Classroom of the Elite 2
Se sto facendo la recensione della seconda stagione, immagino che non serva presentare l'opera.
La stagione 2 non la reputo perfetta, dati i vari difetti, ma non è di certo una stagione orribile.
Questa stagione ha uno stile molto diverso rispetto alla prima. La prima stagione mostra il protagonista, Ayanokoji Kiyotaka, come una persona estremamente gentile che come unico scopo ha quello di trovare degli amici. Con la seconda stagione, viene mostrata la vera personalità del ragazzo, il quale non si fa problemi a trattare le persone come pedine. Il fatto che la personalità del protagonista venga esposta al pubblico lo reputo molto interessante, e fa vedere l'intera serie con occhi diversi rispetto a come era possibile vederla nella prima. Reputo anche molto interessanti le origini del protagonista, che vengono rivelate più nel dettaglio proprio con la seconda stagione, e questo permette di capire ciò che il protagonista desidera veramente.
Naturalmente, non ho considerato l'intera stagione come un capolavoro assoluto, a causa di vari difetti che mostra.
I disegni: sembra che con questi ci siano stati parecchi problemi, probabilmente causati dalla mancanza di tempo. Nonostante questo difetto, sono riuscito ad apprezzare la serie comunque.
Adattamento della light novel: hanno adattato in modo troppo veloce la light novel. Giusto per capirci, tre episodi sono bastati per adattare un volume. Sono troppo pochi per questa serie, ma è comprensibile, dato che non possono adattare pochi volumi in una stagione. Problema ancora più grave, l'episodio 13. Hanno adattato in un singolo episodio un volume intero (il 7.5).
In conclusione: la serie molto è bella, con un protagonista molto più interessante rispetto alla prima stagione, ma con dei difetti difficili da ignorare.
La stagione 2 non la reputo perfetta, dati i vari difetti, ma non è di certo una stagione orribile.
Questa stagione ha uno stile molto diverso rispetto alla prima. La prima stagione mostra il protagonista, Ayanokoji Kiyotaka, come una persona estremamente gentile che come unico scopo ha quello di trovare degli amici. Con la seconda stagione, viene mostrata la vera personalità del ragazzo, il quale non si fa problemi a trattare le persone come pedine. Il fatto che la personalità del protagonista venga esposta al pubblico lo reputo molto interessante, e fa vedere l'intera serie con occhi diversi rispetto a come era possibile vederla nella prima. Reputo anche molto interessanti le origini del protagonista, che vengono rivelate più nel dettaglio proprio con la seconda stagione, e questo permette di capire ciò che il protagonista desidera veramente.
Naturalmente, non ho considerato l'intera stagione come un capolavoro assoluto, a causa di vari difetti che mostra.
I disegni: sembra che con questi ci siano stati parecchi problemi, probabilmente causati dalla mancanza di tempo. Nonostante questo difetto, sono riuscito ad apprezzare la serie comunque.
Adattamento della light novel: hanno adattato in modo troppo veloce la light novel. Giusto per capirci, tre episodi sono bastati per adattare un volume. Sono troppo pochi per questa serie, ma è comprensibile, dato che non possono adattare pochi volumi in una stagione. Problema ancora più grave, l'episodio 13. Hanno adattato in un singolo episodio un volume intero (il 7.5).
In conclusione: la serie molto è bella, con un protagonista molto più interessante rispetto alla prima stagione, ma con dei difetti difficili da ignorare.
Mi accingo a commentare la seconda serie di "Classroom of the Elite" e, come temevo, devo confermare che "the song remains the same"... Al termine della visione, ormai mi sono fatto l'idea che l'unica parola che possa riassumere il mio pensiero sull'anime sia: "arido".
Premessa doverosa: so che sto per scrivere un'ovvietà, ma, per coloro che fossero interessati alla visione, meglio partire dalla prima serie risalente al 2017. La seconda, uscita nella primavera/estate di quest'anno, purtroppo conferma tutti i limiti della prima serie con qualche ulteriore peggioramento.
L'anime narra le "gesta" degli alunni di una scuola superiore (liceo XX) che avrebbe la presunzione di formare gli "eletti", ossia un gruppo di ragazzi che dovranno diventare e rappresentate la classe dirigente del futuro della nazione. Di per sé l'intento potrebbe essere buono, tuttavia non ravvedo gli stilemi di scuola di "élite": la scuola oltre alle lezioni "ordinarie" impone una serie di sfide, individuali o collettive, cui attribuisce dei punteggi che cumulati a livello di classe dovrebbero consentire al gruppo di migliorare il ranking, per poi vincere al termine dell'anno scolastico. Le sezioni del primo anno di questi "selezionatissimi" personaggi sono quattro: dalla A alla D.
Senza entrare troppo nel merito, per evitare spoiler, l'originalità delle sfide risiede nella loro "cervelloticità" e, soprattutto, che la scuola consenta agli alunni di utilizzare quasi ogni mezzo per vincere, favorendo intrallazzi, ricatti, trucchi, alleanze di comodo, ecc. ovvero tutto lo scibile dei sotterfugi ispirati all'ormai abusato principio machiavellico de "il fine giustifica i mezzi". Quindi si assiste in oltre venti episodi (tra le due serie) a situazioni al limite del grottesco, in cui i ragazzi (già alcuni di loro affetti da problemi psicologici pregressi e irrisolti) si sfidano senza esclusione di colpi a prevalere (o meglio prevaricare) sugli altri in una sorta di downward spiral, in cui danno sfoggio del peggio dell'animo umano soprattutto in termini di cattiveria, assenza di scrupoli e manipolazione delle menti più deboli.
Avendo visto un discreto numero di anime con ambientazione scolastica, mi sono ormai creato il convincimento che il sistema scolastico giapponese sia visto (e di conseguenza rappresentato) come lo strumento del "male", utilizzato dal "sistema" della società giapponese per formare soldatini in eterna competizione tra loro affinché diano sempre il loro massimo per il raggiungimento del bene comune: il progresso del sistema.
È inutile citare quanti manga e anime abbiano preso in considerazione il tema, illustrando i problemi e le conseguenze di tale impostazione. Sotto questo punto di vista, "Classroom of the Elite" sembra una esasperata metafora della negatività del sistema scolastico, di cui estremizza in maniera paradossale e assurda i difetti di impostazione. In un certo senso e fatte le debite proporzioni di trama, sembra assomigliare anche a "Kakegurui": in quest'ultimo si utilizzano (e male) il gioco d'azzardo e le scommesse, per dare sfogo alle umane passioni e psicosi, per rappresentare, sempre in un ambito "elitario", una scuola che, invece di fornire una formazione per i figli e figlie di papà, diventa una sorta di Gomorra dove i ragazzi si esercitano nella nobile arte del "dominare"... Se interpretassi la trama in tal senso, l'anime diventerebbe uno strumento di "denuncia"... Ma funzionerebbe solo se ci fosse almeno un personaggio che in qualche modo tenti di "sabotare" lo scopo della scuola. E il personaggio ci sarebbe. Un ragazzo dal nome piuttosto difficile sia da pronunciare sia da scrivere: Kiyotaka Ayanokōji.
In estrema sintesi, dagli episodi dell'anime si capisce in modo non del tutto chiaro che il soggetto è una sorta di "enfant prodige", un essere superiore capace di utilizzare le sue facoltà mentali e fisiche per eccellere nella scuola rispetto agli altri. Visto l'andazzo dell'istituto, il buon Kiyotaka si adegua immediatamente ai giochetti (credo per lui puerili... - anche per lo spettatore, ndr) che la scuola organizza per mettere in competizione gli alunni e si cimenta con estrema abilità a renderli a proprio favore, o meglio a favore della classe, in modo che possa prevalere sulle altre e guadagnare posizioni nella classifica. Tanto sarebbe superiore che cerca sempre di nascondersi e restare nell'anonimato, utilizzando come pedine, prestanome e test dummies i propri compagni, utilizzando sia una capacità di persuasione fuori dal comune sia mezzucci che contemplano anche "il ricatto" in senso lato, mascherato da forma di aiuto.
Insomma, un personaggino che, sia nella prima serie sia nella seconda, in due monologhi interiori manifesta il suo senso di superiorità senza troppi giri di parole. Alludo a un dialogo con Suzune Horikita in cui lei ammette la sua superiorità e lui tra sé e sé ammette che per lui le persone che lo circondano sono solo dei mezzi per i suoi fini e, nella seconda serie, al dialogo con Sato dopo l'appuntamento avuto con lei. Qui il dialogo è paradigmatico del personaggio e in senso lato della serie. Lei chiede se si era divertito, perché lui non sorride mai (vero, in tutto l'anime ha l'espressività di un artropode), e lui risponde di sì, ma che non è abituato a sorridere (tra sé e sé afferma che non è che non sia capace di sorridere, ma che Sato non ha nulla che lo faccia sorridere e lo renda felice...). Il carico da novanta arriva subito dopo la dichiarazione di Sato nei suoi confronti e alla sua risposta, che non giudico nei contenuti ma nei modi, che denotano solo il disprezzo nei confronti di coloro ai quali il soggetto non sia interessato. Posso solo concedere l'attenuante a Kiyotaka di tenere lontane le persone da lui per via di oscuri disegni e piani che ha in testa, ma su venticinque episodi lui e tutti gli altri personaggi (ad eccezione di una, Kei Karuizawa, che sembra più normale) sono francamente tutti permeati da un nichilismo e cinismo puerile oltre ogni limite, che non porta a una reazione da parte degli studenti a un sistema scolastico che sembra più una specie di "gabbia dorata".
Pertanto, dopo due serie, a me sembra che l'anime non funzioni: monotono, noioso, ripetitivo... quando non sa più dove andare a parare, tira pure fuori la "macelleria messicana" (violenza fine a sé stessa), in cui Kiyotaka e Ryūen discettano sulla filosofia della paura, e il primo sembra più un J. Bourne in salsa nippon...
Una farsa grottesca dove dopo venticinque episodi non c'è ancora un minimo di messaggio positivo, un barlume di speranza che qualcosa interrompa la negatività che permea tutta la storia, attirando lo spettatore verso il fondo della vacuità. E i personaggi sono delle semplici maschere dietro le quali si nascondono, per difendersi o per non manifestare il loro "vuoto".
Lato tecnico mi sembra che si confermi un prodotto piuttosto convenzionale senza particolari spunti degni di nota, opening ed ending nel classico genere di questo tipo di prodotti e nulla più.
In attesa della terza stagione (per chi volesse continuare nel supplizio), resto dell'idea che sia possibile capire il disegno finale solo leggendo novel/manga, ma credo che siano ancora in corso... e la curiosità resterà insoddisfatta.
Premessa doverosa: so che sto per scrivere un'ovvietà, ma, per coloro che fossero interessati alla visione, meglio partire dalla prima serie risalente al 2017. La seconda, uscita nella primavera/estate di quest'anno, purtroppo conferma tutti i limiti della prima serie con qualche ulteriore peggioramento.
L'anime narra le "gesta" degli alunni di una scuola superiore (liceo XX) che avrebbe la presunzione di formare gli "eletti", ossia un gruppo di ragazzi che dovranno diventare e rappresentate la classe dirigente del futuro della nazione. Di per sé l'intento potrebbe essere buono, tuttavia non ravvedo gli stilemi di scuola di "élite": la scuola oltre alle lezioni "ordinarie" impone una serie di sfide, individuali o collettive, cui attribuisce dei punteggi che cumulati a livello di classe dovrebbero consentire al gruppo di migliorare il ranking, per poi vincere al termine dell'anno scolastico. Le sezioni del primo anno di questi "selezionatissimi" personaggi sono quattro: dalla A alla D.
Senza entrare troppo nel merito, per evitare spoiler, l'originalità delle sfide risiede nella loro "cervelloticità" e, soprattutto, che la scuola consenta agli alunni di utilizzare quasi ogni mezzo per vincere, favorendo intrallazzi, ricatti, trucchi, alleanze di comodo, ecc. ovvero tutto lo scibile dei sotterfugi ispirati all'ormai abusato principio machiavellico de "il fine giustifica i mezzi". Quindi si assiste in oltre venti episodi (tra le due serie) a situazioni al limite del grottesco, in cui i ragazzi (già alcuni di loro affetti da problemi psicologici pregressi e irrisolti) si sfidano senza esclusione di colpi a prevalere (o meglio prevaricare) sugli altri in una sorta di downward spiral, in cui danno sfoggio del peggio dell'animo umano soprattutto in termini di cattiveria, assenza di scrupoli e manipolazione delle menti più deboli.
Avendo visto un discreto numero di anime con ambientazione scolastica, mi sono ormai creato il convincimento che il sistema scolastico giapponese sia visto (e di conseguenza rappresentato) come lo strumento del "male", utilizzato dal "sistema" della società giapponese per formare soldatini in eterna competizione tra loro affinché diano sempre il loro massimo per il raggiungimento del bene comune: il progresso del sistema.
È inutile citare quanti manga e anime abbiano preso in considerazione il tema, illustrando i problemi e le conseguenze di tale impostazione. Sotto questo punto di vista, "Classroom of the Elite" sembra una esasperata metafora della negatività del sistema scolastico, di cui estremizza in maniera paradossale e assurda i difetti di impostazione. In un certo senso e fatte le debite proporzioni di trama, sembra assomigliare anche a "Kakegurui": in quest'ultimo si utilizzano (e male) il gioco d'azzardo e le scommesse, per dare sfogo alle umane passioni e psicosi, per rappresentare, sempre in un ambito "elitario", una scuola che, invece di fornire una formazione per i figli e figlie di papà, diventa una sorta di Gomorra dove i ragazzi si esercitano nella nobile arte del "dominare"... Se interpretassi la trama in tal senso, l'anime diventerebbe uno strumento di "denuncia"... Ma funzionerebbe solo se ci fosse almeno un personaggio che in qualche modo tenti di "sabotare" lo scopo della scuola. E il personaggio ci sarebbe. Un ragazzo dal nome piuttosto difficile sia da pronunciare sia da scrivere: Kiyotaka Ayanokōji.
In estrema sintesi, dagli episodi dell'anime si capisce in modo non del tutto chiaro che il soggetto è una sorta di "enfant prodige", un essere superiore capace di utilizzare le sue facoltà mentali e fisiche per eccellere nella scuola rispetto agli altri. Visto l'andazzo dell'istituto, il buon Kiyotaka si adegua immediatamente ai giochetti (credo per lui puerili... - anche per lo spettatore, ndr) che la scuola organizza per mettere in competizione gli alunni e si cimenta con estrema abilità a renderli a proprio favore, o meglio a favore della classe, in modo che possa prevalere sulle altre e guadagnare posizioni nella classifica. Tanto sarebbe superiore che cerca sempre di nascondersi e restare nell'anonimato, utilizzando come pedine, prestanome e test dummies i propri compagni, utilizzando sia una capacità di persuasione fuori dal comune sia mezzucci che contemplano anche "il ricatto" in senso lato, mascherato da forma di aiuto.
Insomma, un personaggino che, sia nella prima serie sia nella seconda, in due monologhi interiori manifesta il suo senso di superiorità senza troppi giri di parole. Alludo a un dialogo con Suzune Horikita in cui lei ammette la sua superiorità e lui tra sé e sé ammette che per lui le persone che lo circondano sono solo dei mezzi per i suoi fini e, nella seconda serie, al dialogo con Sato dopo l'appuntamento avuto con lei. Qui il dialogo è paradigmatico del personaggio e in senso lato della serie. Lei chiede se si era divertito, perché lui non sorride mai (vero, in tutto l'anime ha l'espressività di un artropode), e lui risponde di sì, ma che non è abituato a sorridere (tra sé e sé afferma che non è che non sia capace di sorridere, ma che Sato non ha nulla che lo faccia sorridere e lo renda felice...). Il carico da novanta arriva subito dopo la dichiarazione di Sato nei suoi confronti e alla sua risposta, che non giudico nei contenuti ma nei modi, che denotano solo il disprezzo nei confronti di coloro ai quali il soggetto non sia interessato. Posso solo concedere l'attenuante a Kiyotaka di tenere lontane le persone da lui per via di oscuri disegni e piani che ha in testa, ma su venticinque episodi lui e tutti gli altri personaggi (ad eccezione di una, Kei Karuizawa, che sembra più normale) sono francamente tutti permeati da un nichilismo e cinismo puerile oltre ogni limite, che non porta a una reazione da parte degli studenti a un sistema scolastico che sembra più una specie di "gabbia dorata".
Pertanto, dopo due serie, a me sembra che l'anime non funzioni: monotono, noioso, ripetitivo... quando non sa più dove andare a parare, tira pure fuori la "macelleria messicana" (violenza fine a sé stessa), in cui Kiyotaka e Ryūen discettano sulla filosofia della paura, e il primo sembra più un J. Bourne in salsa nippon...
Una farsa grottesca dove dopo venticinque episodi non c'è ancora un minimo di messaggio positivo, un barlume di speranza che qualcosa interrompa la negatività che permea tutta la storia, attirando lo spettatore verso il fondo della vacuità. E i personaggi sono delle semplici maschere dietro le quali si nascondono, per difendersi o per non manifestare il loro "vuoto".
Lato tecnico mi sembra che si confermi un prodotto piuttosto convenzionale senza particolari spunti degni di nota, opening ed ending nel classico genere di questo tipo di prodotti e nulla più.
In attesa della terza stagione (per chi volesse continuare nel supplizio), resto dell'idea che sia possibile capire il disegno finale solo leggendo novel/manga, ma credo che siano ancora in corso... e la curiosità resterà insoddisfatta.
Attenzione: la recensione contiene spoiler
L’autunno è arrivato. L’estate tristemente ci saluta, preparandosi già per il prossimo anno, che sarà di certo quello con le temperature più alte degli ultimi duecento secoli, e con essa se ne vanno anche gli anime di stagione. Tra quelli che mi hanno deluso, una menzione d’onore va a “Classroom of the Elite 2”, il sequel della prima stagione, pubblicata nel lontano 2017 e che avevo discretamente apprezzato.
La storia si svolge nel liceo Kōdo Ikusei, una scuola di élite dotata di attrezzature all'avanguardia per i propri studenti, i quali, dopo un lungo e faticoso apprendistato, riescono ad accedere all'università o a trovare lavoro facilmente. Tutti gli studenti possono indossare l'abbigliamento che preferiscono e portare i propri effetti personali a scuola, dove vivono e dormono per l’intera durata dell’anno scolastico. All’interno della struttura non mancano, di fatto, minimarket, negozi di abbigliamento e “game stop”. Insomma, il paradiso in terra. Ma, come mi piace spesso ripetere, non è tutto oro quel che luccica, infatti la verità è che solo gli studenti più meritevoli, ovvero quelli delle classi A e B, ricevono un trattamento di favore. Il nostro protagonista, Kiyotaka Ayanokōji, frequenta la classe D, quella che raccoglie gli studenti peggiori, dopo aver stranamente preso un voto basso all'esame di ammissione. La sua situazione cambierà radicalmente dopo l'incontro con due studentesse, Suzune Horikita e Kikyō Kushida.
Attenzione: la recensione contiene spoiler e, cosa ancor più importante, palesa tutto il mio disprezzo per questo anime. Motivo per il quale, la recensione sarà condita da una certa vena satirica e ironica. Quindi, se non volete sentire me che parlo male della vostra serie preferita, vi prego di cambiare canale.
Andiamo con ordine schematico.
Per ogni serie che si rispetti, il biglietto da visita è rappresentato dall’opening, anche se, almeno in questo caso, non è così, ma ci torneremo dopo. “Dance in The Game” di ZAQ è veramente una bella canzone, con delle sonorità stupende. Rovinata però dalle immagini di sottofondo. Come per ogni anime psicologico degno di nota, che abbia una trama più articolata del solito, l’immagine chiave ricorrente è quella della maschera, che anche il mio caro Pirandello nella bara si è scocciato di vedere usata a sproposito. E ad infastidirmi, onestamente, non è neanche l’allusione che se ne fa nel corso della serie, perché tutto sommato il protagonista è un bastardo senza cuore, che fa di tutto per non svelare la propria identità. A darmi fastidio, invece, è il modo in cui te lo spiattellano in faccia, come se non fosse già evidente dopo mezza puntata quale sia la sostanza dell’anime. Rimarcare l’ovvio è stupido e irritante.
All’opening segue la puntata, nel nostro caso ben tredici. Sebbene la storia sia ambientata in un istituto d’élite, l’illegalità è all’ordine del giorno e coloro che dovrebbero porre un freno a tutto ciò si nascondono nell’ombra, come probabilmente farà Di Maio dopo il flop totale alle elezioni. Gli alunni si picchiano manco fossimo in “Fight Club”, minacciano i membri di altre classi come i mafiosi e, dulcis in fundo, torturano le persone, come i galeotti in carcere. A ciò, si aggiungono gli immancabili atti di bullismo che, nonostante non sia raro vedere in anime di questo tipo, hanno iniziato a stancarmi, soprattutto quando privi di contesto. “Bullizzata perché sì, perché a noi serve così”. Le uniche cose legali che avvengono all’interno dell’istituto sono gli, inutilmente complicati, sia da spiegare sia da capire, esami di inizio e fine trimestre. Tanto impegno, per delle cose così semplici, ma rese così artificiose. Il risultato è che, alla fine, non mi sono neanche più applicato per capire il loro svolgimento. Come chi annuisce a una persona, che sta palesemente mentendo. “Si, completamente d’accordo con te.”
Un istituto che si rispetti come il liceo Ikusei, però, non sarebbe nulla senza i suoi carcer... ehm, studenti. Tutti quanti, chi più e chi meno, soffrono di qualche patologia. Roba o da manicomio o da psicanalista bravo, perché altra scelta non c’è. Kushida è una megalomane, con crisi d’identità. Suzune, non si sa per quale motivo, prova un notevole complesso di inferiorità nei confronti del fratello, da cui si fa(rebbe) picchiare senza problemi. Ryuen, il mafioso della situazione, che ha chiaramente confuso questo anime con “Gomorra”, crede di essere il padrone del mondo, tanto da girare con la scorta. Egocentrico come pochi. Ma la punta di diamante è il protagonista, Kiyotaka Ayanokoji. Lui, il fulcro dell’opera, il burattinaio, manca di tutte le qualità che dovrebbe avere un personaggio come lui. Essere amorfo, con lo sguardo costantemente perso nel vuoto e privo di emozioni. A quanto pare, in passato è stato costretto a terribili esperimenti che lo hanno reso così, anche se la situazione non è ancora ben definita. La sua aria distaccata e la capacità di prevedere ogni situazione lo rendono, per molti, il protagonista perfetto. Tanto che, alcuni, vorrebbero addirittura essere come lui. Eppure, io non credevo che essere dei bastardi manipolatori, senza un briciolo di empatia verso il prossimo, fosse cool. Forse, dovrei aggiornarmi sulle mode. Sostanzialmente, e questo è stato il mio pensiero fin dalla prima stagione, con questo protagonista hanno voluto ricreare Hachiman Hikigaya e, con la serie tutta, hanno tentato di replicare un capolavoro come “Oregairu”. Risultato: fallimento totale, come da mia previsione.
In conclusione, dato che l’inizio è la fine, e la fine è l’inizio, torniamo all’apertura di puntata. Come dicevo, ogni puntata, di ogni anime sulla faccia della Terra, si apre con l’opening. Questo è un fatto. In “Classroom of the Elite 2”, però, la suddetta opening è preceduta da una frase filosofica a caso, presa dai grandi capolavori dei più grandi filosofi di tutti i tempi. Ora, io apprezzerei anche la scelta, d’altronde studio le materie umanistiche, ma questa, come tante altre cose all’interno della serie, è totalmente fuori contesto. Per esempio: non puoi mettere questa celebre locuzione di Orazio, “La forza, senza la saggezza, crolla sotto il suo stesso peso”, come appendice di un episodio dove ci si scambiano solo mazzate. Sono forse l’unico a pensare che non c’entri nulla? Ecco, quindi, che arrivo al concetto fondamentale, il vero motivo per cui non potrò mai apprezzare questa serie: il suo essere falsamente cervellotica. La finta aria di superiorità che cerca di darsi sin dal primo episodio della prima stagione, cela, in realtà, una totale mancanza di inventiva, che si spiega con le scelte banali prese nel corso della stagione.
Quindi, io potrei anche sconsigliarvi la visione di “Classroom of the Elite 2”, ma il presupposto a tutto ciò è che voi abbiate già visto la prima stagione che, non essendo del tutto da buttare, vi invoglia a continuare la storia. Se questa sia o meno la scelta sbagliata, sta a voi deciderlo. Io, da parte mia, non posso che sperare in un miglioramento, perché scrivere cattiverie potrà anche soddisfarmi, ma preferisco di gran lunga vedere anime belli, che mi migliorano la giornata, piuttosto che vedere anime brutti, che me la peggiorano. Però, detto onestamente, con questi presupposti la vedo nera, anzi nerissima.
L’autunno è arrivato. L’estate tristemente ci saluta, preparandosi già per il prossimo anno, che sarà di certo quello con le temperature più alte degli ultimi duecento secoli, e con essa se ne vanno anche gli anime di stagione. Tra quelli che mi hanno deluso, una menzione d’onore va a “Classroom of the Elite 2”, il sequel della prima stagione, pubblicata nel lontano 2017 e che avevo discretamente apprezzato.
La storia si svolge nel liceo Kōdo Ikusei, una scuola di élite dotata di attrezzature all'avanguardia per i propri studenti, i quali, dopo un lungo e faticoso apprendistato, riescono ad accedere all'università o a trovare lavoro facilmente. Tutti gli studenti possono indossare l'abbigliamento che preferiscono e portare i propri effetti personali a scuola, dove vivono e dormono per l’intera durata dell’anno scolastico. All’interno della struttura non mancano, di fatto, minimarket, negozi di abbigliamento e “game stop”. Insomma, il paradiso in terra. Ma, come mi piace spesso ripetere, non è tutto oro quel che luccica, infatti la verità è che solo gli studenti più meritevoli, ovvero quelli delle classi A e B, ricevono un trattamento di favore. Il nostro protagonista, Kiyotaka Ayanokōji, frequenta la classe D, quella che raccoglie gli studenti peggiori, dopo aver stranamente preso un voto basso all'esame di ammissione. La sua situazione cambierà radicalmente dopo l'incontro con due studentesse, Suzune Horikita e Kikyō Kushida.
Attenzione: la recensione contiene spoiler e, cosa ancor più importante, palesa tutto il mio disprezzo per questo anime. Motivo per il quale, la recensione sarà condita da una certa vena satirica e ironica. Quindi, se non volete sentire me che parlo male della vostra serie preferita, vi prego di cambiare canale.
Andiamo con ordine schematico.
Per ogni serie che si rispetti, il biglietto da visita è rappresentato dall’opening, anche se, almeno in questo caso, non è così, ma ci torneremo dopo. “Dance in The Game” di ZAQ è veramente una bella canzone, con delle sonorità stupende. Rovinata però dalle immagini di sottofondo. Come per ogni anime psicologico degno di nota, che abbia una trama più articolata del solito, l’immagine chiave ricorrente è quella della maschera, che anche il mio caro Pirandello nella bara si è scocciato di vedere usata a sproposito. E ad infastidirmi, onestamente, non è neanche l’allusione che se ne fa nel corso della serie, perché tutto sommato il protagonista è un bastardo senza cuore, che fa di tutto per non svelare la propria identità. A darmi fastidio, invece, è il modo in cui te lo spiattellano in faccia, come se non fosse già evidente dopo mezza puntata quale sia la sostanza dell’anime. Rimarcare l’ovvio è stupido e irritante.
All’opening segue la puntata, nel nostro caso ben tredici. Sebbene la storia sia ambientata in un istituto d’élite, l’illegalità è all’ordine del giorno e coloro che dovrebbero porre un freno a tutto ciò si nascondono nell’ombra, come probabilmente farà Di Maio dopo il flop totale alle elezioni. Gli alunni si picchiano manco fossimo in “Fight Club”, minacciano i membri di altre classi come i mafiosi e, dulcis in fundo, torturano le persone, come i galeotti in carcere. A ciò, si aggiungono gli immancabili atti di bullismo che, nonostante non sia raro vedere in anime di questo tipo, hanno iniziato a stancarmi, soprattutto quando privi di contesto. “Bullizzata perché sì, perché a noi serve così”. Le uniche cose legali che avvengono all’interno dell’istituto sono gli, inutilmente complicati, sia da spiegare sia da capire, esami di inizio e fine trimestre. Tanto impegno, per delle cose così semplici, ma rese così artificiose. Il risultato è che, alla fine, non mi sono neanche più applicato per capire il loro svolgimento. Come chi annuisce a una persona, che sta palesemente mentendo. “Si, completamente d’accordo con te.”
Un istituto che si rispetti come il liceo Ikusei, però, non sarebbe nulla senza i suoi carcer... ehm, studenti. Tutti quanti, chi più e chi meno, soffrono di qualche patologia. Roba o da manicomio o da psicanalista bravo, perché altra scelta non c’è. Kushida è una megalomane, con crisi d’identità. Suzune, non si sa per quale motivo, prova un notevole complesso di inferiorità nei confronti del fratello, da cui si fa(rebbe) picchiare senza problemi. Ryuen, il mafioso della situazione, che ha chiaramente confuso questo anime con “Gomorra”, crede di essere il padrone del mondo, tanto da girare con la scorta. Egocentrico come pochi. Ma la punta di diamante è il protagonista, Kiyotaka Ayanokoji. Lui, il fulcro dell’opera, il burattinaio, manca di tutte le qualità che dovrebbe avere un personaggio come lui. Essere amorfo, con lo sguardo costantemente perso nel vuoto e privo di emozioni. A quanto pare, in passato è stato costretto a terribili esperimenti che lo hanno reso così, anche se la situazione non è ancora ben definita. La sua aria distaccata e la capacità di prevedere ogni situazione lo rendono, per molti, il protagonista perfetto. Tanto che, alcuni, vorrebbero addirittura essere come lui. Eppure, io non credevo che essere dei bastardi manipolatori, senza un briciolo di empatia verso il prossimo, fosse cool. Forse, dovrei aggiornarmi sulle mode. Sostanzialmente, e questo è stato il mio pensiero fin dalla prima stagione, con questo protagonista hanno voluto ricreare Hachiman Hikigaya e, con la serie tutta, hanno tentato di replicare un capolavoro come “Oregairu”. Risultato: fallimento totale, come da mia previsione.
In conclusione, dato che l’inizio è la fine, e la fine è l’inizio, torniamo all’apertura di puntata. Come dicevo, ogni puntata, di ogni anime sulla faccia della Terra, si apre con l’opening. Questo è un fatto. In “Classroom of the Elite 2”, però, la suddetta opening è preceduta da una frase filosofica a caso, presa dai grandi capolavori dei più grandi filosofi di tutti i tempi. Ora, io apprezzerei anche la scelta, d’altronde studio le materie umanistiche, ma questa, come tante altre cose all’interno della serie, è totalmente fuori contesto. Per esempio: non puoi mettere questa celebre locuzione di Orazio, “La forza, senza la saggezza, crolla sotto il suo stesso peso”, come appendice di un episodio dove ci si scambiano solo mazzate. Sono forse l’unico a pensare che non c’entri nulla? Ecco, quindi, che arrivo al concetto fondamentale, il vero motivo per cui non potrò mai apprezzare questa serie: il suo essere falsamente cervellotica. La finta aria di superiorità che cerca di darsi sin dal primo episodio della prima stagione, cela, in realtà, una totale mancanza di inventiva, che si spiega con le scelte banali prese nel corso della stagione.
Quindi, io potrei anche sconsigliarvi la visione di “Classroom of the Elite 2”, ma il presupposto a tutto ciò è che voi abbiate già visto la prima stagione che, non essendo del tutto da buttare, vi invoglia a continuare la storia. Se questa sia o meno la scelta sbagliata, sta a voi deciderlo. Io, da parte mia, non posso che sperare in un miglioramento, perché scrivere cattiverie potrà anche soddisfarmi, ma preferisco di gran lunga vedere anime belli, che mi migliorano la giornata, piuttosto che vedere anime brutti, che me la peggiorano. Però, detto onestamente, con questi presupposti la vedo nera, anzi nerissima.