Green Days
Ma che bello questo "Green Days". Ero già stato piacevolmente colpito da "Mari Iyagi" e ora mi appresto a recuperare anche gli altri lungometraggi che avevo snobbato fino ad ora (un plauso allo staff di AnimeClick per aver inserito queste opere d'arte nel proprio database).
L'animazione coreana si può suddividere in tre ere ben distinte. La prima, capitanata da "Hong Gil Dong" (1967), è stata l'epoca dei pionieri dell'animazione e si evolve con un timido approccio alla collaborazione (che poi si trattava in realtà di mero lavoro in subappalto) con gli studi di Tokyo. Di conseguenza, vengono prodotti diversi titoli che rasentano il plagio di serie televisive prodotte da Toei e Sunrise. La seconda era, sorta in seno all'arrivo delle prime commesse americane sul finire degli anni '70, segna la nascita della rete di service più vasta di tutta l'Asia. E anche qui si segnala la produzione autoctona di numerosi film, ancora una volta copiati dagli arcinoti anime di fantascienza dei 'cugini giapponesi'. Nella terza e ultima era, segnata dal lancio nei cinema di Seul di "Armageddon" (1996), si possono trovare finalmente nuove idee e sopratutto la volontà da parte dei colossi dell'industria cinematografica di finanziare e produrre giovani registi.
"Green Days" appartiene alla terza generazione. All'interno del film il valente Ahn Jae-Hoon tocca tutte le emozioni vissute e ricercate con nostalgia dal pubblico di trentenni e quarantenni cresciuti negli anni ottanta, ma che forse annoierebbero i loro figli (svezzati oggigiorno da smartphone e console che supportano videogiochi ormai alla soglia del fotorealismo). I primi amori estivi dell'adolescenza tanto cari a Mitsuru Adachi, la vita quotidiana resa in maniera quasi poetica da Rumiko Takahashi, il realismo e la malinconia presenti nelle sequenze che mostrano la demolizione dei vecchi quartieri, tipico dei film di Takahata e l'immancabile tocco di quel dolce onirismo che ha reso celebre Miyazaki. Del resto provate a chiedere a un aspirante regista di Seul, Hong Kong o Taipei qual'è il suo film d'animazione preferito. Per la maggioranza dei casi la risposta sarà "Nausicaa della Valle del Vento" (1984). Vero e proprio cult movie nel sud-est asiatico, dove aveva fatto incetta di premi nei maggiori festival. A questo si è aggiunta l'importazione in larga scala di manga, a cui si ricollega la nascita della fiorente industria locale del Manhwa. Dopotutto, è lecito aspettarsi un futuro roseo da tutto questo, sempre che la fredda computer graphic non prenda il sopravvento.
L'animazione coreana si può suddividere in tre ere ben distinte. La prima, capitanata da "Hong Gil Dong" (1967), è stata l'epoca dei pionieri dell'animazione e si evolve con un timido approccio alla collaborazione (che poi si trattava in realtà di mero lavoro in subappalto) con gli studi di Tokyo. Di conseguenza, vengono prodotti diversi titoli che rasentano il plagio di serie televisive prodotte da Toei e Sunrise. La seconda era, sorta in seno all'arrivo delle prime commesse americane sul finire degli anni '70, segna la nascita della rete di service più vasta di tutta l'Asia. E anche qui si segnala la produzione autoctona di numerosi film, ancora una volta copiati dagli arcinoti anime di fantascienza dei 'cugini giapponesi'. Nella terza e ultima era, segnata dal lancio nei cinema di Seul di "Armageddon" (1996), si possono trovare finalmente nuove idee e sopratutto la volontà da parte dei colossi dell'industria cinematografica di finanziare e produrre giovani registi.
"Green Days" appartiene alla terza generazione. All'interno del film il valente Ahn Jae-Hoon tocca tutte le emozioni vissute e ricercate con nostalgia dal pubblico di trentenni e quarantenni cresciuti negli anni ottanta, ma che forse annoierebbero i loro figli (svezzati oggigiorno da smartphone e console che supportano videogiochi ormai alla soglia del fotorealismo). I primi amori estivi dell'adolescenza tanto cari a Mitsuru Adachi, la vita quotidiana resa in maniera quasi poetica da Rumiko Takahashi, il realismo e la malinconia presenti nelle sequenze che mostrano la demolizione dei vecchi quartieri, tipico dei film di Takahata e l'immancabile tocco di quel dolce onirismo che ha reso celebre Miyazaki. Del resto provate a chiedere a un aspirante regista di Seul, Hong Kong o Taipei qual'è il suo film d'animazione preferito. Per la maggioranza dei casi la risposta sarà "Nausicaa della Valle del Vento" (1984). Vero e proprio cult movie nel sud-est asiatico, dove aveva fatto incetta di premi nei maggiori festival. A questo si è aggiunta l'importazione in larga scala di manga, a cui si ricollega la nascita della fiorente industria locale del Manhwa. Dopotutto, è lecito aspettarsi un futuro roseo da tutto questo, sempre che la fredda computer graphic non prenda il sopravvento.