Kamisama ni Natta hi
Sulla scia dei precedenti progetti originali targati Key, "Angel Beats!" e "Charlotte", Jun Maeda torna alla riscossa con "Kami-sama ni Natta Hi", meglio conosciuto come "The Day I Became a God", anime della stagione autunnale 2020, composto da dodici episodi, realizzato dalla P.A. Works e prodotto da Aniplex.
Yōta Narukami, durante una giornata estiva come tutte le altre, incontra Hina, una strana ragazza che si proclama il dio supremo dell'antica religione nordica, Odino, preannunciando una terribile profezia: "Il mondo finirà tra trenta giorni". Il ragazzo, inizialmente incredulo, non convinto, quindi, delle sue parole, ben presto si renderà conto della realtà dei fatti, scoprendo la vera natura dei poteri della piccola dea, in un crescendo di emozioni, sentimenti, ma anche di mistero.
Come intuibile dalla trama, l'opera pone fin dal principio i presupposti per una storia malinconica che consegue il suo climax di tristezza proprio nelle battute finali, raggiungendo dei livelli di realismo e drammaticità raramente visti in altri prodotti di questo tipo. Infatti, se da una parte rispecchia il medesimo schema narrativo dei suoi predecessori, scandito da un ritmo incalzante che fa molto leva su un effetto "rollercoaster", dall'altra si discosta nettamente da altre celebri produzioni della Key, spesso caratterizzate da un finale stranamente buonista non sempre azzeccato, o perlomeno oggetto di innumerevoli discussioni tra i fan del rinomato studio di visual novel, soprattutto quando ci si riferisce agli adattamenti animati di "Clannad" e "Little Busters!". "Kami-sama ni Natta Hi" ci propone, invece, una splendida conclusione dolceamara, che si sposa divinamente con i temi maturi affrontati dalla serie. Si intravede, comunque, un barlume di speranza, che lascerà lo spettatore con le lacrime agli occhi, ma allo stesso tempo con un'espressione di sollievo in volto.
Uno dei punti di forza della Key, che riesce a sviluppare meglio, risiede nella raffigurazione delle emozioni della vita quotidiana. Un'ottima storia non può essere composta esclusivamente da momenti drammatici e seri, se poi non esiste alcuna interazione tra i personaggi oppure questi ultimi appaiono poco sfaccettati. Degna di menzione l'evoluzione che subirà il rapporto tra Yōta e Hina, ma anche tra Kyōko e il padre. Questi elementi di carattere slice-of-life colpiscono anche persone che, come me, non si ritengono grandi estimatori del genere in questione.
Tecnicamente impeccabile, i disegni e i fondali sono una vera gioia per gli occhi, il character design risulta curato nei minimi dettagli, nonostante non denoti estrema originalità. Anche sul versante sonoro l'anime si difende molto bene, effettivamente le OST svolgono un lavoro eccellente sia nel rappresentare le atmosfere spensierate che quelle più tese.
Le aspettative sicuramente elevate e difficili da soddisfare, visti la fama e il successo riscosso dalle precedenti produzioni, sono state ampiamente superate. Lo stile inconfondibile di Jun Maeda riesce ancora una volta a fare breccia nei cuori del suo pubblico. Il cast indimenticabile e il finale memorabile difficilmente non vi rimarranno impressi. Se avete apprezzato altre opere dello stesso autore, "Kami-sama ni Natta Hi" è una visione obbligatoria, un capolavoro assolutamente imperdibile.
Yōta Narukami, durante una giornata estiva come tutte le altre, incontra Hina, una strana ragazza che si proclama il dio supremo dell'antica religione nordica, Odino, preannunciando una terribile profezia: "Il mondo finirà tra trenta giorni". Il ragazzo, inizialmente incredulo, non convinto, quindi, delle sue parole, ben presto si renderà conto della realtà dei fatti, scoprendo la vera natura dei poteri della piccola dea, in un crescendo di emozioni, sentimenti, ma anche di mistero.
Come intuibile dalla trama, l'opera pone fin dal principio i presupposti per una storia malinconica che consegue il suo climax di tristezza proprio nelle battute finali, raggiungendo dei livelli di realismo e drammaticità raramente visti in altri prodotti di questo tipo. Infatti, se da una parte rispecchia il medesimo schema narrativo dei suoi predecessori, scandito da un ritmo incalzante che fa molto leva su un effetto "rollercoaster", dall'altra si discosta nettamente da altre celebri produzioni della Key, spesso caratterizzate da un finale stranamente buonista non sempre azzeccato, o perlomeno oggetto di innumerevoli discussioni tra i fan del rinomato studio di visual novel, soprattutto quando ci si riferisce agli adattamenti animati di "Clannad" e "Little Busters!". "Kami-sama ni Natta Hi" ci propone, invece, una splendida conclusione dolceamara, che si sposa divinamente con i temi maturi affrontati dalla serie. Si intravede, comunque, un barlume di speranza, che lascerà lo spettatore con le lacrime agli occhi, ma allo stesso tempo con un'espressione di sollievo in volto.
Uno dei punti di forza della Key, che riesce a sviluppare meglio, risiede nella raffigurazione delle emozioni della vita quotidiana. Un'ottima storia non può essere composta esclusivamente da momenti drammatici e seri, se poi non esiste alcuna interazione tra i personaggi oppure questi ultimi appaiono poco sfaccettati. Degna di menzione l'evoluzione che subirà il rapporto tra Yōta e Hina, ma anche tra Kyōko e il padre. Questi elementi di carattere slice-of-life colpiscono anche persone che, come me, non si ritengono grandi estimatori del genere in questione.
Tecnicamente impeccabile, i disegni e i fondali sono una vera gioia per gli occhi, il character design risulta curato nei minimi dettagli, nonostante non denoti estrema originalità. Anche sul versante sonoro l'anime si difende molto bene, effettivamente le OST svolgono un lavoro eccellente sia nel rappresentare le atmosfere spensierate che quelle più tese.
Le aspettative sicuramente elevate e difficili da soddisfare, visti la fama e il successo riscosso dalle precedenti produzioni, sono state ampiamente superate. Lo stile inconfondibile di Jun Maeda riesce ancora una volta a fare breccia nei cuori del suo pubblico. Il cast indimenticabile e il finale memorabile difficilmente non vi rimarranno impressi. Se avete apprezzato altre opere dello stesso autore, "Kami-sama ni Natta Hi" è una visione obbligatoria, un capolavoro assolutamente imperdibile.
Durante un caldo giorno di vacanza estiva Yōta Narukami e un suo amico stanno giocando a basket, quando fa la sua apparizione una strana ragazzina chiamata Hina, la quale sostiene di essere Odino, "una dea che sa tutto", e che quella sarà l'ultima estate prima della fine del mondo. Yōta all'inizio non le crede, ma, viste le doti da preveggente della ragazzina, la asseconda e coltiva con lei e altri un forte legame d'amicizia, in una splendida estate. L'estate però giunge al termine, e con essa i bei momenti scanzonati e felici lasciano spazio alla disperazione!
La trama nel complesso è buona e interessante, peccato che la narrazione nella prima parte sia talmente scanzonata, assurda e comica da essere quasi deprimente, per poi dopo la metà dell'opera essere rivoluzionata e stravolta, passando a toni gravi, seri e tristissimi. Si passa repentinamente in poche scene dal comico al tragico; ciò lascia lo spettatore spiazzato, tanto da chiedersi se sia lo stesso anime o se si sia perso qualcosa. Questo stravolgimento di narrazione e tematiche può davvero dare molto fastidio, non dico che sia negativo, anzi probabilmente accentua la drammaticità dei fatti, cionondimeno lascia decisamente a bocca aperta e con un leggero amaro in bocca. Il finale ha dei toni davvero fin troppo maturi e tristi per le premesse iniziali. Inizialmente è davvero banale e prevedibile, ma alla fine davvero molto serio.
I personaggi hanno un design semplice ma distintivo; la caratterizzazione per la maggior parte è superficiale e stereotipata, alcuni altri hanno un background leggermente abbozzato come l'essenza dei personaggi stessi, caratterialmente, mentalmente e psicologicamente acerbi, ma tutto sommato per certi versi apprezzabili.
Il comparto tecnico nel complesso è buono.
In conclusione, un anime anche bello, ma che lascia lo spettatore davvero spiazzato nel repentino cambio di narrazione, forse gestito meglio sarebbe stato migliore, ciò non toglie però che sia una buona opera che merita di essere vista nonostante dei difetti, sui quali, una volta terminata la visione, si può sorvolare, apprezzando dell'autenticità.
La trama nel complesso è buona e interessante, peccato che la narrazione nella prima parte sia talmente scanzonata, assurda e comica da essere quasi deprimente, per poi dopo la metà dell'opera essere rivoluzionata e stravolta, passando a toni gravi, seri e tristissimi. Si passa repentinamente in poche scene dal comico al tragico; ciò lascia lo spettatore spiazzato, tanto da chiedersi se sia lo stesso anime o se si sia perso qualcosa. Questo stravolgimento di narrazione e tematiche può davvero dare molto fastidio, non dico che sia negativo, anzi probabilmente accentua la drammaticità dei fatti, cionondimeno lascia decisamente a bocca aperta e con un leggero amaro in bocca. Il finale ha dei toni davvero fin troppo maturi e tristi per le premesse iniziali. Inizialmente è davvero banale e prevedibile, ma alla fine davvero molto serio.
I personaggi hanno un design semplice ma distintivo; la caratterizzazione per la maggior parte è superficiale e stereotipata, alcuni altri hanno un background leggermente abbozzato come l'essenza dei personaggi stessi, caratterialmente, mentalmente e psicologicamente acerbi, ma tutto sommato per certi versi apprezzabili.
Il comparto tecnico nel complesso è buono.
In conclusione, un anime anche bello, ma che lascia lo spettatore davvero spiazzato nel repentino cambio di narrazione, forse gestito meglio sarebbe stato migliore, ciò non toglie però che sia una buona opera che merita di essere vista nonostante dei difetti, sui quali, una volta terminata la visione, si può sorvolare, apprezzando dell'autenticità.
"The Day I Became a God" è un'opera originale uscita durante l'autunno del 2020. Si tratta di una serie che ha come protagonista Hina, una bambina che fa la sua comparsa durante l'ultima estate da liceale di Yota, il protagonista, e si presenta come un dio onnisciente, annunciando che la fine del mondo incomberà alla fine dell'estate (per la precisione dopo trenta giorni la sua comparsa).
Fin qui la serie sembrerebbe anche abbastanza interessante, ma poi prende una piega del tutto diversa: infatti, si va incontro ad una serie di episodi comici di cui non si capisce il vero scopo, se non far affezionare lo spettatore ai personaggi e, in particolare, ad Hina. Durante questi episodi non viene spiegato nulla sulla fine del mondo, sulla provenienza della bambina, sul perché ha fatto la sua comparsa nella vita di Yota o, ancora, sul suo strano potere; in più si introduce Suzuki e in parte anche la sua storia, ma non la si riesce a collegare alla trama principale fino a quando, di colpo, tutto viene spiegato in, più o meno, un episodio, facendo prendere alla serie una piega parecchio drammatica.
Ciò che non ho apprezzato è stato proprio questo passaggio netto dalla comicità alla drammaticità, che non aiuta per niente lo spettatore ad entrare in questo clima di tristezza.
La conclusione dovrebbe far emozionare, ma non è affatto così, anzi si resta "in sospeso" per via di dubbi e curiosità introdotti durante la serie, ma mai spiegati.
Il comparto tecnico è molto buono: i disegni sono ben realizzati, così come le animazioni; character design molto bello e colori molto ben utilizzati. Per quel che riguarda opening, ending e OST, mi sono piaciute parecchio e aiutano, in certi casi, ad aumentare la drammaticità.
In generale, la serie, man mano che la si guarda, soprattutto quando di colpo diventa drammatica, diventa sempre più prevedibile e scontata, ma il problema principale è questo passaggio netto e anche il non riuscire a collegare personaggi o eventi esterni alla trama principale, il che potrebbe mantenere vivo l'interesse, se meglio sviluppato.
Per quel che riguarda la trama, non si tratta di nulla di speciale, però una cosa che mi è particolarmente piaciuta è la grafica.
Voto: 6/10
Fin qui la serie sembrerebbe anche abbastanza interessante, ma poi prende una piega del tutto diversa: infatti, si va incontro ad una serie di episodi comici di cui non si capisce il vero scopo, se non far affezionare lo spettatore ai personaggi e, in particolare, ad Hina. Durante questi episodi non viene spiegato nulla sulla fine del mondo, sulla provenienza della bambina, sul perché ha fatto la sua comparsa nella vita di Yota o, ancora, sul suo strano potere; in più si introduce Suzuki e in parte anche la sua storia, ma non la si riesce a collegare alla trama principale fino a quando, di colpo, tutto viene spiegato in, più o meno, un episodio, facendo prendere alla serie una piega parecchio drammatica.
Ciò che non ho apprezzato è stato proprio questo passaggio netto dalla comicità alla drammaticità, che non aiuta per niente lo spettatore ad entrare in questo clima di tristezza.
La conclusione dovrebbe far emozionare, ma non è affatto così, anzi si resta "in sospeso" per via di dubbi e curiosità introdotti durante la serie, ma mai spiegati.
Il comparto tecnico è molto buono: i disegni sono ben realizzati, così come le animazioni; character design molto bello e colori molto ben utilizzati. Per quel che riguarda opening, ending e OST, mi sono piaciute parecchio e aiutano, in certi casi, ad aumentare la drammaticità.
In generale, la serie, man mano che la si guarda, soprattutto quando di colpo diventa drammatica, diventa sempre più prevedibile e scontata, ma il problema principale è questo passaggio netto e anche il non riuscire a collegare personaggi o eventi esterni alla trama principale, il che potrebbe mantenere vivo l'interesse, se meglio sviluppato.
Per quel che riguarda la trama, non si tratta di nulla di speciale, però una cosa che mi è particolarmente piaciuta è la grafica.
Voto: 6/10
Attenzione: la recensione contiene spoiler
“The Day I Became a God” è un anime ideato da Jun Maeda, noto per aver lavorato a svariate altre opere, come “Charlotte”, “Angel Beats!” e “Clannad”.
Non mi dilungo inutilmente in futili premesse, in quanto potete trovare un qualsiasi riassunto cercandolo su Internet, e passo subito alla recensione.
Beh, da dove iniziare? Se dovessi recensirlo, avendo a disposizione una sola frase, direi che semplicemente “The Day I Became a God” riesce nell’ardua impresa di unire la lentezza di “Clannad” con l’inutilità degli episodi autoconclusivi di “Angel Beats!”
Spacciato durante le campagne promozionali come “L’anime strappalacrime definitivo”, secondo me è stato proprio questo il fardello che l’ha fatto sprofondare inevitabilmente nella mediocrità o, per meglio dire, in un malandato tentativo di cercare di creare un prodotto che toccasse il cuore dello spettatore.
Aforismi a parte, passiamo ai pochi, seppur presenti, punti positivi dell’anime: tutto quello che concerne il comparto grafico (stile artistico, animazioni, character design, etc.) è di una qualità superlativa; mi sono piaciute molto anche le svariate gag sparse nei vari episodi, che vedono principalmente coinvolti Hina e il protagonista/ameba di nome Yota.
Eh, già. Ne ho visti negli anime a bizzeffe di personaggi principali maschili dotati dello stesso carisma di un fermaporta, e, francamente, pensavo di essermici ormai abituato, ma Yota è un caso speciale. Non lo definirei un personaggio mediocre, ma nemmeno un personaggio orribile: non ha carisma, è abbastanza ingenuo, alterna comportamenti normali con quelli da bambino quindicenne, soprattutto verso gli episodi finali, dove sembra quasi che la sua età mentale si dimezzi episodio dopo episodio.
Non che gli altri personaggi siano da Oscar, chiariamoci. Abbiamo la bella ma apatica amica d’infanzia/crush del protagonista, la “sorella” timidissima che con la sua passione per i video riesce a proporci scene che raggiungono picchi di cringe devastanti, l’amico del cuore di Yota, unico personaggio secondario di spessore salvabile, la manager di cui non mi ricordo nemmeno il nome e che non ho voglia di cercarlo su Internet, talmente tanta è la simpatia che mi ha suscitato, per non parlare dei mafiosi che diventano buoni di colpo, etc.
Ma adesso arriva il piatto forte: la storia. Anzi, il tentativo di imbastire una serie di eventi tra loro connessi che dovrebbe prendere il nome di storia.
“The Day I Became a God” parte con una premessa abbastanza peculiare, ovvero la comparsa dell’autoproclamata dea-loli Hina, che, effettivamente, sembra anche avere dei poteri, in quanto riesce a prevedere con facilità il risultato delle corse dei cavalli e altri avvenimenti impronosticabili, come, a suo dire, la fine del mondo, che avverrà a tenta giorni dalla sua comparsa. Dopo questo preambolo durato un intero episodio, si vorrà visionare immediatamente gli episodi successivi, che saranno di certo interessanti, e non pieni di episodi autoconclusivi dalla dubbia utilità, durante i quali l’autore cercherà in tutti i modi di farci affezionare ai vari personaggi, cercando di metterli in situazioni abbastanza fuori dal comune...
Ah, no?
Francamente, io mi aspettavo una prosecuzione della storia ben ponderata, e non delle briciole messe qua e là per poi imbottirci di informazioni negli ultimi tre-quattro episodi, nel tentativo di rattoppare i buchi di trama creati durante gli episodi precedenti (vedi la mancata spiegazione della preveggenza di Hina, coff coff).
Parliamoci chiaro: ai fini della trama, che senso ha l’episodio del ristorante di ramen? Che senso ha quello del mahjong? E le riprese?
Per carità, possono anche far proseguire, seppur lentamente, la storia, ma sono episodi troppo privi di mordente, per seguirli senza annoiarsi.
Si sa che l’episodio del festival coi fuochi d’artificio è un must have per uno slice of life, ma, francamente, l’unico di questi che ritengo salvabile è quello che parlava della madre dell’amica d’infanzia di Youta.
Arriviamo così verso la fine di vari episodi (attorno al 6/7, se non erro), dove fa l’apparizione il personaggio che ho volontariamente omesso in precedenza, quello ritenuto dal sottoscritto come l'individuo meglio ben fatto e strutturato della serie: l’hacker.
Ragazzo genio ma orfano, bullizzato dagli adulti per tutta la sua vita (oh my god, che originalità), viene ingaggiato da questa associazione sconosciuta, la DIGOS Giapponese probabilmente, per cercare di rintracciare un dottore e ricercatore in una materia così complicata da farmi girare la testa al solo nominarla. Dopo vari episodi in cui pedina, stalkera e ricatta gente in qualche modo collegata con questo dottore, si scopre che esso ha una nipote, ovvero Hina. Quasi in contemporanea Yota scopre che la ragazza in realtà sarebbe affetta da una malattia incurabile, la sindrome di Logos, una SLA meno devastante in pratica, e che non dovrebbe nemmeno riuscire a camminare; nonostante tutto l’abbiamo sempre vista arzilla e scattante nel corso dei vari episodi.
Segnatevi questo punto e allacciatevi le cinture, gente: da qui in poi stiamo per iniziare un viaggio fatto di avvenimenti nonsense, generato principalmente dai comportamenti bambineschi e stupefacenti del vario cast di personaggi di questa serie.
L’hacker, rendendosi evidentemente conto di essere un personaggio quasi passabile, inizia a dare il meglio di sé: quando scopre che nel cervello di Hina c’è un processore potentissimo, in grado di contrastare la sindrome di Logos, di prevedere il futuro e, addirittura, di non far ‘crashare’ AutoCad quando si mette la linea tratteggiata, fa letteralmente di tutto per rintracciare la ragazza, ricorrendo a metodi più o meno convenzionali, grazie anche all'aiuto del “gorilla” della Digos che si porta dietro. Una volta rintracciata la sua posizione, si accorge che “sorprendentemente” quelli della Digos non vogliono portare Hina al quartier generale per fare un selfie con lei, ma vogliono staccarle dalla testa il processore tramite asportazione chirurgica.
In una scena abbastanza irreale, il nostro genio del computer tenta di porre rimedio alla situazione con un messaggio telepatico del tipo: “Oh, Hina, guarda che ti stanno votando, eri ‘kinda sus’ e potresti essere l’impostore, ciaooo”, senza successo. Hina viene così rapita.
Mangiato dai sensi di colpa per aver fatto l’irreparabile, l’hacker continua imperterrito a fare vaccate, rendendosi protagonista dell'episodio più inutile e prolisso della storia degli anime: in esso si fa amico Yota e i suoi amici, e tenta di fare tutte le stesse cose che avevano fatto con Hina durante l’estate. Lo scopo? Fargli capire che lui conosceva dov’era rinchiusa Hina, perché “non poteva dirglielo nominandola direttamente, a causa dei piani alti della Digos”. Nonostante questo gli amiconi di Hina non si raccapezzano, e costringono così il mago del computer a tirare a Yota & Co. un assist pauroso, per fargli capire le sue reali intenzioni.
Conscio anche lui che l'episodio sta per finire, Yota riesce finalmente a smascherare l'hacker, il quale, dopo il fatto, inizia a parlare di Hina come se niente fosse, mandando in frantumi la patetica scusa inventata dall'autore e, anzi, conduce personalmente il protagonista (sotto falsa identità) nel luogo in cui è ricoverata Hina, facendosi accompagnare da nientedimeno che il gorilla della Digos. Geniale.
L’hacker in soli due episodi è riuscito ad asfaltare completamente tutti gli altri personaggi con la sua mediocrità e incoerenza.
Un’altra puntata bella che sprecata, insomma: come se già dodici episodi fossero troppi, eh.
Nelle ultime puntate possiamo assistere a Yota che, ricordiamolo, sotto copertura, riesce a diventare ancora più ebete di quanto già non fosse, sfoderando un autocontrollo degno di Germano Mosconi; abbiamo Hina che grazie alla sola forza di volontà sconfigge la malattia e smette di essere semi-paraplegica, il video amatoriale (non pensate male, eh) montato dalla sorella di Yota, che è così cringe da farci guardare costantemente dietro le nostre spalle per tutta la sua durata, per paura di essere visti da qualche parente, che, giustamente, potrebbe domandarsi cosa diavolo stiamo guardando.
Che altro dire?
Ho dato 5,5 per il semplice fatto che questo aborto aveva la pretesa di essere un'opera strappalacrime di tutto rispetto, ma, in fondo, lo si riesce a vedere quasi in scioltezza.
Grazie alle gag di Hina (unico personaggio salvabile) che tengono in piedi tutta la baracca, assieme al reparto grafico, il voto non sprofonda ulteriormente più di quanto dovrebbe.
“The Day I Became a God” è un anime ideato da Jun Maeda, noto per aver lavorato a svariate altre opere, come “Charlotte”, “Angel Beats!” e “Clannad”.
Non mi dilungo inutilmente in futili premesse, in quanto potete trovare un qualsiasi riassunto cercandolo su Internet, e passo subito alla recensione.
Beh, da dove iniziare? Se dovessi recensirlo, avendo a disposizione una sola frase, direi che semplicemente “The Day I Became a God” riesce nell’ardua impresa di unire la lentezza di “Clannad” con l’inutilità degli episodi autoconclusivi di “Angel Beats!”
Spacciato durante le campagne promozionali come “L’anime strappalacrime definitivo”, secondo me è stato proprio questo il fardello che l’ha fatto sprofondare inevitabilmente nella mediocrità o, per meglio dire, in un malandato tentativo di cercare di creare un prodotto che toccasse il cuore dello spettatore.
Aforismi a parte, passiamo ai pochi, seppur presenti, punti positivi dell’anime: tutto quello che concerne il comparto grafico (stile artistico, animazioni, character design, etc.) è di una qualità superlativa; mi sono piaciute molto anche le svariate gag sparse nei vari episodi, che vedono principalmente coinvolti Hina e il protagonista/ameba di nome Yota.
Eh, già. Ne ho visti negli anime a bizzeffe di personaggi principali maschili dotati dello stesso carisma di un fermaporta, e, francamente, pensavo di essermici ormai abituato, ma Yota è un caso speciale. Non lo definirei un personaggio mediocre, ma nemmeno un personaggio orribile: non ha carisma, è abbastanza ingenuo, alterna comportamenti normali con quelli da bambino quindicenne, soprattutto verso gli episodi finali, dove sembra quasi che la sua età mentale si dimezzi episodio dopo episodio.
Non che gli altri personaggi siano da Oscar, chiariamoci. Abbiamo la bella ma apatica amica d’infanzia/crush del protagonista, la “sorella” timidissima che con la sua passione per i video riesce a proporci scene che raggiungono picchi di cringe devastanti, l’amico del cuore di Yota, unico personaggio secondario di spessore salvabile, la manager di cui non mi ricordo nemmeno il nome e che non ho voglia di cercarlo su Internet, talmente tanta è la simpatia che mi ha suscitato, per non parlare dei mafiosi che diventano buoni di colpo, etc.
Ma adesso arriva il piatto forte: la storia. Anzi, il tentativo di imbastire una serie di eventi tra loro connessi che dovrebbe prendere il nome di storia.
“The Day I Became a God” parte con una premessa abbastanza peculiare, ovvero la comparsa dell’autoproclamata dea-loli Hina, che, effettivamente, sembra anche avere dei poteri, in quanto riesce a prevedere con facilità il risultato delle corse dei cavalli e altri avvenimenti impronosticabili, come, a suo dire, la fine del mondo, che avverrà a tenta giorni dalla sua comparsa. Dopo questo preambolo durato un intero episodio, si vorrà visionare immediatamente gli episodi successivi, che saranno di certo interessanti, e non pieni di episodi autoconclusivi dalla dubbia utilità, durante i quali l’autore cercherà in tutti i modi di farci affezionare ai vari personaggi, cercando di metterli in situazioni abbastanza fuori dal comune...
Ah, no?
Francamente, io mi aspettavo una prosecuzione della storia ben ponderata, e non delle briciole messe qua e là per poi imbottirci di informazioni negli ultimi tre-quattro episodi, nel tentativo di rattoppare i buchi di trama creati durante gli episodi precedenti (vedi la mancata spiegazione della preveggenza di Hina, coff coff).
Parliamoci chiaro: ai fini della trama, che senso ha l’episodio del ristorante di ramen? Che senso ha quello del mahjong? E le riprese?
Per carità, possono anche far proseguire, seppur lentamente, la storia, ma sono episodi troppo privi di mordente, per seguirli senza annoiarsi.
Si sa che l’episodio del festival coi fuochi d’artificio è un must have per uno slice of life, ma, francamente, l’unico di questi che ritengo salvabile è quello che parlava della madre dell’amica d’infanzia di Youta.
Arriviamo così verso la fine di vari episodi (attorno al 6/7, se non erro), dove fa l’apparizione il personaggio che ho volontariamente omesso in precedenza, quello ritenuto dal sottoscritto come l'individuo meglio ben fatto e strutturato della serie: l’hacker.
Ragazzo genio ma orfano, bullizzato dagli adulti per tutta la sua vita (oh my god, che originalità), viene ingaggiato da questa associazione sconosciuta, la DIGOS Giapponese probabilmente, per cercare di rintracciare un dottore e ricercatore in una materia così complicata da farmi girare la testa al solo nominarla. Dopo vari episodi in cui pedina, stalkera e ricatta gente in qualche modo collegata con questo dottore, si scopre che esso ha una nipote, ovvero Hina. Quasi in contemporanea Yota scopre che la ragazza in realtà sarebbe affetta da una malattia incurabile, la sindrome di Logos, una SLA meno devastante in pratica, e che non dovrebbe nemmeno riuscire a camminare; nonostante tutto l’abbiamo sempre vista arzilla e scattante nel corso dei vari episodi.
Segnatevi questo punto e allacciatevi le cinture, gente: da qui in poi stiamo per iniziare un viaggio fatto di avvenimenti nonsense, generato principalmente dai comportamenti bambineschi e stupefacenti del vario cast di personaggi di questa serie.
L’hacker, rendendosi evidentemente conto di essere un personaggio quasi passabile, inizia a dare il meglio di sé: quando scopre che nel cervello di Hina c’è un processore potentissimo, in grado di contrastare la sindrome di Logos, di prevedere il futuro e, addirittura, di non far ‘crashare’ AutoCad quando si mette la linea tratteggiata, fa letteralmente di tutto per rintracciare la ragazza, ricorrendo a metodi più o meno convenzionali, grazie anche all'aiuto del “gorilla” della Digos che si porta dietro. Una volta rintracciata la sua posizione, si accorge che “sorprendentemente” quelli della Digos non vogliono portare Hina al quartier generale per fare un selfie con lei, ma vogliono staccarle dalla testa il processore tramite asportazione chirurgica.
In una scena abbastanza irreale, il nostro genio del computer tenta di porre rimedio alla situazione con un messaggio telepatico del tipo: “Oh, Hina, guarda che ti stanno votando, eri ‘kinda sus’ e potresti essere l’impostore, ciaooo”, senza successo. Hina viene così rapita.
Mangiato dai sensi di colpa per aver fatto l’irreparabile, l’hacker continua imperterrito a fare vaccate, rendendosi protagonista dell'episodio più inutile e prolisso della storia degli anime: in esso si fa amico Yota e i suoi amici, e tenta di fare tutte le stesse cose che avevano fatto con Hina durante l’estate. Lo scopo? Fargli capire che lui conosceva dov’era rinchiusa Hina, perché “non poteva dirglielo nominandola direttamente, a causa dei piani alti della Digos”. Nonostante questo gli amiconi di Hina non si raccapezzano, e costringono così il mago del computer a tirare a Yota & Co. un assist pauroso, per fargli capire le sue reali intenzioni.
Conscio anche lui che l'episodio sta per finire, Yota riesce finalmente a smascherare l'hacker, il quale, dopo il fatto, inizia a parlare di Hina come se niente fosse, mandando in frantumi la patetica scusa inventata dall'autore e, anzi, conduce personalmente il protagonista (sotto falsa identità) nel luogo in cui è ricoverata Hina, facendosi accompagnare da nientedimeno che il gorilla della Digos. Geniale.
L’hacker in soli due episodi è riuscito ad asfaltare completamente tutti gli altri personaggi con la sua mediocrità e incoerenza.
Un’altra puntata bella che sprecata, insomma: come se già dodici episodi fossero troppi, eh.
Nelle ultime puntate possiamo assistere a Yota che, ricordiamolo, sotto copertura, riesce a diventare ancora più ebete di quanto già non fosse, sfoderando un autocontrollo degno di Germano Mosconi; abbiamo Hina che grazie alla sola forza di volontà sconfigge la malattia e smette di essere semi-paraplegica, il video amatoriale (non pensate male, eh) montato dalla sorella di Yota, che è così cringe da farci guardare costantemente dietro le nostre spalle per tutta la sua durata, per paura di essere visti da qualche parente, che, giustamente, potrebbe domandarsi cosa diavolo stiamo guardando.
Che altro dire?
Ho dato 5,5 per il semplice fatto che questo aborto aveva la pretesa di essere un'opera strappalacrime di tutto rispetto, ma, in fondo, lo si riesce a vedere quasi in scioltezza.
Grazie alle gag di Hina (unico personaggio salvabile) che tengono in piedi tutta la baracca, assieme al reparto grafico, il voto non sprofonda ulteriormente più di quanto dovrebbe.
"The Day I Became a God" è un'opera sbagliata sin da prima della sua uscita.
Il problema sono le grandi pretese createsi prima della visione, sia come opera di Maeda sia come trailar recitante "l'anime più commovente di sempre".
La pecca più grande dell'opera indubbiamente è stata il protagonista, Yota, che non solo risulta fastidioso durante tutto il corso dell'opera, ma a tratti diventa decerebrato verso la conclusione, compiendo azioni che non riusciresti a concepire neanche da un bambino di tre anni, senza alcuna spiegazione logica.
Purtroppo manca di logica anche il finale, dove, pur di creare qualche scena tenera (con me ci sono riusciti, sono decisamente sensibile alla tenerezza), decidono di riscrivere le leggi della medicina e della psichiatria.
I personaggi secondari risultano alquanto inutili. Ogni nuovo episodio era come se introducesse nuovi personaggi, proprio perché nessuno di essi viene caratterizzato e risulta difficile ricordarli.
Non fraintendetemi, la visione è stata piacevole, a tratti divertente, e verso la fine anche molto triste, ma le aspettative createsi prima della messa in onda hanno totalmente rovinato la visione del finale, che apprezzo perché, senza incorrere in spoiler, si allontana dai classici finali di Maeda, ma non sono riuscito a versare neanche mezza lacrima, tranne per qualche scena durata pochi secondi che sicuramente mi è entrata nel cuore. La storia è carina, delle volte scontata ma comunque piacevole, il colpo di scena facile da intuire qualche episodio prima che venga svelato, ma comunque d'effetto.
In conclusione, è un'opera senza lode né infamia, dalle OST molto carine, disegni ben fatti, ma che non si può apprezzare se cominci la visione con le stesse aspettative che ti lascia intendere il trailer. La presenza del protagonista e il finale fantascientifico mi costringono a levare un punto dal voto finale, perché verso il termine dell'opera hanno influito non poco, quindi da un 7,5 sono costretto a dare un 6,5.
Troppe le aspettative e finale che non rispetta le proprie premesse, almeno nel mio caso.
Il problema sono le grandi pretese createsi prima della visione, sia come opera di Maeda sia come trailar recitante "l'anime più commovente di sempre".
La pecca più grande dell'opera indubbiamente è stata il protagonista, Yota, che non solo risulta fastidioso durante tutto il corso dell'opera, ma a tratti diventa decerebrato verso la conclusione, compiendo azioni che non riusciresti a concepire neanche da un bambino di tre anni, senza alcuna spiegazione logica.
Purtroppo manca di logica anche il finale, dove, pur di creare qualche scena tenera (con me ci sono riusciti, sono decisamente sensibile alla tenerezza), decidono di riscrivere le leggi della medicina e della psichiatria.
I personaggi secondari risultano alquanto inutili. Ogni nuovo episodio era come se introducesse nuovi personaggi, proprio perché nessuno di essi viene caratterizzato e risulta difficile ricordarli.
Non fraintendetemi, la visione è stata piacevole, a tratti divertente, e verso la fine anche molto triste, ma le aspettative createsi prima della messa in onda hanno totalmente rovinato la visione del finale, che apprezzo perché, senza incorrere in spoiler, si allontana dai classici finali di Maeda, ma non sono riuscito a versare neanche mezza lacrima, tranne per qualche scena durata pochi secondi che sicuramente mi è entrata nel cuore. La storia è carina, delle volte scontata ma comunque piacevole, il colpo di scena facile da intuire qualche episodio prima che venga svelato, ma comunque d'effetto.
In conclusione, è un'opera senza lode né infamia, dalle OST molto carine, disegni ben fatti, ma che non si può apprezzare se cominci la visione con le stesse aspettative che ti lascia intendere il trailer. La presenza del protagonista e il finale fantascientifico mi costringono a levare un punto dal voto finale, perché verso il termine dell'opera hanno influito non poco, quindi da un 7,5 sono costretto a dare un 6,5.
Troppe le aspettative e finale che non rispetta le proprie premesse, almeno nel mio caso.