In questo angolo di mondo
Dalla collaborazione fra il noto Studio Mappa e il regista ex-Ghibli Sunao Katabuchi è uscito un film molto carino sulla vita quotidiana prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, un lungometraggio che non si pone lo scopo di insegnare, ma quello di narrare.
Trattandosi di uno slice of life, conosciamo subito la protagonista Suzu Urano, una ragazza come tante altre, forse un po’ sognatrice, con una grande abilità a disegnare; il tema del disegno lo troveremo spesso associato alla protagonista fino al dramma, dramma che non la abbatte... sì, perché, se inizialmente la vita è felice per la protagonista, prima da nubile poi da sposata piano piano si affacciano al suo cielo azzurro nuvole, nuvole nere... Dopo il matrimonio si avvicina la guerra, e sappiamo cosa significa guerra: razionamento, bombardamenti, morti... ma a parte qualche momento di sconforto i personaggi vanno avanti.
Il film inizia con colori simil pastello e un chara design che sa di quarant’anni fa, tutto sembrerebbe perfetto per narrare una fiaba sul modello delle storie dello studio Ghibli, invece il film è un movie che si immette nel filone storico-drammatico ma senza calcare la mano. Probabilmente troveremmo la cosa molto lacrimevole, se i protagonisti non sopportassero tutto, dando a tutto ciò che arriva un tocco di quotidianità e di sopportazione, non troveremo “zie” ladre come in “La tomba delle lucciole” o come sempre in quel film persone che si lasciano o che vengono lasciate morire: troveremo piuttosto nell’unità della famiglia, del vicinato la ragione per andare avanti e per aiutare gli altri. La famiglia e la città verranno duramente colpite, ma tutti si risollevano, perché la vita va avanti.
Secondo me è un buon film, secondo molti è stato fatto un basso budget: se è così, non ne ha risentito più di tanto, è un prodotto che ti accompagna per due ore senza annoiarti.
Trattandosi di uno slice of life, conosciamo subito la protagonista Suzu Urano, una ragazza come tante altre, forse un po’ sognatrice, con una grande abilità a disegnare; il tema del disegno lo troveremo spesso associato alla protagonista fino al dramma, dramma che non la abbatte... sì, perché, se inizialmente la vita è felice per la protagonista, prima da nubile poi da sposata piano piano si affacciano al suo cielo azzurro nuvole, nuvole nere... Dopo il matrimonio si avvicina la guerra, e sappiamo cosa significa guerra: razionamento, bombardamenti, morti... ma a parte qualche momento di sconforto i personaggi vanno avanti.
Il film inizia con colori simil pastello e un chara design che sa di quarant’anni fa, tutto sembrerebbe perfetto per narrare una fiaba sul modello delle storie dello studio Ghibli, invece il film è un movie che si immette nel filone storico-drammatico ma senza calcare la mano. Probabilmente troveremmo la cosa molto lacrimevole, se i protagonisti non sopportassero tutto, dando a tutto ciò che arriva un tocco di quotidianità e di sopportazione, non troveremo “zie” ladre come in “La tomba delle lucciole” o come sempre in quel film persone che si lasciano o che vengono lasciate morire: troveremo piuttosto nell’unità della famiglia, del vicinato la ragione per andare avanti e per aiutare gli altri. La famiglia e la città verranno duramente colpite, ma tutti si risollevano, perché la vita va avanti.
Secondo me è un buon film, secondo molti è stato fatto un basso budget: se è così, non ne ha risentito più di tanto, è un prodotto che ti accompagna per due ore senza annoiarti.
Anni fa girava su Internet un video dove un bambino in un parco veniva rapito da un’aquila. Per qualche giorno si accese il dibattito se questo video fosse vero o falso, poi si fecero avanti i due creatori, erano studenti di un corso universitario di grafica 3D. Il professore aveva assegnato ai ragazzi di questo corso un semplice compito: fare un video falso ma che sembrasse credibile, e coloro che avessero raggiunto le 100.000 visualizzazioni avrebbero ricevuto il massimo dei voti. Il video fu un successo, e dopo pochi giorni dalla pubblicazione aveva superato già i dieci milioni di contatti. Quando fu chiesto ai ragazzi come avessero fatto a scegliere questi soggetti, la risposta fu tanto sorprendente quanto banale: avevano analizzato i topic trend di YouTube e avevano visto che in cima al gradimento c’erano bambini e animali, così avevano deciso di unire i due super topic per creare il loro breve filmato.
Perché cito un vecchio video di YouTube per recensire questo lungometraggio? Semplice, perché, quando ho finito di vederlo, mi sono ritrovato con la sensazione di aver assistito a una storia costruita usando i trend di Google come ingredienti.
Per prima cosa si è preso l’evento più distruttivo del secolo scorso, poi si è aggiunto un bel po’ del più famoso anime storico della storia del Giappone (chissà qual è!), quindi si è buttato dentro uno degli anime più toccanti degli ultimi anni (che non guasta mai), si è gettato nel calderone un pizzico di character design anni ottanta (perché fa molto Studio Ghibli), infine si è data una bella shackerata et...
… voilà! Ecco a voi “In questo angolo di mondo”.
Non avendo letto il manga, non posso fare dei confronti, ma ho visto che la sceneggiatura e la regia sono state affidate a due persone diverse, e comunque, dal mio punto di vista, entrambe hanno delle gravi pecche.
La prima sorpresa negativa arriva già nei primi secondi di proiezione, quando si scopre che i personaggi sono disegnati come quarant’anni fa: questo fa sì che i protagonisti siano quasi completamente inespressivi, e che diano la sensazione di star a guardare delle bambole di pezza; inoltre anche il numero di frame per secondo dell’animazione è piuttosto basso. L’unica giustificazione che potevo dare a un disegno così scadente sarebbe stato quello di un’opera low cost, ma la fotografia è eccellente, e questo fa pensare che il budget di questo anime non sia stato così basso, quindi la sola motivazione che mi viene in mente è quella di una pura e semplice scelta artistica, fatta molto probabilmente per prendersi qualche bella recensione dalla critica più raffinata, quella che fa vincere i festival, per intenderci.
La storia invece sembra partire bene, viene presentata Suzo, la protagonista, la passione che ha per il disegno, viene introdotta la sua famiglia e la vita in un quell’angolo di mondo prima della Seconda Guerra Mondiale; ha una sorella più piccola e un fratello maggiore che chiama Orco, ma, da quello che si vede, il giovane fa ben poco per meritare questo appellativo. Nella sua vita compare anche bad boy, ed è evidente che ci sia del tenero fra loro, quindi tutto farebbe pensare che assisteremo alle difficoltà che lei, la sua famiglia e il suo amore dovranno affrontare, nella guerra prossima ventura. Ma poi la vita di Suzo ha una brusca virata, e la trama comincia a naufragare.
La ragazza, anche se non si può parlare di vere e proprie imposizioni, si ritrova a subire le decisioni fatte da altri per lei, e lo fa in uno stato di completa impassibilità, come se fosse un automa privo di emozioni, che esegue gli ordini senza aver nulla da dire. Attenzione, qui non parliamo di repressione emotiva, che avrebbe un suo perché, ma proprio assenza di emozioni, come se per lei non ci sia nessuna differenza tra il vivere nella propria casa, con la famiglia, vicino alla persona che si ama, e il farlo a quaranta chilometri di distanza, con dei perfetti sconosciuti, passando poi da una spensierata vita da adolescente ad una difficile da adulta. Non manifesta inoltre nessuna nostalgia o preoccupazione per la famiglia d’origine, ma soprattutto, e questa è la cosa più grave, non viene mai dato modo allo spettatore di sapere cosa le passi per la testa, con l’aggravante che lei è anche la voce narrante della storia.
Una delle poche cose buone di questa animazione è come viene presentato lo scorrere del tempo, che crea, in modo abile, un conto alla rovescia. All’inizio il balzo è di alcuni anni, poi diventa di mesi e, astutamente, verso la fine della storia, viene celato.
Ovviamente, con il procedere della narrazione, viene mostrato il progressivo deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, ma non viene mai trasmesso un vero coinvolgimento emotivo. Vengono quindi aggiunti tutta una serie di siparietti che dovrebbero far ridere o sdrammatizzare, ma a me sono sembrate solo delle strutture artefatte buttate lì a caso. C’è poi anche una parte drammatica che coinvolge direttamente la protagonista, ma anche qui siamo andati sull’usato sicuro.
Una delle cose che più mi ha lasciato interdetto è il fatto che tutti questi personaggi, con una sola eccezione, vivano i propri lutti nello stesso modo in cui una persona normale vivrebbe la morte di un criceto, forse anche con meno trasporto.
Verso la fine della storia, finalmente, tutti si accorgono dell’ingiustizia che ha subito la ragazza, e anche lei comincia infine ad esternare le proprie emozioni, ma questo, insieme al countdown, serve solo a creare una certa suspense riguardo le sorti della protagonista.
Come dicevo sopra, bellissime sono le immagini della città: ritengo che l’obbiettivo fosse quello di creare un forte contrasto tra il prima e il dopo la guerra, e anche la scena finale della mamma con il bambino ha un suo perché, ma è troppo poco. Penso che sarebbe stata una buona idea tentare di fare un cortometraggio partendo da lì, poteva venirne fuori un piccolo gioiello.
Come voto, a causa dell’insipidezza della narrazione, potevo dare tranquillamente un 5, ma, visto che ha deluso completamente le mie aspettative, gli do un bel 4!
Perché cito un vecchio video di YouTube per recensire questo lungometraggio? Semplice, perché, quando ho finito di vederlo, mi sono ritrovato con la sensazione di aver assistito a una storia costruita usando i trend di Google come ingredienti.
Per prima cosa si è preso l’evento più distruttivo del secolo scorso, poi si è aggiunto un bel po’ del più famoso anime storico della storia del Giappone (chissà qual è!), quindi si è buttato dentro uno degli anime più toccanti degli ultimi anni (che non guasta mai), si è gettato nel calderone un pizzico di character design anni ottanta (perché fa molto Studio Ghibli), infine si è data una bella shackerata et...
… voilà! Ecco a voi “In questo angolo di mondo”.
Non avendo letto il manga, non posso fare dei confronti, ma ho visto che la sceneggiatura e la regia sono state affidate a due persone diverse, e comunque, dal mio punto di vista, entrambe hanno delle gravi pecche.
La prima sorpresa negativa arriva già nei primi secondi di proiezione, quando si scopre che i personaggi sono disegnati come quarant’anni fa: questo fa sì che i protagonisti siano quasi completamente inespressivi, e che diano la sensazione di star a guardare delle bambole di pezza; inoltre anche il numero di frame per secondo dell’animazione è piuttosto basso. L’unica giustificazione che potevo dare a un disegno così scadente sarebbe stato quello di un’opera low cost, ma la fotografia è eccellente, e questo fa pensare che il budget di questo anime non sia stato così basso, quindi la sola motivazione che mi viene in mente è quella di una pura e semplice scelta artistica, fatta molto probabilmente per prendersi qualche bella recensione dalla critica più raffinata, quella che fa vincere i festival, per intenderci.
La storia invece sembra partire bene, viene presentata Suzo, la protagonista, la passione che ha per il disegno, viene introdotta la sua famiglia e la vita in un quell’angolo di mondo prima della Seconda Guerra Mondiale; ha una sorella più piccola e un fratello maggiore che chiama Orco, ma, da quello che si vede, il giovane fa ben poco per meritare questo appellativo. Nella sua vita compare anche bad boy, ed è evidente che ci sia del tenero fra loro, quindi tutto farebbe pensare che assisteremo alle difficoltà che lei, la sua famiglia e il suo amore dovranno affrontare, nella guerra prossima ventura. Ma poi la vita di Suzo ha una brusca virata, e la trama comincia a naufragare.
La ragazza, anche se non si può parlare di vere e proprie imposizioni, si ritrova a subire le decisioni fatte da altri per lei, e lo fa in uno stato di completa impassibilità, come se fosse un automa privo di emozioni, che esegue gli ordini senza aver nulla da dire. Attenzione, qui non parliamo di repressione emotiva, che avrebbe un suo perché, ma proprio assenza di emozioni, come se per lei non ci sia nessuna differenza tra il vivere nella propria casa, con la famiglia, vicino alla persona che si ama, e il farlo a quaranta chilometri di distanza, con dei perfetti sconosciuti, passando poi da una spensierata vita da adolescente ad una difficile da adulta. Non manifesta inoltre nessuna nostalgia o preoccupazione per la famiglia d’origine, ma soprattutto, e questa è la cosa più grave, non viene mai dato modo allo spettatore di sapere cosa le passi per la testa, con l’aggravante che lei è anche la voce narrante della storia.
Una delle poche cose buone di questa animazione è come viene presentato lo scorrere del tempo, che crea, in modo abile, un conto alla rovescia. All’inizio il balzo è di alcuni anni, poi diventa di mesi e, astutamente, verso la fine della storia, viene celato.
Ovviamente, con il procedere della narrazione, viene mostrato il progressivo deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, ma non viene mai trasmesso un vero coinvolgimento emotivo. Vengono quindi aggiunti tutta una serie di siparietti che dovrebbero far ridere o sdrammatizzare, ma a me sono sembrate solo delle strutture artefatte buttate lì a caso. C’è poi anche una parte drammatica che coinvolge direttamente la protagonista, ma anche qui siamo andati sull’usato sicuro.
Una delle cose che più mi ha lasciato interdetto è il fatto che tutti questi personaggi, con una sola eccezione, vivano i propri lutti nello stesso modo in cui una persona normale vivrebbe la morte di un criceto, forse anche con meno trasporto.
Verso la fine della storia, finalmente, tutti si accorgono dell’ingiustizia che ha subito la ragazza, e anche lei comincia infine ad esternare le proprie emozioni, ma questo, insieme al countdown, serve solo a creare una certa suspense riguardo le sorti della protagonista.
Come dicevo sopra, bellissime sono le immagini della città: ritengo che l’obbiettivo fosse quello di creare un forte contrasto tra il prima e il dopo la guerra, e anche la scena finale della mamma con il bambino ha un suo perché, ma è troppo poco. Penso che sarebbe stata una buona idea tentare di fare un cortometraggio partendo da lì, poteva venirne fuori un piccolo gioiello.
Come voto, a causa dell’insipidezza della narrazione, potevo dare tranquillamente un 5, ma, visto che ha deluso completamente le mie aspettative, gli do un bel 4!
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Dopo lo sconfortante "Una tomba per le lucciole", ero convinto di non aver più la forza di vedere un film sui civili giapponesi durante la guerra. Invece, con "In quest'angolo di mondo", ho goduto di una vera psicoterapia, e ne consiglio la visione a chiunque.
Ma andiamo con ordine.
La storia inizia negli Anni Trenta, e descrive l'infanzia di Urano, una bimbetta di Hiroshima un po' svagata ma dalla grande abilità nel disegno. Giunta ai diciotto anni, va in moglie, nel 1944, per un matrimonio combinato a un impiegato della marina che vive poco lontano, a Kure. Ma la vita non sarà certo serena, dato che, pur avendo già i normali problemi di vivere in un nuovo posto e senza eccessiva convinzione riguardo al matrimonio, Urano dovrà affrontare anche l'acida cognata neo-vedova, i razionamenti di cibo e, dal '45, i terribili bombardamenti che avrebbero devastato l'arcipelago per mesi. Ma la sognatrice Urano riuscirà a crescere e a proseguire, superando le prove dolorosissime della perdita di una mano e della morte della nipote a causa di una bomba inesplosa. Ma la prova più grande sarà proprio affrontare la realtà senza smettere di essere una sognatrice, e trovando anzi nel sogno una via per continuare a vivere.
Il regista descrive la guerra e i suoi tormenti in maniera diversa da quanto era stato fatto in "Una tomba per le lucciole", ovvero puntando al massimo sulla vita quotidiana, descritta in maniera storicamente ineccepibile e puntando sui rapporti umani tra i molti personaggi. Non sarà la fame ad avere il ruolo di nemica numero uno, ma, al contrario, sarà la domanda se abbia senso vivere e come farla da padrone. Non si può non restare indifferenti innanzi alla perdita della mano e della capacità di disegnare della protagonista, ai suoi sensi di colpa per la morte della nipote, alle lacrime per la sconfitta del Giappone, una scena in cui più che una sognatrice sembra una nazionalista convinta. E come dimenticare la scena del discorso radiofonico dell'imperatore? O alla tragedia di Hiroshima descritta in maniera così originale ed efficace?
La grafica è buona, anche se, curiosamente, si è deciso di disegnare i personaggi in modo da dare loro un'aria infantile e tondeggiante, oltre a un'altezza scarsa. Inizialmente può spiazzare, ma ci si abitua subito. Ottima la regia e la colonna sonora.
Un film molto profondo e toccante, che strizza l'occhio a "La vita è bella", a cui un otto non si può negare.
Dopo lo sconfortante "Una tomba per le lucciole", ero convinto di non aver più la forza di vedere un film sui civili giapponesi durante la guerra. Invece, con "In quest'angolo di mondo", ho goduto di una vera psicoterapia, e ne consiglio la visione a chiunque.
Ma andiamo con ordine.
La storia inizia negli Anni Trenta, e descrive l'infanzia di Urano, una bimbetta di Hiroshima un po' svagata ma dalla grande abilità nel disegno. Giunta ai diciotto anni, va in moglie, nel 1944, per un matrimonio combinato a un impiegato della marina che vive poco lontano, a Kure. Ma la vita non sarà certo serena, dato che, pur avendo già i normali problemi di vivere in un nuovo posto e senza eccessiva convinzione riguardo al matrimonio, Urano dovrà affrontare anche l'acida cognata neo-vedova, i razionamenti di cibo e, dal '45, i terribili bombardamenti che avrebbero devastato l'arcipelago per mesi. Ma la sognatrice Urano riuscirà a crescere e a proseguire, superando le prove dolorosissime della perdita di una mano e della morte della nipote a causa di una bomba inesplosa. Ma la prova più grande sarà proprio affrontare la realtà senza smettere di essere una sognatrice, e trovando anzi nel sogno una via per continuare a vivere.
Il regista descrive la guerra e i suoi tormenti in maniera diversa da quanto era stato fatto in "Una tomba per le lucciole", ovvero puntando al massimo sulla vita quotidiana, descritta in maniera storicamente ineccepibile e puntando sui rapporti umani tra i molti personaggi. Non sarà la fame ad avere il ruolo di nemica numero uno, ma, al contrario, sarà la domanda se abbia senso vivere e come farla da padrone. Non si può non restare indifferenti innanzi alla perdita della mano e della capacità di disegnare della protagonista, ai suoi sensi di colpa per la morte della nipote, alle lacrime per la sconfitta del Giappone, una scena in cui più che una sognatrice sembra una nazionalista convinta. E come dimenticare la scena del discorso radiofonico dell'imperatore? O alla tragedia di Hiroshima descritta in maniera così originale ed efficace?
La grafica è buona, anche se, curiosamente, si è deciso di disegnare i personaggi in modo da dare loro un'aria infantile e tondeggiante, oltre a un'altezza scarsa. Inizialmente può spiazzare, ma ci si abitua subito. Ottima la regia e la colonna sonora.
Un film molto profondo e toccante, che strizza l'occhio a "La vita è bella", a cui un otto non si può negare.
La grande forza di questo lungometraggio d’animazione è sicuramente il suo stile grafico, che ci riporta ai cartoni animati, ma a differenza di questi, “In questo angolo di mondo” tratta un argomento serio e sotto certi aspetti drammatico, in particolare le ultime scene che mostrano il momento dello scoppio della bomba atomica e le devastanti conseguenze che essa ha comportato anche sulla pelle di una bambina, la quale vede la propria madre sfregiata dall’esplosione senza però capire che stesse per morire. La realtà dei bombardamenti e delle incursioni aeree e dei danni alle cose materiali e alle persone (sia fisici che psicologici) da essi provocati viene messa bene in risalto nella parte centrale del film.
Questo è un capolavoro!
Questo è un capolavoro!
Visto il tema, memore di “Una Tomba per le Lucciole”, e non avendo letto l’opera da cui è stato tratto il lungometraggio, sono andato al cinema preparato al peggio, ovvero un fiume di lacrime. Invece “In questo angolo di mondo” si è dimostrato una duplice sorpresa, riuscendo non solo non a provocarmi alcun senso di angoscia nonostante la scabrosa situazione raccontata, ma anche a farmi più volte sorridere. E, se pensate sia di cattivo gusto che la si butti sul comico, raccontando una delle più grandi tragedie dello scorso secolo, vi consiglio ancor più di vedere “In questo angolo di mondo”, perché vi ricrederete.
Le vicende raccontano la vita di una bambina costretta a diventare adulta in un periodo tragico non solo per il Giappone, in cui la sua quotidianità si è lentamente e progressivamente trasformata in una lotta per sopravvivere dalle follie delle guerra, tra bombardamenti e razionamenti sempre più severi. Mostra uno spaccato molto interessante della vita del tempo e lo fa senza mai andare a calcare il sentiero della facile e spicciola emotività, preferendo mostrare le piccole gioie quotidiane, per quanto banali possano apparire, piuttosto che soffermarsi sulle scabrosità che nel lungometraggio, a parte in un paio di occasioni, sono solo fatte intendere. Non so quanto fosse voluto, ma durante la visione mi è anche giunto un forte e violento messaggio indirizzato alla società attuale, nella quale ci si perde a star male per frivolezze, dimenticando tutte le fortune che ci sono state donate nascendo nella nostra epoca. Ben più evidente e forse sorprendente giunge un messaggio di speranza, un’ode allo stoico carattere della protagonista, che trascinata da forze più grandi di lei riesce ogni volta a riprendersi e trovare un nuovo motivo per vivere e godersi le piccole cose che gli sono rimaste.
Graficamente l’opera è strana, non tocca picchi che in termini assoluti possono gareggiare con altre produzioni, ma camuffa un budget probabilmente non così elevato in modo lodevole, optando per alcune scelte artistiche che valorizzano il prodotto finale. Serve qualche minuto per abituarsi al character design, così lontano da quello che ci è proposto nell’animazione moderna e altresì dalla classica, e alle animazioni, anche in questo caso piuttosto semplici, ma dopo una mezz’ora si inizierà a non farci più caso. Anzi, in realtà le musiche e alcune scelte registiche si dimostrano così efficaci, da regalare alcune sequenze che a distanza di qualche mese ho ancora ben ferme nelle memoria. Ho particolarmente apprezzato la resa dei personaggi, uno dei punti forti di “In questo angolo di mondo”, che appaiono con i loro difetti e contraddizioni, senza essere eccentrici o appariscenti, ma sempre verosimili e molto umani. Prima della visione ero seriamente preoccupato per la lunghezza del lungometraggio, che supera abbondantemente le due ore, tuttavia non ho mai subito momenti di stanca, la mia attenzione è stata sempre alta grazie a un buon rimo narrativo e all’intermezzo di piacevoli battute, in grado di spezzare in modo efficace situazioni che potenzialmente avrebbero potuto essere stagnanti.
“In questo angolo di mondo” non verrà ricordato come uno dei pezzi da novanta dell’animazione giapponese, ma è un lungometraggio solido, ben studiato, in cui si fa ottimo uso dei mezzi a disposizione e onore all’opera da cui è tratto. Racconta un tema critico e scomodo in modo incredibilmente scanzonato e a mio parere efficace. Sono stato estremamente felice di avere dedicato alla sua visione due ore abbondanti della mia vita, mi ha intrattenuto, mi ha fatto penare e, a suo modo, anche apprezzare un po’ di più la mia vita quotidiana.
Voto: otto
Le vicende raccontano la vita di una bambina costretta a diventare adulta in un periodo tragico non solo per il Giappone, in cui la sua quotidianità si è lentamente e progressivamente trasformata in una lotta per sopravvivere dalle follie delle guerra, tra bombardamenti e razionamenti sempre più severi. Mostra uno spaccato molto interessante della vita del tempo e lo fa senza mai andare a calcare il sentiero della facile e spicciola emotività, preferendo mostrare le piccole gioie quotidiane, per quanto banali possano apparire, piuttosto che soffermarsi sulle scabrosità che nel lungometraggio, a parte in un paio di occasioni, sono solo fatte intendere. Non so quanto fosse voluto, ma durante la visione mi è anche giunto un forte e violento messaggio indirizzato alla società attuale, nella quale ci si perde a star male per frivolezze, dimenticando tutte le fortune che ci sono state donate nascendo nella nostra epoca. Ben più evidente e forse sorprendente giunge un messaggio di speranza, un’ode allo stoico carattere della protagonista, che trascinata da forze più grandi di lei riesce ogni volta a riprendersi e trovare un nuovo motivo per vivere e godersi le piccole cose che gli sono rimaste.
Graficamente l’opera è strana, non tocca picchi che in termini assoluti possono gareggiare con altre produzioni, ma camuffa un budget probabilmente non così elevato in modo lodevole, optando per alcune scelte artistiche che valorizzano il prodotto finale. Serve qualche minuto per abituarsi al character design, così lontano da quello che ci è proposto nell’animazione moderna e altresì dalla classica, e alle animazioni, anche in questo caso piuttosto semplici, ma dopo una mezz’ora si inizierà a non farci più caso. Anzi, in realtà le musiche e alcune scelte registiche si dimostrano così efficaci, da regalare alcune sequenze che a distanza di qualche mese ho ancora ben ferme nelle memoria. Ho particolarmente apprezzato la resa dei personaggi, uno dei punti forti di “In questo angolo di mondo”, che appaiono con i loro difetti e contraddizioni, senza essere eccentrici o appariscenti, ma sempre verosimili e molto umani. Prima della visione ero seriamente preoccupato per la lunghezza del lungometraggio, che supera abbondantemente le due ore, tuttavia non ho mai subito momenti di stanca, la mia attenzione è stata sempre alta grazie a un buon rimo narrativo e all’intermezzo di piacevoli battute, in grado di spezzare in modo efficace situazioni che potenzialmente avrebbero potuto essere stagnanti.
“In questo angolo di mondo” non verrà ricordato come uno dei pezzi da novanta dell’animazione giapponese, ma è un lungometraggio solido, ben studiato, in cui si fa ottimo uso dei mezzi a disposizione e onore all’opera da cui è tratto. Racconta un tema critico e scomodo in modo incredibilmente scanzonato e a mio parere efficace. Sono stato estremamente felice di avere dedicato alla sua visione due ore abbondanti della mia vita, mi ha intrattenuto, mi ha fatto penare e, a suo modo, anche apprezzare un po’ di più la mia vita quotidiana.
Voto: otto
Terza opera da regista del talentuoso animatore Sunao Katabuchi (già assistente di Hayao Miyazaki in “Kiki: Consegne a domicilio”), “In questo angolo di mondo” è un film di ambientazione bellica che si inserisce a pieno titolo in quella tradizione del cinema di animazione che rielabora il trauma subito dal Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, e che vede come punti fermi imprescindibili le opere “Gen di Hiroshima” di Masaki Mori e “Una tomba per le lucciole” di Isao Takahata.
La vicenda umanissima della giovane e coraggiosa Suzu si affianca quindi a quelle di Seita, Setsuko e Gen nel raccontare la Grande Storia attraverso un microscopio puntato sulle piccole storie e sulla vita quotidiana della gente comune. Katabuchi getta lo sguardo un po’ più indietro nel tempo, partendo dagli anni ‘30, per fotografare un angolo di Giappone che ormai non c’è più.
Partendo dall'omonima opera a fumetti di Fumiyo Kōno del 2007, adattata cinematograficamente grazie a una campagna di crowdfunding, “In questo angolo di mondo” ha riscosso un incredibile successo di pubblico in patria, dove ha vinto il premio “Animation of the Year” a Japan Academy Prize. Il film si è distinto anche all’estero aggiudicandosi premi al Toronto Japanese Film Festival e al prestigioso Annecy International Animated Film Festival. Recentemente è stato distribuito nei cinema italiani per un evento speciale di due giorni (il 19 e il 20 settembre) organizzato da Nexo Digital e Dynit.
La storia narra le vicende di Suzu Urano, ragazza di umile estrazione, sognatrice “con la testa fra le nuvole” e con una spiccata sensibilità artistica, che nel 1944, dopo un matrimonio combinato, si trasferisce da Hiroshima nella vicina Kure, città portuale dove si concentra il grosso della flotta nipponica. Qui è impegnata a governare la casa della famiglia di suo marito, Shusaku Hojo, funzionario della marina imperiale. Con la militarizzazione del Paese ai massimi livelli e il nemico alle porte, Suzu deve imparare l’arte della sopravvivenza nelle difficili condizioni di vita in tempo di guerra. I continui bombardamenti dell’aeronautica statunitense rendono quasi impossibile l’esistenza per gli abitanti di Kure, impotenti e costretti a rintanarsi nel sottosuolo a ogni richiamo delle sirene antiaeree. Anche la vita di Suzu è sconvolta, ma con tenacia, perseveranza, un pizzico di creatività e tanto coraggio, riesce sempre a ottenere il massimo con gli scarsi mezzi a sua disposizione.
La messa in scena è allestita con precisione storica e il regista supera sé stesso quando si sofferma sulla vita domestica e sulle dinamiche interpersonali. Il racconto di formazione gli consente di tratteggiare con estrema naturalezza la personalità di Suzu, e anche le figure che le vivono accanto sono caratterizzate meticolosamente, con particolare attenzione ai personaggi femminili. Il tono generale è nostalgico e un po’ sentimentale, con la sotto-trama romantica che esalta l’umanità della protagonista.
Nella prima parte il film riesce a essere delicato come la tavolozza dai toni pastello a cui attinge. Vibranti pennellate infondono vita alle scene con un gusto squisitamente pittorico, romantiche e sognanti come la protagonista, ci rivelano un’artigianalità (forse debitrice verso le ultime opere di Takahata) in netto contrasto con le tendenze foto-realistiche di certa animazione contemporanea. I raffinati disegni ci restituiscono la luce del sole, gli aghi di pino agitati dalla brezza primaverile e le nuvole fluttuanti, con un calore che l'azione dal vivo non potrebbe mai rappresentare.
Il Giappone pre-bellico di Suzu è un luogo idilliaco, un posto dove le persone vivono in armonia con la natura sulle soavi note dell’Adeste Fideles, e questo Paese così accogliente risplende di ancor più fulgida bellezza agli occhi della giovane artista.
Utilizzando migliaia di fotografie d’epoca, Katabuchi ricrea i contesti urbani e rurali degli anni '30 e '40 e cattura con sorprendente realismo la vita di quel mondo lontano. La ricostruzione è affettuosamente curata e si sofferma sulla meraviglia del paesaggio naturale in una maniera ancora una volta vicina all'estetica ghibliana. In questo scenario si muovono i vari personaggi, caratterizzati da un design pulito, morbido ed essenziale che ne esalta l’espressività.
Il ritmo del racconto è cadenzato da didascalie che ci ricordano puntualmente a che punto siamo della Grande Storia, quasi come un diario che, inesorabilmente, funge da terribile conto alla rovescia per quello che succederà in quel fatidico 6 agosto 1945. La struttura frammentata in brevi episodi ci permette di sedimentare la crescita di Suzu e lo sviluppo della sua personalità, grazie anche al sapiente uso dei flashback, spesso dispiegati attraverso i suoi stessi schizzi a matita che ci trasmettono la sua poetica visione del mondo.
Le scene domestiche, teneramente intimiste, racchiudono aneddoti che hanno il sapore dei ricordi, come se una donna matura raccontasse ai suoi nipoti di come abbia imparato a disegnare, a cucinare, a cucire un kimono in quei tempi lontani. Questo ritmo erratico di contemplativa lentezza ben presto subisce una svolta, quando i raid aerei diventano la normalità e la parabola di Suzu si fa più intensa e drammatica.
Il film mantiene sempre un registro emozionale pacato, senza plateali slanci patetici. L’eroismo con cui Suzu affronta la vita è dimesso e silenzioso: "Sei così ordinaria!", le viene rimproverato bonariamente dal suo compagno che sta per partire soldato. Il suo cuore d’artista è come un diaframma che le permette non solo di sopravvivere all'ombra della morte, ma di vivere in essa. L'esperienza di testimoniare la distruzione attraverso gli occhi di Suzu ha un impatto soffuso e quasi attenuato per lo spettatore. Il suo modo quasi stoico di interiorizzare gli orrori la fa apparire, nelle scene seguenti, appena scalfita da ciò che le succede.
Le atrocità mettono a dura prova la fervida immaginazione della nostra eroina, ma non bastano a spezzare i suoi sogni e a spegnere la sua innata capacità di assaporare la vita per quello che semplicemente è: "Anche in guerra, le cicale friniscono e le farfalle volano!". Talvolta la limpida purezza di Suzu si riflette nella luminosa innocenza della piccola Harumi che in un’occasione, sulle note di “Moonlight Serenade”, ingenuamente le chiede: "È questa la musica del nemico?".
Nel momento più buio e dolente del film è sufficiente un lugubre sfondo nero squarciato da caotici segni bianchi immersi in un silenzio stordente per toccarci nel profondo e farci rimanere abbacinati dall’oblìo. In questa seconda parte il racconto diventa sempre più straziante e troppo spesso Suzu si ritrova a fare i conti con la tragedia. Sperimenta a sue spese un grave incidente e si fa essa stessa triste metafora delle condizioni del suo Paese, che non sarà mai più come prima.
Nel terzo atto l’abisso di devastazione arriva puntuale, inevitabile. Il disastro atomico non di meno viene trattato con misurata distanza e preannunciato una sola volta, quando Suzu e Harumi osservano dalla collina un nuvolone carico di pioggia, come un cupo presagio di morte. La stessa detonazione di Little Boy non accade in maniera brutale (come in Gen) ma lontano e fuori campo. I personaggi avvertono solo un lampo fugace, uno stormire di foglie al vento e una nube dalla forma più strana di qualsiasi altra mai vista prima (ma noi la conosciamo bene e fa immancabilmente correre brividi inaspettati lungo la schiena).
Eppure Katabuchi non perde mai di vista la bellezza visiva del film. In questo senso è esemplare la sorprendente sequenza in cui Suzu, durante un raid, si sorprende ad osservare con incanto le terribili esplosioni, trasfigurando le bombe in immagini pittoriche, come poetiche macchie di colore che cadono su una tela blu come il cielo. Questa intuizione è funzionale per descrivere la sensibilità artistica di Suzu ed è al contempo un meta-commento sull’idea stessa di film, che arditamente mescola insieme arte e implacabile cronaca storica.
Nell’epilogo, con il conflitto ormai alle spalle, a differenza della disillusione spietata e senza via d’uscita di Seita in “Una tomba per le lucciole”, alla dolce Suzu non resta che accettare le barrette di cioccolato dei soldati americani e, in ultima analisi, farsi personificazione stessa della speranza per un nuovo orizzonte nel Giappone del domani.
Il fungo atomico che fiorì sopra Hiroshima è da tempo dissipato, ma in un certo senso incombe ancora sopra la città giapponese come un’oscura coltre di fuliggine. Ogni anno, la sera del 6 agosto, gli abitanti di Hiroshima si riuniscono lungo le rive del fiume Ota per rilasciare una moltitudine di lanterne a conclusione di una cerimonia commemorativa. È un giorno dedicato alla memoria in cui gli Hibakusha - i sopravvissuti alle esplosioni nucleari - si raccolgono intorno alla Genbaku Dōmu (Cupola della Bomba) per elaborare il loro dolore e anelare un futuro di pace. La guerra priva le persone della capacità di sognare, rendendo la realtà troppo opprimente perché la luce dell'immaginazione possa ancora risplendere attraverso le tenebre. “In questo angolo di mondo” lascia in tal senso un segno indelebile e ci offre un’ottima occasione per riflettere.
In un’epoca come la nostra, in cui leader nazionali dibattono ancora sulle dimensioni dei loro arsenali nucleari e sulla loro disponibilità a utilizzarli, è quanto mai opportuno che “In questo angolo del mondo” venga proiettato nei cinema e nelle scuole di tutto il mondo, perché questa pellicola ci ricorda, con la sua raffinata eleganza stilistica, che non si può mai dimenticare l’orrore, e ci para davanti agli occhi ciò che la guerra è capace di fare all'animo umano.
La vicenda umanissima della giovane e coraggiosa Suzu si affianca quindi a quelle di Seita, Setsuko e Gen nel raccontare la Grande Storia attraverso un microscopio puntato sulle piccole storie e sulla vita quotidiana della gente comune. Katabuchi getta lo sguardo un po’ più indietro nel tempo, partendo dagli anni ‘30, per fotografare un angolo di Giappone che ormai non c’è più.
Partendo dall'omonima opera a fumetti di Fumiyo Kōno del 2007, adattata cinematograficamente grazie a una campagna di crowdfunding, “In questo angolo di mondo” ha riscosso un incredibile successo di pubblico in patria, dove ha vinto il premio “Animation of the Year” a Japan Academy Prize. Il film si è distinto anche all’estero aggiudicandosi premi al Toronto Japanese Film Festival e al prestigioso Annecy International Animated Film Festival. Recentemente è stato distribuito nei cinema italiani per un evento speciale di due giorni (il 19 e il 20 settembre) organizzato da Nexo Digital e Dynit.
La storia narra le vicende di Suzu Urano, ragazza di umile estrazione, sognatrice “con la testa fra le nuvole” e con una spiccata sensibilità artistica, che nel 1944, dopo un matrimonio combinato, si trasferisce da Hiroshima nella vicina Kure, città portuale dove si concentra il grosso della flotta nipponica. Qui è impegnata a governare la casa della famiglia di suo marito, Shusaku Hojo, funzionario della marina imperiale. Con la militarizzazione del Paese ai massimi livelli e il nemico alle porte, Suzu deve imparare l’arte della sopravvivenza nelle difficili condizioni di vita in tempo di guerra. I continui bombardamenti dell’aeronautica statunitense rendono quasi impossibile l’esistenza per gli abitanti di Kure, impotenti e costretti a rintanarsi nel sottosuolo a ogni richiamo delle sirene antiaeree. Anche la vita di Suzu è sconvolta, ma con tenacia, perseveranza, un pizzico di creatività e tanto coraggio, riesce sempre a ottenere il massimo con gli scarsi mezzi a sua disposizione.
La messa in scena è allestita con precisione storica e il regista supera sé stesso quando si sofferma sulla vita domestica e sulle dinamiche interpersonali. Il racconto di formazione gli consente di tratteggiare con estrema naturalezza la personalità di Suzu, e anche le figure che le vivono accanto sono caratterizzate meticolosamente, con particolare attenzione ai personaggi femminili. Il tono generale è nostalgico e un po’ sentimentale, con la sotto-trama romantica che esalta l’umanità della protagonista.
Nella prima parte il film riesce a essere delicato come la tavolozza dai toni pastello a cui attinge. Vibranti pennellate infondono vita alle scene con un gusto squisitamente pittorico, romantiche e sognanti come la protagonista, ci rivelano un’artigianalità (forse debitrice verso le ultime opere di Takahata) in netto contrasto con le tendenze foto-realistiche di certa animazione contemporanea. I raffinati disegni ci restituiscono la luce del sole, gli aghi di pino agitati dalla brezza primaverile e le nuvole fluttuanti, con un calore che l'azione dal vivo non potrebbe mai rappresentare.
Il Giappone pre-bellico di Suzu è un luogo idilliaco, un posto dove le persone vivono in armonia con la natura sulle soavi note dell’Adeste Fideles, e questo Paese così accogliente risplende di ancor più fulgida bellezza agli occhi della giovane artista.
Utilizzando migliaia di fotografie d’epoca, Katabuchi ricrea i contesti urbani e rurali degli anni '30 e '40 e cattura con sorprendente realismo la vita di quel mondo lontano. La ricostruzione è affettuosamente curata e si sofferma sulla meraviglia del paesaggio naturale in una maniera ancora una volta vicina all'estetica ghibliana. In questo scenario si muovono i vari personaggi, caratterizzati da un design pulito, morbido ed essenziale che ne esalta l’espressività.
Il ritmo del racconto è cadenzato da didascalie che ci ricordano puntualmente a che punto siamo della Grande Storia, quasi come un diario che, inesorabilmente, funge da terribile conto alla rovescia per quello che succederà in quel fatidico 6 agosto 1945. La struttura frammentata in brevi episodi ci permette di sedimentare la crescita di Suzu e lo sviluppo della sua personalità, grazie anche al sapiente uso dei flashback, spesso dispiegati attraverso i suoi stessi schizzi a matita che ci trasmettono la sua poetica visione del mondo.
Le scene domestiche, teneramente intimiste, racchiudono aneddoti che hanno il sapore dei ricordi, come se una donna matura raccontasse ai suoi nipoti di come abbia imparato a disegnare, a cucinare, a cucire un kimono in quei tempi lontani. Questo ritmo erratico di contemplativa lentezza ben presto subisce una svolta, quando i raid aerei diventano la normalità e la parabola di Suzu si fa più intensa e drammatica.
Il film mantiene sempre un registro emozionale pacato, senza plateali slanci patetici. L’eroismo con cui Suzu affronta la vita è dimesso e silenzioso: "Sei così ordinaria!", le viene rimproverato bonariamente dal suo compagno che sta per partire soldato. Il suo cuore d’artista è come un diaframma che le permette non solo di sopravvivere all'ombra della morte, ma di vivere in essa. L'esperienza di testimoniare la distruzione attraverso gli occhi di Suzu ha un impatto soffuso e quasi attenuato per lo spettatore. Il suo modo quasi stoico di interiorizzare gli orrori la fa apparire, nelle scene seguenti, appena scalfita da ciò che le succede.
Le atrocità mettono a dura prova la fervida immaginazione della nostra eroina, ma non bastano a spezzare i suoi sogni e a spegnere la sua innata capacità di assaporare la vita per quello che semplicemente è: "Anche in guerra, le cicale friniscono e le farfalle volano!". Talvolta la limpida purezza di Suzu si riflette nella luminosa innocenza della piccola Harumi che in un’occasione, sulle note di “Moonlight Serenade”, ingenuamente le chiede: "È questa la musica del nemico?".
Nel momento più buio e dolente del film è sufficiente un lugubre sfondo nero squarciato da caotici segni bianchi immersi in un silenzio stordente per toccarci nel profondo e farci rimanere abbacinati dall’oblìo. In questa seconda parte il racconto diventa sempre più straziante e troppo spesso Suzu si ritrova a fare i conti con la tragedia. Sperimenta a sue spese un grave incidente e si fa essa stessa triste metafora delle condizioni del suo Paese, che non sarà mai più come prima.
Nel terzo atto l’abisso di devastazione arriva puntuale, inevitabile. Il disastro atomico non di meno viene trattato con misurata distanza e preannunciato una sola volta, quando Suzu e Harumi osservano dalla collina un nuvolone carico di pioggia, come un cupo presagio di morte. La stessa detonazione di Little Boy non accade in maniera brutale (come in Gen) ma lontano e fuori campo. I personaggi avvertono solo un lampo fugace, uno stormire di foglie al vento e una nube dalla forma più strana di qualsiasi altra mai vista prima (ma noi la conosciamo bene e fa immancabilmente correre brividi inaspettati lungo la schiena).
Eppure Katabuchi non perde mai di vista la bellezza visiva del film. In questo senso è esemplare la sorprendente sequenza in cui Suzu, durante un raid, si sorprende ad osservare con incanto le terribili esplosioni, trasfigurando le bombe in immagini pittoriche, come poetiche macchie di colore che cadono su una tela blu come il cielo. Questa intuizione è funzionale per descrivere la sensibilità artistica di Suzu ed è al contempo un meta-commento sull’idea stessa di film, che arditamente mescola insieme arte e implacabile cronaca storica.
Nell’epilogo, con il conflitto ormai alle spalle, a differenza della disillusione spietata e senza via d’uscita di Seita in “Una tomba per le lucciole”, alla dolce Suzu non resta che accettare le barrette di cioccolato dei soldati americani e, in ultima analisi, farsi personificazione stessa della speranza per un nuovo orizzonte nel Giappone del domani.
Il fungo atomico che fiorì sopra Hiroshima è da tempo dissipato, ma in un certo senso incombe ancora sopra la città giapponese come un’oscura coltre di fuliggine. Ogni anno, la sera del 6 agosto, gli abitanti di Hiroshima si riuniscono lungo le rive del fiume Ota per rilasciare una moltitudine di lanterne a conclusione di una cerimonia commemorativa. È un giorno dedicato alla memoria in cui gli Hibakusha - i sopravvissuti alle esplosioni nucleari - si raccolgono intorno alla Genbaku Dōmu (Cupola della Bomba) per elaborare il loro dolore e anelare un futuro di pace. La guerra priva le persone della capacità di sognare, rendendo la realtà troppo opprimente perché la luce dell'immaginazione possa ancora risplendere attraverso le tenebre. “In questo angolo di mondo” lascia in tal senso un segno indelebile e ci offre un’ottima occasione per riflettere.
In un’epoca come la nostra, in cui leader nazionali dibattono ancora sulle dimensioni dei loro arsenali nucleari e sulla loro disponibilità a utilizzarli, è quanto mai opportuno che “In questo angolo del mondo” venga proiettato nei cinema e nelle scuole di tutto il mondo, perché questa pellicola ci ricorda, con la sua raffinata eleganza stilistica, che non si può mai dimenticare l’orrore, e ci para davanti agli occhi ciò che la guerra è capace di fare all'animo umano.
Una piacevole scoperta seguita a un inatteso "inganno". Se ripenso a "In questo angolo di mondo", è il giudizio lapidario che mi verrebbe da esprimere, perché è ciò che ho vissuto in prima persona. Mi sono approcciato alla visione traviato da un trailer artefatto e da sommarie trame lette qua e là sul web, aspettandomi una strenua e dolorosa storia d’amore ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale nel Giappone stremato dalle incursioni alleate; mi sono ritrovato invece una storia che affronta tante sfaccettature diverse, non limitandosi all’aspetto romantico, e che forse anche per questo mi ha ancora più piacevolmente sorpreso.
"In questo angolo di mondo" narra la storia di Suzu Urano, poi Hojo per matrimonio, ma potrebbe raccontare la storia di qualsiasi altro Giapponese costretto a vivere in quell’epoca; la nostra protagonista infatti non ha nessun elemento che la rende così diversa dalla massa, è una ragazza, poi donna, che non spicca né per doti estetiche né caratteriali, è un’adorabile pasticciona con la testa perennemente tra le nuvole che ama disegnare e rendersi utile quando può. Originaria di Hiroshima, si trasferisce nella non distante Kure, facente parte della stessa prefettura, in seguito al matrimonio con Shusaku Hojo, futuro ufficiale di marina innamoratosi di lei da bambino e giunto fin nella sua casa desideroso di sposarla. Il matrimonio, che neanche lei riesce a rendersi conto quanto sia effettivamente voluto, la costringe a cambiare casa, famiglia, amicizie e abitudini, con tutti i problemi che possono derivare quando sei costretto ad azioni simili, problemi che si moltiplicano quando devi affrontarli in pieno periodo di guerra in una Nazione prostrata dagli stenti che rifiuta la realtà che la circonda nell’illusione di riuscire ad avere la meglio contro il ‘nemico’.
Questa sommaria trama rende già l’idea del ‘genere’ trattato dal film, sicuramente drammatico, storico, in parte romantico, nulla da dire, ma, soprattutto, uno slice of life con la S maiuscola, da definizione di vocabolario proprio. L’intero lungometraggio è impostato sulla figura di Suzu e sulla sua vita quotidiana, dagli aspetti più tragici, come possono essere i feroci e continui bombardamenti, a quelli più banali quali la cucina, la spesa, le pulizie di casa, i rapporti con la famiglia del marito, l’ordinario che più ordinario non si può. E probabilmente è questo che riesce a differenziare "In questo angolo di mondo" dagli altri film ambientati nello stesso periodo: la guerra è un argomento, non l’argomento, il dramma è palpabile per quasi tutta la sua durata, ma incontra i protagonisti solo nella parte finale, il romanticismo è un elemento marginale col matrimonio di Suzu e Shusaku che si trascina tra alti e bassi, trovando un equilibrio solo quando il peggio sembra passato; è la normale vita quotidiana la protagonista principale, è quella che lo spettatore è "costretto" a vedere e finisce per apprezzare.
Ad aiutarlo in questo arriva un comparto tecnico che, al contrario di quanto avevo letto finora, che lo criticava spesso e volentieri, io ho trovato bellissimo. Prodotto dalla compagnia Genco, animato allo studio Mappa, "In questo angolo di mondo" gode di una grafica particolare e piacevolissima che io ho apprezzato tanto quanto la storia del film in sé; il character design forse può far storcere il naso, in quanto è piuttosto semplice e in alcuni frame quasi mediocre, ma è un adattamento fedelissimo del tratto originario di Fumiyo Kono (autrice dell’omonimo manga da cui è ispirato questo film), per cui trovo assurdo criticarlo, anche perché dopo il primo impatto ci si abitua facilmente all’aspetto semplice ma anche accattivante dei personaggi. Il mondo in cui questi si muovono invece è una gioia per gli occhi: colori pastello delicatissimi che non cedono il passo neanche nei bombardamenti, nella sofferenza, nelle scene più crude che il film offre, un affresco aggraziato impossibile da non apprezzare che il regista Sunao Katabuchi sfrutta in ogni modo con riprese e tagli studiati per catturare l’interesse dello spettatore. Anche il comparto sonoro fa la sua parte, pur se non mi ha colpito come quello grafico: la colonna sonora della cantante Kotringo è sicuramente azzeccata, ma non regge il confronto secondo me con la colonna sonora ‘reale’ che accompagna il film, quella composta dagli effetti sonori di allarmi, aerei e bombardamenti che squarciano la tranquilla quotidianità dei protagonisti e la visione del pubblico, trasportandolo immediatamente nella realtà dell’epoca. Il doppiaggio italiano infine fa un buon lavoro, pur se non raggiunge vette di eccellenza; da segnalare comunque Loretta Di Pisa che dà voce alla protagonista Suzu con un tono pacato e ordinario che ben si confà alla natura del personaggio.
In definitiva, non posso che esprimere un giudizio ampiamente positivo su questo film, attraverso gli occhi sognatrici di Suzu e la sua matita perennemente in movimento: quando ne ha l’occasione, il regista ci offre uno spaccato del Giappone durante gli anni ’30-’40 potente e affascinante che attira l’attenzione dello spettatore senza annoiarlo mai, se non in pochi frangenti, quando il ritmo della narrazione cala o la scena si concentra su elementi marginali, ma sono difetti accettabili in un lungometraggio che comunque occupa più di due ore, ma che io non ho mai accusato durante la visione. "In questo angolo di mondo" è un film particolare e non per tutti, forse, che ha ottenuto in Giappone un successo commerciale che mi ha sorpreso dopo averlo visionato, perché non ha nulla che possa renderlo commercialmente “appetibile”: non ha protagonisti carismatici, non ha una storia avventurosa, non cede mai al facile dramma, non si abbandona mai al banale romanticismo, non spinge sulle corde emotive dello spettatore se non nella parte finale e nell’epilogo che mostra le scene più dure da digerire. E per questo, forse, è bellissimo.
"In questo angolo di mondo" narra la storia di Suzu Urano, poi Hojo per matrimonio, ma potrebbe raccontare la storia di qualsiasi altro Giapponese costretto a vivere in quell’epoca; la nostra protagonista infatti non ha nessun elemento che la rende così diversa dalla massa, è una ragazza, poi donna, che non spicca né per doti estetiche né caratteriali, è un’adorabile pasticciona con la testa perennemente tra le nuvole che ama disegnare e rendersi utile quando può. Originaria di Hiroshima, si trasferisce nella non distante Kure, facente parte della stessa prefettura, in seguito al matrimonio con Shusaku Hojo, futuro ufficiale di marina innamoratosi di lei da bambino e giunto fin nella sua casa desideroso di sposarla. Il matrimonio, che neanche lei riesce a rendersi conto quanto sia effettivamente voluto, la costringe a cambiare casa, famiglia, amicizie e abitudini, con tutti i problemi che possono derivare quando sei costretto ad azioni simili, problemi che si moltiplicano quando devi affrontarli in pieno periodo di guerra in una Nazione prostrata dagli stenti che rifiuta la realtà che la circonda nell’illusione di riuscire ad avere la meglio contro il ‘nemico’.
Questa sommaria trama rende già l’idea del ‘genere’ trattato dal film, sicuramente drammatico, storico, in parte romantico, nulla da dire, ma, soprattutto, uno slice of life con la S maiuscola, da definizione di vocabolario proprio. L’intero lungometraggio è impostato sulla figura di Suzu e sulla sua vita quotidiana, dagli aspetti più tragici, come possono essere i feroci e continui bombardamenti, a quelli più banali quali la cucina, la spesa, le pulizie di casa, i rapporti con la famiglia del marito, l’ordinario che più ordinario non si può. E probabilmente è questo che riesce a differenziare "In questo angolo di mondo" dagli altri film ambientati nello stesso periodo: la guerra è un argomento, non l’argomento, il dramma è palpabile per quasi tutta la sua durata, ma incontra i protagonisti solo nella parte finale, il romanticismo è un elemento marginale col matrimonio di Suzu e Shusaku che si trascina tra alti e bassi, trovando un equilibrio solo quando il peggio sembra passato; è la normale vita quotidiana la protagonista principale, è quella che lo spettatore è "costretto" a vedere e finisce per apprezzare.
Ad aiutarlo in questo arriva un comparto tecnico che, al contrario di quanto avevo letto finora, che lo criticava spesso e volentieri, io ho trovato bellissimo. Prodotto dalla compagnia Genco, animato allo studio Mappa, "In questo angolo di mondo" gode di una grafica particolare e piacevolissima che io ho apprezzato tanto quanto la storia del film in sé; il character design forse può far storcere il naso, in quanto è piuttosto semplice e in alcuni frame quasi mediocre, ma è un adattamento fedelissimo del tratto originario di Fumiyo Kono (autrice dell’omonimo manga da cui è ispirato questo film), per cui trovo assurdo criticarlo, anche perché dopo il primo impatto ci si abitua facilmente all’aspetto semplice ma anche accattivante dei personaggi. Il mondo in cui questi si muovono invece è una gioia per gli occhi: colori pastello delicatissimi che non cedono il passo neanche nei bombardamenti, nella sofferenza, nelle scene più crude che il film offre, un affresco aggraziato impossibile da non apprezzare che il regista Sunao Katabuchi sfrutta in ogni modo con riprese e tagli studiati per catturare l’interesse dello spettatore. Anche il comparto sonoro fa la sua parte, pur se non mi ha colpito come quello grafico: la colonna sonora della cantante Kotringo è sicuramente azzeccata, ma non regge il confronto secondo me con la colonna sonora ‘reale’ che accompagna il film, quella composta dagli effetti sonori di allarmi, aerei e bombardamenti che squarciano la tranquilla quotidianità dei protagonisti e la visione del pubblico, trasportandolo immediatamente nella realtà dell’epoca. Il doppiaggio italiano infine fa un buon lavoro, pur se non raggiunge vette di eccellenza; da segnalare comunque Loretta Di Pisa che dà voce alla protagonista Suzu con un tono pacato e ordinario che ben si confà alla natura del personaggio.
In definitiva, non posso che esprimere un giudizio ampiamente positivo su questo film, attraverso gli occhi sognatrici di Suzu e la sua matita perennemente in movimento: quando ne ha l’occasione, il regista ci offre uno spaccato del Giappone durante gli anni ’30-’40 potente e affascinante che attira l’attenzione dello spettatore senza annoiarlo mai, se non in pochi frangenti, quando il ritmo della narrazione cala o la scena si concentra su elementi marginali, ma sono difetti accettabili in un lungometraggio che comunque occupa più di due ore, ma che io non ho mai accusato durante la visione. "In questo angolo di mondo" è un film particolare e non per tutti, forse, che ha ottenuto in Giappone un successo commerciale che mi ha sorpreso dopo averlo visionato, perché non ha nulla che possa renderlo commercialmente “appetibile”: non ha protagonisti carismatici, non ha una storia avventurosa, non cede mai al facile dramma, non si abbandona mai al banale romanticismo, non spinge sulle corde emotive dello spettatore se non nella parte finale e nell’epilogo che mostra le scene più dure da digerire. E per questo, forse, è bellissimo.
Le tragedie si possono raccontare in tanti modi. Con la retorica, con l'enfasi delle emozioni, con la forza del dramma. Queste sono però le strategie più facili per veicolare un messaggio. Esasperati, i toni della tragedia perdono in sostanza. O peggio, possono diventare la parodia di sé stessi. Bisogna avere un cuore di pietra per vedere il finale di "Love Story" e non scoppiare... a ridere.
C'è chi sceglie strade meno convenzionali per raccontare il dramma per eccellenza, per dipingere un affresco tanto di quegli eventi che si studiano a scuola, quanto degli orrori che si perpetrano nell'intimo degli individui, all'ombra della Macrostoria. C'è chi usa il realismo senza risultare cattedratico, usando le emozioni come i colori di una tavolozza. Usando tutti i colori della vita. Il senso di colpa, il rispetto, il rancore, l'affetto, la nostalgia, la passione, il capriccio...
Il regista Sunao Katabuchi è riuscito in questo con il film "In questo angolo di mondo". Si tratta di un ottimo adattamento del manga di Fumiyo Kono, "Kono Sekai no Katasumi ni", che permette di trattare, senza cedere alle lusinghe del documentarismo o dei facili pietismi, temi che, entrando nei libri di Storia, sono inevitabilmente deformati dal "grigiore" dell'oggettivismo. L'opera riesce a colorare (il verbo è d'obbligo) ciò che noi lasciamo sbiadire, con la nostra pretesa di distacco da eventi di cui non possiamo fare esperienza diretta. Allontanati dal tempo, possiamo così immergerci in un mare di percezioni.
La trama prende spunto dalle esperienze della protagonista, Suzu Urano, una giovane di Hiroshima che vive una vita scandita dalla routine del civile giapponese medio prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Trasferitasi nella vicina Kure per sposarsi, Suzu cerca di adattarsi al suo nuovo ambiente, alla famiglia di suo marito, al marito stesso, Shusaku, e a tutte le incombenze della sua nuova condizione. La ragazza è quindi obbligata a maturare presto, nonostante abbia uno spirito sognatore. Sbadata, impacciata, un po' svampita, dotata di un talento per il disegno, Suzu si impegna per cercare di soddisfare le aspettative riposte in lei, sbagliando, inciampando, ma senza mai perdere contatto con la semplicità che la caratterizza, e senza mai dimenticare i suoi sogni o il suo primo amore, il compagno di scuola Mizuhara. La guerra si fa progressivamente una presenza sempre più incombente nella sua vita come in quella di chiunque l'abbia vissuta. Le sue emozioni si adattano allo scorrere degli eventi, piegandosi alle nuove esigenze. La sua capacità di non perdere mai contatto con le sue fantasie le permette di superare lutti e contrasti pur dovendo affrontarli tutti, senza sconti. L'altalenante rapporto con la cognata, le assenze e le presenze del marito, la ricomparsa di Mizuhara, le incursioni aeree, i razionamenti di cibo, il bombardamento atomico di Hiroshima, nonché un grave trauma personale, sono tutti i colori di una vita che, strattonata tra realtà e fantasia, in un gioco di rimandi, cerca di ritagliarsi un quadro di "normalità" in tempi che nulla hanno di normale.
Temi che in un altro contesto ci porterebbero su una scena fatta di drammi epici e di tempeste interiori, sono adattati, modellati, con una cura che ricorda l'arte dell'ikebana.
Tutto ha il sapore di un "dramma di compostezza". Solo il finale rompe un po' questa compostezza, inciampando su un curioso exploit che stona con le premesse. La forza totalizzante degli eventi storici è infatti rispettata senza allontanarsi dalle esigenze della percezione, ma anche senza scadere nel sensazionalismo.
La differenza la fa tutta la figura della protagonista.
Suzu non ha la statura o la vis patetica di Rossella O'Hara, ma non è neanche una Pollyanna che scarabocchia il suo fatalismo sul foglio troppo bianco della cruda verità. La sua forza è tutta in quella forma mediale che le permette di essere sempre né poco né troppo. Una caratteristica che le viene apertamente rinfacciata, quasi fosse una sentenza, a metà fra il rimprovero e l'approvazione. Sognatrice, melanconica, Suzu è una di quelle persone qualunque dimenticate dalla Storia. Questo permette di cogliere, tramite i suoi occhi, aspetti che (stanti le vicende tutt'altro che idilliache della trama) in condizioni normali si dovrebbero trovare irrilevanti o anche fuori luogo. Il senso della condivisione, dell'infantilità, della frugalità, la persistenza di dettagli a margine, danno al film un sapore nostalgico che sa di rimpianto per tempi che erano cupi ma allo stesso tempo fiabeschi. Ecco come si spiega dunque il frequente ricorso alla comicità. Quella comicità che è per tradizione sempre compagna della tragedia. Quando la realtà regala momenti tragicomici che particolari contingenze storiche non fanno che aumentare.
Ma la luminosità di un sorriso in questo film vale quanto l'amarezza delle lacrime.
L'impressione che si ha è quella di una porta aperta su possibilità che rimangono però sempre sulla soglia. Si percepisce l'ombra di un futuro foriero di disgrazie di cui si colgono solo alcuni aspetti, mentre altri sono tenuti sottotraccia. Così, temi come quello del militarismo, dell'olocausto nucleare, degli hibakusha ecc. vengono espressi senza essere veramente approfonditi. Difficile dunque inquadrare l'opera.
Tra lo storico e il romanzo di formazione, si possono cogliere aspetti che lo svincolano ma allo stesso tempo lo inseriscono in queste categorie. Così come non è una forzatura ipotizzare debiti o rimandi ai film Ghibli.
Sarebbe però sbagliato vedere in questo film una semplice rielaborazione di maniera. Nulla impedisce di cogliere una statura autonoma ben definita.
La qualità tecnica soddisfa tutte le esigenze dell'opera. Notevole in particolare la scelta di alternare le animazioni ai disegni di Suzu per dare corpo alle sue percezioni. Il tratto è netto, pulito e rispetta quello del manga di riferimento, mentre campisce colori sfumati per adattarli agli sfondi che richiamano la tecnica dell'acquerello.
Gli effetti sonori si fanno notare anche di più, con un impatto che si definisce a pieno titolo cinematografico. Lo studio Mappa ha confezionato un'opera che si fa notare sotto molti aspetti e che merita l'attenzione ricevuta.
Un edificio distrutto, un bacio fugace, un gesto meccanico, il conforto della quotidianità, un incontro casuale, un oggetto usurato...
Quando tornano alla mente, le note a margine della vita giganteggiano come i protagonisti e forse più di loro. Questo perché esiste un angolo di Mondo dove sono i dettagli che dominano la scena. Per ricordarci che anche le comparse sono nel copione. Anche se le loro scene durano poco.
C'è chi sceglie strade meno convenzionali per raccontare il dramma per eccellenza, per dipingere un affresco tanto di quegli eventi che si studiano a scuola, quanto degli orrori che si perpetrano nell'intimo degli individui, all'ombra della Macrostoria. C'è chi usa il realismo senza risultare cattedratico, usando le emozioni come i colori di una tavolozza. Usando tutti i colori della vita. Il senso di colpa, il rispetto, il rancore, l'affetto, la nostalgia, la passione, il capriccio...
Il regista Sunao Katabuchi è riuscito in questo con il film "In questo angolo di mondo". Si tratta di un ottimo adattamento del manga di Fumiyo Kono, "Kono Sekai no Katasumi ni", che permette di trattare, senza cedere alle lusinghe del documentarismo o dei facili pietismi, temi che, entrando nei libri di Storia, sono inevitabilmente deformati dal "grigiore" dell'oggettivismo. L'opera riesce a colorare (il verbo è d'obbligo) ciò che noi lasciamo sbiadire, con la nostra pretesa di distacco da eventi di cui non possiamo fare esperienza diretta. Allontanati dal tempo, possiamo così immergerci in un mare di percezioni.
La trama prende spunto dalle esperienze della protagonista, Suzu Urano, una giovane di Hiroshima che vive una vita scandita dalla routine del civile giapponese medio prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Trasferitasi nella vicina Kure per sposarsi, Suzu cerca di adattarsi al suo nuovo ambiente, alla famiglia di suo marito, al marito stesso, Shusaku, e a tutte le incombenze della sua nuova condizione. La ragazza è quindi obbligata a maturare presto, nonostante abbia uno spirito sognatore. Sbadata, impacciata, un po' svampita, dotata di un talento per il disegno, Suzu si impegna per cercare di soddisfare le aspettative riposte in lei, sbagliando, inciampando, ma senza mai perdere contatto con la semplicità che la caratterizza, e senza mai dimenticare i suoi sogni o il suo primo amore, il compagno di scuola Mizuhara. La guerra si fa progressivamente una presenza sempre più incombente nella sua vita come in quella di chiunque l'abbia vissuta. Le sue emozioni si adattano allo scorrere degli eventi, piegandosi alle nuove esigenze. La sua capacità di non perdere mai contatto con le sue fantasie le permette di superare lutti e contrasti pur dovendo affrontarli tutti, senza sconti. L'altalenante rapporto con la cognata, le assenze e le presenze del marito, la ricomparsa di Mizuhara, le incursioni aeree, i razionamenti di cibo, il bombardamento atomico di Hiroshima, nonché un grave trauma personale, sono tutti i colori di una vita che, strattonata tra realtà e fantasia, in un gioco di rimandi, cerca di ritagliarsi un quadro di "normalità" in tempi che nulla hanno di normale.
Temi che in un altro contesto ci porterebbero su una scena fatta di drammi epici e di tempeste interiori, sono adattati, modellati, con una cura che ricorda l'arte dell'ikebana.
Tutto ha il sapore di un "dramma di compostezza". Solo il finale rompe un po' questa compostezza, inciampando su un curioso exploit che stona con le premesse. La forza totalizzante degli eventi storici è infatti rispettata senza allontanarsi dalle esigenze della percezione, ma anche senza scadere nel sensazionalismo.
La differenza la fa tutta la figura della protagonista.
Suzu non ha la statura o la vis patetica di Rossella O'Hara, ma non è neanche una Pollyanna che scarabocchia il suo fatalismo sul foglio troppo bianco della cruda verità. La sua forza è tutta in quella forma mediale che le permette di essere sempre né poco né troppo. Una caratteristica che le viene apertamente rinfacciata, quasi fosse una sentenza, a metà fra il rimprovero e l'approvazione. Sognatrice, melanconica, Suzu è una di quelle persone qualunque dimenticate dalla Storia. Questo permette di cogliere, tramite i suoi occhi, aspetti che (stanti le vicende tutt'altro che idilliache della trama) in condizioni normali si dovrebbero trovare irrilevanti o anche fuori luogo. Il senso della condivisione, dell'infantilità, della frugalità, la persistenza di dettagli a margine, danno al film un sapore nostalgico che sa di rimpianto per tempi che erano cupi ma allo stesso tempo fiabeschi. Ecco come si spiega dunque il frequente ricorso alla comicità. Quella comicità che è per tradizione sempre compagna della tragedia. Quando la realtà regala momenti tragicomici che particolari contingenze storiche non fanno che aumentare.
Ma la luminosità di un sorriso in questo film vale quanto l'amarezza delle lacrime.
L'impressione che si ha è quella di una porta aperta su possibilità che rimangono però sempre sulla soglia. Si percepisce l'ombra di un futuro foriero di disgrazie di cui si colgono solo alcuni aspetti, mentre altri sono tenuti sottotraccia. Così, temi come quello del militarismo, dell'olocausto nucleare, degli hibakusha ecc. vengono espressi senza essere veramente approfonditi. Difficile dunque inquadrare l'opera.
Tra lo storico e il romanzo di formazione, si possono cogliere aspetti che lo svincolano ma allo stesso tempo lo inseriscono in queste categorie. Così come non è una forzatura ipotizzare debiti o rimandi ai film Ghibli.
Sarebbe però sbagliato vedere in questo film una semplice rielaborazione di maniera. Nulla impedisce di cogliere una statura autonoma ben definita.
La qualità tecnica soddisfa tutte le esigenze dell'opera. Notevole in particolare la scelta di alternare le animazioni ai disegni di Suzu per dare corpo alle sue percezioni. Il tratto è netto, pulito e rispetta quello del manga di riferimento, mentre campisce colori sfumati per adattarli agli sfondi che richiamano la tecnica dell'acquerello.
Gli effetti sonori si fanno notare anche di più, con un impatto che si definisce a pieno titolo cinematografico. Lo studio Mappa ha confezionato un'opera che si fa notare sotto molti aspetti e che merita l'attenzione ricevuta.
Un edificio distrutto, un bacio fugace, un gesto meccanico, il conforto della quotidianità, un incontro casuale, un oggetto usurato...
Quando tornano alla mente, le note a margine della vita giganteggiano come i protagonisti e forse più di loro. Questo perché esiste un angolo di Mondo dove sono i dettagli che dominano la scena. Per ricordarci che anche le comparse sono nel copione. Anche se le loro scene durano poco.
Visto ieri, davvero molto bello.
Forse nei trailer non rende al massimo ciò che si va a vedere, una storia vista con gli occhi di una ragazza dell'epoca con le sue poche certezze e tante paure. Il fatto di sposarsi, andare a vivere presso la famiglia dello sposo, avere a che fare con la cognata con i suoi problemi, e sullo sfondo, ma in modo prepotente, la guerra con i bombardamenti quasi quotidiani, il cibo che scarseggia sempre di più, convivono con la lontananza della famiglia d'origine, il sentimento che piano piano diventa più forte verso suo marito, il coraggio di non arrendersi e di andare avanti. Il capitolo bomba atomica viene toccato poco, ma non per questo si perde quel concetto di sofferenza ma anche di speranza data dalla bambina trovata alla fine. Forse è un anime per un pubblico più maturo, ma è davvero un film che alla fine ti lascia dentro qualcosa, e credo che sia proprio questa la sua forza.
Forse nei trailer non rende al massimo ciò che si va a vedere, una storia vista con gli occhi di una ragazza dell'epoca con le sue poche certezze e tante paure. Il fatto di sposarsi, andare a vivere presso la famiglia dello sposo, avere a che fare con la cognata con i suoi problemi, e sullo sfondo, ma in modo prepotente, la guerra con i bombardamenti quasi quotidiani, il cibo che scarseggia sempre di più, convivono con la lontananza della famiglia d'origine, il sentimento che piano piano diventa più forte verso suo marito, il coraggio di non arrendersi e di andare avanti. Il capitolo bomba atomica viene toccato poco, ma non per questo si perde quel concetto di sofferenza ma anche di speranza data dalla bambina trovata alla fine. Forse è un anime per un pubblico più maturo, ma è davvero un film che alla fine ti lascia dentro qualcosa, e credo che sia proprio questa la sua forza.
Mi ritrovo a scrivere una delle poche (stranamente) recensioni negative che troverete in giro su quest'opera. Che si guardi questo film come un lavoro di un regista 'ex Ghibli' o che la si guardi dal punto di vista storico/slice of life, "In questo angolo di mondo" fallisce in tutti i sensi. Sì, perché fino a prova contraria una accozzaglia di scene di vita quotidiana (nemmeno approfondite in chissà quali dettagli) prive di alcun senso registico, ricucite su una ragazza così goffamente dipinta come 'maldestra', a casa mia non definiscono né un lungometraggio-favola né tantomeno offrono un taglio storico di una realtà sfiorata solo sui libri di testo. Lasciamo da parte il paragone con "Una tomba per le lucciole", dato che ne infangheremmo solo il nome, tuttavia, se stavate cercando un'opera di un certo livello con un taglio storico interessante e d'effetto, guardatevi quello (se non l'avete ancora visto, s'intende).
Non elencherò tutti gli abomini di regia presenti all'interno del film, dato che non merita il mio tempo, vi basti sapere che l'impatto che ho avuto durante e dopo il lungometraggio è stato quello di aver visto un collage di scene scarsamente intuitive e poco interessanti (noiose direi): molti passaggi sono infatti lasciati a loro stessi (sia storici sia a livello di trama) con tagli temporali confusi e personaggi che vanno e vengono da un secondo all'altro, creando confusione non solo con un chara design indistinguibile, ma soprattutto con una quantità di personaggi spropositata se rapportata al tempo loro dedicato. I tagli storici sono irrilevanti (tutti sappiamo che cosa fossero i razionamenti, i bordelli, i bombardamenti e la polizia militare, eppure non viene offerto nessun tipo di 'insight' aggiuntivo rispetto a ciò che un comune ragazzo che abbia letto un libro di storia non possa già immaginarsi da solo; il momento 'cucina' è forse l'unico a salvarsi).
La cosa che più mi ha sconvolto (esclusa la scena del bambino orfano negli ultimi tre minuti, quella mi ha lasciato a bocca aperta, stento a credere ancora a quello che ho visto) è il tentativo di vestire con un qualsivoglia senso il personaggio principale, Suzu (mi pare si chiami così): una ragazzina sognatrice e con la testa fra le nuvole che in qualche modo si risveglia da quel lungo sonno di sorrisi e unicorni rosa (?), un'inetta alla vita che non riesce ad annunciare la propria frustrazione (?), una fallita ricerca della felicità (?), una gentile ragazza che si stufa della realtà in cui vive (?). Ho dedicato tutto me stesso per cercare di carpire un filo logico nel chara development che si è tentato di inscenare, ma purtroppo non ci riesco proprio. La freddezza con cui i personaggi reagiscono ad alcuni eventi contrasta in modo troppo netto con over-reaction scaturite da momenti non centrali... tutti elementi che mi portano a pensare che sia stata semplicemente fatta una schifezza su tutta la linea a livello di regia.
Insomma, forse il manga è valido, dovrei leggerlo per poter dare un parere. Di sicuro la sua trasposizione animata è un fallimento su tutta la linea. Le musiche sono veramente belle; a livello tecnico, chara design a parte, ci sono momenti davvero felici, prima fra tutte la scena del bombardamento.
Ciò non toglie che a mio parere la visione sia da evitare.
Non elencherò tutti gli abomini di regia presenti all'interno del film, dato che non merita il mio tempo, vi basti sapere che l'impatto che ho avuto durante e dopo il lungometraggio è stato quello di aver visto un collage di scene scarsamente intuitive e poco interessanti (noiose direi): molti passaggi sono infatti lasciati a loro stessi (sia storici sia a livello di trama) con tagli temporali confusi e personaggi che vanno e vengono da un secondo all'altro, creando confusione non solo con un chara design indistinguibile, ma soprattutto con una quantità di personaggi spropositata se rapportata al tempo loro dedicato. I tagli storici sono irrilevanti (tutti sappiamo che cosa fossero i razionamenti, i bordelli, i bombardamenti e la polizia militare, eppure non viene offerto nessun tipo di 'insight' aggiuntivo rispetto a ciò che un comune ragazzo che abbia letto un libro di storia non possa già immaginarsi da solo; il momento 'cucina' è forse l'unico a salvarsi).
La cosa che più mi ha sconvolto (esclusa la scena del bambino orfano negli ultimi tre minuti, quella mi ha lasciato a bocca aperta, stento a credere ancora a quello che ho visto) è il tentativo di vestire con un qualsivoglia senso il personaggio principale, Suzu (mi pare si chiami così): una ragazzina sognatrice e con la testa fra le nuvole che in qualche modo si risveglia da quel lungo sonno di sorrisi e unicorni rosa (?), un'inetta alla vita che non riesce ad annunciare la propria frustrazione (?), una fallita ricerca della felicità (?), una gentile ragazza che si stufa della realtà in cui vive (?). Ho dedicato tutto me stesso per cercare di carpire un filo logico nel chara development che si è tentato di inscenare, ma purtroppo non ci riesco proprio. La freddezza con cui i personaggi reagiscono ad alcuni eventi contrasta in modo troppo netto con over-reaction scaturite da momenti non centrali... tutti elementi che mi portano a pensare che sia stata semplicemente fatta una schifezza su tutta la linea a livello di regia.
Insomma, forse il manga è valido, dovrei leggerlo per poter dare un parere. Di sicuro la sua trasposizione animata è un fallimento su tutta la linea. Le musiche sono veramente belle; a livello tecnico, chara design a parte, ci sono momenti davvero felici, prima fra tutte la scena del bombardamento.
Ciò non toglie che a mio parere la visione sia da evitare.