Real Drive Senno Chosashitsu
“Real Drive Senno Chosahitsu” è un anime del 2008 e ha ventisei episodi. Mi piacciono gli anime lunghi, perché non hanno la fretta di quelli da dodici episodi. Inoltre trovare una perla sconosciuta è il mio grande desiderio.
Quest’opera mi ha fatto vedere grandi potenzialità ma profondissimi cali narrativi, con una narrazione che ha tentato di restare sul pezzo, ma che è riuscita a perdersi in un mare, reale e digitale. Fa colpo vedere un anime del passato e trovarvi qualcosa di futuristico o azzeccato, e qui c’è davvero qualche buono spunto di riflessione. Peccato per la mancata coordinazione nel filo narrativo e il finale precipitoso e poco curato.
Ma procediamo con calma.
Un po’ di trama
Cominciamo assistendo a una ricerca: Haru è un giovane sub professionista che s’immerge nell’oceano per approfondire una ricerca promossa e voluta da un amico professore, Kushima. La preoccupazione di entrambi è che le nano-macchine in sviluppo nell’isola vicina abbiano influito sul contesto ambientale, risvegliando una reazione, per il momento debole, da parte della natura. Il loro scopo è comprendere il fenomeno per evitare ripercussioni future pesanti.
Il peggio accade, e Haru finisce col risvegliarsi cinquant’anni dopo, ottantenne e paraplegico. Ormai è diventato un vecchio in una carrozzina ipertecnologica che pesca sul molo, ha pensieri di esilio rispetto il mare che tanto amava, e Kushima, il suo amico di sempre, si sente in colpa per la situazione. Lo stesso Haru non nutre più aspirazioni, ma il destino ha in serbo qualcosa per questo ragazzo imprigionato nel corpo di un vecchio con la flemma e la gentilezza che la maturità gli ha dato.
Kushima lo cerca per fargli una proposta, e Haru si troverà, così, ad avere a che fare con due fratelli, Souta, il poliziotto delle investigazioni elettriche, e Minamo, la sua dolce sorellina dall’entusiasmo candido e dalla determinazione ferrea. Quest’ultima diventerà sua partner nelle immersioni.
Infatti, per un motivo scatenante, Haru scoprirà che è ancora possibile pensare a un futuro, in un altro mare, però, nel Meta-Real Network, ovvero il metal. Non sarà facile, ma riuscirà a nuotare ancora e finirà poi coinvolto nelle storie tragiche, bislacche o estreme, di fenomeni umani nel metal, col compito di salvare anime perse o indagare su fenomeni profondi nell’universo telematico.
Tra Haru e Minamo si crea un rapporto intenso, gentile e profondo, nel quale il punto di vista maturo dell’uomo supporta la crescita della ragazza, mentre dall’altra parte la natura spontanea, gioiosa, mai tragica, di Minamo motiva Haru a non arrendersi, a vedere il bicchiere mezzo pieno, e a volte colmo fino all’orlo. È un’accoppiata perfetta che, davanti a tematiche come l’amore, il futuro, la difficoltà di vivere, il rapporto con una persona laconica di non facile interpretazione, restituisce una comunione possibile di due punti di vista differenti.
Il finale
La delusione del finale è collegata da un fatto che mi ha indisposta: se un anime da dodici episodi finisce di solito con correre negli ultimi, cosa fa fare la stessa ignobile maratona a un anime che di episodi ne ha il doppio?
Ebbene, “Real Drive Senno Chosahitsu” corre molto verso la fine, e non lo si può perdonare. Ci può stare che la situazione abbia seri motivi per aggravarsi e possa portare i protagonisti che prima pensavano e vivevano quasi in slow-motion a correre proprio, ma pesa il forte disequilibrio tra l’ultimo quarto di episodi e il resto. Il rischio, poi, è che, cercando di spiegare tutto, sull’onda di azioni irrefrenabili e in un contesto potenzialmente catastrofico, si va a perdere sia il ritmo narrativo, che la valenza dell’opera.
Non discuto che presentare con tutta calma le situazioni permette di inquadrare la crescita dei personaggi e di focalizzarsi con cura su elementi caratteristici del world building, ma un finale può e deve essere all’altezza e dare spiegazioni e conclusioni non possibilmente scontate.
Invece, dalla perdita di un amico, scaturiscono segreti che portano ansia, mettono in moto meccanismi così precisi, che vanno avanti anche senza lo spettatore, per arrivare a parlare ancora di quello di cui s’era sempre parlato, risultando pesanti, ripetitivi, prevedibili e stranamente ammiccanti (ma senza approfondire, accidenti!).
I temi
Purtroppo questa è solo una parte della storia. Dico purtroppo, perché si ha l’impressione che la trama sia troppo dispersiva e s’infili spesso e volentieri in vicoli ciechi. E se all’inizio sono giustificabili come pretesto per approfondire l’animo dei personaggi e i loro rapporti, poi spezzano l’azione o rompono la tensione narrativa, creando paludi da guadare per raggiungere un terreno narrativo solido.
Da apprezzare sono le tematiche che porta, relative alla gestione di un un’utenza che nel metal investe risorse e fantasie. Dall’uomo che cerca esperienze erotiche estreme nel metal, fino al ragazzo che, per debolezza psicologica, si sentirà alla pari di un quattrozampe, scordandosi che il rapporto umano-cane sarà sempre gerarchico.
Abbiamo una critica al consumismo alimentare, quando in un episodio scopriamo che il cibo naturale è costoso e per il resto è quasi del tutto sintetico. E ci sono utenti che deperiscono in real vivendo di inesistente ma sfizioso cibo digitale. Ricorda la cena metaforica di “7 chili in 7 giorni” di Pozzetto e Verdone, ma è una realtà decisamente più tragica. Emerge, nell’episodio, la tematica grave della dipendenza dalla rete.
Un episodio debole denuncia come il furto pagato di dati personali può generare fantasmi digitali e influenzare i gusti e la personalità dell’utente ignaro. E fa riflettere sul fatto che, or ora, tutti abbiamo identità digitali, perché pubblichiamo ciò che ci interessa, rendendoci tracciabili. Con l’aumento della realtà virtuale che già c’è (tipo il metaverso), chissà che accadrà in futuro.
Viene presentato il tema dell’inclusione, relativo alla possibilità che la tecnologia possa risolvere problemi come la cecità, ma si approfondisce il rapporto tra la disabilità e le sue potenzialità, piuttosto che la normalità e le sue prospettive.
Emerge il tema dell’analogico quando da un libro spunta una lettera d’amore. E l’episodio poi si concentrerà su come è cambiata la comunicazione, sul filo di sentimenti che non svaniscono tanto facilmente e che rimangono su un supporto cartaceo per trovare il loro destinatario... anche dopo cinquant’anni.
Altro tema: quello dei maestri e dei loro emulatori, ma sempre legato alla capacità umana di produrre emozioni. C’è chi nella musica infonde l’anima, cercando di imitare un modello, ma non sempre esso sarà come lo si pensa. Il rapporto tra il violinista e Kushima è mediato dal pacato Haru e dalla dolcissima Minamo, in una doppia lettura (apparentemente antitetica) del tempo trascorso e del tempo futuro.
I temi legati alle relazioni umane “classiche”, amore e famiglia, hanno il loro spazio.
La famiglia è un elemento che emerge quasi superficiale, poi si prende un intero soporifero episodio, ma comunque ha il suo perché: sia per l’economia della narrazione che necessitava di figure vicine che si relazionassero, che per il supporto morale, alimentare, materiale, umano, che questo nucleo garantisce anche in un’epoca ipertecnologica. E allora abbiamo genitori che lavorano come dannati, con grandi impegni lavorativi, fratelli che si supportano e sopportano, la nonna (che in passato spasimava per Haru), a ricordare che, anche quando ci sono tecnologie più che evolute, il contatto umano è quello che più restituisce.
C’è anche qualche storia d’amore, a volte passionale, a volte timida o impossibile, a momenti tenera, per poi sfociare nel tragico. Non è mai nulla di troppo invadente, ma il guaio è che a volte non è approfondito, a volte rende troppo poco rispetto al tempo speso a parlarne, infine è solo un amo(re) per poveri spettatori stolti in cerca di romanticismo impossibile.
L’intelligenza artificiale è un elemento che non poteva mancare. Far riferimento alle I.A. intelligenti che si rapportano con curiosità all’uomo, o che abbiano quella capacità di creare legami emotivi, è un grande tema che a tutt’oggi fa interrogare chi si occupa di robotica: stiamo sviluppando tecnologie con capacità e potenzialità superiori a quelle della mente umana e un giorno ci conviveremo senz’altro (in parte lo stiamo già facendo). Il mondo degli androidi, ad oggi, è immenso: da quelli da lavoro, a quelli da compagnia.
Il mondo in cui vivono i personaggi prevede che la maggior parte di loro sia proprietaria di un cervello cibernetico, fin da prima che inizino la scuola. Agli adulti è necessario per lavorare in un mondo digitale, ma non tutti sono adatti per simile impianto. La metafora della sirenetta, che voleva vivere in mare, ma non sapeva più come tornarci, e il dialogo sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente, di reciproco modificarsi, sono parti di un dialogo davvero pregevole da approfondire.
Ultimo grande argomento, immancabile, è quello del cambiamento climatico: come è possibile che la tecnologia incida sull’ambiente? Quali sono le tempistiche e gli effetti? Come reagisce la natura a questo confronto? È un tema che emerge in sordina, con il discorso dei delfini e delle specie ormai visibili solo come ologramma, che poi si intensifica nel momento in cui c’è la possibilità di agire a livello meteorologico sull’ambiente. Immagino che dovesse essere l’argomento portante, lo si è percepito, ma pareva di vedere quei film del “Ciclo Vertigo” che facevano su Italia 1 parecchi anni fa, belli catastrofici ma (troppo) prevedibili.
I personaggi
Devo riconoscere che, nell’economia del racconto, i personaggi emergono, si sviluppano e crescono. Ciascuno ha il suo spazio, si parla molto, forse troppo, ma questo aiuta a inquadrare le loro motivazioni e la possibilità che un dialogo aiuti a manifestarle e a cambiarle.
I personaggi di “Real Drive Senno Chosahitsu” sono vivi e vividi, ben interconnessi tra di loro ed emotivamente ben curati.
Comincerei da Haru, che tecnicamente dovrebbe essere il protagonista, ma come Guin di “Guin Saga” rischia spesso di finire schiacciato sullo sfondo e di fare la parte del Grande Puffo, fino ad almeno più di metà storia.
Il suo fare affabile, la sua voglia di riscatto, il suo essere così giovane imprigionato in un corpo anziano lo rendono forte, gentile, indimenticabile. Il doppiatore ha fatto un ottimo lavoro con la voce di Haru.
Mi sono molto piaciuti i suoi discorsi con Minamo, nei quali la sua maturità e la sua fatalità si incontrano e scontrano con l’innocenza e la voglia di credere nel futuro di Ai, generando significati e motivazioni, che aiutano entrambi a crescere.
Ho trovato quasi miracolosa la sua ripresa finale, ma negli anime tutto è possibile e la giustificazione è che lui non fosse così offeso come pareva.
Minamo è la seconda protagonista della vicenda. Fisicamente, come tutte le rappresentanti femminili dell’anime, è ben tornita, e ciò la rende davvero carina, sia in costume che in pantaloncini. A livello emotivo viene da una famiglia molto “analogica”. È l’unica ad essere così genuina, da non avere un cervello cibernetico, e questo la porta a comunicare con più emotività, trasporto e meno trasmissione di informazioni di servizio, con gli altri. Anzi, il fatto di essere tagliata fuori, in un certo senso, da un imperante flusso di dati, la rende curiosa, capace, come una novella Socrate, di fare domande apparentemente innocenti, a cui, però, servono molte parole, e ben ponderate, per rispondere.
Ha un forte legame con la nonna, mentre i genitori, separati, li vede poco, perché lavorano molto. Il fratello si prende molto cura di lei, ma non la vede come una ragazza che sta crescendo. L’anima candida e curiosa della ragazza la spinge a fare domande dove un adulto si fermerebbe per pudore o imbarazzo, e le fa fare la parte della crocerossina dei casi disperati, portando con assoluto candore il suo credo: il tempo non è mai sprecato, perché l’importante è il valore che daremo a quello che viene. Il suo prodigarsi con un tipo ermetico come Kushima è tutto dire. Discutibile è il suo trasporto per un personaggio, che si concretizza in un episodio dalla regia inguardabile, ma il paragone che il personaggio stesso fa di lei, di un delfino che l’ha spinto a riprendere il mare con fiducia, è più che meritato. Divertentissimo è il suo celeberrimo rifiuto per i peperoni verdi.
Souta, fratello di Minamo, è un ragazzo determinato dallo spirito combattente. Pratica la lotta, sport utile nel suo lavoro, ma negletto se si considera i corpi bionici dei più-che-ottuagenari che girano per l’isola. Arriva a conoscere, a livello agonistico, se così si può dire, Horon, un’androide disegnata sulle fattezze di una celebre donna di potere dell’isola, che è, stranamente, pensiero erotico fisso quasi universale e che lui ben conosce. Souta è un adulto complesso, che, tra lavoro e amore, finisce col dimenticare la famiglia, se non fosse per la sua sorellina. La sua ricerca di un amore particolarmente impossibile aiuta a riflettere sul binomio amore fisico-amore spirituale.
Horon è un’androide predisposta ad essere la guardia del corpo di Haru. E la sua figura aiuta a rispondere a una domanda: se la macchina ha contaminato l’uomo, può essere che l’umanità “contagi” un sistema cibernetico? La sua indole posata, gentile e a tratti umana colpirà per il suo sviluppo. Confesso che a volte alzavo un sopracciglio, ma alla fine Horon emerge come un personaggio positivo e non finto.
Tra i personaggi più presenti, che operano in sordina, ma chiudono il cerchio, c’è Kushima. Lo vediamo all’inizio pimpante trentenne, lo vedremo sempre giovane, perché ha un corpo cibernetico nel quale, per sconfiggere gli acciacchi dell’età, ha impiantato il suo cervello elettronico. È molto legato ad Haru e, oltre che a coltivare un senso di colpa per quello che gli è accaduto, ha verso di lui un’amicizia che permette loro di parlare del passato, del presente e del futuro. Lo scopo comune li tiene assieme e li porterà a una grandissima sfida, durante la quale riusciranno a dirsi quello che finalmente cercavano da tempo: la verità su un mistero nascosto nel metal. E forse ci sarà ancora da raccontarsi. Saranno momenti in cui un personaggio che è emerso brillantemente ma senza continuità svelerà con chiarezza chi è. Kushima è un’ecologista battagliero: comincerà da giovane ricercatore a indagare il rapporto tra natura e apporto tecnologico dell’uomo, terminerà l’anime che ne parlerà ancora, con la voce piena e convinta, pacata e carica di attenzione, verso Madre Natura.
Altri personaggi di contorno si fanno ben sentire: da una parte ci sono le due amiche di Minamo, con le quali condivide avventure e crucci davanti a deliziosissimi dessert (dalla grafica più che golosa) al bar; ci sono i due gestori del locale, anche essi diver del metal. C’è la principessa dell’isola, la cui storia, i cui dubbi, le cui decisioni emergeranno benissimo.
Un commento a parte lo merita Jenny Yen. Lui è uno di quei villain che portano avanti la loro causa con fredda convinzione. Ora, tutti gli antagonisti lo fanno, però mi sento di citarlo così, perché quest’anime ha meno interesse a sviluppare una trama e si disperde tra i personaggi, col risultato che il villain pare sprecato.
Jenny risulta un personaggio minore, ma funziona: lui crede nelle particelle meteorologiche, desidera, con esse, alterare il tempo atmosferico (mi ricorda qualcosa, andate a vedervi le weather machine), per preservare la qualità di vita delle persone che vivono nell’isola. E il suo pareva un progetto condivisibile con Kushina. Pareva, dico.
Quest’uomo si farà paladino delle tecnologie, fino alla tragica evidenza. La sua figura fa riflettere sull’oggi così spinto a un’innovazione robotica e sulle persone che portano avanti progetti altamente tecnologici, che fanno e faranno sì un gran bene a qualche parte dell’umanità, ma resta un grosso dubbio sulla ricaduta che avranno in un futuro che non aspetta molti anni ad arrivare.
Ci basti pensare allo sviluppo tecnologico degli ultimi anni, ai cellulari diventati smarthphone, con applicazioni che all’epoca ci sognavamo (ma di cui forse non avevamo reale bisogno), che ci invecchiano nelle tasche, al vintage (oggetto di soli vent’anni fa)... il futuro è vicino, vicinissimo.
Grafica
Il chara design è gradevolissimo: le figure femminili sono formose, tornite e belle in carne, fatto raro in vagonate e vagonate di anime in cui sono in piedi su due stecchini, o al massimo di grande hanno solo il petto.
I maschi sono tutti atletici, ma di viso risultano molto schematici e poco curati.
Gli sfondi sono davvero molto curati, dagli interni dei vari locali, fino agli spazi aperti tra oceano, terra e cieli (azzurri, nuvolosi, stellati). Una nota di merito va al disegno dei cibi, curatissimo.
Soundtrack
A livello di sonoro c’è una contaminazione di suoni, che passa da quelli della musica classica, a quelli più sintetici, e riesce a far emergere bene le circostanze emotive delle vicende.
L’opening è di un fantastico gruppo rock giapponese, mentre l’ending alternative rock è orecchiabile.
Conclusioni
Sono partita cercando di essere il quanto più possibile giusta con quest’anime, e scopro di non aver accennato che a pochi lati negativi dello stesso. Il problema è che, per me, è bastata la trama basata non tanto sull’evoluzione di una situazione, quanto sui personaggi, a destabilizzarmi e darmi noia. Non ho potuto non apprezzare gli elementi sopra scritti, ma a livello narrativo ho percepito vere e proprie difficoltà a volerlo finire, sentendomi vittima del ricatto di filler a volte debolissimi. Inoltre, l’incapacità dell’anime di dare informazioni in modo chiaro, quando servono, mi ha messa più volte, fastidiosamente, in difficoltà, non facendomi entrare come si deve nel concetto di mondo presentato. La percezione di un tempo narrativo in parte incoerente, prima lento, poi rapido, poi di nuovo slegato lento, per terminare di corsa, mi ha demoralizzata molto.
Per tutti questi motivi, fatti salvi i lati positivi che sono innegabili, per me è da 7. Ci ha provato, ma non ci ha creduto abbastanza.
Quest’opera mi ha fatto vedere grandi potenzialità ma profondissimi cali narrativi, con una narrazione che ha tentato di restare sul pezzo, ma che è riuscita a perdersi in un mare, reale e digitale. Fa colpo vedere un anime del passato e trovarvi qualcosa di futuristico o azzeccato, e qui c’è davvero qualche buono spunto di riflessione. Peccato per la mancata coordinazione nel filo narrativo e il finale precipitoso e poco curato.
Ma procediamo con calma.
Un po’ di trama
Cominciamo assistendo a una ricerca: Haru è un giovane sub professionista che s’immerge nell’oceano per approfondire una ricerca promossa e voluta da un amico professore, Kushima. La preoccupazione di entrambi è che le nano-macchine in sviluppo nell’isola vicina abbiano influito sul contesto ambientale, risvegliando una reazione, per il momento debole, da parte della natura. Il loro scopo è comprendere il fenomeno per evitare ripercussioni future pesanti.
Il peggio accade, e Haru finisce col risvegliarsi cinquant’anni dopo, ottantenne e paraplegico. Ormai è diventato un vecchio in una carrozzina ipertecnologica che pesca sul molo, ha pensieri di esilio rispetto il mare che tanto amava, e Kushima, il suo amico di sempre, si sente in colpa per la situazione. Lo stesso Haru non nutre più aspirazioni, ma il destino ha in serbo qualcosa per questo ragazzo imprigionato nel corpo di un vecchio con la flemma e la gentilezza che la maturità gli ha dato.
Kushima lo cerca per fargli una proposta, e Haru si troverà, così, ad avere a che fare con due fratelli, Souta, il poliziotto delle investigazioni elettriche, e Minamo, la sua dolce sorellina dall’entusiasmo candido e dalla determinazione ferrea. Quest’ultima diventerà sua partner nelle immersioni.
Infatti, per un motivo scatenante, Haru scoprirà che è ancora possibile pensare a un futuro, in un altro mare, però, nel Meta-Real Network, ovvero il metal. Non sarà facile, ma riuscirà a nuotare ancora e finirà poi coinvolto nelle storie tragiche, bislacche o estreme, di fenomeni umani nel metal, col compito di salvare anime perse o indagare su fenomeni profondi nell’universo telematico.
Tra Haru e Minamo si crea un rapporto intenso, gentile e profondo, nel quale il punto di vista maturo dell’uomo supporta la crescita della ragazza, mentre dall’altra parte la natura spontanea, gioiosa, mai tragica, di Minamo motiva Haru a non arrendersi, a vedere il bicchiere mezzo pieno, e a volte colmo fino all’orlo. È un’accoppiata perfetta che, davanti a tematiche come l’amore, il futuro, la difficoltà di vivere, il rapporto con una persona laconica di non facile interpretazione, restituisce una comunione possibile di due punti di vista differenti.
Il finale
La delusione del finale è collegata da un fatto che mi ha indisposta: se un anime da dodici episodi finisce di solito con correre negli ultimi, cosa fa fare la stessa ignobile maratona a un anime che di episodi ne ha il doppio?
Ebbene, “Real Drive Senno Chosahitsu” corre molto verso la fine, e non lo si può perdonare. Ci può stare che la situazione abbia seri motivi per aggravarsi e possa portare i protagonisti che prima pensavano e vivevano quasi in slow-motion a correre proprio, ma pesa il forte disequilibrio tra l’ultimo quarto di episodi e il resto. Il rischio, poi, è che, cercando di spiegare tutto, sull’onda di azioni irrefrenabili e in un contesto potenzialmente catastrofico, si va a perdere sia il ritmo narrativo, che la valenza dell’opera.
Non discuto che presentare con tutta calma le situazioni permette di inquadrare la crescita dei personaggi e di focalizzarsi con cura su elementi caratteristici del world building, ma un finale può e deve essere all’altezza e dare spiegazioni e conclusioni non possibilmente scontate.
Invece, dalla perdita di un amico, scaturiscono segreti che portano ansia, mettono in moto meccanismi così precisi, che vanno avanti anche senza lo spettatore, per arrivare a parlare ancora di quello di cui s’era sempre parlato, risultando pesanti, ripetitivi, prevedibili e stranamente ammiccanti (ma senza approfondire, accidenti!).
I temi
Purtroppo questa è solo una parte della storia. Dico purtroppo, perché si ha l’impressione che la trama sia troppo dispersiva e s’infili spesso e volentieri in vicoli ciechi. E se all’inizio sono giustificabili come pretesto per approfondire l’animo dei personaggi e i loro rapporti, poi spezzano l’azione o rompono la tensione narrativa, creando paludi da guadare per raggiungere un terreno narrativo solido.
Da apprezzare sono le tematiche che porta, relative alla gestione di un un’utenza che nel metal investe risorse e fantasie. Dall’uomo che cerca esperienze erotiche estreme nel metal, fino al ragazzo che, per debolezza psicologica, si sentirà alla pari di un quattrozampe, scordandosi che il rapporto umano-cane sarà sempre gerarchico.
Abbiamo una critica al consumismo alimentare, quando in un episodio scopriamo che il cibo naturale è costoso e per il resto è quasi del tutto sintetico. E ci sono utenti che deperiscono in real vivendo di inesistente ma sfizioso cibo digitale. Ricorda la cena metaforica di “7 chili in 7 giorni” di Pozzetto e Verdone, ma è una realtà decisamente più tragica. Emerge, nell’episodio, la tematica grave della dipendenza dalla rete.
Un episodio debole denuncia come il furto pagato di dati personali può generare fantasmi digitali e influenzare i gusti e la personalità dell’utente ignaro. E fa riflettere sul fatto che, or ora, tutti abbiamo identità digitali, perché pubblichiamo ciò che ci interessa, rendendoci tracciabili. Con l’aumento della realtà virtuale che già c’è (tipo il metaverso), chissà che accadrà in futuro.
Viene presentato il tema dell’inclusione, relativo alla possibilità che la tecnologia possa risolvere problemi come la cecità, ma si approfondisce il rapporto tra la disabilità e le sue potenzialità, piuttosto che la normalità e le sue prospettive.
Emerge il tema dell’analogico quando da un libro spunta una lettera d’amore. E l’episodio poi si concentrerà su come è cambiata la comunicazione, sul filo di sentimenti che non svaniscono tanto facilmente e che rimangono su un supporto cartaceo per trovare il loro destinatario... anche dopo cinquant’anni.
Altro tema: quello dei maestri e dei loro emulatori, ma sempre legato alla capacità umana di produrre emozioni. C’è chi nella musica infonde l’anima, cercando di imitare un modello, ma non sempre esso sarà come lo si pensa. Il rapporto tra il violinista e Kushima è mediato dal pacato Haru e dalla dolcissima Minamo, in una doppia lettura (apparentemente antitetica) del tempo trascorso e del tempo futuro.
I temi legati alle relazioni umane “classiche”, amore e famiglia, hanno il loro spazio.
La famiglia è un elemento che emerge quasi superficiale, poi si prende un intero soporifero episodio, ma comunque ha il suo perché: sia per l’economia della narrazione che necessitava di figure vicine che si relazionassero, che per il supporto morale, alimentare, materiale, umano, che questo nucleo garantisce anche in un’epoca ipertecnologica. E allora abbiamo genitori che lavorano come dannati, con grandi impegni lavorativi, fratelli che si supportano e sopportano, la nonna (che in passato spasimava per Haru), a ricordare che, anche quando ci sono tecnologie più che evolute, il contatto umano è quello che più restituisce.
C’è anche qualche storia d’amore, a volte passionale, a volte timida o impossibile, a momenti tenera, per poi sfociare nel tragico. Non è mai nulla di troppo invadente, ma il guaio è che a volte non è approfondito, a volte rende troppo poco rispetto al tempo speso a parlarne, infine è solo un amo(re) per poveri spettatori stolti in cerca di romanticismo impossibile.
L’intelligenza artificiale è un elemento che non poteva mancare. Far riferimento alle I.A. intelligenti che si rapportano con curiosità all’uomo, o che abbiano quella capacità di creare legami emotivi, è un grande tema che a tutt’oggi fa interrogare chi si occupa di robotica: stiamo sviluppando tecnologie con capacità e potenzialità superiori a quelle della mente umana e un giorno ci conviveremo senz’altro (in parte lo stiamo già facendo). Il mondo degli androidi, ad oggi, è immenso: da quelli da lavoro, a quelli da compagnia.
Il mondo in cui vivono i personaggi prevede che la maggior parte di loro sia proprietaria di un cervello cibernetico, fin da prima che inizino la scuola. Agli adulti è necessario per lavorare in un mondo digitale, ma non tutti sono adatti per simile impianto. La metafora della sirenetta, che voleva vivere in mare, ma non sapeva più come tornarci, e il dialogo sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente, di reciproco modificarsi, sono parti di un dialogo davvero pregevole da approfondire.
Ultimo grande argomento, immancabile, è quello del cambiamento climatico: come è possibile che la tecnologia incida sull’ambiente? Quali sono le tempistiche e gli effetti? Come reagisce la natura a questo confronto? È un tema che emerge in sordina, con il discorso dei delfini e delle specie ormai visibili solo come ologramma, che poi si intensifica nel momento in cui c’è la possibilità di agire a livello meteorologico sull’ambiente. Immagino che dovesse essere l’argomento portante, lo si è percepito, ma pareva di vedere quei film del “Ciclo Vertigo” che facevano su Italia 1 parecchi anni fa, belli catastrofici ma (troppo) prevedibili.
I personaggi
Devo riconoscere che, nell’economia del racconto, i personaggi emergono, si sviluppano e crescono. Ciascuno ha il suo spazio, si parla molto, forse troppo, ma questo aiuta a inquadrare le loro motivazioni e la possibilità che un dialogo aiuti a manifestarle e a cambiarle.
I personaggi di “Real Drive Senno Chosahitsu” sono vivi e vividi, ben interconnessi tra di loro ed emotivamente ben curati.
Comincerei da Haru, che tecnicamente dovrebbe essere il protagonista, ma come Guin di “Guin Saga” rischia spesso di finire schiacciato sullo sfondo e di fare la parte del Grande Puffo, fino ad almeno più di metà storia.
Il suo fare affabile, la sua voglia di riscatto, il suo essere così giovane imprigionato in un corpo anziano lo rendono forte, gentile, indimenticabile. Il doppiatore ha fatto un ottimo lavoro con la voce di Haru.
Mi sono molto piaciuti i suoi discorsi con Minamo, nei quali la sua maturità e la sua fatalità si incontrano e scontrano con l’innocenza e la voglia di credere nel futuro di Ai, generando significati e motivazioni, che aiutano entrambi a crescere.
Ho trovato quasi miracolosa la sua ripresa finale, ma negli anime tutto è possibile e la giustificazione è che lui non fosse così offeso come pareva.
Minamo è la seconda protagonista della vicenda. Fisicamente, come tutte le rappresentanti femminili dell’anime, è ben tornita, e ciò la rende davvero carina, sia in costume che in pantaloncini. A livello emotivo viene da una famiglia molto “analogica”. È l’unica ad essere così genuina, da non avere un cervello cibernetico, e questo la porta a comunicare con più emotività, trasporto e meno trasmissione di informazioni di servizio, con gli altri. Anzi, il fatto di essere tagliata fuori, in un certo senso, da un imperante flusso di dati, la rende curiosa, capace, come una novella Socrate, di fare domande apparentemente innocenti, a cui, però, servono molte parole, e ben ponderate, per rispondere.
Ha un forte legame con la nonna, mentre i genitori, separati, li vede poco, perché lavorano molto. Il fratello si prende molto cura di lei, ma non la vede come una ragazza che sta crescendo. L’anima candida e curiosa della ragazza la spinge a fare domande dove un adulto si fermerebbe per pudore o imbarazzo, e le fa fare la parte della crocerossina dei casi disperati, portando con assoluto candore il suo credo: il tempo non è mai sprecato, perché l’importante è il valore che daremo a quello che viene. Il suo prodigarsi con un tipo ermetico come Kushima è tutto dire. Discutibile è il suo trasporto per un personaggio, che si concretizza in un episodio dalla regia inguardabile, ma il paragone che il personaggio stesso fa di lei, di un delfino che l’ha spinto a riprendere il mare con fiducia, è più che meritato. Divertentissimo è il suo celeberrimo rifiuto per i peperoni verdi.
Souta, fratello di Minamo, è un ragazzo determinato dallo spirito combattente. Pratica la lotta, sport utile nel suo lavoro, ma negletto se si considera i corpi bionici dei più-che-ottuagenari che girano per l’isola. Arriva a conoscere, a livello agonistico, se così si può dire, Horon, un’androide disegnata sulle fattezze di una celebre donna di potere dell’isola, che è, stranamente, pensiero erotico fisso quasi universale e che lui ben conosce. Souta è un adulto complesso, che, tra lavoro e amore, finisce col dimenticare la famiglia, se non fosse per la sua sorellina. La sua ricerca di un amore particolarmente impossibile aiuta a riflettere sul binomio amore fisico-amore spirituale.
Horon è un’androide predisposta ad essere la guardia del corpo di Haru. E la sua figura aiuta a rispondere a una domanda: se la macchina ha contaminato l’uomo, può essere che l’umanità “contagi” un sistema cibernetico? La sua indole posata, gentile e a tratti umana colpirà per il suo sviluppo. Confesso che a volte alzavo un sopracciglio, ma alla fine Horon emerge come un personaggio positivo e non finto.
Tra i personaggi più presenti, che operano in sordina, ma chiudono il cerchio, c’è Kushima. Lo vediamo all’inizio pimpante trentenne, lo vedremo sempre giovane, perché ha un corpo cibernetico nel quale, per sconfiggere gli acciacchi dell’età, ha impiantato il suo cervello elettronico. È molto legato ad Haru e, oltre che a coltivare un senso di colpa per quello che gli è accaduto, ha verso di lui un’amicizia che permette loro di parlare del passato, del presente e del futuro. Lo scopo comune li tiene assieme e li porterà a una grandissima sfida, durante la quale riusciranno a dirsi quello che finalmente cercavano da tempo: la verità su un mistero nascosto nel metal. E forse ci sarà ancora da raccontarsi. Saranno momenti in cui un personaggio che è emerso brillantemente ma senza continuità svelerà con chiarezza chi è. Kushima è un’ecologista battagliero: comincerà da giovane ricercatore a indagare il rapporto tra natura e apporto tecnologico dell’uomo, terminerà l’anime che ne parlerà ancora, con la voce piena e convinta, pacata e carica di attenzione, verso Madre Natura.
Altri personaggi di contorno si fanno ben sentire: da una parte ci sono le due amiche di Minamo, con le quali condivide avventure e crucci davanti a deliziosissimi dessert (dalla grafica più che golosa) al bar; ci sono i due gestori del locale, anche essi diver del metal. C’è la principessa dell’isola, la cui storia, i cui dubbi, le cui decisioni emergeranno benissimo.
Un commento a parte lo merita Jenny Yen. Lui è uno di quei villain che portano avanti la loro causa con fredda convinzione. Ora, tutti gli antagonisti lo fanno, però mi sento di citarlo così, perché quest’anime ha meno interesse a sviluppare una trama e si disperde tra i personaggi, col risultato che il villain pare sprecato.
Jenny risulta un personaggio minore, ma funziona: lui crede nelle particelle meteorologiche, desidera, con esse, alterare il tempo atmosferico (mi ricorda qualcosa, andate a vedervi le weather machine), per preservare la qualità di vita delle persone che vivono nell’isola. E il suo pareva un progetto condivisibile con Kushina. Pareva, dico.
Quest’uomo si farà paladino delle tecnologie, fino alla tragica evidenza. La sua figura fa riflettere sull’oggi così spinto a un’innovazione robotica e sulle persone che portano avanti progetti altamente tecnologici, che fanno e faranno sì un gran bene a qualche parte dell’umanità, ma resta un grosso dubbio sulla ricaduta che avranno in un futuro che non aspetta molti anni ad arrivare.
Ci basti pensare allo sviluppo tecnologico degli ultimi anni, ai cellulari diventati smarthphone, con applicazioni che all’epoca ci sognavamo (ma di cui forse non avevamo reale bisogno), che ci invecchiano nelle tasche, al vintage (oggetto di soli vent’anni fa)... il futuro è vicino, vicinissimo.
Grafica
Il chara design è gradevolissimo: le figure femminili sono formose, tornite e belle in carne, fatto raro in vagonate e vagonate di anime in cui sono in piedi su due stecchini, o al massimo di grande hanno solo il petto.
I maschi sono tutti atletici, ma di viso risultano molto schematici e poco curati.
Gli sfondi sono davvero molto curati, dagli interni dei vari locali, fino agli spazi aperti tra oceano, terra e cieli (azzurri, nuvolosi, stellati). Una nota di merito va al disegno dei cibi, curatissimo.
Soundtrack
A livello di sonoro c’è una contaminazione di suoni, che passa da quelli della musica classica, a quelli più sintetici, e riesce a far emergere bene le circostanze emotive delle vicende.
L’opening è di un fantastico gruppo rock giapponese, mentre l’ending alternative rock è orecchiabile.
Conclusioni
Sono partita cercando di essere il quanto più possibile giusta con quest’anime, e scopro di non aver accennato che a pochi lati negativi dello stesso. Il problema è che, per me, è bastata la trama basata non tanto sull’evoluzione di una situazione, quanto sui personaggi, a destabilizzarmi e darmi noia. Non ho potuto non apprezzare gli elementi sopra scritti, ma a livello narrativo ho percepito vere e proprie difficoltà a volerlo finire, sentendomi vittima del ricatto di filler a volte debolissimi. Inoltre, l’incapacità dell’anime di dare informazioni in modo chiaro, quando servono, mi ha messa più volte, fastidiosamente, in difficoltà, non facendomi entrare come si deve nel concetto di mondo presentato. La percezione di un tempo narrativo in parte incoerente, prima lento, poi rapido, poi di nuovo slegato lento, per terminare di corsa, mi ha demoralizzata molto.
Per tutti questi motivi, fatti salvi i lati positivi che sono innegabili, per me è da 7. Ci ha provato, ma non ci ha creduto abbastanza.
Capolavoro mancato per questo "Real Drive Senno Chosashitsu"; è incredibile come gli sceneggiatori abbiano saputo dare profondità e spessore all'ambientazione e una visione del futuro così affascinante, per poi narrare una storia che a tratti è leggera e priva di mordente. Forse l'obiettivo non era dei più facili: coniugare una storia di ricercatori in un'isola artificiale, in cui viene presentato un visionario e tutto sommato "possibile" futuro con una storia che avesse un capo e una coda senza essere un nuovo "Ghost in the shell".
Troviamo così all'interno dei 26 episodi sia momenti leggeri in cui viene delineato il mondo sia momenti d'azione purtroppo slegati tra loro. Il filo conduttore c'è, ma ogni tanto si perde tra i vari filler e per molti episodi non si capisce quale sia lo scopo di tutta la storia, salvo poi emergere negli ultimi episodi.
Tra i filler quello che mi è piaciuto di più è stato l'episodio sui "cani da compagnia" con il cyber brain. Beh, ho pensato, di sicuro se un giorno ci sarà un cyber-cervello, vi saranno pure le industrie che lo applicheranno ai cagnolini per i cinofili. Assolutamente geniale!
Il protagonista della serie è quantomai affascinante; non è il classico ragazzo avventato, duro, scavezzacollo e udite udite, non maneggia katane né lancia onde di energia, non evoca demoni, non ha un super corpo potenziato, né è uno zombie, anche se ci assomiglia un po'. Sveliamo l'arcano: il protagonista è un vecchio disabile. Ebbene sì, avete capito bene. Un ottantunenne che a causa di un incidente è rimasto cinquant'anni in coma. Prima dell'incidente Haru era un formidabile sub, abilità che gli può tornare utile anche nel nuovo mondo virtuale, in cui ci si deve immergere nel cyberspazio chiamato Metal. Haru quando si immerge ritorna giovane, il suo aspetto cambia da quello di vecchio ottantunenne senza l'uso della gambe a quello giovane trentunenne innamorato del mare. Tra i suoi compagni di avventura troviamo una giovane ragazza quindicenne senza cyber-cervello, Minamo, immatura e infantile per certi versi. Interessante è vedere come lei ami rimanere senza cyber-brain e come faccia ad adattarsi a vivere in un'isola artificiale in cui tutti lo possiedono. Souta, fratello di Minamo, esperto di arti marziali e non solo, sia bodyguard sia ingegnere, lavora al fianco di Haru, perché i problemi e le ripercussioni nel Metal spesso nascono nel mondo reale e qualche cazzotto dato alle persone giuste ogni tanto fa pure bene al Metal.
Poi troviamo Holon, un'androide assistente di Haru, di cui il giovane Souta si innamora. Egli ha le debolezze dei "tempi moderni", anche se si discosta dalle perversioni degli altri elevando ad amore il rapporto con Holon. Non riesce a instaurare un rapporto con una donna e lo instaura con un androide; c'est plus facile! Infine il dott. Kushima, amico di Haru e vera e propria mente dietro all'isola artificiale - ecco, è quello che procura e fa girare i soldi. Ha ottantadue anni, ma vive in un corpo artificiale con le sua fattezze da giovane per evitare gli acciacchi dell'età. Si sente responsabile dell'incidente accaduto ad Haru 50 anni prima.
Consiglio quest'anime a tutti coloro vogliono vedere qualcosa di originale e diverso, amanti della fantascienza che non deve essere per forza pistole e raggi laser, con un certo spessore anche se non sempre narrativamente avvincente.
Troviamo così all'interno dei 26 episodi sia momenti leggeri in cui viene delineato il mondo sia momenti d'azione purtroppo slegati tra loro. Il filo conduttore c'è, ma ogni tanto si perde tra i vari filler e per molti episodi non si capisce quale sia lo scopo di tutta la storia, salvo poi emergere negli ultimi episodi.
Tra i filler quello che mi è piaciuto di più è stato l'episodio sui "cani da compagnia" con il cyber brain. Beh, ho pensato, di sicuro se un giorno ci sarà un cyber-cervello, vi saranno pure le industrie che lo applicheranno ai cagnolini per i cinofili. Assolutamente geniale!
Il protagonista della serie è quantomai affascinante; non è il classico ragazzo avventato, duro, scavezzacollo e udite udite, non maneggia katane né lancia onde di energia, non evoca demoni, non ha un super corpo potenziato, né è uno zombie, anche se ci assomiglia un po'. Sveliamo l'arcano: il protagonista è un vecchio disabile. Ebbene sì, avete capito bene. Un ottantunenne che a causa di un incidente è rimasto cinquant'anni in coma. Prima dell'incidente Haru era un formidabile sub, abilità che gli può tornare utile anche nel nuovo mondo virtuale, in cui ci si deve immergere nel cyberspazio chiamato Metal. Haru quando si immerge ritorna giovane, il suo aspetto cambia da quello di vecchio ottantunenne senza l'uso della gambe a quello giovane trentunenne innamorato del mare. Tra i suoi compagni di avventura troviamo una giovane ragazza quindicenne senza cyber-cervello, Minamo, immatura e infantile per certi versi. Interessante è vedere come lei ami rimanere senza cyber-brain e come faccia ad adattarsi a vivere in un'isola artificiale in cui tutti lo possiedono. Souta, fratello di Minamo, esperto di arti marziali e non solo, sia bodyguard sia ingegnere, lavora al fianco di Haru, perché i problemi e le ripercussioni nel Metal spesso nascono nel mondo reale e qualche cazzotto dato alle persone giuste ogni tanto fa pure bene al Metal.
Poi troviamo Holon, un'androide assistente di Haru, di cui il giovane Souta si innamora. Egli ha le debolezze dei "tempi moderni", anche se si discosta dalle perversioni degli altri elevando ad amore il rapporto con Holon. Non riesce a instaurare un rapporto con una donna e lo instaura con un androide; c'est plus facile! Infine il dott. Kushima, amico di Haru e vera e propria mente dietro all'isola artificiale - ecco, è quello che procura e fa girare i soldi. Ha ottantadue anni, ma vive in un corpo artificiale con le sua fattezze da giovane per evitare gli acciacchi dell'età. Si sente responsabile dell'incidente accaduto ad Haru 50 anni prima.
Consiglio quest'anime a tutti coloro vogliono vedere qualcosa di originale e diverso, amanti della fantascienza che non deve essere per forza pistole e raggi laser, con un certo spessore anche se non sempre narrativamente avvincente.
È una serie originale uscita nel 2008 e composta da 26 episodi, frutto della collaborazione tra Masamune Shirow (concept) e lo studio I.G., che aveva già curato anche la trasposizione animata del manga di Shirow Ghost in the Shell (film e serie).
Le tematiche affrontate sono in parte simili a quelle di GiTS, tratteggiando un mondo e una società pervasa dalla cibernetica, dalla rete di connessione globale all'implementazione e ibridazione fra uomo e macchina, agli androidi con A.I. evoluti. Eppure le due serie costituiscono un'esperienza di visione quasi agli antipodi per atmosfera, ambientazione, colori, chara design e generi impiegati.
Tanto Ghost in the Shell nel complesso è notturno, con personaggi non esattamente espansivi, metropolitano distopico e volto all'azione anche violenta, quanto Real Drive è luminoso e prevalentemente 'pacioso', popolato da un cast piuttosto vivace.
Il flusso di informazioni e memorie delle persone nell'universo di Real Drive è collocato in un ambiente virtuale chiamato 'Meta Real' (per gli amici 'Metal') ricalca la struttura dell'oceano, con tanto di onde, correnti, fondali, barriere coralline e creature marine. Gli occasionali incidenti nella fruizione e/o accesso a questa rete sono indagati da professionisti, i 'divers', con tecniche ed attrezzature che richiamano in tutto e per tutto quelle dei sommozzatori dell'oceano reale. Immersione nella realtà virtuale, dentro e fuor di metafora insomma.
La combinazione di casi da risolvere, design organico dell'ambiente virtuale ed enfasi sugli effetti minuti dell'integrazione alla rete nella vita quotidiana produce un singolare effetto: gli episodi di Real Drive a me sembrano durare la metà del normale, eppure non c'è senso di scrittura affrettata, anzi, il più delle volte mi son sentita interessata e soddisfatta, incuriosita ma rilassata, un po' come se stessi contemplando uno specchio d'acqua - frequenti sequenze subacquee dell'anime a parte. E non che manchino situazioni piene di suspance o sequenze d'azione, tutt'altro. In una parola: saziante.
Riassumendo alcuni dettagli e differenze rispetto a Ghost in the Shell, Real Drive è ambientata in una solare isoletta artificiale sull'oceano vs caliginosa città tentacolare&intrighi&azione ed è sorprendentemente
a) pucciosa
b) con poco fanservice al di là dell'omino nella sigla e delle donne che sono tutte papabili per la passerella di Elena Mirò: taglie comode et formose, seppur vestitissime. Evviva le taglie 48 e oltre, evviva le donne polpose con un sedere che fa capanna e due cosce da rosolare (la donna rotonda, la donna formosa! Coi rotolini! E fiQua! Datemene ancora, abbasso gli ossi di seppia con le tette a siluro antigravità e gli occhi a palla) e gli omini tonici;
c) la rete informatica è modellata sui fondali oceanici e marini e la si esplora stile sommozzatore, in pratica molto spesso vedi coralli e pescetti, o grappoli di connessioni stile colonie di coralli/alghe
d) è al 90% uno slice-of-life con un paio di storie d'amore non convenzionali (è più character-driven che plot-driven e i personaggi son piuttosto simpatici)
e) invece che distopico metropolitano come Ghost in the Shell è decisamente utopico ecologista.
f) Ghost in the Shell tra film e serie ha un difettuccio a parer mio: tende al verboso e ti molla certe botte di esposizione che son dei mattoni, Real Drive ci casca molto di rado. È una serie molto più accessibile di GiTS SAC anche da questo punto di vista (l'altro sono i personaggi, che qui comunicano di più e sono più chiari nelle loro motivazioni, li vedi crescere e si conosce il loro passato).
E francamente, con RD almeno mi sono genuinamente divertita dal lato umano (e romantico), anche se a livello di technobabble GiTS ha un'impalcatura più solida. Real Drive ha tutta l'analogia tra flusso di memoria e acqua/oceano/vita/Natura con relativa memoria del pianeta che per come è esposta resta forse più suggestiva che convincente: come traduci e colleghi le meccaniche del virtuale al punto di influenzare fenomeni naturali e viceversa? Idem negli effetti in una certa conseguenza del finale, visibile dopo i titoli di coda (scena per altri aspetti molto soddisfacente del resto).
Lato umano: Il diver protagonista è un vecchietto paralizzato dalla vita in giù, risvegliatosi da 50 anni di coma in seguito ad un incidente mentre esplorava l'oceano reale nel contesto dei progetti di ricerca agli albori dello sviluppi del Meta Real (progettato proprio dal suo migliore amico).
Haru, giovanotto di belle speranze ed eccellenti addominali - ben apprezzabili nella sigla -, si ritrova così mentalmente ancora 28enne ma nel corpo di un ottuagenario. L'uomo sembra però prenderla piuttosto con filosofia e cerca piuttosto vivere e dare il meglio di sé pur con tutti i suoi limiti. La sua esperienza pregressa di sommozzatore degli abissi gli permette di immergersi nel Meta Real come nessun altro e di rendersi ancora utile alla società e al suo vecchio amico, ora supervisore del Meta Real network globale.
Ad assisterlo nelle sue esplorazioni/investigazioni virtuali è una fresca pulzella, Minamo Aoi, giunta sull'isola assieme al fratello maggiore Sota. Quest'ultimo è un collaboratore/ricercatore ed investigatore per conto della medesima organizzazione che gestisce il Meta Real, ma opera nel mondo reale per via di intelligence, spionaggio e lotte a botte di arti marziali alla bisogna. Quando non lavora o non si allena questo giovane alfiere di virilità è un ottimo cuoco e donnino di casa, come la sorellina gli ricorda spesso, ed un romantico idealista.
Minamo, inizialmente offertasi come volontaria per sostituire l'androide donna (Holon) che solitamente assiste Haru come segretaria/badante/dama di compagnia/sommozzatrice nell'oceano reale raccogliendo dati al posto di lui, entra subito in armonia con l'anziano gentiluomo e finisce per diventare la sua 'ancora' al mondo reale quando Haru si immerge nel Metal e rischia di perdersi in esso scendendo troppo in profondità per recuperare gli utenti dispersi/comatosi/variamente danneggiati da abuso della realtà virtuale (il tema della scissione e depersonalizzazione e perdita dell'identità nel mare della rete, toccato anche da GiTS, Denno Coil, Lain.)
Minamo peraltro è l'unico membro del cast ad essere completamente naturale, senza implementazioni o impianti cibernetici in corpo. Pur dovendo ricorrere ad espedienti tecnologici vari per comunicare con tutti gli altri in ambiente virtuale, la sua capacità di entrare in contatto con le persone è un dono innato e la rende la fonte di allegria e amore che illumina l'intero cast. È il cuore delle serie, a volte fin troppo allegra e altruista e iperattiva, ma col suo calore ed entusiasmo bilancia il lato tecnologico e le emozioni più sommesse degli altri personaggi. Inoltre è una ragazza dal sano e robusto appetito. Nota: la sua sensibilità sembra al limite del sensitivo, e quando Haru è confortato dal suo sostegno il suo alter ego virtuale torna all'aspetto di quando aveva 28 anni.
Holon, l'androide che assiste Haru, nella serie rappresenta l'evoluzione dell'intelligenza artificiale. Se l'uomo si ibrida con la macchina e può trasferire in rete le esperienze e i ricordi che ne costituiscono l'identità, anche la macchina diventa sempre più simile all'uomo, acquisendo individualità e sentimenti autonomi. Verso chi e come? Chi vedrà lo scoprirà.
Morale: animazione di qualità, bellissime ambientazioni oceaniche virtuali e non, sole e mare, certi piattini da sbavo inclusi i colossali gelati adorati da Minamo e dalle sue due amiche, buone sequenze di combattimento, slice-of-life quasi sempre gradevole e non noioso, la parte seria e di speculazione uomo-macchina c'è pure, una pennellata ecologista, un po' di romance e amicizia... a me è piaciuta molto.
Fanservice becero non ce n'è: se piacciono le donne formosissime e/o adorabilmente paffute e carine in senso realistico qua fate festa, mentre i personaggi maschili sono tutti atletici.
Voto 'obiettivo': 7. Alzato ad 8 per la mia personalissima simpatia per i personaggi e per una certa love story.
Le tematiche affrontate sono in parte simili a quelle di GiTS, tratteggiando un mondo e una società pervasa dalla cibernetica, dalla rete di connessione globale all'implementazione e ibridazione fra uomo e macchina, agli androidi con A.I. evoluti. Eppure le due serie costituiscono un'esperienza di visione quasi agli antipodi per atmosfera, ambientazione, colori, chara design e generi impiegati.
Tanto Ghost in the Shell nel complesso è notturno, con personaggi non esattamente espansivi, metropolitano distopico e volto all'azione anche violenta, quanto Real Drive è luminoso e prevalentemente 'pacioso', popolato da un cast piuttosto vivace.
Il flusso di informazioni e memorie delle persone nell'universo di Real Drive è collocato in un ambiente virtuale chiamato 'Meta Real' (per gli amici 'Metal') ricalca la struttura dell'oceano, con tanto di onde, correnti, fondali, barriere coralline e creature marine. Gli occasionali incidenti nella fruizione e/o accesso a questa rete sono indagati da professionisti, i 'divers', con tecniche ed attrezzature che richiamano in tutto e per tutto quelle dei sommozzatori dell'oceano reale. Immersione nella realtà virtuale, dentro e fuor di metafora insomma.
La combinazione di casi da risolvere, design organico dell'ambiente virtuale ed enfasi sugli effetti minuti dell'integrazione alla rete nella vita quotidiana produce un singolare effetto: gli episodi di Real Drive a me sembrano durare la metà del normale, eppure non c'è senso di scrittura affrettata, anzi, il più delle volte mi son sentita interessata e soddisfatta, incuriosita ma rilassata, un po' come se stessi contemplando uno specchio d'acqua - frequenti sequenze subacquee dell'anime a parte. E non che manchino situazioni piene di suspance o sequenze d'azione, tutt'altro. In una parola: saziante.
Riassumendo alcuni dettagli e differenze rispetto a Ghost in the Shell, Real Drive è ambientata in una solare isoletta artificiale sull'oceano vs caliginosa città tentacolare&intrighi&azione ed è sorprendentemente
a) pucciosa
b) con poco fanservice al di là dell'omino nella sigla e delle donne che sono tutte papabili per la passerella di Elena Mirò: taglie comode et formose, seppur vestitissime. Evviva le taglie 48 e oltre, evviva le donne polpose con un sedere che fa capanna e due cosce da rosolare (la donna rotonda, la donna formosa! Coi rotolini! E fiQua! Datemene ancora, abbasso gli ossi di seppia con le tette a siluro antigravità e gli occhi a palla) e gli omini tonici;
c) la rete informatica è modellata sui fondali oceanici e marini e la si esplora stile sommozzatore, in pratica molto spesso vedi coralli e pescetti, o grappoli di connessioni stile colonie di coralli/alghe
d) è al 90% uno slice-of-life con un paio di storie d'amore non convenzionali (è più character-driven che plot-driven e i personaggi son piuttosto simpatici)
e) invece che distopico metropolitano come Ghost in the Shell è decisamente utopico ecologista.
f) Ghost in the Shell tra film e serie ha un difettuccio a parer mio: tende al verboso e ti molla certe botte di esposizione che son dei mattoni, Real Drive ci casca molto di rado. È una serie molto più accessibile di GiTS SAC anche da questo punto di vista (l'altro sono i personaggi, che qui comunicano di più e sono più chiari nelle loro motivazioni, li vedi crescere e si conosce il loro passato).
E francamente, con RD almeno mi sono genuinamente divertita dal lato umano (e romantico), anche se a livello di technobabble GiTS ha un'impalcatura più solida. Real Drive ha tutta l'analogia tra flusso di memoria e acqua/oceano/vita/Natura con relativa memoria del pianeta che per come è esposta resta forse più suggestiva che convincente: come traduci e colleghi le meccaniche del virtuale al punto di influenzare fenomeni naturali e viceversa? Idem negli effetti in una certa conseguenza del finale, visibile dopo i titoli di coda (scena per altri aspetti molto soddisfacente del resto).
Lato umano: Il diver protagonista è un vecchietto paralizzato dalla vita in giù, risvegliatosi da 50 anni di coma in seguito ad un incidente mentre esplorava l'oceano reale nel contesto dei progetti di ricerca agli albori dello sviluppi del Meta Real (progettato proprio dal suo migliore amico).
Haru, giovanotto di belle speranze ed eccellenti addominali - ben apprezzabili nella sigla -, si ritrova così mentalmente ancora 28enne ma nel corpo di un ottuagenario. L'uomo sembra però prenderla piuttosto con filosofia e cerca piuttosto vivere e dare il meglio di sé pur con tutti i suoi limiti. La sua esperienza pregressa di sommozzatore degli abissi gli permette di immergersi nel Meta Real come nessun altro e di rendersi ancora utile alla società e al suo vecchio amico, ora supervisore del Meta Real network globale.
Ad assisterlo nelle sue esplorazioni/investigazioni virtuali è una fresca pulzella, Minamo Aoi, giunta sull'isola assieme al fratello maggiore Sota. Quest'ultimo è un collaboratore/ricercatore ed investigatore per conto della medesima organizzazione che gestisce il Meta Real, ma opera nel mondo reale per via di intelligence, spionaggio e lotte a botte di arti marziali alla bisogna. Quando non lavora o non si allena questo giovane alfiere di virilità è un ottimo cuoco e donnino di casa, come la sorellina gli ricorda spesso, ed un romantico idealista.
Minamo, inizialmente offertasi come volontaria per sostituire l'androide donna (Holon) che solitamente assiste Haru come segretaria/badante/dama di compagnia/sommozzatrice nell'oceano reale raccogliendo dati al posto di lui, entra subito in armonia con l'anziano gentiluomo e finisce per diventare la sua 'ancora' al mondo reale quando Haru si immerge nel Metal e rischia di perdersi in esso scendendo troppo in profondità per recuperare gli utenti dispersi/comatosi/variamente danneggiati da abuso della realtà virtuale (il tema della scissione e depersonalizzazione e perdita dell'identità nel mare della rete, toccato anche da GiTS, Denno Coil, Lain.)
Minamo peraltro è l'unico membro del cast ad essere completamente naturale, senza implementazioni o impianti cibernetici in corpo. Pur dovendo ricorrere ad espedienti tecnologici vari per comunicare con tutti gli altri in ambiente virtuale, la sua capacità di entrare in contatto con le persone è un dono innato e la rende la fonte di allegria e amore che illumina l'intero cast. È il cuore delle serie, a volte fin troppo allegra e altruista e iperattiva, ma col suo calore ed entusiasmo bilancia il lato tecnologico e le emozioni più sommesse degli altri personaggi. Inoltre è una ragazza dal sano e robusto appetito. Nota: la sua sensibilità sembra al limite del sensitivo, e quando Haru è confortato dal suo sostegno il suo alter ego virtuale torna all'aspetto di quando aveva 28 anni.
Holon, l'androide che assiste Haru, nella serie rappresenta l'evoluzione dell'intelligenza artificiale. Se l'uomo si ibrida con la macchina e può trasferire in rete le esperienze e i ricordi che ne costituiscono l'identità, anche la macchina diventa sempre più simile all'uomo, acquisendo individualità e sentimenti autonomi. Verso chi e come? Chi vedrà lo scoprirà.
Morale: animazione di qualità, bellissime ambientazioni oceaniche virtuali e non, sole e mare, certi piattini da sbavo inclusi i colossali gelati adorati da Minamo e dalle sue due amiche, buone sequenze di combattimento, slice-of-life quasi sempre gradevole e non noioso, la parte seria e di speculazione uomo-macchina c'è pure, una pennellata ecologista, un po' di romance e amicizia... a me è piaciuta molto.
Fanservice becero non ce n'è: se piacciono le donne formosissime e/o adorabilmente paffute e carine in senso realistico qua fate festa, mentre i personaggi maschili sono tutti atletici.
Voto 'obiettivo': 7. Alzato ad 8 per la mia personalissima simpatia per i personaggi e per una certa love story.
TRAMA
2010 il giovane ed esperto diver (sommozzatore) Masamichi Haru cade in coma profondo dopo un incidente avvenuto durante un esperimento sottomarino sulla propagazione delle onde e delle informazioni.
2061 Haru si risveglia dal coma ormai invecchiato e confinato su una sedia a rotelle affidato alle cure dell'androide Holo. Deve adattarsi in fretta ai cambiamenti avvenuti nella società mentre dormiva: le ricerche cui aveva partecipato sono state portate avanti dal suo amico Eiichiro Kushima, inventore del nuovo network di comunicazione reale chiamato "Metal" a cui il 90% della popolazione mondiale è collegato con impianti cibernetici. Oltre agli innumerevoli aspetti positivi dell'avanzatissimo network nuovi crimini e problemi sociali (sicurezza delle informazioni personali in primis dato che anche i ricordi dei singoli sono depositati nel Metal) sono emersi e a combatterli vengono chiamati i Cyber Divers. Vista l'impossibilità di tuffarsi nell'oceano reale Haru decide di esplorare il nuovo oceano virtuale diventando un Cyber Diver, assistito dalla giovane Minamo Aoi (trai pochi umani che rigettano gli impianti, deve usare un accesso esterno al Metal), sorella di Souta il responsabile della sezione investigativa. Nel corso dell'anime seguiamo le avventure di Haru e degli altri personaggi mentre indagano sulla vera natura, ancora misteriosa, del Metal e dei suoi effetti sulla società.
CONSIDERAZIONI
Se per temi e premesse richiama Ghost in the shell (dopotutto è stato prodotto dallo stesso autore/studio) riesce ad affrancarsene e a crearsi una dimensione indipendente, puntando meno sul crimine/indagini e più sui problemi sociali/politici e personali causati dal nuovo network e dalla presenza di androidi umanoidi che sembrano sul punto di diventare senzienti. Un anime decisamente fuori dalla media, dove si è mai visto un protagonista ottantenne (lasciamo perdere il Castello errante di Howl)? L'impegno di Haru e le sue motivazioni sono ben espressi e così è anche per gli altri personaggi. La regia forse a volte è un po' lenta ma Furuhashi sembra amare la dilatazione dei tempi. Nei primi episodi si introducono personaggi e situazioni, solo dopo il 10 episodio comincia a dipanarsi la matassa.
Il design dei personaggi è molto bello, corpi pieni e realistici; le donne in particolare sono molto morbide ma senza eccessi. Finalmente qualcosa di diverso dai soliti ragazzini-stecchini.
Le animazioni sono buone anche se ho trovato la computer grafica un po' invadente, ma va beh visto il tema era inevitabile; molto carina la Opening sia per musica che per animazioni. In definitiva un buon prodotto sci-fi senza pretese di grandezza ma con dei buoni spunti.
2010 il giovane ed esperto diver (sommozzatore) Masamichi Haru cade in coma profondo dopo un incidente avvenuto durante un esperimento sottomarino sulla propagazione delle onde e delle informazioni.
2061 Haru si risveglia dal coma ormai invecchiato e confinato su una sedia a rotelle affidato alle cure dell'androide Holo. Deve adattarsi in fretta ai cambiamenti avvenuti nella società mentre dormiva: le ricerche cui aveva partecipato sono state portate avanti dal suo amico Eiichiro Kushima, inventore del nuovo network di comunicazione reale chiamato "Metal" a cui il 90% della popolazione mondiale è collegato con impianti cibernetici. Oltre agli innumerevoli aspetti positivi dell'avanzatissimo network nuovi crimini e problemi sociali (sicurezza delle informazioni personali in primis dato che anche i ricordi dei singoli sono depositati nel Metal) sono emersi e a combatterli vengono chiamati i Cyber Divers. Vista l'impossibilità di tuffarsi nell'oceano reale Haru decide di esplorare il nuovo oceano virtuale diventando un Cyber Diver, assistito dalla giovane Minamo Aoi (trai pochi umani che rigettano gli impianti, deve usare un accesso esterno al Metal), sorella di Souta il responsabile della sezione investigativa. Nel corso dell'anime seguiamo le avventure di Haru e degli altri personaggi mentre indagano sulla vera natura, ancora misteriosa, del Metal e dei suoi effetti sulla società.
CONSIDERAZIONI
Se per temi e premesse richiama Ghost in the shell (dopotutto è stato prodotto dallo stesso autore/studio) riesce ad affrancarsene e a crearsi una dimensione indipendente, puntando meno sul crimine/indagini e più sui problemi sociali/politici e personali causati dal nuovo network e dalla presenza di androidi umanoidi che sembrano sul punto di diventare senzienti. Un anime decisamente fuori dalla media, dove si è mai visto un protagonista ottantenne (lasciamo perdere il Castello errante di Howl)? L'impegno di Haru e le sue motivazioni sono ben espressi e così è anche per gli altri personaggi. La regia forse a volte è un po' lenta ma Furuhashi sembra amare la dilatazione dei tempi. Nei primi episodi si introducono personaggi e situazioni, solo dopo il 10 episodio comincia a dipanarsi la matassa.
Il design dei personaggi è molto bello, corpi pieni e realistici; le donne in particolare sono molto morbide ma senza eccessi. Finalmente qualcosa di diverso dai soliti ragazzini-stecchini.
Le animazioni sono buone anche se ho trovato la computer grafica un po' invadente, ma va beh visto il tema era inevitabile; molto carina la Opening sia per musica che per animazioni. In definitiva un buon prodotto sci-fi senza pretese di grandezza ma con dei buoni spunti.