Manie-Manie: I racconti del labirinto
“Manie Manie - I Racconti del labirinto” è un film d’animazione giapponese del 1983, per la precisione un’antologia composta da tre corti diretti da dei registi straordinari: Rintaro (“Metropolis”), Yoshiaki Kawajiri (“Ninja Scroll”) e Katsuhiro Otomo (“Akira”).
Cominciamo con il primo episodio, intitolato “Labyrinth” e diretto da Rintaro.
Trama: una bambina di nome Sachi e il suo gatto (Cicerone) si ritrovano catapultati in un labirinto abitato da esseri particolari, in cui succedono eventi straordinari. Dovranno cercare un modo per uscire, e sembra che un clown li stia aiutando.
Personalmente questo è il mio episodio preferito. Da come avrete immaginato in molti, questo corto sembra ispirarsi ad “Alice nel paese delle meraviglie”. E in questo mondo la protagonista inizierà un viaggio particolare, dove la realtà che la circonda cambierà spesso, passando da un sogno surreale a un incubo a occhi aperti.
La regia è fantastica, e probabilmente quella più particolare, in quanto atipica ma ben studiata. Anche il disegno è fuori dagli schemi: tratti dolci per i personaggi ma non realistici. Basti guardare il design della bambina. Le animazioni sono stupende e riescono ad essere molto fluide. E’ letteralmente un enorme parco giochi, dove Rintaro si diverte a provare cose nuove.
Tra l’altro questo episodio sarà presente sia all’inizio che alla fine del film.
Un corto che ho adorato per il suo coraggio di provare a fare qualcosa di originale e per esserci riuscito appieno, regalandoci così un’esperienza breve ma intensa.
Il secondo episodio si intitola “L’uomo che correva”, diretto da Yoshiaki Kawajiri.
Trama: Zack Huges è un famoso pilota di macchine che sta per finire la sua carriera. Nel mondo è diventato noto per aver resistito ben dieci anni in uno sport dove al massimo un pilota sopravvive per un anno. Questo perché le macchine che devono guidare richiedono enormi prestazioni fisiche. Nonostante il protagonista sia arrivato allo stremo delle sue forze, non vuole arrendersi, ed è pronto a rischiare il tutto per tutto pur di continuare a correre.
Diciamo che tra i tre questo è il meno riuscito. Adoro le atmosfere noir del corto, adoro i cartelli al neon che abbondano, le luci delle macchine e quelle che si riflettono su quest’ultime. Però, mentre con lo scorso episodio abbiamo visto un lavoro fatto con maestria, che sa essere originale e vuole stupire a 360° gradi, qui ci ritroviamo davanti a un corto tecnicamente ottimo, ma con una storia che non riesce a prendere il via, con un’idea di fondo interessante anche se non originale.
Nonostante ciò apprezzo il lavoro che è stato fatto: i personaggi hanno dei tratti curati e riconoscibili, le animazioni sono ottime e in certi punti riesce a creare anche tensione. Il problema è proprio la storia che è molto povera, forse perché dura poco, e il corto ne risente parecchio.
L’ultimo corto è diretto da Katsuhiro Otomo, ed è intitolato “Interrompete i lavori!”
Trama: Sugioka è un giovane funzionario che viene incaricato di fermare i lavori del Progetto 444 in Amazzonia. Questo luogo è completamente robotizzato, e i robot lì presenti continuano a lavorare facendo sprecare preziose risorse. Appena Sugioka arriva lì, si accorge di quanto grave sia la situazione, e dovrà vedersela con Numero Uno, il robot che supervisiona i lavori.
Questo è un episodio che trovo molto piacevole e divertente. Lo stile di Otomo si riconosce subito e le animazioni che ci ritroviamo davanti sono fantastiche, mentre i fondali sono incredibili e ricchi di dettagli (probabilmente i fondali più curati dei tre).
Il corto affronta una tematica che, da come avrete sicuramente capito, non è originale, ma riesce ad arrivare dritta al punto, ed è resa molto bene: mai affidarsi troppo alle macchine o si finisce per perderne il controllo.
E’ il più lungo dei tre episodi e, nonostante non riesca a raggiungere la bellezza e la poetica del corto di Rintaro, rimane un lavoro lodevole che conferma ancora una volta la bravura di Otomo.
In totale il film dura cinquanta minuti, e lo consiglio a chi cerca qualcosa di affascinante e originale, non a chi vuole svagarsi, dato che è un lavoro abbastanza pesante. Sicuramente piacerà parecchio a chi ama veramente l’animazione e a coloro che adorano i lavori dei tre registi.
Cominciamo con il primo episodio, intitolato “Labyrinth” e diretto da Rintaro.
Trama: una bambina di nome Sachi e il suo gatto (Cicerone) si ritrovano catapultati in un labirinto abitato da esseri particolari, in cui succedono eventi straordinari. Dovranno cercare un modo per uscire, e sembra che un clown li stia aiutando.
Personalmente questo è il mio episodio preferito. Da come avrete immaginato in molti, questo corto sembra ispirarsi ad “Alice nel paese delle meraviglie”. E in questo mondo la protagonista inizierà un viaggio particolare, dove la realtà che la circonda cambierà spesso, passando da un sogno surreale a un incubo a occhi aperti.
La regia è fantastica, e probabilmente quella più particolare, in quanto atipica ma ben studiata. Anche il disegno è fuori dagli schemi: tratti dolci per i personaggi ma non realistici. Basti guardare il design della bambina. Le animazioni sono stupende e riescono ad essere molto fluide. E’ letteralmente un enorme parco giochi, dove Rintaro si diverte a provare cose nuove.
Tra l’altro questo episodio sarà presente sia all’inizio che alla fine del film.
Un corto che ho adorato per il suo coraggio di provare a fare qualcosa di originale e per esserci riuscito appieno, regalandoci così un’esperienza breve ma intensa.
Il secondo episodio si intitola “L’uomo che correva”, diretto da Yoshiaki Kawajiri.
Trama: Zack Huges è un famoso pilota di macchine che sta per finire la sua carriera. Nel mondo è diventato noto per aver resistito ben dieci anni in uno sport dove al massimo un pilota sopravvive per un anno. Questo perché le macchine che devono guidare richiedono enormi prestazioni fisiche. Nonostante il protagonista sia arrivato allo stremo delle sue forze, non vuole arrendersi, ed è pronto a rischiare il tutto per tutto pur di continuare a correre.
Diciamo che tra i tre questo è il meno riuscito. Adoro le atmosfere noir del corto, adoro i cartelli al neon che abbondano, le luci delle macchine e quelle che si riflettono su quest’ultime. Però, mentre con lo scorso episodio abbiamo visto un lavoro fatto con maestria, che sa essere originale e vuole stupire a 360° gradi, qui ci ritroviamo davanti a un corto tecnicamente ottimo, ma con una storia che non riesce a prendere il via, con un’idea di fondo interessante anche se non originale.
Nonostante ciò apprezzo il lavoro che è stato fatto: i personaggi hanno dei tratti curati e riconoscibili, le animazioni sono ottime e in certi punti riesce a creare anche tensione. Il problema è proprio la storia che è molto povera, forse perché dura poco, e il corto ne risente parecchio.
L’ultimo corto è diretto da Katsuhiro Otomo, ed è intitolato “Interrompete i lavori!”
Trama: Sugioka è un giovane funzionario che viene incaricato di fermare i lavori del Progetto 444 in Amazzonia. Questo luogo è completamente robotizzato, e i robot lì presenti continuano a lavorare facendo sprecare preziose risorse. Appena Sugioka arriva lì, si accorge di quanto grave sia la situazione, e dovrà vedersela con Numero Uno, il robot che supervisiona i lavori.
Questo è un episodio che trovo molto piacevole e divertente. Lo stile di Otomo si riconosce subito e le animazioni che ci ritroviamo davanti sono fantastiche, mentre i fondali sono incredibili e ricchi di dettagli (probabilmente i fondali più curati dei tre).
Il corto affronta una tematica che, da come avrete sicuramente capito, non è originale, ma riesce ad arrivare dritta al punto, ed è resa molto bene: mai affidarsi troppo alle macchine o si finisce per perderne il controllo.
E’ il più lungo dei tre episodi e, nonostante non riesca a raggiungere la bellezza e la poetica del corto di Rintaro, rimane un lavoro lodevole che conferma ancora una volta la bravura di Otomo.
In totale il film dura cinquanta minuti, e lo consiglio a chi cerca qualcosa di affascinante e originale, non a chi vuole svagarsi, dato che è un lavoro abbastanza pesante. Sicuramente piacerà parecchio a chi ama veramente l’animazione e a coloro che adorano i lavori dei tre registi.
Molto spesso, nelle raccolte di corti d'animazione, l'attenzione dello spettatore è rivolta principalmente allo strabiliante comparto tecnico, visto che quasi mai quest'ultimo è al servizio di una buona storia (ma questo, molto probabilmente, potrebbe essere un mio problema: insomma, è davvero possibile sviluppare una trama degna di questa definizione in massimo venti minuti?). "Manie-Manie" non fa eccezione, e una volta che si è venuto a patti con questa considerazione, ci si può tranquillamente godere lo spettacolo (certamente non per tutti), e nel caso è possibile trovarsi dinanzi a un appagante intrattenimento per il nostro intelletto, in cui ognuno di noi può trarre le proprie considerazioni.
Questo film, però, è risultato funzionare meglio rispetto ad altre pellicole appartenenti allo stesso genere cinematografico, come "Robot Carnival", principalmente per due motivi. Prima di tutto, la qualità dei cortometraggi si mantiene sempre su di un buon livello, contrariamente al sopracitato titolo di stile robotico, nel quale la maggior parte dei corti era evitabile, mentre erano davvero pochi quelli realmente meritevoli (sicuramente quello commovente e intenso di Umetsu e quello diretto da quel gran affabulatore visivo e uditivo che è Koji Morimoto sono ascrivibili a questa lista). Infine il tutto dura unicamente cinquanta minuti: questa è un'ottima scelta, visto che permette di cogliere l'attenzione dello spettatore quando è al suo massimo e non è ancora sfociata nel tedio.
Ma bando alle ciance, vediamo quali sono i corti che compongono questa raccolta.
Il primo è "Labyrinth" di Rintaro. L'episodio apre e chiude il film ed è sicuramente quello più sperimentale ed ermetico. Perfettamente conscio del sostanzioso budget a disposizione, Rintaro lo utilizza per dare vita al suo personale parco giochi, in cui si susseguono giochi di specchi, di luci e di forme, dando vita a uno spettacolo altamente suggestivo. Risulta l'episodio più riuscito anche dal punto di vista registico, visto che utilizza numerosi espedienti registici per avvicinare la visione spettacolare e surreale dello spettatore a quello della giovanissima protagonista. Se non avete intenzione di guardare tutto il film, guardate almeno questo.
Segue "L'uomo che correva", diretto da Yoshiaki Kawajiri. Nonostante sia uno dei miei registi d'animazione preferiti, questo risulta l'episodio meno riuscito. Il cortometraggio risulta un'accoppiata non molto riuscita tra "Rollerball", "Scanners" e un film di Roger Corman. Dal punto di vista registico, l'episodio risulta poco ispirato, Kawajiri usa spesso le stesse inquadrature e, in alcuni casi, ricicla anche i cut, ma questo non vuol dire che il corto non sia meritevole di visione. Questo grazie a un ottimo montaggio, che trae il massimo da ogni scena e in molti casi le prolunga per infastidire i sensi dello spettatore, riuscendoci pienamente; poi Kawajiri imposta e mantiene per tutta la durata una atmosfera molto tesa e inquietante, e l'unione di questi due fattori crea alcune scene memorabili per il loro effetto disturbante. E' il caso della scena in cui il protagonista viene presentato con i muscoli tesi allo spasimo e con un urlo soffocato in gola dallo sforzo. Infine il finale altamente esplosivo (in tutti i sensi) non si dimentica, grazie anche all'ottima colonna sonora. Probabilmente è quello che risente maggiormente della sua natura di corto, dal momento che avrebbe funzionato molto meglio come lungometraggio, così da poter approfondire alcune interessantissime caratteristiche presenti nel corto.
Giungiamo quindi all'ultimo corto, "Interrompere i lavori!" di Katsuhiro Otomo, che risulta parecchio piacevole, poiché presenta alcune caratteristiche tipiche del regista (e quindi questo corto sarà particolarmente apprezzato da chi ha adorato i lavori precedenti e successivi a questo del regista): il totale affidamento alle macchine che provoca solo distruzione, maniacale attenzione per i particolari e per i movimenti dei personaggi, e regia da kolossal (ovvero improntata a rendere ben chiaro lo splendore visivo del tutto).
In conclusione, il film è particolarmente consigliato a chiunque sia in cerca di qualcosa di anomalo e intrigante, oltre che ai completisti dei registi che hanno partecipato a questa raccolta di cortometraggi.
Questo film, però, è risultato funzionare meglio rispetto ad altre pellicole appartenenti allo stesso genere cinematografico, come "Robot Carnival", principalmente per due motivi. Prima di tutto, la qualità dei cortometraggi si mantiene sempre su di un buon livello, contrariamente al sopracitato titolo di stile robotico, nel quale la maggior parte dei corti era evitabile, mentre erano davvero pochi quelli realmente meritevoli (sicuramente quello commovente e intenso di Umetsu e quello diretto da quel gran affabulatore visivo e uditivo che è Koji Morimoto sono ascrivibili a questa lista). Infine il tutto dura unicamente cinquanta minuti: questa è un'ottima scelta, visto che permette di cogliere l'attenzione dello spettatore quando è al suo massimo e non è ancora sfociata nel tedio.
Ma bando alle ciance, vediamo quali sono i corti che compongono questa raccolta.
Il primo è "Labyrinth" di Rintaro. L'episodio apre e chiude il film ed è sicuramente quello più sperimentale ed ermetico. Perfettamente conscio del sostanzioso budget a disposizione, Rintaro lo utilizza per dare vita al suo personale parco giochi, in cui si susseguono giochi di specchi, di luci e di forme, dando vita a uno spettacolo altamente suggestivo. Risulta l'episodio più riuscito anche dal punto di vista registico, visto che utilizza numerosi espedienti registici per avvicinare la visione spettacolare e surreale dello spettatore a quello della giovanissima protagonista. Se non avete intenzione di guardare tutto il film, guardate almeno questo.
Segue "L'uomo che correva", diretto da Yoshiaki Kawajiri. Nonostante sia uno dei miei registi d'animazione preferiti, questo risulta l'episodio meno riuscito. Il cortometraggio risulta un'accoppiata non molto riuscita tra "Rollerball", "Scanners" e un film di Roger Corman. Dal punto di vista registico, l'episodio risulta poco ispirato, Kawajiri usa spesso le stesse inquadrature e, in alcuni casi, ricicla anche i cut, ma questo non vuol dire che il corto non sia meritevole di visione. Questo grazie a un ottimo montaggio, che trae il massimo da ogni scena e in molti casi le prolunga per infastidire i sensi dello spettatore, riuscendoci pienamente; poi Kawajiri imposta e mantiene per tutta la durata una atmosfera molto tesa e inquietante, e l'unione di questi due fattori crea alcune scene memorabili per il loro effetto disturbante. E' il caso della scena in cui il protagonista viene presentato con i muscoli tesi allo spasimo e con un urlo soffocato in gola dallo sforzo. Infine il finale altamente esplosivo (in tutti i sensi) non si dimentica, grazie anche all'ottima colonna sonora. Probabilmente è quello che risente maggiormente della sua natura di corto, dal momento che avrebbe funzionato molto meglio come lungometraggio, così da poter approfondire alcune interessantissime caratteristiche presenti nel corto.
Giungiamo quindi all'ultimo corto, "Interrompere i lavori!" di Katsuhiro Otomo, che risulta parecchio piacevole, poiché presenta alcune caratteristiche tipiche del regista (e quindi questo corto sarà particolarmente apprezzato da chi ha adorato i lavori precedenti e successivi a questo del regista): il totale affidamento alle macchine che provoca solo distruzione, maniacale attenzione per i particolari e per i movimenti dei personaggi, e regia da kolossal (ovvero improntata a rendere ben chiaro lo splendore visivo del tutto).
In conclusione, il film è particolarmente consigliato a chiunque sia in cerca di qualcosa di anomalo e intrigante, oltre che ai completisti dei registi che hanno partecipato a questa raccolta di cortometraggi.
"Manie-Manie: I racconti del labirinto" è un mediometraggio della durata di cinquanta minuti prodotto nel 1983 dalla Kadokawa, ma presentato solamente quattro anni dopo al Festival Internazionale del Cinema di Fantascienza di Tokyo. L'opera si suddivide in tre episodi di brevissima durata: "Labyrinth" diretto da Rintaro, "Hashiru otoko" diretto da Yoshiaki Kawajiri e "Koji chushi meirei" diretto da Katsuhiro Otomo.
"Labyrinth" è il primo dei tre episodi, ma è anche quello che chiude brevemente l'intero film. La protagonista è una ragazzina che, ignorando gli avvertimenti della madre, si ritrova insieme al suo gatto a girovagare in un mondo tenebroso e surreale. La particolarità e la bellezza di questo breve cortometraggio risiede proprio nella magnificenza delle animazioni, nell'intrigante rappresentazione di questo luogo sconosciuto che appare come una realtà distorta nella forma e nelle proporzioni. Personalmente ritengo "Labyrinth" il migliore dei tre episodi.
Il secondo corto che viene proposto, "Hashiru otoko", è indubbiamente di livello inferiore al precedente. Anch'esso ambientato in un universo futuristico e tetro, vede come protagonista un pilota di corse automobilistiche che si spinge fino al proprio limite ossessionato dalla vittoria.
Anche in questo caso l'elemento più evidente è il comparto grafico, il grado di dettaglio è elevato, le animazioni e i giochi di luce spettacolari; tuttavia questo secondo episodio non mi ha lasciato nulla, l'ho trovato un po' vuoto e soprattutto noioso, nonostante la breve durata. Nonostante gli riconosca alcuni meriti, per quanto mi riguarda la valutazione è insufficiente.
Per concludere, "Koji chushi meirei", il più lungo dei tre, presenta la storia di un giovane funzionario incaricato di controllare i lavori del Progetto 444, un immenso cantiere interamente robotizzato, e sul quale ha preso il sopravvento la follia. Non raggiunge il livello di "Labyrinth", ma rimane comunque una visione piacevole e interessante, sia per la particolare ambientazione che per le tematiche trattate. Evidente è la denuncia all'eccessivo sviluppo tecnologico, argomento caro ad opere di questo genere.
In conclusione, "Manie-Manie: I racconti del labirinto" si rivela essere un'opera interessante, un po' pesante sotto certi aspetti, ma fortunatamente la breve durata influisce positivamente su questo fattore. Un'opera che mi sento di consigliare agli amanti dell'animazione sperimentale e atipica, e a nessun'altro.
"Labyrinth" è il primo dei tre episodi, ma è anche quello che chiude brevemente l'intero film. La protagonista è una ragazzina che, ignorando gli avvertimenti della madre, si ritrova insieme al suo gatto a girovagare in un mondo tenebroso e surreale. La particolarità e la bellezza di questo breve cortometraggio risiede proprio nella magnificenza delle animazioni, nell'intrigante rappresentazione di questo luogo sconosciuto che appare come una realtà distorta nella forma e nelle proporzioni. Personalmente ritengo "Labyrinth" il migliore dei tre episodi.
Il secondo corto che viene proposto, "Hashiru otoko", è indubbiamente di livello inferiore al precedente. Anch'esso ambientato in un universo futuristico e tetro, vede come protagonista un pilota di corse automobilistiche che si spinge fino al proprio limite ossessionato dalla vittoria.
Anche in questo caso l'elemento più evidente è il comparto grafico, il grado di dettaglio è elevato, le animazioni e i giochi di luce spettacolari; tuttavia questo secondo episodio non mi ha lasciato nulla, l'ho trovato un po' vuoto e soprattutto noioso, nonostante la breve durata. Nonostante gli riconosca alcuni meriti, per quanto mi riguarda la valutazione è insufficiente.
Per concludere, "Koji chushi meirei", il più lungo dei tre, presenta la storia di un giovane funzionario incaricato di controllare i lavori del Progetto 444, un immenso cantiere interamente robotizzato, e sul quale ha preso il sopravvento la follia. Non raggiunge il livello di "Labyrinth", ma rimane comunque una visione piacevole e interessante, sia per la particolare ambientazione che per le tematiche trattate. Evidente è la denuncia all'eccessivo sviluppo tecnologico, argomento caro ad opere di questo genere.
In conclusione, "Manie-Manie: I racconti del labirinto" si rivela essere un'opera interessante, un po' pesante sotto certi aspetti, ma fortunatamente la breve durata influisce positivamente su questo fattore. Un'opera che mi sento di consigliare agli amanti dell'animazione sperimentale e atipica, e a nessun'altro.
Tre grandi nomi, quelli di Rintaro, Kawajiri e Otomo: tre grandi teste ognuna alla direzione di uno dei tre corti che costituiscono questo Manie Manie, questi Racconti del labirinto. Che racconti lo sono sì, e dicono anche tanto, in modo autoriale e del tutto personale, questo è palese, ma se sono riusciti in pieno come progetto è difficile dirlo, soprattutto venendosi a trovare i tre episodi in una disposizione in calando, dato che il dolce non sta in fondo ma in principio. Perché è ricchissimo il primo corto di Rintaro; perché è un itinerario pieno di simboli, sensi altri, suggestioni colte e citazioni artistiche. Perché è un gioco con il medium animazione e un’esplorazione linguistica che presenta molte delle metafore – lo specchio, l’ombra, la finestra, i riflessi, i varchi, le soglie – che storicamente, come immagini, contengono significati latenti, impliciti, aventi valenze al centro di specifiche riflessioni della rappresentazione figurativa e non soltanto.
La profondità concettuale immensa di questo piano è formalizzata da un comparto grafico d’eccezione, il quale a un disegno tondeggiante, quasi infantile, dalla calibratura delle proporzioni molto particolare e dalle linee e dalle sagome modulate con scioltezza e immediatezza grandissime, sposa delle animazioni sempre all’altezza, precise e abbondanti. Gli scenari inoltre sono particolareggiati e studiati in modo minuzioso (così come ogni inquadratura e dettaglio), e gli effetti visivi, eccelsi, guizzano e ricreano la magia e la patina onirica che trasudano dall’episodio, in cui anche le luci e i colori, tutt’altro che secondari, si prendono tutto lo spazio che meritano in virtù dell’uso magistrale che ne è stato fatto. A ciò va aggiunto il compendio musicale (Micky Yoshino), che si avvale anche del preludio della Carmen ed è eccelso nella commistione al video delle sue armonie e soprattutto nella perfetta ricreazione di atmosfere sonore che, a volte fatte di tocchi di piano delicatissimi, a volte di brani più strani, combaciano con la volontà espressiva delle sequenze del corto con ispirazione meravigliosa.
La ragazzina, il gatto e il clown che si aggirano, attraversano e a tratti galleggiano in questo flusso visuale sono i primi a stupirsi di tale spettacolo e, addentrandosi sempre più nei suoi livelli e dimensioni, sono coloro i quali schiudono prima il portale che immette agli altri due corti, e poi, al termine, l’illusione sottintesa che soggiace a ogni visione.
Il corto di Kawajiri sta decisamente qualche gradino sotto, come elementi e come ricerca. L’episodio fa molto leva sul comparto tecnico che, in grado di stupire ancora oggi per la sua cura e la sua sovrabbondanza visiva, tuttavia non raggiunge né la grazia né la poesia, tanto meno la ricerca stilistico-contenutistica, dell’opera di Rintaro. Qui gli approcci sono più brutali, in un certo senso "fracassoni", poiché vi è un’escalation di esasperazione adrenalinica che trova la sua manifestazione regina nelle corse di alcuni prototipi. Questi ultimi sono immersi in una sfrenata teoria di illuminazioni, scie luminose, neon e stroboscopie elettriche che si specchiano negli stessi veicoli, i quali a loro volta producono un’altra dose abbondante di effetti speciali che aumentano di pari passo alla degenerazione, anche piuttosto cruda, contornata da sangue ed esplosioni in sequenze esponenziali, dell’azione. Ma il tutto ha un’idea di fondo molto esistenziale e, al di là della messa in scena così prepotente e pompata, il tema dello sforzo immenso e devastante per raggiungere e superare se stessi è reso in modo molto intenso, grazie anche – e forse proprio – al parossismo fisionomico del personaggio principale, le cui smorfie e tensioni muscolari sono evidenziate con un gusto quasi morboso e accentuate maniacalmente.
Infine, non solo come disposizione, pure come riuscita, l’ultima tappa di Manie Manie è il corto di Otomo, anch’esso ben realizzato dal punto di vista visivo ma carente per quanto concerne il soggetto. Il quale, se a prima vista affascina con un’ambientazione risultante dalla mescolanza di giungla, cemento, acciaio e cavi, tuttavia presto si rivela un po’ pesante e insistito. La causa di ciò risiede sia nel protagonista, eccessivamente nervoso e insofferente, tanto da trasmettere nervosismo e insofferenza anche a chi guarda, sia nella tematica, ovvero l’ottusità delle macchine e le conseguenze cui porta l’affidarsi in modo cieco a esse, la quale oltre ad avvalersi della cornice di cui sopra non offre le riflessioni che ci si sarebbe aspettato di veder emergere da questo tema. Inoltre il tono del corto non è ben definito e resta a metà strada fra il grottesco, l’ironico e il serio, il che infastidisce la fruizione dell’episodio, sempre però appagante come animazioni, disegni e soprattutto scenari, tutti su standard ottimi considerando i tempi a cui risalgono.
Così, tirando le somme, anche qui, come in molti altri casi di operazioni analoghe, il progetto di riunire tre corti in un solo OAV non frutta altra impressione se non quella di una raccolta in un unico contenitore di tre opere del tutto indipendenti tra loro, senza obbiettivi comuni né legami logici di sorta. Mi chiedo quindi quale sia l’utilità di raggruppare degli episodi che starebbero benissimo pure come uscite singole, a fronte delle quali quantomeno ognuno di essi potrebbe avere una valutazione di merito personale e non si troverebbe a dover condividere la media risultante dai tre valori corrispettivi.
La profondità concettuale immensa di questo piano è formalizzata da un comparto grafico d’eccezione, il quale a un disegno tondeggiante, quasi infantile, dalla calibratura delle proporzioni molto particolare e dalle linee e dalle sagome modulate con scioltezza e immediatezza grandissime, sposa delle animazioni sempre all’altezza, precise e abbondanti. Gli scenari inoltre sono particolareggiati e studiati in modo minuzioso (così come ogni inquadratura e dettaglio), e gli effetti visivi, eccelsi, guizzano e ricreano la magia e la patina onirica che trasudano dall’episodio, in cui anche le luci e i colori, tutt’altro che secondari, si prendono tutto lo spazio che meritano in virtù dell’uso magistrale che ne è stato fatto. A ciò va aggiunto il compendio musicale (Micky Yoshino), che si avvale anche del preludio della Carmen ed è eccelso nella commistione al video delle sue armonie e soprattutto nella perfetta ricreazione di atmosfere sonore che, a volte fatte di tocchi di piano delicatissimi, a volte di brani più strani, combaciano con la volontà espressiva delle sequenze del corto con ispirazione meravigliosa.
La ragazzina, il gatto e il clown che si aggirano, attraversano e a tratti galleggiano in questo flusso visuale sono i primi a stupirsi di tale spettacolo e, addentrandosi sempre più nei suoi livelli e dimensioni, sono coloro i quali schiudono prima il portale che immette agli altri due corti, e poi, al termine, l’illusione sottintesa che soggiace a ogni visione.
Il corto di Kawajiri sta decisamente qualche gradino sotto, come elementi e come ricerca. L’episodio fa molto leva sul comparto tecnico che, in grado di stupire ancora oggi per la sua cura e la sua sovrabbondanza visiva, tuttavia non raggiunge né la grazia né la poesia, tanto meno la ricerca stilistico-contenutistica, dell’opera di Rintaro. Qui gli approcci sono più brutali, in un certo senso "fracassoni", poiché vi è un’escalation di esasperazione adrenalinica che trova la sua manifestazione regina nelle corse di alcuni prototipi. Questi ultimi sono immersi in una sfrenata teoria di illuminazioni, scie luminose, neon e stroboscopie elettriche che si specchiano negli stessi veicoli, i quali a loro volta producono un’altra dose abbondante di effetti speciali che aumentano di pari passo alla degenerazione, anche piuttosto cruda, contornata da sangue ed esplosioni in sequenze esponenziali, dell’azione. Ma il tutto ha un’idea di fondo molto esistenziale e, al di là della messa in scena così prepotente e pompata, il tema dello sforzo immenso e devastante per raggiungere e superare se stessi è reso in modo molto intenso, grazie anche – e forse proprio – al parossismo fisionomico del personaggio principale, le cui smorfie e tensioni muscolari sono evidenziate con un gusto quasi morboso e accentuate maniacalmente.
Infine, non solo come disposizione, pure come riuscita, l’ultima tappa di Manie Manie è il corto di Otomo, anch’esso ben realizzato dal punto di vista visivo ma carente per quanto concerne il soggetto. Il quale, se a prima vista affascina con un’ambientazione risultante dalla mescolanza di giungla, cemento, acciaio e cavi, tuttavia presto si rivela un po’ pesante e insistito. La causa di ciò risiede sia nel protagonista, eccessivamente nervoso e insofferente, tanto da trasmettere nervosismo e insofferenza anche a chi guarda, sia nella tematica, ovvero l’ottusità delle macchine e le conseguenze cui porta l’affidarsi in modo cieco a esse, la quale oltre ad avvalersi della cornice di cui sopra non offre le riflessioni che ci si sarebbe aspettato di veder emergere da questo tema. Inoltre il tono del corto non è ben definito e resta a metà strada fra il grottesco, l’ironico e il serio, il che infastidisce la fruizione dell’episodio, sempre però appagante come animazioni, disegni e soprattutto scenari, tutti su standard ottimi considerando i tempi a cui risalgono.
Così, tirando le somme, anche qui, come in molti altri casi di operazioni analoghe, il progetto di riunire tre corti in un solo OAV non frutta altra impressione se non quella di una raccolta in un unico contenitore di tre opere del tutto indipendenti tra loro, senza obbiettivi comuni né legami logici di sorta. Mi chiedo quindi quale sia l’utilità di raggruppare degli episodi che starebbero benissimo pure come uscite singole, a fronte delle quali quantomeno ognuno di essi potrebbe avere una valutazione di merito personale e non si troverebbe a dover condividere la media risultante dai tre valori corrispettivi.
Conosciuto anche come "Neo Tokyo", "Meikyu Monogatari" (letteralmente: "I racconti del labirinto") è un film a episodi prodotto nel 1983 ma presentato al mondo soltanto quattro anni dopo (al Festival Internazionale del Cinema di Fantascienza di Tokyo).
Come avverrà qualche anno più tardi con "Memories", l'idea proposta in questo lavoro è quella di unire tre brevi storie portate in scena da altrettanti registi famosi.
Sono tre gioielli difficili da mandare giù, ardui da comprendere se non si è abituati all'animazione "sofisticata", o meglio, "raffinata", ma, per dirla in maniera concreta, si tratta appunto di un genere sperimentale d'animazione, di conseguenza rivolto ad un pubblico con già una vasta esperienza alle spalle.
E' già nel primo dei tre cortometraggi, "Labyrinth", che difatti emerge la forma più alta di questo sperimentalismo: nel racconto offerto da Rintaro, personalissimo nei disegni quanto nella forma della narrazione stessa, la piccola Sachiko ignora gli avvertimenti della mamma sulla pericolosità degli sconosciuti e degli specchi, finendo in un mondo da incubo, che si mostra allo spettatore con i suoi giochi di luce, di inquadrature e di immagini, avvolgendolo completamente.
A seguire, Yoshiaki Kawajiri racconta la storia ("Hashiru Otoko") di un pilota di gare automobilistiche estreme e spesso mortali: si tratta probabilmente del corto più ampolloso e meno stuzzicante, per via di contenuti ridotti all'osso che lasciano spazio a un'atmosfera irrespirabile proposta da una grafica altrettanto "impegnativa", persino meno digeribile del titolo che lo precede. E' tuttavia proprio la qualità dell'animazione a spiccare infine in questo secondo titolo.
Katsuhiro Otomo, ultimo ma non ultimo, punta sul suo "passatempo preferito", lo sci-fi. Ci racconta una storia di fantascienza in cui il caos trionfa a causa di sistemi automatici inefficienti. A detta di molti, e anche mia, "Koji Chushi Meirei" è il pezzo forte della produzione. Il tono adottato è altamente sarcastico e la critica al capitalismo e alla tecnologia è efficacemente pungente, nonostante la durata, inoltre la stessa sceneggiatura si "normalizza", a dispetto della relativa complessità degli altri capitoli, con una presenza maggiore di dialoghi e un disegno più ordinario.
La colonna sonora merita un plauso in tutti e tre i frangenti. Anche nella grafica, così come nei contenuti, questi tre anime sono di ottimo livello. Tuttavia, complessivamente, non riescono a riscuotere un grande successo di pubblico, forse proprio a causa della struttura a episodi e ad una fisionomia non indirizzata ai gusti del grande pubblico.
Come avverrà qualche anno più tardi con "Memories", l'idea proposta in questo lavoro è quella di unire tre brevi storie portate in scena da altrettanti registi famosi.
Sono tre gioielli difficili da mandare giù, ardui da comprendere se non si è abituati all'animazione "sofisticata", o meglio, "raffinata", ma, per dirla in maniera concreta, si tratta appunto di un genere sperimentale d'animazione, di conseguenza rivolto ad un pubblico con già una vasta esperienza alle spalle.
E' già nel primo dei tre cortometraggi, "Labyrinth", che difatti emerge la forma più alta di questo sperimentalismo: nel racconto offerto da Rintaro, personalissimo nei disegni quanto nella forma della narrazione stessa, la piccola Sachiko ignora gli avvertimenti della mamma sulla pericolosità degli sconosciuti e degli specchi, finendo in un mondo da incubo, che si mostra allo spettatore con i suoi giochi di luce, di inquadrature e di immagini, avvolgendolo completamente.
A seguire, Yoshiaki Kawajiri racconta la storia ("Hashiru Otoko") di un pilota di gare automobilistiche estreme e spesso mortali: si tratta probabilmente del corto più ampolloso e meno stuzzicante, per via di contenuti ridotti all'osso che lasciano spazio a un'atmosfera irrespirabile proposta da una grafica altrettanto "impegnativa", persino meno digeribile del titolo che lo precede. E' tuttavia proprio la qualità dell'animazione a spiccare infine in questo secondo titolo.
Katsuhiro Otomo, ultimo ma non ultimo, punta sul suo "passatempo preferito", lo sci-fi. Ci racconta una storia di fantascienza in cui il caos trionfa a causa di sistemi automatici inefficienti. A detta di molti, e anche mia, "Koji Chushi Meirei" è il pezzo forte della produzione. Il tono adottato è altamente sarcastico e la critica al capitalismo e alla tecnologia è efficacemente pungente, nonostante la durata, inoltre la stessa sceneggiatura si "normalizza", a dispetto della relativa complessità degli altri capitoli, con una presenza maggiore di dialoghi e un disegno più ordinario.
La colonna sonora merita un plauso in tutti e tre i frangenti. Anche nella grafica, così come nei contenuti, questi tre anime sono di ottimo livello. Tuttavia, complessivamente, non riescono a riscuotere un grande successo di pubblico, forse proprio a causa della struttura a episodi e ad una fisionomia non indirizzata ai gusti del grande pubblico.
Piuttosto deludente, per quanto mi riguarda.
Speravo e pensavo di vedere qualcosa di buono.
Quando lo vidi la prima volta ci arrivai un po' per caso, frutto di una ricerca sulle opere di Otomo fatta dopo l'immane delusione derivata dalla visione di Steamboy.
Labyrinth è il tipico corto sperimentale, a me parso non molto originale, comunque ci sono spunti interessanti e tutto sommato si lascia guardare.
L'uomo che correva è invece è uno di quei lavori che, se non fossero stati fatti, nessuno ne sentirebbe la mancanza.
La storia è una storiella, ciò che infastidisce è la velata aspirazione di fare qualcosa di serio.
Il lavoro di Otomo, seppur non eccelso, si lascia guardare, come già detto nei commenti la storia è stravista, però la fattura è buona e non ci si pentirà di averci investito mezz'ora.
In ogni caso il giudizio è basso, l'acquisto del DVD poi è consigliato solo a collezionisti molto motivati.
Speravo e pensavo di vedere qualcosa di buono.
Quando lo vidi la prima volta ci arrivai un po' per caso, frutto di una ricerca sulle opere di Otomo fatta dopo l'immane delusione derivata dalla visione di Steamboy.
Labyrinth è il tipico corto sperimentale, a me parso non molto originale, comunque ci sono spunti interessanti e tutto sommato si lascia guardare.
L'uomo che correva è invece è uno di quei lavori che, se non fossero stati fatti, nessuno ne sentirebbe la mancanza.
La storia è una storiella, ciò che infastidisce è la velata aspirazione di fare qualcosa di serio.
Il lavoro di Otomo, seppur non eccelso, si lascia guardare, come già detto nei commenti la storia è stravista, però la fattura è buona e non ci si pentirà di averci investito mezz'ora.
In ogni caso il giudizio è basso, l'acquisto del DVD poi è consigliato solo a collezionisti molto motivati.
Devo dire che sono uno di quelli che adora questi tipi di lungomentraggi/cortometraggi formati da 3 o più ministorie. Ho avuto l'occasione di vedere quest'ultima a casa di un mio amico e devo dire che, nonostante non risultino essere quelle opere a una prima vista eccelse, col tempo si possono rivedere volentieri più e più volte. Consigliato agli amanti dei lavori sperimentali.
Ps: se vi piace questo genere di opere consiglierei volentieri di guardare Memories & robo Carnival, che sono sulla stessa linea di pensiero di quest'ultima. Buona visione!
Ps: se vi piace questo genere di opere consiglierei volentieri di guardare Memories & robo Carnival, che sono sulla stessa linea di pensiero di quest'ultima. Buona visione!
"I racconti del labirinto" è un film ad episodi ed in quanto tale soffre di tutti i mali caratteristici di queste produzioni: la discontinuità narrativa e la disomogeneità dei risultati. Ovverosia non sempre i diversi racconti di questi film si intrecciano bene tra loro e non sempre tutti riescono bene. Soprattutto se diversi registi (con stili ed idee diverse) collaborano tra loro ad un'unico progetto. Da questo punto di vista "I racconti del labirinto" è un vero e proprio esempio da manuale di quanto abbiamo detto prima. Surreale e fantastico l'episodio di apertura di Rintaro (con una ragazza che insegue un gatto e finisce in un magico circo) la cui ripresa sancisce anche la fine dell'anime mentre il resto del film si svolge in cupi e bizzarri universi hi-tech. Yoshiaki Kawajiri mette in scena una corsa iper-veloce con super-macchine, oltrepassamento dei limiti dell'umano (nonchè tra la vita e la morte) spiegando poco e convincendo lo spettatore ancor di meno. Otomo, regista della terza storia, è a mio parere autore di un vero gioiellino, una vicenda fatta di robot-operai impazziti nel cuore della giungla e di piccoli impiegati che sarebbe senz'altro piaciuta al compianto Isaac Asimov.
Otomo (che in Akira dà vita ad una regia sin troppo sbrodolata e farraginosa) qua riesce in un breve arco di tempo a narrare una storia intrisa di critica alla voracità del capitalismo, di ammonimento sui rischi tecnologici e di ambientalismo condito con una sana dose di humur grottesco. Dunque film sperimentale, pieno di difetti ma senz'altro da vedere.
Otomo (che in Akira dà vita ad una regia sin troppo sbrodolata e farraginosa) qua riesce in un breve arco di tempo a narrare una storia intrisa di critica alla voracità del capitalismo, di ammonimento sui rischi tecnologici e di ambientalismo condito con una sana dose di humur grottesco. Dunque film sperimentale, pieno di difetti ma senz'altro da vedere.
Il corto di Rintaro è un'apertura più che un corto vero e proprio. Nella sua animazione seguiamo una giapponesissima alice -quella del paese delle meraviglie- in una sorta di napoli nottambula e stranamente deserta. Quello che ne viene fuori è un'atmosfera tra il sogno e il surreale, dove gli eventi si succedono come in un sogno appunto, più per giustappositzione che per uno schema forte di causa effetto.
Quello di Kawajiri è un cortometraggio ancora più cupo. L'impronta è qulla del noir, con tanto di voce over e di investigatore in impermeabile. Anche in questo caso la trama è ridotta ai minimi termini e la storia vera e propria lascia il campo alle ombre e alla suggestione delle immagini.
E infine Otomo, che dove mette mano fa come minimo cose degne di nota. E infatti la sua è sicuramente l'animazione migliore del film. Otomo racconta una storiella molto semplice, ma che racchiude un'idea di base con un potenziale notevole, più adatta a mio avviso ad un lungometraggio, se non addirittura ad una serie. L'dea di fondo è infatti una rivisitazione in chiave tecnologica di quello che gioce nelle fondamenta di un film del calibro di Apocalypse Now.
In generale direi che i tre cortometraggi non sono autosufficienti. Tutti e tre sono tecnicamente di alta qualità, ma gli autori non vanno oltre lo sfoggio di loro stessi.
Il mio giudizio è che ognuno dei tre avrebbe meritato più spazio per approfondire.
Peccato.
Quello di Kawajiri è un cortometraggio ancora più cupo. L'impronta è qulla del noir, con tanto di voce over e di investigatore in impermeabile. Anche in questo caso la trama è ridotta ai minimi termini e la storia vera e propria lascia il campo alle ombre e alla suggestione delle immagini.
E infine Otomo, che dove mette mano fa come minimo cose degne di nota. E infatti la sua è sicuramente l'animazione migliore del film. Otomo racconta una storiella molto semplice, ma che racchiude un'idea di base con un potenziale notevole, più adatta a mio avviso ad un lungometraggio, se non addirittura ad una serie. L'dea di fondo è infatti una rivisitazione in chiave tecnologica di quello che gioce nelle fondamenta di un film del calibro di Apocalypse Now.
In generale direi che i tre cortometraggi non sono autosufficienti. Tutti e tre sono tecnicamente di alta qualità, ma gli autori non vanno oltre lo sfoggio di loro stessi.
Il mio giudizio è che ognuno dei tre avrebbe meritato più spazio per approfondire.
Peccato.