Theatre of Darkness: Yamishibai
«Yami Shibai» (originalmente «Yamishibai: Japanese Ghost Stories») è un anime, a cura dello studio di animazione Ilca, che sfida lo spettatore, con l'intento di spaventarlo in pochi minuti di narrazione.
Il kamishibai è una tecnica di narrazione tipica del Giappone diffusasi principalmente nella prima metà del XX secolo, dove il narratore, con l'ausilio di un palcoscenico in miniatura e di piccole scenografie costruite in legno che cambiava a seconda del momento, raccontava storie appassionanti ai bambini che accorrevano ad ascoltarlo. L'anime prende in prestito questo particolare espediente narrativo, simulando efficacemente nello schermo il risultato con una grafica davvero particolare.
Cinque minuti, no, meno. Eliminando sigla finale e introduzione il racconto dura meno di quattro minuti in realtà: la sfida di ogni episodio è quella di raccontare una storia, quindi crearla, costruirla, fare appassionare lo spettatore e soprattutto spaventarlo in quei pochi minuti. Forse vi sarà capitato di avere la sensazione, mentre si visiona un film horror, di pensare che sarebbe stato più efficace raccontandolo in pochi minuti; a questo risponde la serie: eliminando ogni parte superflua, rimane l'idea del terrore. Il gioco con lo spettatore non si esaurisce nella narrazione, è già partito con il titolo "Yami" Shibai in contrapposizione a "Kami" Shibai, un gioco di parole, in quanto il termine Kami significa sia carta che divinità, mentre Yami oscurità.
"Yotterashai miterashai yamishibai no jikan da yo". L'unico vero protagonista della serie è il misterioso narratore (kamishibaiya) che si mostra ad ogni inizio episodio; ogni racconto mostra nuovi personaggi, nuovi scenari che si concludono sempre in quei pochi minuti, non vi saranno mai personaggi ripresi successivamente. Spesso si ha un'immediata empatia con il protagonista di turno, lo spettatore è portato a chiedersi come avrebbe reagito, cosa avrebbe fatto al suo posto.
Facendo riferimento al folklore giapponese, alcuni riferimenti possono sfuggire, mentre altri molto noti possono dare l'idea del già visto; quello che conta, partendo anche dall'idea più banale, è la realizzazione, l'impronta personale dell'autore. Da segnalare l'ending molto disturbante. La riuscita o meno degli episodi dipende molto dal gusto personale, evidenzio le buone idee contenute nel quinto e nel settimo, uno dei più originali della serie. La serie ha avuto diversi seguiti, sei al momento in cui scrivo.
Consigliato a chi ama le storie horror e a coloro a cui non dispiace la particolare grafica utilizzata.
"O shimai".
Il kamishibai è una tecnica di narrazione tipica del Giappone diffusasi principalmente nella prima metà del XX secolo, dove il narratore, con l'ausilio di un palcoscenico in miniatura e di piccole scenografie costruite in legno che cambiava a seconda del momento, raccontava storie appassionanti ai bambini che accorrevano ad ascoltarlo. L'anime prende in prestito questo particolare espediente narrativo, simulando efficacemente nello schermo il risultato con una grafica davvero particolare.
Cinque minuti, no, meno. Eliminando sigla finale e introduzione il racconto dura meno di quattro minuti in realtà: la sfida di ogni episodio è quella di raccontare una storia, quindi crearla, costruirla, fare appassionare lo spettatore e soprattutto spaventarlo in quei pochi minuti. Forse vi sarà capitato di avere la sensazione, mentre si visiona un film horror, di pensare che sarebbe stato più efficace raccontandolo in pochi minuti; a questo risponde la serie: eliminando ogni parte superflua, rimane l'idea del terrore. Il gioco con lo spettatore non si esaurisce nella narrazione, è già partito con il titolo "Yami" Shibai in contrapposizione a "Kami" Shibai, un gioco di parole, in quanto il termine Kami significa sia carta che divinità, mentre Yami oscurità.
"Yotterashai miterashai yamishibai no jikan da yo". L'unico vero protagonista della serie è il misterioso narratore (kamishibaiya) che si mostra ad ogni inizio episodio; ogni racconto mostra nuovi personaggi, nuovi scenari che si concludono sempre in quei pochi minuti, non vi saranno mai personaggi ripresi successivamente. Spesso si ha un'immediata empatia con il protagonista di turno, lo spettatore è portato a chiedersi come avrebbe reagito, cosa avrebbe fatto al suo posto.
Facendo riferimento al folklore giapponese, alcuni riferimenti possono sfuggire, mentre altri molto noti possono dare l'idea del già visto; quello che conta, partendo anche dall'idea più banale, è la realizzazione, l'impronta personale dell'autore. Da segnalare l'ending molto disturbante. La riuscita o meno degli episodi dipende molto dal gusto personale, evidenzio le buone idee contenute nel quinto e nel settimo, uno dei più originali della serie. La serie ha avuto diversi seguiti, sei al momento in cui scrivo.
Consigliato a chi ama le storie horror e a coloro a cui non dispiace la particolare grafica utilizzata.
"O shimai".
Mi limito a recensire solo la prima serie, l'unica davvero interessante. Purtroppo nelle future stagioni ormai le cartucce si sono esaurite irreversibilmente.
Si tratta di una serie antologica d'horror che riprende in ogni episodio racconti del folklore giapponese sempre diversi, per quanto quasi tutti incentrati in modo diverso su possessioni o fantasmi. Alcuni degli episodi sono davvero ben fatti, come quello del supermercato o quello del treno, e non risultano neanche troppo ripetitivi, problema che invece inizierà ad affiorare nelle stagioni successive.
Memorabile anche solo la presentazione iniziale presente ad ogni puntata, oltre che il particolare stile grafico idoneo al tipo di storie raccontate.
L'horror che "Yami Shibai" vuole offrirci non è quello tradizione dei film d'horror classici della tradizione occidentale, in quanto l'obiettivo non è esattamente suscitare un senso di paura eccessiva. Non dico che la paura non ci sia, ma si baserà piuttosto su un senso di smarrimento e sulla classica ansia d'attesa che un evento spaventoso possa verificarsi da un momento all'altro.
Serie ben fatta, peccato non ne abbiano fatte altre all'altezza di questa.
Si tratta di una serie antologica d'horror che riprende in ogni episodio racconti del folklore giapponese sempre diversi, per quanto quasi tutti incentrati in modo diverso su possessioni o fantasmi. Alcuni degli episodi sono davvero ben fatti, come quello del supermercato o quello del treno, e non risultano neanche troppo ripetitivi, problema che invece inizierà ad affiorare nelle stagioni successive.
Memorabile anche solo la presentazione iniziale presente ad ogni puntata, oltre che il particolare stile grafico idoneo al tipo di storie raccontate.
L'horror che "Yami Shibai" vuole offrirci non è quello tradizione dei film d'horror classici della tradizione occidentale, in quanto l'obiettivo non è esattamente suscitare un senso di paura eccessiva. Non dico che la paura non ci sia, ma si baserà piuttosto su un senso di smarrimento e sulla classica ansia d'attesa che un evento spaventoso possa verificarsi da un momento all'altro.
Serie ben fatta, peccato non ne abbiano fatte altre all'altezza di questa.
Anime da puntate cortissime da quattro minuti l'una; inaspettatamente, minuti sufficienti per spaventare lo spettatore. Lo stile spartano, come a rimarcare gli spettacolini itineranti, si sposa bene con gli episodi, contribuendo in certi casi ad aumentare il senso di straniamento. Nelle puntate migliori viene messo in secondo piano l'odioso effetto "a comparsa" che fa saltare dalla sedia, sapientemente il regista fa oscillare improvvisamente il ritmo e i tempi creando un senso di disagio e di disorientamento, presagio di fine imminente; gli episodi migliori fanno pressione su paure da sempre intrinseche nell'animo umano, l'inspiegabile, l'ignoto. Bellissimi in questo senso il secondo, quarto, quinto, ottavo, undicesimo e dodicesimo episodio.
"Yami Shibai" è forse il primo vero anime horror che io abbia trovato. Non di quelli da spavento immediato, ma più simile a quei racconti che ti spingono a girarti indietro o a guardare sul soffitto, nel momento stesso in cui ci si trova da soli. Il narratore, sempre lo stesso, delle storie te le presenta come se fosse un vecchio alle prese con un teatrino, ed è effettivamente questa l'idea che dà.
Chi si aspetta grandi composizioni grafiche o animazioni da paura ha sbagliato proprio posto dove cercarle. Qui i personaggi sono statici, come se fossero appoggiati sullo sfondo piuttosto che essere tutt'uno con esso. Sì, bisogna farci un po' l'occhio ma se si va oltre l'apparenza si coglierà che nonostante tutto ha più atmosfera di tanti altri. I suoni, i dialoghi, tutto è mirato a portare chi lo guarda sempre più vicino allo schermo, fino a terminare lasciandoti lì. Con il fiato sospeso e il dubbio che forse forse queste cose possano succedere.
Niente colpi al cuore insomma, ma un dubbio che si insinua nella mente.
Personalmente mi sento di consigliarlo a tutti gli amanti del genere.
Chi si aspetta grandi composizioni grafiche o animazioni da paura ha sbagliato proprio posto dove cercarle. Qui i personaggi sono statici, come se fossero appoggiati sullo sfondo piuttosto che essere tutt'uno con esso. Sì, bisogna farci un po' l'occhio ma se si va oltre l'apparenza si coglierà che nonostante tutto ha più atmosfera di tanti altri. I suoni, i dialoghi, tutto è mirato a portare chi lo guarda sempre più vicino allo schermo, fino a terminare lasciandoti lì. Con il fiato sospeso e il dubbio che forse forse queste cose possano succedere.
Niente colpi al cuore insomma, ma un dubbio che si insinua nella mente.
Personalmente mi sento di consigliarlo a tutti gli amanti del genere.
La serie che recensisco è davvero particolare, oserei dire più unica che rara: sicuramente questo è l'anime più horror che finora ho trovato. Ne ho provati a guardare altri, ma non si sono mai rivelati un granché, vuoi un po' per i disegni, vuoi per l'atmosfera; insomma, prima di incappare in questa serie ero convinto che gli anime non potessero fare paura, ma mi sbagliavo. Questa serie, pur essendo brevissima, riesce nel suo intento, ovvero inquietarti quel tanto che basta per cominciare a guardarti intorno dopo ogni puntata. Non è quel tipo di horror che ti fa fare migliaia di elucubrazioni mentali, ma è un tipo di horror più classico, che punta sul grottesco, sull'effetto sorpresa e sullo spavento che ne deriva; insomma, fa prendere abbastanza colpi. Riesce anche a trasmettere molta ansia, in alcuni momenti la tensione sale a livelli molto alti, tutte cose che ho gradito davvero molto, qualità che pensavo di non riuscire a trovare in un anime. Altra peculiarità della serie sono i personaggi, che si muovono come delle marionette: quando parlano la loro bocca non si muove, ma la voce esce ugualmente; non muovono le gambe quando camminano, semplicemente sono come delle sagome che vengono trascinate da una parte all'altra. Scelta ottima, e in linea con il titolo, che vuol dire teatro dell'oscurità, ed è così che dobbiamo interpretare questa serie: una specie di teatro composto da tanti piccoli racconti, fatti per far passare allo spettatore quei cinque minuti di episodio nell'inquietudine. Devo dire che in quasi tutti gli episodi ci è riuscito, e il fattore "sagoma" contribuisce non poco all'atmosfera tetra e surreale che permea le vicende. Anche i disegni sono ottimi, molto realistici e davvero inquietanti, ottima l'ending. Quindi, se anche voi eravate convinti che gli anime non potessero fare paura, sicuramente vedendo questa serie potrete ricredervi, davvero un'ottima serie!
Yami Shibai, Il teatro dell'oscurità, è una serie di corti horror della durata di sei minuti circa, animati dallo studio ILCA.
Ogni settimana, nel pomeriggio, un uomo anziano, il Gaito Kamishibaiya (narratore), si presenta in un parco giochi, raccoglie a sé una schiera di bambini e inizia a narrare storie di fantasmi con il Kamishibai, "dramma di carta", un metodo tradizionale usato nella narrazione giapponese utilizzando rotoli di carta.
Dall'inizio della visione, mi sono chiesta come potesse rendere un horror in soli sei minuti; ora, dopo ben dieci episodi, ho la risposta: purtroppo in cosi poco tempo non si può creare una storia che sia in grado di regalare davvero emozioni, figurarsi classificarsi nella categoria horror. Tra i tanti episodi spiccano alcuni che sono certamente più "inquietanti" di altri, peccato che una media di due su dieci non è assolutamente buona, anzi!
La grafica (se cosi si può definire) è un insieme di immagini statiche alternate, una scelta inusuale, si può interpretare come un tentativo di creare un qualcosa che rimane impressa, nel bene o nel male, rimembrando i teatrini da cui prende spunto. È presente anche una ending, carina.
Sicuramente in quest'opera non mancano le storie buffe e inusuali, racconti che noi non abbiamo mai sentito, cosa che dipende molto probabilmente dalla diversa cultura e tradizione, quindi in questo si basa l'originalità del prodotto e la maggior chance di sorprendere lo spettatore. In ogni caso non mi ha mai dato nulla, tranne, come accennato prima, in due episodi, quando un brivido mi è corso lungo la schiena; a dirla tutta mi ha suscitato più ilarità per le bizzarrie raccontate che altro. Questa serie, piuttosto che incutere "paura", crea una sensazione di attesa seguita da ansia e aspettativa, interrompendo la storia proprio al culmine del pathos; per me questo senso di incompletezza non fa altro che rendere l'opera ancor meno interessante e apprezzabile, quasi fastidiosa. Il più delle storie inoltre è gestito parecchio male, indi per cui, tenendo conto della durata, della grafica, della storia, dell'intento e del risultato finale, non posso dargli più di un 5.
Ogni settimana, nel pomeriggio, un uomo anziano, il Gaito Kamishibaiya (narratore), si presenta in un parco giochi, raccoglie a sé una schiera di bambini e inizia a narrare storie di fantasmi con il Kamishibai, "dramma di carta", un metodo tradizionale usato nella narrazione giapponese utilizzando rotoli di carta.
Dall'inizio della visione, mi sono chiesta come potesse rendere un horror in soli sei minuti; ora, dopo ben dieci episodi, ho la risposta: purtroppo in cosi poco tempo non si può creare una storia che sia in grado di regalare davvero emozioni, figurarsi classificarsi nella categoria horror. Tra i tanti episodi spiccano alcuni che sono certamente più "inquietanti" di altri, peccato che una media di due su dieci non è assolutamente buona, anzi!
La grafica (se cosi si può definire) è un insieme di immagini statiche alternate, una scelta inusuale, si può interpretare come un tentativo di creare un qualcosa che rimane impressa, nel bene o nel male, rimembrando i teatrini da cui prende spunto. È presente anche una ending, carina.
Sicuramente in quest'opera non mancano le storie buffe e inusuali, racconti che noi non abbiamo mai sentito, cosa che dipende molto probabilmente dalla diversa cultura e tradizione, quindi in questo si basa l'originalità del prodotto e la maggior chance di sorprendere lo spettatore. In ogni caso non mi ha mai dato nulla, tranne, come accennato prima, in due episodi, quando un brivido mi è corso lungo la schiena; a dirla tutta mi ha suscitato più ilarità per le bizzarrie raccontate che altro. Questa serie, piuttosto che incutere "paura", crea una sensazione di attesa seguita da ansia e aspettativa, interrompendo la storia proprio al culmine del pathos; per me questo senso di incompletezza non fa altro che rendere l'opera ancor meno interessante e apprezzabile, quasi fastidiosa. Il più delle storie inoltre è gestito parecchio male, indi per cui, tenendo conto della durata, della grafica, della storia, dell'intento e del risultato finale, non posso dargli più di un 5.
"Yotterashai, miterasshai! Yami shibai no jikan da yo"
"Yami Shibai" ("Il teatrino dell'oscurità") è una serie di favole nere dalla durata di cinque minuti; il leitmotiv di ogni corto è un sinistro narratore che, con un teatro itinerante montato sulla sua bicicletta, richiama l'attenzione dei bambini per raccontare storie dell'orrore basate su leggende metropolitane e credenze popolari. Non a caso, il titolo stesso della serie suggerisce un gioco di parole con il 'Kamishibai', teatro tradizionale giapponese in cui si fa scorrere una sequenza di fogli illustrati per portare avanti la narrazione.
Lo Studio ILCA ricorre a una bella grafica acquerellata con colori oscuri e contorni marcati, tipica di molte produzioni sperimentali. Le inquadrature sono il più delle volte dinamiche, come se ci fosse una telecamera in movimento a riprendere; un'altra soluzione utilizzata per coinvolgere lo spettatore è, inoltre, quella di inquadrare spesso la scena dal punto di vista dei protagonisti. Le animazioni sono volutamente grezze; lo spostamento degli oggetti in primo piano, infatti, ricorda il movimento scattoso delle marionette di carta sugli sfondi degli emaki. La messa a fuoco è continuamente spostata dallo sfondo al primo piano per dare l'idea di tante superfici piatte sovrapposte tra loro. In sintesi, tutti questi elementi sono stati studiati per ricordare realisticamente le rappresentazioni dei teatrini tradizionali, non rinunciando all'estetica nitida e dettagliata della CG.
Essendo corti di genere horror, il comparto audio si compone quasi esclusivamente di suoni e rumori di fondo (come colpi, urla e sospiri). Le scene sono avvolte nel silenzio, interrotto solo da qualche inquietante musica d'ambiente. Il doppiaggio è convincente e rende bene l'atmosfera di mistero, soprattutto il tono ambiguo del narratore. Carino anche il suono sbiadito del carousel ad ogni inizio episodio, durante la presentazione del titolo. La sigla di chiusura è, infine, un'altrettanto sinistra canzone in stile Vocaloid.
Più che storie dell'orrore, i corti di "Yami Shibai" sembrano voler mettere ansia, e non terrorizzare. Si punta, infatti, sul non-detto e non-mostrato, sul mistero e sull'oscurità; la narrazione viene quindi interrotta nel momento di massima tensione, lasciando lo spettatore in una situazione precaria, col dubbio su ciò che sembra essere suggerito e ciò che realmente accadrà. Non è, perciò, propriamente horror, ma piuttosto una serie di racconti macabri ed eleganti; inadatto per chi cerca lo spavento facile, ottimo per lasciarsi inquietare cinque minuti scarsi.
"Oshimai"
"Yami Shibai" ("Il teatrino dell'oscurità") è una serie di favole nere dalla durata di cinque minuti; il leitmotiv di ogni corto è un sinistro narratore che, con un teatro itinerante montato sulla sua bicicletta, richiama l'attenzione dei bambini per raccontare storie dell'orrore basate su leggende metropolitane e credenze popolari. Non a caso, il titolo stesso della serie suggerisce un gioco di parole con il 'Kamishibai', teatro tradizionale giapponese in cui si fa scorrere una sequenza di fogli illustrati per portare avanti la narrazione.
Lo Studio ILCA ricorre a una bella grafica acquerellata con colori oscuri e contorni marcati, tipica di molte produzioni sperimentali. Le inquadrature sono il più delle volte dinamiche, come se ci fosse una telecamera in movimento a riprendere; un'altra soluzione utilizzata per coinvolgere lo spettatore è, inoltre, quella di inquadrare spesso la scena dal punto di vista dei protagonisti. Le animazioni sono volutamente grezze; lo spostamento degli oggetti in primo piano, infatti, ricorda il movimento scattoso delle marionette di carta sugli sfondi degli emaki. La messa a fuoco è continuamente spostata dallo sfondo al primo piano per dare l'idea di tante superfici piatte sovrapposte tra loro. In sintesi, tutti questi elementi sono stati studiati per ricordare realisticamente le rappresentazioni dei teatrini tradizionali, non rinunciando all'estetica nitida e dettagliata della CG.
Essendo corti di genere horror, il comparto audio si compone quasi esclusivamente di suoni e rumori di fondo (come colpi, urla e sospiri). Le scene sono avvolte nel silenzio, interrotto solo da qualche inquietante musica d'ambiente. Il doppiaggio è convincente e rende bene l'atmosfera di mistero, soprattutto il tono ambiguo del narratore. Carino anche il suono sbiadito del carousel ad ogni inizio episodio, durante la presentazione del titolo. La sigla di chiusura è, infine, un'altrettanto sinistra canzone in stile Vocaloid.
Più che storie dell'orrore, i corti di "Yami Shibai" sembrano voler mettere ansia, e non terrorizzare. Si punta, infatti, sul non-detto e non-mostrato, sul mistero e sull'oscurità; la narrazione viene quindi interrotta nel momento di massima tensione, lasciando lo spettatore in una situazione precaria, col dubbio su ciò che sembra essere suggerito e ciò che realmente accadrà. Non è, perciò, propriamente horror, ma piuttosto una serie di racconti macabri ed eleganti; inadatto per chi cerca lo spavento facile, ottimo per lasciarsi inquietare cinque minuti scarsi.
"Oshimai"