Short Peace
“Short Peace”, oltre che un videogioco, è un progetto composto da quattro brevissime storie, molto diverse tra loro.
La prima storia - “Possessions” -, diretta da Shuhei Morita (regista di “Freedom”, per intenderci), apre l’insieme in modo delicato e piacevole, con la storia di un viandante decisamente religioso che, smarritosi in una foresta durante un temporale, si accampa in un tempio apparentemente abbandonato, chiedendo l’ospitalità agli spiriti. Durante la notte molti di essi compariranno nelle forme più bizzarre, come oggetti rotti e strani esseri, il che non lascerà spazio a sbigottimento da parte del viandante che, anzi, come gratitudine per l’ospitalità, li aggiusterà.
A livello di trama è molto semplice, crea un perfetto senso di pace tra uomo e cose, tra umanità e spiritualità. Tecnicamente è realizzato in CGI, cosa che chi mi conosce sa che apprezzo veramente poco, tuttavia non pesa molto.
Il secondo corto è “Combustible”, di Otomo, tratto da uno dei suoi manga. Questa è sicuramente la storia più tragica, tra le quattro: periodo Edo, Okawa è una giovane donna che, pur essendo promessa a un uomo scelto dalla sua famiglia, ama in segreto Matsukichi, disconosciuto dalla sua famiglia per il suo desiderio di diventare pompiere. Una sera, Okawa provoca un incendio, ma, anziché dare subito l’allarme, lascia che si propaghi, per poter rivedere l’amato. Il finale della storia è ovviamente tragico, come le premesse lasciano supporre.
Segue poi “Gambo”. Pur essendo ritenuta la storia più “debole” tra le quattro, è stata la mia preferita, e l’unica a farmi commuovere. Gambo è il nome che viene dato a un enorme orso bianco che decide di proteggere gli abitanti di un villaggio da un oni che rapisce giovani donne, per ingravidarle e dar vita a una stirpe di demoni.
La cosa più commovente di questa terza storia è il legame che viene creandosi tra Gambo e la piccola Kao, una bambina che gli chiede aiuto e che crede fermamente nella sua forza. Bellissimo il finale commovente in cui gli uomini del villaggio, increduli dell’affetto che Kao riserva alla bestia, le chiedono come abbia fatto a convincere la creatura a combattere al suo fianco, e lei risponde solo: “Forse... perché non ho smesso di sperare in lui”.
Questo corto, purtroppo, perde molto a causa del tempo riservato allo scontro oni vs orso, dedicando solo pochi minuti alle immagini più d’impatto.
Il progetto si conclude con un altro corto di Otomo (la regia in realtà è di Hajime Kotoki, ma il manga da cui è tratto è appunto del papà di “Akira”), “A Farewell to Weapon”… Terra post-apocalittica, ambiente desolato, macchinari fuori controllo... diciamo che ci sono tutti gli elementi che Otomo utilizza praticamente ovunque! Probabilmente è quello che ho apprezzato meno, vista la brevità di una storia che, quasi sicuramente, sarebbe stata più efficace come breve serie.
La prima storia - “Possessions” -, diretta da Shuhei Morita (regista di “Freedom”, per intenderci), apre l’insieme in modo delicato e piacevole, con la storia di un viandante decisamente religioso che, smarritosi in una foresta durante un temporale, si accampa in un tempio apparentemente abbandonato, chiedendo l’ospitalità agli spiriti. Durante la notte molti di essi compariranno nelle forme più bizzarre, come oggetti rotti e strani esseri, il che non lascerà spazio a sbigottimento da parte del viandante che, anzi, come gratitudine per l’ospitalità, li aggiusterà.
A livello di trama è molto semplice, crea un perfetto senso di pace tra uomo e cose, tra umanità e spiritualità. Tecnicamente è realizzato in CGI, cosa che chi mi conosce sa che apprezzo veramente poco, tuttavia non pesa molto.
Il secondo corto è “Combustible”, di Otomo, tratto da uno dei suoi manga. Questa è sicuramente la storia più tragica, tra le quattro: periodo Edo, Okawa è una giovane donna che, pur essendo promessa a un uomo scelto dalla sua famiglia, ama in segreto Matsukichi, disconosciuto dalla sua famiglia per il suo desiderio di diventare pompiere. Una sera, Okawa provoca un incendio, ma, anziché dare subito l’allarme, lascia che si propaghi, per poter rivedere l’amato. Il finale della storia è ovviamente tragico, come le premesse lasciano supporre.
Segue poi “Gambo”. Pur essendo ritenuta la storia più “debole” tra le quattro, è stata la mia preferita, e l’unica a farmi commuovere. Gambo è il nome che viene dato a un enorme orso bianco che decide di proteggere gli abitanti di un villaggio da un oni che rapisce giovani donne, per ingravidarle e dar vita a una stirpe di demoni.
La cosa più commovente di questa terza storia è il legame che viene creandosi tra Gambo e la piccola Kao, una bambina che gli chiede aiuto e che crede fermamente nella sua forza. Bellissimo il finale commovente in cui gli uomini del villaggio, increduli dell’affetto che Kao riserva alla bestia, le chiedono come abbia fatto a convincere la creatura a combattere al suo fianco, e lei risponde solo: “Forse... perché non ho smesso di sperare in lui”.
Questo corto, purtroppo, perde molto a causa del tempo riservato allo scontro oni vs orso, dedicando solo pochi minuti alle immagini più d’impatto.
Il progetto si conclude con un altro corto di Otomo (la regia in realtà è di Hajime Kotoki, ma il manga da cui è tratto è appunto del papà di “Akira”), “A Farewell to Weapon”… Terra post-apocalittica, ambiente desolato, macchinari fuori controllo... diciamo che ci sono tutti gli elementi che Otomo utilizza praticamente ovunque! Probabilmente è quello che ho apprezzato meno, vista la brevità di una storia che, quasi sicuramente, sarebbe stata più efficace come breve serie.
Di antologie animate ne abbiamo viste diverse nel corso degli anni: Manie-Manie - I racconti del labirinto (1983) e Memories (1995) i più noti, ma vale la pena citare anche Robot Carnival (1987) inedito dalle nostre parti. Vere e proprie raccolte animate che spesso riuniscono la "crème de la crème" di registi e animatori, giovani promesse o artisti affermati di quel preciso periodo, nelle quali in quella manciata di minuti a disposizione ognuno tira fuori il proprio estro artistico libero da vincoli di natura commerciale o di complesse sceneggiature. Quando nel 2012 fu annunciato lo "Short Peace Project" venne immediatamente naturale pensare ad un degno erede di questa tradizione anche alla luce del nome che sta dietro al progetto, quel Katsuhiro Ōtomo la cui partecipazione non è mai mancata nelle antologie sopracitate.
Nota: l'edizione italiana di Short Peace, distribuita da Bandai Namco, è un ibrido contenente anche il videoogame per Playstation 3 "Ranko Tsukigime Longest Day", il quinto e ultimo tassello della raccolta. Questa recensione però tiene conto solo dei quattro cortometraggi animati, per un giudizio sul videogioco vi rimando alla versione completa presente come pagina a sé su AnimeClick.it.
Un filmato di apertura, diretto da Koji Morimoto ("Magnetic Rose" in Memories, "Beyond" in Animatrix) e dalla durata di circa tre minuti, ci illustra una ragazzina intenta a giocare a nascondino e a chiedere al suo compagno di giochi (che non si vede mai) se è "pronto". Poco dopo un coniglio bianco appare davanti ai suoi occhi e l'ambiente intorno a sé, e non solo quello, inizia a mutare di continuo rendendo il corto animato un piacevolissimo gioco di effetti e immagini, fino a quando una sfera rossa si tramuta nel logo degli Short Peace.
Possessions
Salito alla ribalta per la sua candidatura agli ultimi Academy Awards, Possessions ("Tsukumo" in originale) è diretto da Shuhei Morita, regista di "Freedom" di Katsuhiro Ōtomo ma che già si era fatto notare nel 2004 con il pregevole Kakurenbo ("Nascosti nel Buio") pubblicato in Italia da Dynit. La storia e il concept design sono invece ad opera di Keisuke Kishi, che trae spunto dal folklore giapponese degli "Tsukumogami", ovvero quegli oggetti che, secondo la leggenda, dopo 100 anni acquisiscono una propria anima.
Un viandante viene sorpreso nella foresta da un temporale, smarrendo quindi l'orientamento. Cerca così rifugio in un piccolo santuario abbandonato adibito a magazzino di oggetti rotti, ma questi durante la notte iniziano a prendere vita, tenendo l'uomo bloccato dentro alla struttura. Il nostro protagonista non si perde d'animo ma anzi sfodera il suo contenitore per attrezzi di ogni tipo e inizia a riparare uno ad uno gli oggetti, siano essi ombrelli bucati o vecchi tessuti per kimono, dimostrando sempre un grande rispetto per questi spiriti e restituendo loro una "dignità". Un cumulo di irrecuperabili rifiuti, però, si tramuta in un mostro.
Il cortometraggio utilizza una tecnica 3D di grande fascino che per nulla fa rimpiangere l'animazione tradizionale, e il viandante senza nome ispira immediata simpatia grazie alle sue espressioni splendidamente realizzate, con tanto di sbadiglio più lungo (e contagioso) che a memoria si ricordi. Il film mostra il meglio di sé nella rappresentazione degli spiriti grazie a uno splendido gioco di colori vivaci e accesi, ispirati dalla pittura di Utagawa Kuniyoshi (1798-1861) e altre raffigurazioni d'epoca. "Possessions" è senza dubbio il più ottimista dell'offerta Short Peace ed è forse anche questo uno dei motivi del suo gradimento all'estero, mentre i successivi punteranno verso una neanche tanto velata drammaticità la loro ricerca visiva.
Combustible
Scritto e diretto da Katsuhiro Ōtomo, tratto da un suo manga breve degli anni novanta ("Hi-no-Youjin") e curato nel design dal veterano Hidekazu Ohara, "Combustible" è stato fin da subito il più pubblicizzato della raccolta proprio per il nome del suo regista. La curiosità di assistere al nuovo lavoro del papà di "Akira" era alta, per di più cimentato in una storia e un'ambientazione del tutto differenti rispetto a quelle di matrice sci-fi e cyberpunk alle quali ci ha abituato nel corso degli anni.
Edo, XVIII secolo, la rampolla di una ricca famiglia di mercanti, Owaka, è promessa sposa ad un uomo, ma non ha dimenticato il suo primo amore Matsukichi, disconosciuto dalla stessa famiglia e divenuto pompiere. Una notte la ragazza provoca accidentalmente un incendio, ma ormai in preda alla disperazione non avverte nessuno e assiste inerme al propagarsi delle fiamme, convinta così di poter rivedere il suo amato.
Ōtomo per il suo cortometraggio decide di fregiarlo di uno stile unico, ispirato agli Emakimono, ovvero quelle illustrazioni tradizionali raffigurate sui rotoli orizzontali (da non confondere con i Kakejiku, che sono i rotoli verticali da appendere alle pareti). Grazie alla loro lunghezza che arriva a coprire diversi metri, questi rotoli venivano tradizionalmente utilizzati per narrare delle storie. La regia sceglie quindi inquadrature dall'alto proprio come le illustrazioni alle quali si ispira (con tanto di bordi sopra e sotto a richiamare il rotolo), senza però rinunciare a dei primi piani nelle scene più concitate.
Gli incendi sono stati per secoli la più grande minaccia per le città giapponesi costruite per lo più in legno e carta, e pagheranno a caro prezzo questa loro fragilità anche e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il film ben illustra la potenza distruttiva dell'incendio e di tutta la macchina organizzativa che ne seguiva, come per esempio l'abbattere gli edifici adiacenti per non far propagare le fiamme. Dal punto di vista estetico quindi Combustible non delude, di contro è la narrazione a non convincere del tutto; a una prima parte un po' soporifera ne segue una seconda più emozionante, ma che porta a un finale davvero poco soddisfacente. Una ammirevole esperienza visiva quella di Ōtomo, della quale però potrebbe rimanere ben poco allo spettatore.
Gambo
Hiroaki Ando ("Norageki") e Katsuhito Ishii ("Redline") ci portano ancora più indietro, in un Giappone rurale del XVI secolo, per narrarci di una storia tra una bambina, un enorme orso bianco e un temibile demone rosso che rapisce le donne di un villaggio per partorire la sua prole. La piccola Kao chiede così aiuto all'orso bianco una volta incontrato nei pressi di un fiume e l'animale, capace di comprendere il linguaggio umano, decide di aiutarla. Alla furiosa lotta si unisce un samurai errante precedentemente suo nemico.
Specializzato in animazione in CG fin dai tempi di Memories, passando per Metropolis e Steamboy, Ando si destreggia nella rappresentazione di una vicenda che se a prima vista può apparire come una tenera storia tra una bambina e un orso, ben presto si dimostra come la più violenta dell'intera antologia. Viene da pensare che Gambo sia in qualche modo sfuggito agli esaminatori del "PEGI", dato che con il suo gore di sangue a quantità industriale e pure una fugace nudità, secondo la classificazione vigente avrebbe potuto benissimo alzare il suddetto bollino a 18. Yoshiyuki Sadamoto è il curatore del character design, ma si nota a stento; anzi, se il suo nome non comparisse nei credits, con molta probabilità in pochi si accorgerebbero della matita che sta dietro al delicato Wolf Children, complice anche lo sfoggio di una massiccia CG, per quanto indubbiamente efficace con il suo stile "granuloso" nel rappresentare il racconto. L'enfasi concentrata principalmente sulla battaglia tra l'orso e il demone, nel suo impeto di violenza, potrebbe non piacere a tutti, cosicché "Gambo" viene da più parti definito il più debole del pacchetto, ma ciò non rende il cortometraggio non meritevole di una certa attenzione.
A Farewell to Weapon
Tratto da un altro manga breve di Katsuhiro Ōtomo, disegnato nel 1981 e pubblicato nel volume "Memorie", A Farewell to Weapon è il più lungo della raccolta e si avvale della regia di un sorprendente Hajime Katoki, poco noto come regista ma figura di grande spicco nel campo del mecha design, e del resto per uno che ha imparato il mestiere da leggende quali Kunio Okawara, Shoji Kawamori e Yutaka Izubuchi non poteva essere diversamente.
La desolante Tokyo di un futuro post-bellico fa da teatro alla missione di un manipolo di soldati, incaricati di setacciare la zona in cerca di ordigni e macchinari da guerra rimasti attivi a scopo di bonifica, distruggendoli se necessario. Quella che si prospettava come una missione tranquilla si tramuta ben presto in una dura battaglia contro un pericoloso mech automatizzato intento a distruggere qualunque minaccia gli capiti a tiro.
A Farewell to Weapon, titolo che rimanda non casualmente al romanzo di Ernest Hemingway sulla Prima Guerra Mondiale, chiude nel modo più movimentato possibile la tetralogia animata degli Short Peace. Il sottofondo rock della parte iniziale accompagna la presentazione dei personaggi prima che l'azione prenda il sopravvento in un susseguirsi di scontri a fuoco e sequenze mozzafiato, esaltate da una cura maniacale nei confronti di sofisticati armamenti bellici, futuristiche tute comprendenti di tutto, droni di ogni dimensione e funzionalità. Il tutto animato senza le sperimentazioni dei precedenti, ma il risultato è sempre una gioia per gli occhi nello spettacolo dei 1080p. Katoki è bravissimo a mantenere alta la tensione per l'intera durata del film, e, nonostante i risvolti drammatici della missione, non si ha la sensazione di assistere a un'inutile mattanza fine a sé stessa, ma anzi il regista sovente decide di dare un'impronta leggera a certe scene, in cui i personaggi mostrano una simpatica goffaggine. Ma la vera sorpresa è data dal finale, a tratti tragicomico nella sua rappresentazione e fortemente antimilitarista, rendendo A Farewell to Weapon una bella sorpresa che non mancherà di emozionare gli appassionati del genere.
Il tema che accomuna gli Short Peace è ovviamente il Giappone, rappresentato fin dal logo tramite il suo simbolo e dal quasi onnipresente Monte Fuji. Il Giappone del passato di Possessions, Combustible e Gambo, mistico, affascinante, ma anche tragico e violento. Il Giappone del futuro di A Farewell to Weapon, avanzato e tecnologico eppure così pessimista e apparentemente privo di valori.
Non per tutti, Short Peace è una raccolta di opere assolutamente autoriali e differenti tra loro, al punto che ognuno potrebbe benissimo avere il suo Short Peace preferito. L'insieme di questi grandi artisti rende la visione quasi un obbligo per ogni appassionato di alta animazione che si rispetti.
Nota: l'edizione italiana di Short Peace, distribuita da Bandai Namco, è un ibrido contenente anche il videoogame per Playstation 3 "Ranko Tsukigime Longest Day", il quinto e ultimo tassello della raccolta. Questa recensione però tiene conto solo dei quattro cortometraggi animati, per un giudizio sul videogioco vi rimando alla versione completa presente come pagina a sé su AnimeClick.it.
Un filmato di apertura, diretto da Koji Morimoto ("Magnetic Rose" in Memories, "Beyond" in Animatrix) e dalla durata di circa tre minuti, ci illustra una ragazzina intenta a giocare a nascondino e a chiedere al suo compagno di giochi (che non si vede mai) se è "pronto". Poco dopo un coniglio bianco appare davanti ai suoi occhi e l'ambiente intorno a sé, e non solo quello, inizia a mutare di continuo rendendo il corto animato un piacevolissimo gioco di effetti e immagini, fino a quando una sfera rossa si tramuta nel logo degli Short Peace.
Possessions
Salito alla ribalta per la sua candidatura agli ultimi Academy Awards, Possessions ("Tsukumo" in originale) è diretto da Shuhei Morita, regista di "Freedom" di Katsuhiro Ōtomo ma che già si era fatto notare nel 2004 con il pregevole Kakurenbo ("Nascosti nel Buio") pubblicato in Italia da Dynit. La storia e il concept design sono invece ad opera di Keisuke Kishi, che trae spunto dal folklore giapponese degli "Tsukumogami", ovvero quegli oggetti che, secondo la leggenda, dopo 100 anni acquisiscono una propria anima.
Un viandante viene sorpreso nella foresta da un temporale, smarrendo quindi l'orientamento. Cerca così rifugio in un piccolo santuario abbandonato adibito a magazzino di oggetti rotti, ma questi durante la notte iniziano a prendere vita, tenendo l'uomo bloccato dentro alla struttura. Il nostro protagonista non si perde d'animo ma anzi sfodera il suo contenitore per attrezzi di ogni tipo e inizia a riparare uno ad uno gli oggetti, siano essi ombrelli bucati o vecchi tessuti per kimono, dimostrando sempre un grande rispetto per questi spiriti e restituendo loro una "dignità". Un cumulo di irrecuperabili rifiuti, però, si tramuta in un mostro.
Il cortometraggio utilizza una tecnica 3D di grande fascino che per nulla fa rimpiangere l'animazione tradizionale, e il viandante senza nome ispira immediata simpatia grazie alle sue espressioni splendidamente realizzate, con tanto di sbadiglio più lungo (e contagioso) che a memoria si ricordi. Il film mostra il meglio di sé nella rappresentazione degli spiriti grazie a uno splendido gioco di colori vivaci e accesi, ispirati dalla pittura di Utagawa Kuniyoshi (1798-1861) e altre raffigurazioni d'epoca. "Possessions" è senza dubbio il più ottimista dell'offerta Short Peace ed è forse anche questo uno dei motivi del suo gradimento all'estero, mentre i successivi punteranno verso una neanche tanto velata drammaticità la loro ricerca visiva.
Combustible
Scritto e diretto da Katsuhiro Ōtomo, tratto da un suo manga breve degli anni novanta ("Hi-no-Youjin") e curato nel design dal veterano Hidekazu Ohara, "Combustible" è stato fin da subito il più pubblicizzato della raccolta proprio per il nome del suo regista. La curiosità di assistere al nuovo lavoro del papà di "Akira" era alta, per di più cimentato in una storia e un'ambientazione del tutto differenti rispetto a quelle di matrice sci-fi e cyberpunk alle quali ci ha abituato nel corso degli anni.
Edo, XVIII secolo, la rampolla di una ricca famiglia di mercanti, Owaka, è promessa sposa ad un uomo, ma non ha dimenticato il suo primo amore Matsukichi, disconosciuto dalla stessa famiglia e divenuto pompiere. Una notte la ragazza provoca accidentalmente un incendio, ma ormai in preda alla disperazione non avverte nessuno e assiste inerme al propagarsi delle fiamme, convinta così di poter rivedere il suo amato.
Ōtomo per il suo cortometraggio decide di fregiarlo di uno stile unico, ispirato agli Emakimono, ovvero quelle illustrazioni tradizionali raffigurate sui rotoli orizzontali (da non confondere con i Kakejiku, che sono i rotoli verticali da appendere alle pareti). Grazie alla loro lunghezza che arriva a coprire diversi metri, questi rotoli venivano tradizionalmente utilizzati per narrare delle storie. La regia sceglie quindi inquadrature dall'alto proprio come le illustrazioni alle quali si ispira (con tanto di bordi sopra e sotto a richiamare il rotolo), senza però rinunciare a dei primi piani nelle scene più concitate.
Gli incendi sono stati per secoli la più grande minaccia per le città giapponesi costruite per lo più in legno e carta, e pagheranno a caro prezzo questa loro fragilità anche e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il film ben illustra la potenza distruttiva dell'incendio e di tutta la macchina organizzativa che ne seguiva, come per esempio l'abbattere gli edifici adiacenti per non far propagare le fiamme. Dal punto di vista estetico quindi Combustible non delude, di contro è la narrazione a non convincere del tutto; a una prima parte un po' soporifera ne segue una seconda più emozionante, ma che porta a un finale davvero poco soddisfacente. Una ammirevole esperienza visiva quella di Ōtomo, della quale però potrebbe rimanere ben poco allo spettatore.
Gambo
Hiroaki Ando ("Norageki") e Katsuhito Ishii ("Redline") ci portano ancora più indietro, in un Giappone rurale del XVI secolo, per narrarci di una storia tra una bambina, un enorme orso bianco e un temibile demone rosso che rapisce le donne di un villaggio per partorire la sua prole. La piccola Kao chiede così aiuto all'orso bianco una volta incontrato nei pressi di un fiume e l'animale, capace di comprendere il linguaggio umano, decide di aiutarla. Alla furiosa lotta si unisce un samurai errante precedentemente suo nemico.
Specializzato in animazione in CG fin dai tempi di Memories, passando per Metropolis e Steamboy, Ando si destreggia nella rappresentazione di una vicenda che se a prima vista può apparire come una tenera storia tra una bambina e un orso, ben presto si dimostra come la più violenta dell'intera antologia. Viene da pensare che Gambo sia in qualche modo sfuggito agli esaminatori del "PEGI", dato che con il suo gore di sangue a quantità industriale e pure una fugace nudità, secondo la classificazione vigente avrebbe potuto benissimo alzare il suddetto bollino a 18. Yoshiyuki Sadamoto è il curatore del character design, ma si nota a stento; anzi, se il suo nome non comparisse nei credits, con molta probabilità in pochi si accorgerebbero della matita che sta dietro al delicato Wolf Children, complice anche lo sfoggio di una massiccia CG, per quanto indubbiamente efficace con il suo stile "granuloso" nel rappresentare il racconto. L'enfasi concentrata principalmente sulla battaglia tra l'orso e il demone, nel suo impeto di violenza, potrebbe non piacere a tutti, cosicché "Gambo" viene da più parti definito il più debole del pacchetto, ma ciò non rende il cortometraggio non meritevole di una certa attenzione.
A Farewell to Weapon
Tratto da un altro manga breve di Katsuhiro Ōtomo, disegnato nel 1981 e pubblicato nel volume "Memorie", A Farewell to Weapon è il più lungo della raccolta e si avvale della regia di un sorprendente Hajime Katoki, poco noto come regista ma figura di grande spicco nel campo del mecha design, e del resto per uno che ha imparato il mestiere da leggende quali Kunio Okawara, Shoji Kawamori e Yutaka Izubuchi non poteva essere diversamente.
La desolante Tokyo di un futuro post-bellico fa da teatro alla missione di un manipolo di soldati, incaricati di setacciare la zona in cerca di ordigni e macchinari da guerra rimasti attivi a scopo di bonifica, distruggendoli se necessario. Quella che si prospettava come una missione tranquilla si tramuta ben presto in una dura battaglia contro un pericoloso mech automatizzato intento a distruggere qualunque minaccia gli capiti a tiro.
A Farewell to Weapon, titolo che rimanda non casualmente al romanzo di Ernest Hemingway sulla Prima Guerra Mondiale, chiude nel modo più movimentato possibile la tetralogia animata degli Short Peace. Il sottofondo rock della parte iniziale accompagna la presentazione dei personaggi prima che l'azione prenda il sopravvento in un susseguirsi di scontri a fuoco e sequenze mozzafiato, esaltate da una cura maniacale nei confronti di sofisticati armamenti bellici, futuristiche tute comprendenti di tutto, droni di ogni dimensione e funzionalità. Il tutto animato senza le sperimentazioni dei precedenti, ma il risultato è sempre una gioia per gli occhi nello spettacolo dei 1080p. Katoki è bravissimo a mantenere alta la tensione per l'intera durata del film, e, nonostante i risvolti drammatici della missione, non si ha la sensazione di assistere a un'inutile mattanza fine a sé stessa, ma anzi il regista sovente decide di dare un'impronta leggera a certe scene, in cui i personaggi mostrano una simpatica goffaggine. Ma la vera sorpresa è data dal finale, a tratti tragicomico nella sua rappresentazione e fortemente antimilitarista, rendendo A Farewell to Weapon una bella sorpresa che non mancherà di emozionare gli appassionati del genere.
Il tema che accomuna gli Short Peace è ovviamente il Giappone, rappresentato fin dal logo tramite il suo simbolo e dal quasi onnipresente Monte Fuji. Il Giappone del passato di Possessions, Combustible e Gambo, mistico, affascinante, ma anche tragico e violento. Il Giappone del futuro di A Farewell to Weapon, avanzato e tecnologico eppure così pessimista e apparentemente privo di valori.
Non per tutti, Short Peace è una raccolta di opere assolutamente autoriali e differenti tra loro, al punto che ognuno potrebbe benissimo avere il suo Short Peace preferito. L'insieme di questi grandi artisti rende la visione quasi un obbligo per ogni appassionato di alta animazione che si rispetti.