Fena: Pirate Princess
Guardare un anime con una grande aspettativa, nata forse per averne molto sentito parlare, è la cosa più deleteria che si possa fare. Le aspettative, unite all’attesa, sono genitrici, a volte, di notevoli delusioni.
"Fena: Pirate Princess" è un anime che si presta: la locandina graficamente ha appeal ed è giunto alle mie orecchie con tale insistenza che l’ho visto, giusto per capire cosa fosse davvero. La delusione è stata parecchia e i lati positivi non hanno compensato quelli negativi, ma andiamo per gradi.
Giusto un po' di trama…
Fena è una ragazza cresciuta in un bordello, ma, malgrado il luogo oggettivamente e umanamente desolante, è innocente (che strano), allegra, piena di entusiasmo per la vita e senza grossi rimpianti sul suo passato (quando è cresciuta praticamente orfana). Una tale Pollyanna non può di certo esistere, ma invece è così in questa storia. E procedendo nella storia si peggiora, dando a questo personaggetto che dovrebbe essere la protagonista una tinta grigia e slavata.
Un giorno viene scelta per condividere il letto con un tipo viscido e a quel punto i suoi piani di fuga prendono concretezza, grazie all’aiuto di due paladini che vengono dal passato (remoto) e una squadra di tizi orientali, i Goblin (lì come una specie invasiva in questa storia). Comincia il racconto di una ricerca, ma non è chiara una cosa: tutti vanno allo stesso luogo, a cui è affibbiato un nome diverso, cercando cose diverse (e se lo dicono per osmosi).
È la ricerca di un tesoro, che potrà svelare misteri ad esso collegati. Molti gli interessi, molti i pretendenti e in tutta questa storia Fena brillerà per ignoranza, innocenza, inesperienza, imperizia, insipienza.
L’anime lo si perdona i primi episodi, perché prepara le premesse per narrare le vicende successive e quindi non pesano, né le presentazioni dei bei bishioni, né le narrazioni pregresse alla vicenda che danno le coordinate della vicenda. Resta la stranezza dell’atteggiamento di Fena, che, vissuta in un ambiente cinico come quello del bordello, riesce a fidarsi di chicchessia con una serenità d’animo invidiabile. Delle due l’una: o è santa o è stupida.
L’inserimento di parti divertenti e leggere sembra dare la cifra di una narrazione che riesce ad accoppiare con successo riso e tragedia. Tutta illusione, ci sarà da rimpiangere il tempo narrativo perso.
Goblin sì, goblin no
L’inserimento dei goblin è la parte più divertente della trama, infatti questi tizi nipponici poco hanno a che fare con la faccenda, se non che avevano bisogno di recuperare una tal cosa, che ha messo le gambe da sé ed è arrivata proprio all’Eden o El Dorado o vattelapesca e l’unica persona che potenzialmente potrebbe indicare la via è Fena, la cui fiducia nelle sue possibilità è scarsa, le sue motivazioni non sono così determinate e i colpi di fortuna sono troppi. Casi, apparizioni, possessioni, percezioni… con una spiegazione finale che poi analizzeremo senza spoilerare troppo.
Ho inteso che i goblin sono parte della trama, ma non vengono presentati in tutta la loro interezza. La percezione è che si conoscano tra di loro per bene e che mostrino a Fena quella parte superficiale della loro personalità, tanto che, alle loro dimostrazioni plateali di amicizia (quelle di Fena le perdoniamo perché è una povera di spirito) pare difficile, se non impossibile credere. Infatti, se sei cresciuto consapevole che ci vogliono regole ferree (sono o no quasi samurai?), cosa li spinge a rompere un patto antico per salvare una strega? Tanto più che c’era la vaga possibilità che la loro stessa gente non gradirà questa pensata.
La stessa natura della ricerca dei Goblin li spinge ad usare, più che affiancare la povera disgraziata.
Il fatto di presentarli in gruppo ha riempito scene altrimenti vuote, vista la povertà della protagonista e i silenzi della sua spalla, Yukimaru. Capisco io che quest’essere ombroso ha a cuore Fena pur non parlando molto, ma tra lei che volteggia senza troppi tragici pensieri e lui che rompe il suo riserbo solo per dirle… udite, udite… frase originalissima “Io ti proteggerò sempre”, alla lunga trasformano Fena in una pasionaria scadente e lui in un disco rotto buono per i meme.
La vicenda è rabberciata. Le scoperte casuali si accompagnano ad una casuale cura di Fena da parte dei Goblin, che, contrariamente alle intenzioni dichiarate più e più volte, dovrebbero controllarla pure quando gironzola per dei corridoi di pietra, tampinandola stretta, o impedendole di finire in guai grossi, o, almeno, suddividendosi i compiti di babysitteraggio prima di cadere dalle celebri nuvole e salvarla per rotta di collo (del solito salvatore, Yukymaru, ad esempio).
Allegre coincidenze e quell’invadente pilota automatico
Il percorso comincia all’isola dei Goblin, che la accolgono, la rendono edotta di tutta la storia che vogliono farle sapere e che, a forza di sensi di colpa, quasi, la caricano su un sottomarino ipertecnologico e praticamente fuori posto e fuori tempo, Tonnetto, e la spingono a cercare di braccare i suoi ricordi e l’Eden.
Ma l’Eden non lo si raggiunge con tale facilità, prima ci sono indizi da trovare per aiutare Fena ad affinare i suoi ricordi perduti. Che poi non è chiaro quanto ricordi, perché ricordi così poco e cosa esattamente. Non c’è un momento, salvo uno solo che sfocia nel nulla, in cui ‘sta disgraziata dimostri un’emotività appropriata e sveli i patemi legati alla sua crescita così anomala e desolante.
Cosa strana, dato che negli anime nipponici si ricordano vita, morte e miracoli fin dall’asilo e quando si incontrano a scuola hanno memoria di chi, di quando e di come, tanto che a proseguire ‘ste trame ci pensa, udite udite, “l’allievo nuovo che viene da fuori”. Aperta e chiusa questa parentesi, proseguiamo.
L’azione che segue è pesantemente pilotata e quindi spaventosamente prevedibile. Il problema non è tanto o non solo questo, quanto l’infinita confusione che si crea quando ai nipponici salta fuori l’idea di evocare… tenetevi forte, Giovanna d’Arco. Ecco, alziamo gli occhi al cielo. Ed ecco sogni, parole enigmatiche, possessioni subitanee, tombe che appaiono qua e là, accenni alle streghe e tutta la faccenda dell’eden… una via crucis, un minestrone indigeribile, credetemi.
Non ci sono momenti di transizione tra un luogo e l’altro, ci arrivano col teletrasporto, quasi, e se ciò non bastasse espedienti narrativi faciloni scoprono con troppa semplicità meccanismi narrativi insipidi.
Un esempio è l’affidarsi da parte di Fena alle sue percezioni, che una volta può andare, ma che non vengono elaborate in modo cosciente dalla ragazza o discusse con altri, lasciandola in preda ai suoi deliri. Anzi, forse da posseduta è più decisa che mai, ‘sta disgraziata.
Altro esempio, ad un certo punto Fena canticchia qualcosa che pure ballava da bimba sul ponte della nave di papà. Pare che suo padre le avesse dato indicazioni con quel labile motivetto ballabile. Ma se non saltava fuori nulla e non canticchiava casualmente, su quella spiaggetta in compagnia di un personaggio che l’aveva vista ballare all’epoca, la trama non avrebbe proceduto affatto. Senza contare che, se lei usa quest’espediente per arrivare all’Eden, Abel, il villain, ci arriverà guidato dalla… fede, pur avendo le mani grondanti di sangue, però. Ma ci arriveremo.
Fatti umanamente impossibili, come la sopravvivenza d’una cassa d’esplosivo dopo che tutte le altre sono esplose, il salvarsi per il rotto della cuffia da una caverna marina, il raggiungere con una barchetta una grossa nave, le apparizioni perfette del salvatore ingrugnato che ripete all’infinito: “Io ti salverò!” o il provvidenziale aiuto della cavalleria proprio proprio in quell’attimo che… Tutti elementi di una penuria narrativa desolante. I meccanismi narrativi sono troppi scoperti.
Abel e il suo eterno, sospirato: “Helena!”
Sarà l’intercessione di Giovanna d’arco o di qualche demone, ma la nostra Fena uscirà dalle grinfie dei Goblin per finire tra quelle non meno rassicuranti di Abel, il quale ha una fissa mostruosa (alla Fantozzi, tipo) per una donna da lui stesso dipinta, la stupenda madre di Fena, Helena. Le racconta un po' di cose, altre gliele nasconde per bene, la coccola, pur essendo lei prigioniera e lui un tenerissimo carnefice di una persona a lei cara (se le era caro e se è morto davvero, ‘sto tizio), la lascia chiacchierare col suo servetto, che viene pure lui dal bordello. L’unica grande pena di Fena è Yukymaru, gli altri, poracci, non esistono.
Il tenebroso Abel è pure un bel carognone, e infatti a farne le spese saranno delle cattivissime poveracce che avevano solo la colpa di volere come lui un tesoro. Il punto è: a parte che non erano le ultime arrivate e che hanno inseguito (fortunosamente) Fena in un labirinto capace di stranire chiunque, la loro scarsa apparizione come villain(e non erano affatto poche!) è indice di una poca capacità di averle sapute sfruttare.
Anche il nostro Abel è un orso solitario: dei suoi dolori parla solo a se stesso e così abbiamo un flashback lento e molesto del suo amorazzo con Helena e di come è andata a finire, poi, se è finita davvero. Ma ne parleremo poi, di questa coppia d’oro.
I flashback e la mente condivisa
I flashback appaiono qua e là come tafani per raccontare cose che potevano essere dette altrimenti. Solo Fena non merita un flashback, la smemorella.
Questa tecnica narrativa, con l’inserimento di flashback lunghi, spezza la trama in modo pesante, togliendole il ritmo e rivelando, alla fine dei giochi, ben poco. Forse un buon interlocutore poteva dare più credibilità e vitalità ad una narrazione altrimenti auto assertiva. E tutto ciò che emerge è così poco coerente e sfilacciato che bisogna attendere la fine e i dialoghi finali (surreali) per dichiarare d’averci capito almeno un po'.
Altro particolare narrativo per far evolvere una trama lenta è la mente condivisa, ovvero, per spiegare una cosa ci si mettono in due gruppi separati, in luoghi diversi e lontano ed essi si rimpallano la spiegazione, riprendendo dove mille miglia l’altro si è interrotto. Il bello è che Fena, esposta da una teoria (non potendo essere presente contemporaneamente in due luoghi), è così poco coinvolta nella faccenda che l’altra metà della verità non la verrà mai a sapere, se non di striscio con la storiellina stizzosa che Shitan monta. Questo artificio narrativo stravolge pure lo spettatore, che diventa onniscente e pensa che pure i personaggi lo siano, avendo spiegato in contemporanea il loro punto di vista sulle faccende correllate allo sviluppo della narrazione.
Il paradiso all’improvviso: quando la meraviglia ruba le parole
Sciolti i lemmi e i dilemmi, la nostra Fena e i Goblin arrivano al tanto agognato luogo. A parte l’epifania miracolistica del luogo, nessuno è capace di commentare, se non con “Ah” e “oh” di meraviglia almeno la rigogliosa vegetazione o i paesaggi naturali spettacolari dell’isola. Inoltre camminano in lungo e in largo in inquadrature appiccicate l’una all’altra, in una specie di straniante camera degli specchi versione foresta incontaminata. Gradevole l'OST, suggestive le scene, ma pochissimo valorizzate.
Se poi non c’erano i Goblin, la nostra Fena, seppur guidata dal celebre sesto senso del ricordo, manco ci arrivava dove doveva arrivare, avendo il percorso passaggi di difficoltà alta, tra rupi, gradoni e quant’altro. Senza simili accompagnatori (ma la loro utilità è così smaccata da essere troppo lampante e da farli diventare cavalier serventi) la nostra principessa dei pirati manco arrivava all’isola, figurarsi all’Eden.
Anche gli inseguitori (perché servono sempre no?) dimostrano eccellente capacità fisica e di teletrasporto. Ma poi, chi mi dice che avrebbero dovuto fare la stessa strada d’andata di Fena e compagni? Ah, scusate, Abel ha la vocazione all’Eden, dimenticavo.
Lo stesso edificio che ospita l’Eden ha una sua attrattiva particolare, ma a parte le canoniche espressioni di meraviglia, nessuno si degna di azzardare ipotesi di commento. Delle due l’una, o i Goblin sono capre (con tutto il rispetto per questi erbivori) e interessa loro solo una cosa o anche Fena, a parte quest’illuminazione divina che la pervade, non si prende la briga di spiegare dove stanno. Anzi, resta lì, inerme, sempre più laconica, vittima delle circostanze e nulla la salva da una passività che, se si muove o agisce, diventa legata alla necessità di fare da marionetta al caso. Questo l’ho inteso, ma questa principessa dei pirati è poco più che una medium fatua.
L’unico che, grazie all’Eden, si degna di spiegare il perché in quell'edificio c’è ogni ben di Dio, è Abel, che almeno ne sa qualcosa e cerca di contrapporsi all’“Ah” e all’“Oh” dei suoi accompagnatori, salvo poi decidere che quel pubblico non gli era molto utile. La spiegazione mistica e i salvataggi miracolistici dei beni terreni fanno sorridere, ma nell’economia dell’anime si possono tollerare, pur percependo commistioni assai male assortite.
Ognuno col suo tesoro?
Un luccichìo dorato e buonanotte al secchio, i nostri si separano entusiasti, in un orgasmo di voluttà peccaminosa. E se non ci si mette l’oro, è la volta di quella benedetta spada che non è sola, c’è pure una tomba. Ma nessuno si degna di dire nulla o dare voce allo scopritore e prezioso del celebre manufatto. Fa strano che questi tizi giungano all’Eden e presi dal gran luccicare, si scordino della loro missione. Tanto più che ne va della loro vita. E che poi abbandonano i loro compagni dicendo che boh, sta succedendo qualcosa di grave?, ebbene sono capaci si salvarsi da soli. Eccoli qua il cameratismo dei Goblin.
E che si scordino, ancora, di nuovo, colpevolmente, di Fena. Per fortuna c’è Yukymaru, altrimenti era fritta, la nostra eroina. Affascinante è la rivelazione dell’Eden, ma l’artificio narrativo per evocarlo è così balordo, con una lunga scena che si poteva benissimo tagliare… ma Fena almeno è bella e aggraziata, dai, che ci sono ricascati, nel vizio di perdere tempo.
E poi eccoci, al luogo dove dovevano essere. Graficamente si difende benissimo, è semplicemente incantevole e suggestivo, soprattutto per l’arca di chi sapete voi (non Voldemort) là scheletrita.
Figlia di N.N? Utero in affitto? Padre non pervenuto? Colpa di dio.
È quel che vi accade, con spiegazioni finali rushate e facilone, che non lasciano spazio ad un emotività decente. Quello che dovrebbe essere un filino più caloroso, tipo un incontro di famiglia della smemorella coi di lei facilitatori al mondo, diventa una corsa alla spiegazione più astrusa, soprannaturale e banalissima possibile.
Già ci avevano messo la pulce nell’orecchio con Giovanna d’arco, ma ciò che segue è il visto del rivisto di altre serie, con tanto di corni qua e la, una bimba programmata da chi non si sa, genitori che sono esistiti solo nell’atto procreativo e buonanotte al secchio e, stringi stringi, una poveraccia che se ha perso i genitori come li ha persi, deve ringraziare la vita di essere cresciuta serena (!) in un bordello.
Fena è praticamente cresciuta senza figure genitoriali. Non è chiaro quanto ricordi della madre (ne è giustificata, era piccola quando l’ha persa, se non l’ha abbandonata prima), cita suo padre all’inizio ma non ne coltiva ricordi affettuosi. Anzi, non lo chiama nemmeno per nome. Lo stesso rivedere la genitrice non le scatena rivalse, rancori o affetto da figlia, anzi, dice solo “madre” e null’altro.
Lo stesso padre è un tizio troppo enigmatico (se è esistito), la stessa madre è una donna che poi analizzeremo a parte, data la figura meschina che fa in tutta al faccenda.
Se poi tutto è chiaro a Fena, lo spettatore si trova gettato in una macedonia misticheggiante, in un mix inter-religioso. Non è chiaro chi sia sta divinità che ha predisposto tutto, resta il fatto che il tutto pare un’operazione quasi dissacrante, come se, da perfetta ignorante e volendo scrivere una mia storiella fantasy, leggessi con leggerezza un saggio delle divinità villanoviane e creassi una storia pastrocchiata d’amore con quel pelino di mistico che (non) fa tanto male.
Neverending love: se l’amore è (sanguinosa) ossessione
Torniamo ad Abel. Giunge laddove finisce il sentiero dei passi perduti dei predestinati e qui comincia a blaterare la sua verità, diventando brutto e cattivo, dichiarando che ha agito per amore e vendetta e che era geloso fino al midollo. Occhio rosso, spada sguainata, attacca il nostro Yukymaru e lo scontro non lascia illeso nessuno dei due, però sono giovani! E allora è giustificato che non diano peso a tali ferite.
Ma ecco, apparire (non dichiaro in che modalità) Helena, che poi fa un rapido cambio abito-trucco-parrucco, per il pubblico. Dichiarazioni a parte scopriamo che la fedina penale della dolce Helena è sozza. Di principio ha prestato l’utero, frustrando le attenzioni di Abel, poi in punto di morte gli ha chiesto di ritrovarla e il poveraccio, innamorato perso, ha giurato di riuscirci, sacrificando al sua vita e dandole una qualità squallida pur di ritrovarla. Se davvero amava Abel, perché, vistasi costretta a fare le scelte che ha fatto, non lo lasciava libero? Se poi sapeva che stava per morire, perchè fare un invito del genere ad un tizio d’animo fragile e di volontà disperata?
L’egoista di quella donna, comunque, poi, se lo ripiglia, Abel, anche con le mani lorde di sangue. L’uomo ha ammazzato non si sa chi, lasciando una bimba in balìa delle onde (la figlia di Helena), senza scrupoli ha eliminato chiunque si ponesse tra lui e il luogo dove era la sua Helena. Anzi, gli fa i complimenti di essersi impegnato molto e di aver svolto la sua missione. Che bel finale romantico!
Purtroppo che in questo idillio amoroso ha davvero poche parole per la figliola lasciata orfana e concepita per missione. Capiamo la scala di valori di Helena una volta di più.
Un destino di condanna, ma prenderlo felicemente: deus ex eden
Finita la parentesi romantica, ci immergiamo in verità rivelate.
Scopriamo a cosa era destinata Fena e non solo nell’immediato.
Innanzitutto questa povera di spirito dovrà essere giudice delle sorti del mondo, quando è stata un’ameba per tutta la vita e ha dimostrato l’emotività di un sasso al sole, che si scaldava solo se sottoposta a grandi attenzioni. Non ha dimostrato qualità spirituali elevate durante il viaggio e io sarei l’ultima persona al mondo ad affidare ad una tale stupidella le sorti del mondo. Ma il DNA basta, a quanto pare.
La stessa scoperta dei meccanismi legati alla sua nascita non le lascia crisi d’identità (perché non l’ha mai avuta!), rendendo ancora una volta lo spirito edotto della sua tristissima personalità. La poraccia si dichiara libera e consapevole delle sue scelte, quando, chi più, chi meno, è sempre stata forzata e trascinata qua e la, se non da dio, dagli esseri umani. Lo stesso dio della storia ha fatto poco, se voleva tutelarla: se era onnipotente, non poteva affiancarla e custodirla in maniera più efficace di così?
La consolazione è che, alla seconda tribolazione che la aspetta, non sarà sola, ma con Yukymaru, che, manca a dirlo, la proteggerà sempre. Per fortuna, visto che tornerà amemorella (ma per lei non è un problema).
Mi pare un contentino troppo marcato per la missione che ha, tanto più che Yukymaru non è un re di Francia e quindi… diventerà re lui o cornuto tipo Abel?
L’amore parte due, una felice identità girovaga
E la nostra eroina accetta tutto, ma diventa lamentosa. E fa esattamente come mamma.
Dichiara il suo amore a Yukymaru ma già gli dice addio, da vera egoista. Il goblin stracotto di lei (fin dall’infanzia, nientemeno!) promette che la cercherà e allora lei giù a lacrimare su come la sua vita non abbia mai avuto senso (vero!) e lui era l’unico punto di riferimento, la squallida verità messa giù romantica.
Ora, è comprensibile che due persone che si perdono di vista dopo tempo possano rivalutarsi, ma qui non succede: come erano cotti all’epoca, lo sono pure da adulti, dopo anni di lontananza e poco di cui parlare. Più romantico di così si muore, anche se più che altro pare nascere dal senso di colpa mostruoso di lui che si fa rapire il cuore da lei tipo strana sindrome di Stoccolma.
E la loro lovestory è davvero neverending, ma mentre mamma è morta, Fena no e così vediamo un rewind di tutto, fatto alla velocità della luce, con un finale lieto per tutti (una spada ti allunga la vita, tipo) e per la coppietta. E non è chiaro se lei abbia ricordi o meno (come al solito, ma è mai importato?).
Inoltre le pende sulla testa una missione ma non è rilevante per la felicità presente e futura. Chissà se Yulymaru ricorda tutti i discorsi e può spoilerarla… questi anime con una protagonista femminile debole ma imponente levano dalla vista la vita interiore dei loro cavalieri, ridotti a pallidi Romeo.
La stessa trama itinerante non ha dato mai radici a Fena e non gliene darà comunque. Chi vuole un’identità prima cerca un luogo da chiamare casa e poi viaggia. La nostra eroina è felice senza identità e il mondo tutto è d’accordo con lei. Al diavolo, una vita in vacanza per sempre… viaggiando e basta. Evviva la coerenza di quest’anime!
Grafica e suono
L’opening è davvero bella, sia per la qualità delle immagini che del vocale. Bello pieno di gente e di luoghi, pare promettere bene e in un certo senso è parecchio coerente con la trama. In un certo, limitato, senso.
L’ending è davvero stupenda, con questa splendida voce e la parte strumentale che armonizza strumenti musicali quasi inconciliabili.
A livello grafico abbiamo ambientazioni stupende. Valli, caverne, isole, la distesa del mare e poi l’eden, i personaggi hanno un bel chara design, sopratutto le femmine, ma gli occhi sono troppo grandi, i capelli troppo chiari e il naso di Fena è tipo quello di Pinocchio.
Considerazioni finali
Di quest’anime è buona la confezione, il contenuto è tipo il pastrocchio della mamma della belva umana: troppa religione buttata dentro senza avere né arte, né parte del suo vero senso. Una storia d’amore scontata con una tizia svampita e una guardia del corpo poco loquace e monotona nelle espressioni usate.
Un filo narrativo incapace di avere la tensione giusta che butta in fondo spiegazioni megalomani che soffocano la protagonista. Il finale è patetico e incapace di restituire alcunchè.
Quest’anime ha adottato tutti gli stilemi narrativi più banali e li ha giocati in modo scoperto o sbagliato (tipo i flashback). Per tutti questi motivi merita un voto basso.
"Fena: Pirate Princess" è un anime che si presta: la locandina graficamente ha appeal ed è giunto alle mie orecchie con tale insistenza che l’ho visto, giusto per capire cosa fosse davvero. La delusione è stata parecchia e i lati positivi non hanno compensato quelli negativi, ma andiamo per gradi.
Giusto un po' di trama…
Fena è una ragazza cresciuta in un bordello, ma, malgrado il luogo oggettivamente e umanamente desolante, è innocente (che strano), allegra, piena di entusiasmo per la vita e senza grossi rimpianti sul suo passato (quando è cresciuta praticamente orfana). Una tale Pollyanna non può di certo esistere, ma invece è così in questa storia. E procedendo nella storia si peggiora, dando a questo personaggetto che dovrebbe essere la protagonista una tinta grigia e slavata.
Un giorno viene scelta per condividere il letto con un tipo viscido e a quel punto i suoi piani di fuga prendono concretezza, grazie all’aiuto di due paladini che vengono dal passato (remoto) e una squadra di tizi orientali, i Goblin (lì come una specie invasiva in questa storia). Comincia il racconto di una ricerca, ma non è chiara una cosa: tutti vanno allo stesso luogo, a cui è affibbiato un nome diverso, cercando cose diverse (e se lo dicono per osmosi).
È la ricerca di un tesoro, che potrà svelare misteri ad esso collegati. Molti gli interessi, molti i pretendenti e in tutta questa storia Fena brillerà per ignoranza, innocenza, inesperienza, imperizia, insipienza.
L’anime lo si perdona i primi episodi, perché prepara le premesse per narrare le vicende successive e quindi non pesano, né le presentazioni dei bei bishioni, né le narrazioni pregresse alla vicenda che danno le coordinate della vicenda. Resta la stranezza dell’atteggiamento di Fena, che, vissuta in un ambiente cinico come quello del bordello, riesce a fidarsi di chicchessia con una serenità d’animo invidiabile. Delle due l’una: o è santa o è stupida.
L’inserimento di parti divertenti e leggere sembra dare la cifra di una narrazione che riesce ad accoppiare con successo riso e tragedia. Tutta illusione, ci sarà da rimpiangere il tempo narrativo perso.
Goblin sì, goblin no
L’inserimento dei goblin è la parte più divertente della trama, infatti questi tizi nipponici poco hanno a che fare con la faccenda, se non che avevano bisogno di recuperare una tal cosa, che ha messo le gambe da sé ed è arrivata proprio all’Eden o El Dorado o vattelapesca e l’unica persona che potenzialmente potrebbe indicare la via è Fena, la cui fiducia nelle sue possibilità è scarsa, le sue motivazioni non sono così determinate e i colpi di fortuna sono troppi. Casi, apparizioni, possessioni, percezioni… con una spiegazione finale che poi analizzeremo senza spoilerare troppo.
Ho inteso che i goblin sono parte della trama, ma non vengono presentati in tutta la loro interezza. La percezione è che si conoscano tra di loro per bene e che mostrino a Fena quella parte superficiale della loro personalità, tanto che, alle loro dimostrazioni plateali di amicizia (quelle di Fena le perdoniamo perché è una povera di spirito) pare difficile, se non impossibile credere. Infatti, se sei cresciuto consapevole che ci vogliono regole ferree (sono o no quasi samurai?), cosa li spinge a rompere un patto antico per salvare una strega? Tanto più che c’era la vaga possibilità che la loro stessa gente non gradirà questa pensata.
La stessa natura della ricerca dei Goblin li spinge ad usare, più che affiancare la povera disgraziata.
Il fatto di presentarli in gruppo ha riempito scene altrimenti vuote, vista la povertà della protagonista e i silenzi della sua spalla, Yukimaru. Capisco io che quest’essere ombroso ha a cuore Fena pur non parlando molto, ma tra lei che volteggia senza troppi tragici pensieri e lui che rompe il suo riserbo solo per dirle… udite, udite… frase originalissima “Io ti proteggerò sempre”, alla lunga trasformano Fena in una pasionaria scadente e lui in un disco rotto buono per i meme.
La vicenda è rabberciata. Le scoperte casuali si accompagnano ad una casuale cura di Fena da parte dei Goblin, che, contrariamente alle intenzioni dichiarate più e più volte, dovrebbero controllarla pure quando gironzola per dei corridoi di pietra, tampinandola stretta, o impedendole di finire in guai grossi, o, almeno, suddividendosi i compiti di babysitteraggio prima di cadere dalle celebri nuvole e salvarla per rotta di collo (del solito salvatore, Yukymaru, ad esempio).
Allegre coincidenze e quell’invadente pilota automatico
Il percorso comincia all’isola dei Goblin, che la accolgono, la rendono edotta di tutta la storia che vogliono farle sapere e che, a forza di sensi di colpa, quasi, la caricano su un sottomarino ipertecnologico e praticamente fuori posto e fuori tempo, Tonnetto, e la spingono a cercare di braccare i suoi ricordi e l’Eden.
Ma l’Eden non lo si raggiunge con tale facilità, prima ci sono indizi da trovare per aiutare Fena ad affinare i suoi ricordi perduti. Che poi non è chiaro quanto ricordi, perché ricordi così poco e cosa esattamente. Non c’è un momento, salvo uno solo che sfocia nel nulla, in cui ‘sta disgraziata dimostri un’emotività appropriata e sveli i patemi legati alla sua crescita così anomala e desolante.
Cosa strana, dato che negli anime nipponici si ricordano vita, morte e miracoli fin dall’asilo e quando si incontrano a scuola hanno memoria di chi, di quando e di come, tanto che a proseguire ‘ste trame ci pensa, udite udite, “l’allievo nuovo che viene da fuori”. Aperta e chiusa questa parentesi, proseguiamo.
L’azione che segue è pesantemente pilotata e quindi spaventosamente prevedibile. Il problema non è tanto o non solo questo, quanto l’infinita confusione che si crea quando ai nipponici salta fuori l’idea di evocare… tenetevi forte, Giovanna d’Arco. Ecco, alziamo gli occhi al cielo. Ed ecco sogni, parole enigmatiche, possessioni subitanee, tombe che appaiono qua e là, accenni alle streghe e tutta la faccenda dell’eden… una via crucis, un minestrone indigeribile, credetemi.
Non ci sono momenti di transizione tra un luogo e l’altro, ci arrivano col teletrasporto, quasi, e se ciò non bastasse espedienti narrativi faciloni scoprono con troppa semplicità meccanismi narrativi insipidi.
Un esempio è l’affidarsi da parte di Fena alle sue percezioni, che una volta può andare, ma che non vengono elaborate in modo cosciente dalla ragazza o discusse con altri, lasciandola in preda ai suoi deliri. Anzi, forse da posseduta è più decisa che mai, ‘sta disgraziata.
Altro esempio, ad un certo punto Fena canticchia qualcosa che pure ballava da bimba sul ponte della nave di papà. Pare che suo padre le avesse dato indicazioni con quel labile motivetto ballabile. Ma se non saltava fuori nulla e non canticchiava casualmente, su quella spiaggetta in compagnia di un personaggio che l’aveva vista ballare all’epoca, la trama non avrebbe proceduto affatto. Senza contare che, se lei usa quest’espediente per arrivare all’Eden, Abel, il villain, ci arriverà guidato dalla… fede, pur avendo le mani grondanti di sangue, però. Ma ci arriveremo.
Fatti umanamente impossibili, come la sopravvivenza d’una cassa d’esplosivo dopo che tutte le altre sono esplose, il salvarsi per il rotto della cuffia da una caverna marina, il raggiungere con una barchetta una grossa nave, le apparizioni perfette del salvatore ingrugnato che ripete all’infinito: “Io ti salverò!” o il provvidenziale aiuto della cavalleria proprio proprio in quell’attimo che… Tutti elementi di una penuria narrativa desolante. I meccanismi narrativi sono troppi scoperti.
Abel e il suo eterno, sospirato: “Helena!”
Sarà l’intercessione di Giovanna d’arco o di qualche demone, ma la nostra Fena uscirà dalle grinfie dei Goblin per finire tra quelle non meno rassicuranti di Abel, il quale ha una fissa mostruosa (alla Fantozzi, tipo) per una donna da lui stesso dipinta, la stupenda madre di Fena, Helena. Le racconta un po' di cose, altre gliele nasconde per bene, la coccola, pur essendo lei prigioniera e lui un tenerissimo carnefice di una persona a lei cara (se le era caro e se è morto davvero, ‘sto tizio), la lascia chiacchierare col suo servetto, che viene pure lui dal bordello. L’unica grande pena di Fena è Yukymaru, gli altri, poracci, non esistono.
Il tenebroso Abel è pure un bel carognone, e infatti a farne le spese saranno delle cattivissime poveracce che avevano solo la colpa di volere come lui un tesoro. Il punto è: a parte che non erano le ultime arrivate e che hanno inseguito (fortunosamente) Fena in un labirinto capace di stranire chiunque, la loro scarsa apparizione come villain(e non erano affatto poche!) è indice di una poca capacità di averle sapute sfruttare.
Anche il nostro Abel è un orso solitario: dei suoi dolori parla solo a se stesso e così abbiamo un flashback lento e molesto del suo amorazzo con Helena e di come è andata a finire, poi, se è finita davvero. Ma ne parleremo poi, di questa coppia d’oro.
I flashback e la mente condivisa
I flashback appaiono qua e là come tafani per raccontare cose che potevano essere dette altrimenti. Solo Fena non merita un flashback, la smemorella.
Questa tecnica narrativa, con l’inserimento di flashback lunghi, spezza la trama in modo pesante, togliendole il ritmo e rivelando, alla fine dei giochi, ben poco. Forse un buon interlocutore poteva dare più credibilità e vitalità ad una narrazione altrimenti auto assertiva. E tutto ciò che emerge è così poco coerente e sfilacciato che bisogna attendere la fine e i dialoghi finali (surreali) per dichiarare d’averci capito almeno un po'.
Altro particolare narrativo per far evolvere una trama lenta è la mente condivisa, ovvero, per spiegare una cosa ci si mettono in due gruppi separati, in luoghi diversi e lontano ed essi si rimpallano la spiegazione, riprendendo dove mille miglia l’altro si è interrotto. Il bello è che Fena, esposta da una teoria (non potendo essere presente contemporaneamente in due luoghi), è così poco coinvolta nella faccenda che l’altra metà della verità non la verrà mai a sapere, se non di striscio con la storiellina stizzosa che Shitan monta. Questo artificio narrativo stravolge pure lo spettatore, che diventa onniscente e pensa che pure i personaggi lo siano, avendo spiegato in contemporanea il loro punto di vista sulle faccende correllate allo sviluppo della narrazione.
Il paradiso all’improvviso: quando la meraviglia ruba le parole
Sciolti i lemmi e i dilemmi, la nostra Fena e i Goblin arrivano al tanto agognato luogo. A parte l’epifania miracolistica del luogo, nessuno è capace di commentare, se non con “Ah” e “oh” di meraviglia almeno la rigogliosa vegetazione o i paesaggi naturali spettacolari dell’isola. Inoltre camminano in lungo e in largo in inquadrature appiccicate l’una all’altra, in una specie di straniante camera degli specchi versione foresta incontaminata. Gradevole l'OST, suggestive le scene, ma pochissimo valorizzate.
Se poi non c’erano i Goblin, la nostra Fena, seppur guidata dal celebre sesto senso del ricordo, manco ci arrivava dove doveva arrivare, avendo il percorso passaggi di difficoltà alta, tra rupi, gradoni e quant’altro. Senza simili accompagnatori (ma la loro utilità è così smaccata da essere troppo lampante e da farli diventare cavalier serventi) la nostra principessa dei pirati manco arrivava all’isola, figurarsi all’Eden.
Anche gli inseguitori (perché servono sempre no?) dimostrano eccellente capacità fisica e di teletrasporto. Ma poi, chi mi dice che avrebbero dovuto fare la stessa strada d’andata di Fena e compagni? Ah, scusate, Abel ha la vocazione all’Eden, dimenticavo.
Lo stesso edificio che ospita l’Eden ha una sua attrattiva particolare, ma a parte le canoniche espressioni di meraviglia, nessuno si degna di azzardare ipotesi di commento. Delle due l’una, o i Goblin sono capre (con tutto il rispetto per questi erbivori) e interessa loro solo una cosa o anche Fena, a parte quest’illuminazione divina che la pervade, non si prende la briga di spiegare dove stanno. Anzi, resta lì, inerme, sempre più laconica, vittima delle circostanze e nulla la salva da una passività che, se si muove o agisce, diventa legata alla necessità di fare da marionetta al caso. Questo l’ho inteso, ma questa principessa dei pirati è poco più che una medium fatua.
L’unico che, grazie all’Eden, si degna di spiegare il perché in quell'edificio c’è ogni ben di Dio, è Abel, che almeno ne sa qualcosa e cerca di contrapporsi all’“Ah” e all’“Oh” dei suoi accompagnatori, salvo poi decidere che quel pubblico non gli era molto utile. La spiegazione mistica e i salvataggi miracolistici dei beni terreni fanno sorridere, ma nell’economia dell’anime si possono tollerare, pur percependo commistioni assai male assortite.
Ognuno col suo tesoro?
Un luccichìo dorato e buonanotte al secchio, i nostri si separano entusiasti, in un orgasmo di voluttà peccaminosa. E se non ci si mette l’oro, è la volta di quella benedetta spada che non è sola, c’è pure una tomba. Ma nessuno si degna di dire nulla o dare voce allo scopritore e prezioso del celebre manufatto. Fa strano che questi tizi giungano all’Eden e presi dal gran luccicare, si scordino della loro missione. Tanto più che ne va della loro vita. E che poi abbandonano i loro compagni dicendo che boh, sta succedendo qualcosa di grave?, ebbene sono capaci si salvarsi da soli. Eccoli qua il cameratismo dei Goblin.
E che si scordino, ancora, di nuovo, colpevolmente, di Fena. Per fortuna c’è Yukymaru, altrimenti era fritta, la nostra eroina. Affascinante è la rivelazione dell’Eden, ma l’artificio narrativo per evocarlo è così balordo, con una lunga scena che si poteva benissimo tagliare… ma Fena almeno è bella e aggraziata, dai, che ci sono ricascati, nel vizio di perdere tempo.
E poi eccoci, al luogo dove dovevano essere. Graficamente si difende benissimo, è semplicemente incantevole e suggestivo, soprattutto per l’arca di chi sapete voi (non Voldemort) là scheletrita.
Figlia di N.N? Utero in affitto? Padre non pervenuto? Colpa di dio.
È quel che vi accade, con spiegazioni finali rushate e facilone, che non lasciano spazio ad un emotività decente. Quello che dovrebbe essere un filino più caloroso, tipo un incontro di famiglia della smemorella coi di lei facilitatori al mondo, diventa una corsa alla spiegazione più astrusa, soprannaturale e banalissima possibile.
Già ci avevano messo la pulce nell’orecchio con Giovanna d’arco, ma ciò che segue è il visto del rivisto di altre serie, con tanto di corni qua e la, una bimba programmata da chi non si sa, genitori che sono esistiti solo nell’atto procreativo e buonanotte al secchio e, stringi stringi, una poveraccia che se ha perso i genitori come li ha persi, deve ringraziare la vita di essere cresciuta serena (!) in un bordello.
Fena è praticamente cresciuta senza figure genitoriali. Non è chiaro quanto ricordi della madre (ne è giustificata, era piccola quando l’ha persa, se non l’ha abbandonata prima), cita suo padre all’inizio ma non ne coltiva ricordi affettuosi. Anzi, non lo chiama nemmeno per nome. Lo stesso rivedere la genitrice non le scatena rivalse, rancori o affetto da figlia, anzi, dice solo “madre” e null’altro.
Lo stesso padre è un tizio troppo enigmatico (se è esistito), la stessa madre è una donna che poi analizzeremo a parte, data la figura meschina che fa in tutta al faccenda.
Se poi tutto è chiaro a Fena, lo spettatore si trova gettato in una macedonia misticheggiante, in un mix inter-religioso. Non è chiaro chi sia sta divinità che ha predisposto tutto, resta il fatto che il tutto pare un’operazione quasi dissacrante, come se, da perfetta ignorante e volendo scrivere una mia storiella fantasy, leggessi con leggerezza un saggio delle divinità villanoviane e creassi una storia pastrocchiata d’amore con quel pelino di mistico che (non) fa tanto male.
Neverending love: se l’amore è (sanguinosa) ossessione
Torniamo ad Abel. Giunge laddove finisce il sentiero dei passi perduti dei predestinati e qui comincia a blaterare la sua verità, diventando brutto e cattivo, dichiarando che ha agito per amore e vendetta e che era geloso fino al midollo. Occhio rosso, spada sguainata, attacca il nostro Yukymaru e lo scontro non lascia illeso nessuno dei due, però sono giovani! E allora è giustificato che non diano peso a tali ferite.
Ma ecco, apparire (non dichiaro in che modalità) Helena, che poi fa un rapido cambio abito-trucco-parrucco, per il pubblico. Dichiarazioni a parte scopriamo che la fedina penale della dolce Helena è sozza. Di principio ha prestato l’utero, frustrando le attenzioni di Abel, poi in punto di morte gli ha chiesto di ritrovarla e il poveraccio, innamorato perso, ha giurato di riuscirci, sacrificando al sua vita e dandole una qualità squallida pur di ritrovarla. Se davvero amava Abel, perché, vistasi costretta a fare le scelte che ha fatto, non lo lasciava libero? Se poi sapeva che stava per morire, perchè fare un invito del genere ad un tizio d’animo fragile e di volontà disperata?
L’egoista di quella donna, comunque, poi, se lo ripiglia, Abel, anche con le mani lorde di sangue. L’uomo ha ammazzato non si sa chi, lasciando una bimba in balìa delle onde (la figlia di Helena), senza scrupoli ha eliminato chiunque si ponesse tra lui e il luogo dove era la sua Helena. Anzi, gli fa i complimenti di essersi impegnato molto e di aver svolto la sua missione. Che bel finale romantico!
Purtroppo che in questo idillio amoroso ha davvero poche parole per la figliola lasciata orfana e concepita per missione. Capiamo la scala di valori di Helena una volta di più.
Un destino di condanna, ma prenderlo felicemente: deus ex eden
Finita la parentesi romantica, ci immergiamo in verità rivelate.
Scopriamo a cosa era destinata Fena e non solo nell’immediato.
Innanzitutto questa povera di spirito dovrà essere giudice delle sorti del mondo, quando è stata un’ameba per tutta la vita e ha dimostrato l’emotività di un sasso al sole, che si scaldava solo se sottoposta a grandi attenzioni. Non ha dimostrato qualità spirituali elevate durante il viaggio e io sarei l’ultima persona al mondo ad affidare ad una tale stupidella le sorti del mondo. Ma il DNA basta, a quanto pare.
La stessa scoperta dei meccanismi legati alla sua nascita non le lascia crisi d’identità (perché non l’ha mai avuta!), rendendo ancora una volta lo spirito edotto della sua tristissima personalità. La poraccia si dichiara libera e consapevole delle sue scelte, quando, chi più, chi meno, è sempre stata forzata e trascinata qua e la, se non da dio, dagli esseri umani. Lo stesso dio della storia ha fatto poco, se voleva tutelarla: se era onnipotente, non poteva affiancarla e custodirla in maniera più efficace di così?
La consolazione è che, alla seconda tribolazione che la aspetta, non sarà sola, ma con Yukymaru, che, manca a dirlo, la proteggerà sempre. Per fortuna, visto che tornerà amemorella (ma per lei non è un problema).
Mi pare un contentino troppo marcato per la missione che ha, tanto più che Yukymaru non è un re di Francia e quindi… diventerà re lui o cornuto tipo Abel?
L’amore parte due, una felice identità girovaga
E la nostra eroina accetta tutto, ma diventa lamentosa. E fa esattamente come mamma.
Dichiara il suo amore a Yukymaru ma già gli dice addio, da vera egoista. Il goblin stracotto di lei (fin dall’infanzia, nientemeno!) promette che la cercherà e allora lei giù a lacrimare su come la sua vita non abbia mai avuto senso (vero!) e lui era l’unico punto di riferimento, la squallida verità messa giù romantica.
Ora, è comprensibile che due persone che si perdono di vista dopo tempo possano rivalutarsi, ma qui non succede: come erano cotti all’epoca, lo sono pure da adulti, dopo anni di lontananza e poco di cui parlare. Più romantico di così si muore, anche se più che altro pare nascere dal senso di colpa mostruoso di lui che si fa rapire il cuore da lei tipo strana sindrome di Stoccolma.
E la loro lovestory è davvero neverending, ma mentre mamma è morta, Fena no e così vediamo un rewind di tutto, fatto alla velocità della luce, con un finale lieto per tutti (una spada ti allunga la vita, tipo) e per la coppietta. E non è chiaro se lei abbia ricordi o meno (come al solito, ma è mai importato?).
Inoltre le pende sulla testa una missione ma non è rilevante per la felicità presente e futura. Chissà se Yulymaru ricorda tutti i discorsi e può spoilerarla… questi anime con una protagonista femminile debole ma imponente levano dalla vista la vita interiore dei loro cavalieri, ridotti a pallidi Romeo.
La stessa trama itinerante non ha dato mai radici a Fena e non gliene darà comunque. Chi vuole un’identità prima cerca un luogo da chiamare casa e poi viaggia. La nostra eroina è felice senza identità e il mondo tutto è d’accordo con lei. Al diavolo, una vita in vacanza per sempre… viaggiando e basta. Evviva la coerenza di quest’anime!
Grafica e suono
L’opening è davvero bella, sia per la qualità delle immagini che del vocale. Bello pieno di gente e di luoghi, pare promettere bene e in un certo senso è parecchio coerente con la trama. In un certo, limitato, senso.
L’ending è davvero stupenda, con questa splendida voce e la parte strumentale che armonizza strumenti musicali quasi inconciliabili.
A livello grafico abbiamo ambientazioni stupende. Valli, caverne, isole, la distesa del mare e poi l’eden, i personaggi hanno un bel chara design, sopratutto le femmine, ma gli occhi sono troppo grandi, i capelli troppo chiari e il naso di Fena è tipo quello di Pinocchio.
Considerazioni finali
Di quest’anime è buona la confezione, il contenuto è tipo il pastrocchio della mamma della belva umana: troppa religione buttata dentro senza avere né arte, né parte del suo vero senso. Una storia d’amore scontata con una tizia svampita e una guardia del corpo poco loquace e monotona nelle espressioni usate.
Un filo narrativo incapace di avere la tensione giusta che butta in fondo spiegazioni megalomani che soffocano la protagonista. Il finale è patetico e incapace di restituire alcunchè.
Quest’anime ha adottato tutti gli stilemi narrativi più banali e li ha giocati in modo scoperto o sbagliato (tipo i flashback). Per tutti questi motivi merita un voto basso.
Non credo ci sia molto da dire su "Fena Pirate Princess".
Ho visto questo anime perchè mi era stato consigliato dopo l'uscita dei primi episodi. Ne capisco il motivo, visto che i primi episodi sono -aimè- anche i più interessanti; col senno di poi, purtroppo, non ne consiglierei a mia volta la visione.
Quando ho visto che era prodotto dallo studio Production I.G. devo ammettere che speravo in qualcosa di meglio, visto che aveva già guardato altre opere, alla fine dei conti sono rimasto deluso. Aspetti episodio dopo episodio che la trama abbia dei risvolti che la rendano più interessante, ma arrivati alla fine si ottengono solo delle back story dei personaggi che paiono poco ragionate, obiettivi (di protagonisti e antagonisti) poco chiari e personaggi secondari che sono alla fine inutili.
Ripeto, è un peccato! Perché la storia parte bene e i personaggi mentre vengono presentati sono interessanti, salvo non evolvere in nessun modo. La protagonista stessa è un esempio perfetto di personaggio con poca caratterizzazione e piatto! Anche se è un anime d'azione/avventura, le scene d'azione davvero belle sono al massimo un paio, mentre la maggior parte dei combattimenti sono poco coinvolgenti e davvero brevi.
Dal punto di vista delle animazioni invece non c'è davvero nulla da dire, sono molto ben fatte.
Comunque non vorrei sembrasse che sia proprio tutto da buttare... La storia di per sé ha del potenziale, se fosse stata sviluppata meglio sarebbe potuto essere un buon anime stagionale. Basta dire che nonostante il finale sia aperto e la storia non sembra arrivata al suo culmine, non mi ha lasciato nessun interesse nel vedere il prosieguo. Purtroppo non trovo validi motivi per dargli la sufficienza. Voto 5.
Ho visto questo anime perchè mi era stato consigliato dopo l'uscita dei primi episodi. Ne capisco il motivo, visto che i primi episodi sono -aimè- anche i più interessanti; col senno di poi, purtroppo, non ne consiglierei a mia volta la visione.
Quando ho visto che era prodotto dallo studio Production I.G. devo ammettere che speravo in qualcosa di meglio, visto che aveva già guardato altre opere, alla fine dei conti sono rimasto deluso. Aspetti episodio dopo episodio che la trama abbia dei risvolti che la rendano più interessante, ma arrivati alla fine si ottengono solo delle back story dei personaggi che paiono poco ragionate, obiettivi (di protagonisti e antagonisti) poco chiari e personaggi secondari che sono alla fine inutili.
Ripeto, è un peccato! Perché la storia parte bene e i personaggi mentre vengono presentati sono interessanti, salvo non evolvere in nessun modo. La protagonista stessa è un esempio perfetto di personaggio con poca caratterizzazione e piatto! Anche se è un anime d'azione/avventura, le scene d'azione davvero belle sono al massimo un paio, mentre la maggior parte dei combattimenti sono poco coinvolgenti e davvero brevi.
Dal punto di vista delle animazioni invece non c'è davvero nulla da dire, sono molto ben fatte.
Comunque non vorrei sembrasse che sia proprio tutto da buttare... La storia di per sé ha del potenziale, se fosse stata sviluppata meglio sarebbe potuto essere un buon anime stagionale. Basta dire che nonostante il finale sia aperto e la storia non sembra arrivata al suo culmine, non mi ha lasciato nessun interesse nel vedere il prosieguo. Purtroppo non trovo validi motivi per dargli la sufficienza. Voto 5.
La Crunchyroll original è stata felice di presentare questa produzione della Production I.G. sulla quale si avrebbe molto da dire e della quale mi limiterò, invece, a dire due parole lasciando ai coraggiosi il compito di guardare questo anime e farsi un idea.
Partito bene, all’inizio era promettente perché sembrava che il regista (e ideatore del soggetto originale) Kazuto Nakazawa si dimostrasse abile e lo studio capace di animare come si deve… ma il prodotto mi è sembrato subito molto commerciale con elementi studiati a tavolino per piacere al grande pubblico. Poi, alla lunga, sono arrivati al pettine due difetti: la protagonista tutto sommato non riesce a diventar simpatica, gli altri personaggi (salvo forse il pazzo Abel) sono piatti e la trama è arrivata ad un punto morto con un finale in cui non ho scorto il senso e comunque l’ultimo episodio era abbastanza noioso.
Purtroppo non bastano dei bei disegni a far dimenticare certe pecche, ripeto nato come un prodotto commerciale di un certo tipo, di quelli studiati con l’idea di piacere al pubblico più vasto alla fine si perde. A qualcuno potrebbe piacere anche con questo finale, un po’ illogico, un po’ malinconico e che finisce negli ultimi minuti come romantico ma per me è stata una perdita di tempo.
Voto? Un cinque non glielo leva nessuno! E se mai ci sarà una seconda serie mi guarderò bene dal vederla...
Partito bene, all’inizio era promettente perché sembrava che il regista (e ideatore del soggetto originale) Kazuto Nakazawa si dimostrasse abile e lo studio capace di animare come si deve… ma il prodotto mi è sembrato subito molto commerciale con elementi studiati a tavolino per piacere al grande pubblico. Poi, alla lunga, sono arrivati al pettine due difetti: la protagonista tutto sommato non riesce a diventar simpatica, gli altri personaggi (salvo forse il pazzo Abel) sono piatti e la trama è arrivata ad un punto morto con un finale in cui non ho scorto il senso e comunque l’ultimo episodio era abbastanza noioso.
Purtroppo non bastano dei bei disegni a far dimenticare certe pecche, ripeto nato come un prodotto commerciale di un certo tipo, di quelli studiati con l’idea di piacere al pubblico più vasto alla fine si perde. A qualcuno potrebbe piacere anche con questo finale, un po’ illogico, un po’ malinconico e che finisce negli ultimi minuti come romantico ma per me è stata una perdita di tempo.
Voto? Un cinque non glielo leva nessuno! E se mai ci sarà una seconda serie mi guarderò bene dal vederla...
Cosa ne resta di "Fena: Pirate Princess"?
Quando racconti una storia, udite udite, devi raccontare una storia.
Sembra che la nostra Fena abbia scordato questo piccolo, ma fondamentale, dettaglio, mettendo sul piatto della bilancia una lista di eventi, una ragazza un po' strana che incontra della gente altrettanto strana, un certo tizio che sembra saperne qualcosa e allora vuole usarla per i suoi scopi, i suoi amici che cercano di farsi ammazzare nel tentativo di proteggerla, e altre cose che succedono perché "durante i film le cose accadono". Ok, questa è una serie, ma il precetto non cambia. Purtroppo sull'altro piatto della bilancia è posato un filo, il cosiddetto filo conduttore che in senso figurato si aggrappa ad ogni singolo evento della lista e fa sì che questi siano regolati e definiti da una sorta di principio di causa-effetto che arricchisce la suddetta storia di un senso logico, una giustificazione del perché le cose accadono, oltre al fatto che nei film le cose accadono, che vabbè quello si sapeva.
Nakazawa ci regala quindi, più che una storia, una lista di cose che accadono. Che per carità, ci può anche stare. Infatti, fino al "gran finale", "Fena: Pirate Princess" tutto sommato regge botta, facendosi forte di personaggi che, seppur si mantengano piatti e superficiali dall'inizio alla fine, si lasciano apprezzare per simpatia e tempi comici e un comparto tecnico che, tra animazioni, character design e audio output ha da dire la sua con una certa prepotenza.
Cosa ne resta quindi? Personaggi simpatici e un comparto tecnico di buon livello. Tantissimi titoli riescono a funzionare benissimo anche quando armati solo di questi due fattori. Ma "Fena: Pirate Princess" non è tra questi. Non è tra questi perché per quanto la banalità sia niente meno che banalità, laddove rimane coerente con sé stessa, tutto sommato il castello di carte riesce comunque a reggersi in piedi. Il problema è, appunto, il "gran finale".
Vuoi raccontare una storia banale? Benissimo, raccontala. Ma "Fena: Pirate Princess" è una storia banale che avrebbe voluto raccontare chissà cosa di profondo e significativo. Come se in un castello di carte tu volessi mettere sulla punta la stanza del re fatta di pietra. Bene, fai questo, e il castello crolla. "Fena: Pirate Princess" è un castello di carte con la cima in pietra che ha fatto crollare tutto il castello. Se la punta fosse stata fatta con due carte, come il resto del castello, questo avrebbe retto.
P.S. la opening è veramente veramente bella, ascoltatela. il resto potete anche skipparlo, non vi mancherà, e voi non mancherete a lui.
Quando racconti una storia, udite udite, devi raccontare una storia.
Sembra che la nostra Fena abbia scordato questo piccolo, ma fondamentale, dettaglio, mettendo sul piatto della bilancia una lista di eventi, una ragazza un po' strana che incontra della gente altrettanto strana, un certo tizio che sembra saperne qualcosa e allora vuole usarla per i suoi scopi, i suoi amici che cercano di farsi ammazzare nel tentativo di proteggerla, e altre cose che succedono perché "durante i film le cose accadono". Ok, questa è una serie, ma il precetto non cambia. Purtroppo sull'altro piatto della bilancia è posato un filo, il cosiddetto filo conduttore che in senso figurato si aggrappa ad ogni singolo evento della lista e fa sì che questi siano regolati e definiti da una sorta di principio di causa-effetto che arricchisce la suddetta storia di un senso logico, una giustificazione del perché le cose accadono, oltre al fatto che nei film le cose accadono, che vabbè quello si sapeva.
Nakazawa ci regala quindi, più che una storia, una lista di cose che accadono. Che per carità, ci può anche stare. Infatti, fino al "gran finale", "Fena: Pirate Princess" tutto sommato regge botta, facendosi forte di personaggi che, seppur si mantengano piatti e superficiali dall'inizio alla fine, si lasciano apprezzare per simpatia e tempi comici e un comparto tecnico che, tra animazioni, character design e audio output ha da dire la sua con una certa prepotenza.
Cosa ne resta quindi? Personaggi simpatici e un comparto tecnico di buon livello. Tantissimi titoli riescono a funzionare benissimo anche quando armati solo di questi due fattori. Ma "Fena: Pirate Princess" non è tra questi. Non è tra questi perché per quanto la banalità sia niente meno che banalità, laddove rimane coerente con sé stessa, tutto sommato il castello di carte riesce comunque a reggersi in piedi. Il problema è, appunto, il "gran finale".
Vuoi raccontare una storia banale? Benissimo, raccontala. Ma "Fena: Pirate Princess" è una storia banale che avrebbe voluto raccontare chissà cosa di profondo e significativo. Come se in un castello di carte tu volessi mettere sulla punta la stanza del re fatta di pietra. Bene, fai questo, e il castello crolla. "Fena: Pirate Princess" è un castello di carte con la cima in pietra che ha fatto crollare tutto il castello. Se la punta fosse stata fatta con due carte, come il resto del castello, questo avrebbe retto.
P.S. la opening è veramente veramente bella, ascoltatela. il resto potete anche skipparlo, non vi mancherà, e voi non mancherete a lui.
"Fena Pirate Princess" è una serie anime originale creata dallo studio Production I.G, studio famoso per produrre anime e film di qualità, aspettativa che non viene delusa neanche questa volta. L'animazione di Fena, infatti, è molto gradevole, soprattutto se paragonata agli anime con scarsissima CGI che vengono prodotti ultimamente.
Le aspettative su questo anime erano molto alte, sia per la trama interessante che per lo sviluppo dei primi episodi, che promettevano una storia ricca di avventure e colpi di scena. Ecco, scordatevi tutte queste premesse perché rimarrete altamente delusi. Questo anime non ha alcuno sviluppo di storia o personaggi, rimane piatto dall'inizio alla fine. La storia qual è? Fena, questa "white marginal", che deve raggiungere un posto chiamato Eden, accompagnata da un gruppo di guerrieri appartenenti ad una tribù chiamata "goblin". Ma a dare la caccia a Fena c'è anche Abel, un principe ossessionato dalla ragazza. Una trama che poteva svilupparsi in modo complesso, cosa difficile da fare in 12 episodi, ma qua non ci hanno neanche provato.
Fena raggiunge l'Eden attraverso una serie di indizi, introdotti come meri espedienti utilizzati un po' come Dante usava lo svenimento quando non sapeva come andare avanti. I personaggi ed il loro background sono il vero punto dolente, infatti, tranne il "cattivo" Abel e il goblin Shitan, nessun altro personaggio viene approfondito, né dal punto di vista della sua storia personale né tanto meno dal punto di vista psicologico, protagonista compresa. I personaggi sono praticamente buttati in scena e abbandonati a se stessi, usati come riempitivi con gag e situazioni divertenti. Ma come dicevo anche la trama fa acqua da tutte le parti, situazioni accennate e presentate come importanti per la storia e poi lasciate morire, come la storia del fratello di Shitan, ma anche la natura stessa di Fena. Dulcis in fundo, la costante sensazione fastidiosa di dejavu: questo anime sembra un misto tra Il mistero della pietra azzurra, Yona e anime simili. Una eventuale seconda stagione non solo non giustificherebbe la totale mancanza di sviluppo di una storia della prima, ma sarebbe inutile a questo fine, visto che la storia presentata era di Fena che doveva arrivare all'Eden e tutto ciò accade effettivamente in 12 episodi, quindi ammesso e non concesso che si farà, sarà una storia a parte. Quindi, nonostante la bella animazione, le belle premesse e qualche personaggio interessante, non mi sento di consigliarla perché manca di qualsiasi tipo di sviluppo e perché praticamente è una serie già vista in mille altri anime.
Le aspettative su questo anime erano molto alte, sia per la trama interessante che per lo sviluppo dei primi episodi, che promettevano una storia ricca di avventure e colpi di scena. Ecco, scordatevi tutte queste premesse perché rimarrete altamente delusi. Questo anime non ha alcuno sviluppo di storia o personaggi, rimane piatto dall'inizio alla fine. La storia qual è? Fena, questa "white marginal", che deve raggiungere un posto chiamato Eden, accompagnata da un gruppo di guerrieri appartenenti ad una tribù chiamata "goblin". Ma a dare la caccia a Fena c'è anche Abel, un principe ossessionato dalla ragazza. Una trama che poteva svilupparsi in modo complesso, cosa difficile da fare in 12 episodi, ma qua non ci hanno neanche provato.
Fena raggiunge l'Eden attraverso una serie di indizi, introdotti come meri espedienti utilizzati un po' come Dante usava lo svenimento quando non sapeva come andare avanti. I personaggi ed il loro background sono il vero punto dolente, infatti, tranne il "cattivo" Abel e il goblin Shitan, nessun altro personaggio viene approfondito, né dal punto di vista della sua storia personale né tanto meno dal punto di vista psicologico, protagonista compresa. I personaggi sono praticamente buttati in scena e abbandonati a se stessi, usati come riempitivi con gag e situazioni divertenti. Ma come dicevo anche la trama fa acqua da tutte le parti, situazioni accennate e presentate come importanti per la storia e poi lasciate morire, come la storia del fratello di Shitan, ma anche la natura stessa di Fena. Dulcis in fundo, la costante sensazione fastidiosa di dejavu: questo anime sembra un misto tra Il mistero della pietra azzurra, Yona e anime simili. Una eventuale seconda stagione non solo non giustificherebbe la totale mancanza di sviluppo di una storia della prima, ma sarebbe inutile a questo fine, visto che la storia presentata era di Fena che doveva arrivare all'Eden e tutto ciò accade effettivamente in 12 episodi, quindi ammesso e non concesso che si farà, sarà una storia a parte. Quindi, nonostante la bella animazione, le belle premesse e qualche personaggio interessante, non mi sento di consigliarla perché manca di qualsiasi tipo di sviluppo e perché praticamente è una serie già vista in mille altri anime.