviare dall'altisonante nome di Katsuhiro Otomo.
Nota Bene: questo cartone è stato adattato a manga col nome di "ZeD". Avverto però che non è un pratica usuale quella di produrre prima gli anime e poi le rispettive trasposizioni cartacee, quindi prendete anche questo fumetto con le dovute precauzioni.