Junkers Come Here
La cosa più piacevole del cercare qualcosa di poco conosciuto nel vastissimo panorama dell’animazione è che spesso e volentieri si trovano titoli davvero interessanti, che non si vedono nominare neanche dai veterani o da chi ha visto migliaia di anime.
Molti di quei titoli sconosciuti ai più possono essere ritrovati perché associati a qualche regista famoso, come nel caso di “Junkers Come Here”, diretto da Jun'ichi Satō (famoso per titoli come “Sailor Moon”, “Princess Tutu” o “Kaleido Star”).
“Junkers Come Here” è un film di meno di due ore, del 1994, e vede protagonista la piccola Hiromi, una ragazzina che vive da sola con la cameriera e l’affascinante tutore Keisuke. I suoi genitori sono costantemente lontani per lavoro, tanto che Hiromi ricorda a stento gli ultimi momenti che hanno passato tutti e tre insieme come una vera famiglia. Pur avvertendo il peso della loro lontananza, Hiromi trae forza dalla compagnia del tutore, per il quale ha una cotta, e del suo cagnolino Junkers, che, solo lei lo sa, ha l’incredibile capacità di parlare la lingua umana. Improvvisamente però la vita della bambina viene scossa da un susseguirsi di tristi notizie: da un lato, scopre che i suoi genitori sono in procinto di divorziare; dall’altro, che Keisuke non solo è fidanzato, ma sta anche per convolare a nozze. Hiromi vede la sua pacifica esistenza crollarle addosso, e decide di non esternare il proprio dolore, ma di tenerlo dentro di sé. Ed è a quel punto che Junkers si offre di esaudire tre suoi desideri... proprio come un genio della lampada.
La trama non offre niente di originale, ma, come appare ovvio, non è l’originalità a fare di un prodotto qualcosa di valido e piacevole. L’autore riesce, complici anche i disegni semplici e di basso profilo, a catturare pienamente la tragica fine della giovinezza di Hiromi, e il suo duro scontrarsi con la vita vera, mostrandone il lato più triste e difficile da superare. La trama e il suo sviluppo non si discostano molto dal filone dei film Ghibli, motivo per cui potrebbe essere facilmente apprezzato dai fan dello studio.
Interessante anche il rapporto Hiromi-Junkers. Per tutto il tempo, allo spettatore, resta il dubbio se il cane effettivamente parli ed esaudisca desideri, o se sia soltanto frutto dell’immaginazione della piccola. Tutta la vicenda è vista soltanto dal punto di vista di lei, per tutto il film c’è un continuo contrapporsi di realtà e immaginazione, e il fatto che la trama prenda una piega più seria, ponendo un muro tra l’età infantile (e quindi quella dell’immaginazione e del gioco) e quella adulta (ovvero quella della responsabilità), pone appunto il dubbio sulla magica figura di Junkers (avvalorato dalla frase che il cane è solito ripetere alla sua padroncina: “Sei tu l’artefice del miracolo”).
Il film è tutt’altro che perfetto, in effetti molti momenti sembrano “morti” o allungati inutilmente, tuttavia resta davvero piacevole da vedere, per chi vuole andare oltre i soliti nomi.
Molti di quei titoli sconosciuti ai più possono essere ritrovati perché associati a qualche regista famoso, come nel caso di “Junkers Come Here”, diretto da Jun'ichi Satō (famoso per titoli come “Sailor Moon”, “Princess Tutu” o “Kaleido Star”).
“Junkers Come Here” è un film di meno di due ore, del 1994, e vede protagonista la piccola Hiromi, una ragazzina che vive da sola con la cameriera e l’affascinante tutore Keisuke. I suoi genitori sono costantemente lontani per lavoro, tanto che Hiromi ricorda a stento gli ultimi momenti che hanno passato tutti e tre insieme come una vera famiglia. Pur avvertendo il peso della loro lontananza, Hiromi trae forza dalla compagnia del tutore, per il quale ha una cotta, e del suo cagnolino Junkers, che, solo lei lo sa, ha l’incredibile capacità di parlare la lingua umana. Improvvisamente però la vita della bambina viene scossa da un susseguirsi di tristi notizie: da un lato, scopre che i suoi genitori sono in procinto di divorziare; dall’altro, che Keisuke non solo è fidanzato, ma sta anche per convolare a nozze. Hiromi vede la sua pacifica esistenza crollarle addosso, e decide di non esternare il proprio dolore, ma di tenerlo dentro di sé. Ed è a quel punto che Junkers si offre di esaudire tre suoi desideri... proprio come un genio della lampada.
La trama non offre niente di originale, ma, come appare ovvio, non è l’originalità a fare di un prodotto qualcosa di valido e piacevole. L’autore riesce, complici anche i disegni semplici e di basso profilo, a catturare pienamente la tragica fine della giovinezza di Hiromi, e il suo duro scontrarsi con la vita vera, mostrandone il lato più triste e difficile da superare. La trama e il suo sviluppo non si discostano molto dal filone dei film Ghibli, motivo per cui potrebbe essere facilmente apprezzato dai fan dello studio.
Interessante anche il rapporto Hiromi-Junkers. Per tutto il tempo, allo spettatore, resta il dubbio se il cane effettivamente parli ed esaudisca desideri, o se sia soltanto frutto dell’immaginazione della piccola. Tutta la vicenda è vista soltanto dal punto di vista di lei, per tutto il film c’è un continuo contrapporsi di realtà e immaginazione, e il fatto che la trama prenda una piega più seria, ponendo un muro tra l’età infantile (e quindi quella dell’immaginazione e del gioco) e quella adulta (ovvero quella della responsabilità), pone appunto il dubbio sulla magica figura di Junkers (avvalorato dalla frase che il cane è solito ripetere alla sua padroncina: “Sei tu l’artefice del miracolo”).
Il film è tutt’altro che perfetto, in effetti molti momenti sembrano “morti” o allungati inutilmente, tuttavia resta davvero piacevole da vedere, per chi vuole andare oltre i soliti nomi.
Finalmente dopo vent'anni sono riuscito a immergermi nella visione di questa piccola perla dell'animazione giapponese, tanto sconosciuta quanto superlativa. Avevo sentito parlare in diverse occasioni di questo lungometraggio per via del character design del noto e compianto Kazuo Komatsubara. E ancora una volta ci ritroviamo, non senza qualche lacrimuccia, a sorprenderci per la semplicità, il richiamo alla nostalgia e quel tocco di immaginario onirico che da anni, prima ancora della nascita dello Studio Ghibli - vedi "Goshu il Violoncellista" -, caratterizza il mondo degli anime e dei manga nipponici. Sentimenti e sensazioni introvabili o addirittura impensabili nell'industria dei cartoon occidentale e specialmente in quella americana, ancorata ai soliti cliché e sempre pronta a saccheggiare dai classici della letteratura del passato, infarcendoli di canzonette qua e là. Gli sfondi realizzati ad acquerello non fanno altro che riportare alla mente serie televisive rimaste nel cuore per anni e anni. Il tutto si chiude con una splendida e struggente sigla di chiusura che fa riflettere ancora una volta sul perché certi film non riescano a trovare una distribuzione in Italia. Anche se io consiglio di vederli in lingua originale per poter apprezzare appieno lo spirito che aleggia nelle piccole, ma suggestive, cittadine del Sol Levante. E, semmai dovesse nascere una ipotetica collana "AnimeClick Video" per riportare alla luce tutti i capolavori dimenticati, io voterei per primo proprio "Junkers Come Here".
Un film che tenta di imitare "Omohide poroporo" di Takahata, uscito giusto tre anni prima, e di sfruttarne il successo, cogliendo l'onda dell'intimismo nostalgico che, al tempo, sembrava poter essere una nuova cifra per l'animazione giapponese. Ma il distacco è abissale tra il capolavoro di Takahata e questo "Junkers Come Here", il cui regista è Satō Jun'ichi, autore della prima serie di "Sailor Moon" e molte altre cose spesso curiose ma mai di livello eccelso. Il risultato è un'animazione di buon livello, colori un po' leccati e una storiella un po' troppo spudoratamente strappalacrime, buona per intenerire le massaie giapponesi. Non c'è da stupirsi che di quest'anime non se ne sia praticamente mai parlato in Italia. Non brutto, ma semplicemente insignificante.