Tokyo Style
Conoscete l' "hataraki man"? È la persona che dedica la propria esistenza unicamente al lavoro, che per lavoro è disposta a rinunciare ore di sonno e relax, una che non si preoccupa di fare straordinari o trascurare le relazioni sociali. È la persona che antepone il lavoro alla vita privata.
Hiroko Matsukata, ventotto anni, redattrice di un settimanale, indipendente nonché ambiziosa, è una hataraki man. E' soprannominata così dai colleghi in quanto gran lavoratrice, appassionata del proprio mestiere da perdere la concezione del tempo, concentrata e seria nei momenti cruciali, e talmente instancabile da essere paragonata a un uomo al lavoro.
L'anime, composto da undici episodi, offre interessanti spunti di riflessione, non esclusivamente legati al mondo del lavoro. Vengono bensì analizzati anche gli aspetti della vita quotidiana. I dubbi esistenziali della protagonista sono anche i nostri: quali sono le priorità nella vita, come comportarsi dinanzi alle avversità, se è giusto o sbagliato agire in quel modo piuttosto che in un altro.
La struttura della storia è episodica, tutto gira intono ai vicissitudini degli impiegati che lavorano per la rivista 'Jidai', fatta eccezione per le due puntate focalizzate su Shinji, il fidanzato di Hiroto, il cui punto di vista dà un'ottica nuova e interessante sul lavoro nipponico. La narrazione, per mancanza di colpi di scena, può sembrare noiosa e talvolta ripetitiva; ciò non toglie la piacevolezza nel seguire un titolo diverso dal solito, che non è ambientato sui banchi di scuola, a cui siamo sin troppo abituati. Scordatevi le storie d'amore adolescenziali, i fanciulli innamorati in crisi, le ragazze moe, il fanservice o le sequenze d'azione. In 'Hataraki man' la prospettiva è quella degli adulti, alle prese con i problemi quotidiani e sociali su uno sfondo concreto, quello degli uffici.
Il cast è numeroso. Seppure non sviluppato adeguatamente, i personaggi risultano simpatici, delineati quanto bastano, ma, soprattutto, appaiono realistici e credibili negli atteggiamenti, nonché coerenti nei ragionamenti. Ciascuno si approccia al lavoro e alla vita in maniera diversa.
Per quanto concerne il lato tecnico, la serie è discreta, risalta in particolar modo il character design vario, preciso e lineare. Il tratto di Mayoko Anno è inconfondibile anche nella versione animata, i suoi personaggi sono ben riconoscibili dalla fisionomia, dal modo di vestirsi, acconciarsi e porsi. Ognuno di loro è disegnato in maniera differente, perciò è impossibile confonderli, malgrado la valanga di comprimari presenti.
Le animazioni, come gran parte degli slice of life, sono semplici e nitide, con una particolare attenzione per i fondali, i quali sono ben curati e dettagliati.
Meno incisivo è il comparto tecnico, né l'opening né l'ending sono accattivanti, così come le musiche di sottofondo, queste praticamente inesistenti. Buono ma non significativo è il doppiaggio.
'Tokyo Style', questo il titolo internazionale di 'Hataraki Man', ha come target un pubblico adulto e ristretto, indirizzato fondamentalmente a chi ha avuto qualche esperienza lavorativa, perché difficilmente i più giovani, inesperti nell'ambito lavorativo, potranno comprendere la filosofia e i temi rincorrenti all'interno della suddetta serie, e tanto meno immedesimarsi nei personaggi.
Hiroko, la protagonista, è una donna in carriera, come poche in passato e come tante oggi, laddove cerca di dare il massimo in ciò che fa in una società riservata e frenetica, tentando però di conservare la propria femminilità, che lotta per raggiungere gli obiettivi prefissati sacrificando molti lussi. Ma è anche una donna insicura, paranoica e vulnerabile nelle relazioni interpersonali, la quale non riesce a gestire la vita lavorativa e sentimentale come vorrebbe. Eppure non si perde d'animo, anzi, s'impegna ulteriormente meditando sui propri errori, nel correggerli ove è fattibile, accettarli ove è infattibile, per essere una persona brillante e realizzata nel presente e in futuro.
E voi, amiche lettrici, siete delle "hataraki man"?
Hiroko Matsukata, ventotto anni, redattrice di un settimanale, indipendente nonché ambiziosa, è una hataraki man. E' soprannominata così dai colleghi in quanto gran lavoratrice, appassionata del proprio mestiere da perdere la concezione del tempo, concentrata e seria nei momenti cruciali, e talmente instancabile da essere paragonata a un uomo al lavoro.
L'anime, composto da undici episodi, offre interessanti spunti di riflessione, non esclusivamente legati al mondo del lavoro. Vengono bensì analizzati anche gli aspetti della vita quotidiana. I dubbi esistenziali della protagonista sono anche i nostri: quali sono le priorità nella vita, come comportarsi dinanzi alle avversità, se è giusto o sbagliato agire in quel modo piuttosto che in un altro.
La struttura della storia è episodica, tutto gira intono ai vicissitudini degli impiegati che lavorano per la rivista 'Jidai', fatta eccezione per le due puntate focalizzate su Shinji, il fidanzato di Hiroto, il cui punto di vista dà un'ottica nuova e interessante sul lavoro nipponico. La narrazione, per mancanza di colpi di scena, può sembrare noiosa e talvolta ripetitiva; ciò non toglie la piacevolezza nel seguire un titolo diverso dal solito, che non è ambientato sui banchi di scuola, a cui siamo sin troppo abituati. Scordatevi le storie d'amore adolescenziali, i fanciulli innamorati in crisi, le ragazze moe, il fanservice o le sequenze d'azione. In 'Hataraki man' la prospettiva è quella degli adulti, alle prese con i problemi quotidiani e sociali su uno sfondo concreto, quello degli uffici.
Il cast è numeroso. Seppure non sviluppato adeguatamente, i personaggi risultano simpatici, delineati quanto bastano, ma, soprattutto, appaiono realistici e credibili negli atteggiamenti, nonché coerenti nei ragionamenti. Ciascuno si approccia al lavoro e alla vita in maniera diversa.
Per quanto concerne il lato tecnico, la serie è discreta, risalta in particolar modo il character design vario, preciso e lineare. Il tratto di Mayoko Anno è inconfondibile anche nella versione animata, i suoi personaggi sono ben riconoscibili dalla fisionomia, dal modo di vestirsi, acconciarsi e porsi. Ognuno di loro è disegnato in maniera differente, perciò è impossibile confonderli, malgrado la valanga di comprimari presenti.
Le animazioni, come gran parte degli slice of life, sono semplici e nitide, con una particolare attenzione per i fondali, i quali sono ben curati e dettagliati.
Meno incisivo è il comparto tecnico, né l'opening né l'ending sono accattivanti, così come le musiche di sottofondo, queste praticamente inesistenti. Buono ma non significativo è il doppiaggio.
'Tokyo Style', questo il titolo internazionale di 'Hataraki Man', ha come target un pubblico adulto e ristretto, indirizzato fondamentalmente a chi ha avuto qualche esperienza lavorativa, perché difficilmente i più giovani, inesperti nell'ambito lavorativo, potranno comprendere la filosofia e i temi rincorrenti all'interno della suddetta serie, e tanto meno immedesimarsi nei personaggi.
Hiroko, la protagonista, è una donna in carriera, come poche in passato e come tante oggi, laddove cerca di dare il massimo in ciò che fa in una società riservata e frenetica, tentando però di conservare la propria femminilità, che lotta per raggiungere gli obiettivi prefissati sacrificando molti lussi. Ma è anche una donna insicura, paranoica e vulnerabile nelle relazioni interpersonali, la quale non riesce a gestire la vita lavorativa e sentimentale come vorrebbe. Eppure non si perde d'animo, anzi, s'impegna ulteriormente meditando sui propri errori, nel correggerli ove è fattibile, accettarli ove è infattibile, per essere una persona brillante e realizzata nel presente e in futuro.
E voi, amiche lettrici, siete delle "hataraki man"?
In questo adattamento animato in undici episodi dell’omonimo manga di Moyoco Anno, Fuji Tv e il suo contenitore di seconda serata noitaminA, mostrano il classico esempio di impiegato murato nel suo posto di lavoro, interamente dedito alla carriera e sempre assente dalla sua vita privata, ammesso che ne abbia una. Vediamo rappresentata la piccola ape operaia che serve a far funzionare l’alveare: l’economia del paese, l’ingranaggio del grande sistema lavoro. Per decenni per una impronta misogina della società giapponese, nemmeno troppo nascosta, il ruolo di ape operaia è stato riservato all’uomo, è sempre stato il maschio a fare gli straordinari in ufficio e a tirare le ore piccole ai ristoranti, ubriacandosi di sake per convincere i clienti a stringere accordi; mentre il ruolo della donna era quello di pensare alla casa, alla procreazione e all’educazione dei figli.
Solo che ormai la società è mutata e le donne avanzano sgomitando, chiedendo parità di trattamento, quindi la peculiarità di Tokyo Style, o Hataraki Man, è quella di narrare le vicende di Hiroko Matsukata, una donna in carriera che lavora come giornalista d’assalto per un giornale di spicco della capitale nipponica.
La protagonista viene posta, forse ancor più brutalmente di quanto possa capitare ad una donna in occidente, davanti ad un doloroso bivio: carriera o vita personale. Se Hiroko è un asso nel suo lavoro, un vero e proprio stakanovista hataraki, la sua vita privata è un completo disastro, la conosciamo quando riesce ancora a stento a mantenere una storia sentimentale, ma vedremo, nel corso delle puntate, la sua sfera personale sgretolarsi e scivolarle via tra le dita come una manciata di sabbia.
Risulta molto interessante il confronto della figura professionale di Hiroko con quella di altri due suoi colleghi che hanno un approccio al lavoro totalmente in contrasto con la nostra protagonista:
Yumi Nogawa ha trovato un modo tutto suo per inserirsi in questo “club per soli uomini”, ella non ritiene che la via del successo per una donna sia diventare un uomo o ancora più mascolina sul lavoro di un uomo, non rifiuta la sua femminilità, ma al contrario ne fa una potente arma; e Kunio Tanaka, giovane reporter maschio, entra spesso in contrasto con Hiroko, poiché ritiene che la vita non debba essere devoluta totalmente al lavoro, fa lo stretto necessario senza mai sprecarsi troppo, rappresenta così la tendenza delle nuove generazioni a voler rompere col pesante bagaglio di responsabilizzazione inculcato dalla culla: mirare al successo, successo e ancora al successo, in una società in cui non sono ammessi perdenti, la carica dei nuovi uomini giapponesi così detti “erbivori”, che si scontrano contro una nuova generazione di donne “carnivore”.
Il character risulta longilineo e sottile, piacevole alla visione, ma la cosa che conta di più in questa serie sono i contenuti, gli spunti di riflessione e di critica alla società giapponese, l’analisi della figura della donna nel mondo lavorativo, non tanto l’aspetto tecnico.
Solo che ormai la società è mutata e le donne avanzano sgomitando, chiedendo parità di trattamento, quindi la peculiarità di Tokyo Style, o Hataraki Man, è quella di narrare le vicende di Hiroko Matsukata, una donna in carriera che lavora come giornalista d’assalto per un giornale di spicco della capitale nipponica.
La protagonista viene posta, forse ancor più brutalmente di quanto possa capitare ad una donna in occidente, davanti ad un doloroso bivio: carriera o vita personale. Se Hiroko è un asso nel suo lavoro, un vero e proprio stakanovista hataraki, la sua vita privata è un completo disastro, la conosciamo quando riesce ancora a stento a mantenere una storia sentimentale, ma vedremo, nel corso delle puntate, la sua sfera personale sgretolarsi e scivolarle via tra le dita come una manciata di sabbia.
Risulta molto interessante il confronto della figura professionale di Hiroko con quella di altri due suoi colleghi che hanno un approccio al lavoro totalmente in contrasto con la nostra protagonista:
Yumi Nogawa ha trovato un modo tutto suo per inserirsi in questo “club per soli uomini”, ella non ritiene che la via del successo per una donna sia diventare un uomo o ancora più mascolina sul lavoro di un uomo, non rifiuta la sua femminilità, ma al contrario ne fa una potente arma; e Kunio Tanaka, giovane reporter maschio, entra spesso in contrasto con Hiroko, poiché ritiene che la vita non debba essere devoluta totalmente al lavoro, fa lo stretto necessario senza mai sprecarsi troppo, rappresenta così la tendenza delle nuove generazioni a voler rompere col pesante bagaglio di responsabilizzazione inculcato dalla culla: mirare al successo, successo e ancora al successo, in una società in cui non sono ammessi perdenti, la carica dei nuovi uomini giapponesi così detti “erbivori”, che si scontrano contro una nuova generazione di donne “carnivore”.
Il character risulta longilineo e sottile, piacevole alla visione, ma la cosa che conta di più in questa serie sono i contenuti, gli spunti di riflessione e di critica alla società giapponese, l’analisi della figura della donna nel mondo lavorativo, non tanto l’aspetto tecnico.
Il lavoro è la vostra vita? Se la risposta è sì, qualunque sia il vostro impiego, vi consiglio vivamente di vedere Tokyo Style: avrete l’occasione di riconoscervi (o meno) in Hiro, giovane redattrice di un’importante rivista che ama a tal punto il suo lavoro da dare tutta se stessa, fino allo sfinimento, sacrificando - se necessario - tempo libero e relazioni sociali.
Le puntate ruotano principalmente attorno alla vita d’ufficio, al rapporto con colleghi e superiori e ai risvolti che questi, in un modo o nell’altro, hanno sulla vita privata di questa “Hataraki Man”. Tutto qui? Assolutamente no! Forse uno degli aspetti più interessanti messo in risalto dall’anime è proprio il problema di conciliare la vita lavorativa con quella privata. Fin dal principio, infatti, si noterà che se Hiro concentra nell’ambito lavorativo tutte le sue forze, in quella personale non riesce a mettere la stessa determinazione. La protagonista, nel poco tempo in cui non lavora, è infatti “tormentata” da problemi che si ripresentano quotidianamente, aspetti personali lasciati in sospeso, abbandonati per mancanza di tempo o volontà: decisioni a volte difficili che possono cambiare la vita.
Perché vederlo? Le puntate non sono pesanti come potrebbe lasciar credere la trama, per cui non vi aspettate la descrizione del noioso lavoro d’ufficio o l’ordinaria vita di un’impiegata/redattrice. Il racconto scorre in maniera divertente e leggera, ma allo stesso tempo i temi proposti sono “adulti” ed interessanti: difficoltà quotidiane che chi lavora, vive, ama si trova spesso a dover affrontare. Se è vero che in tutto ciò potete ritrovare voi stessi, d’altra parte sappiate che non verrà data risposta ai vostri dubbi e domande esistenziali, visto che, probabilmente, è proprio l’autrice stessa a non volerne dare. Infatti, nonostante Hiro arrivi ad intraprendere un suo percorso, arrivando, volente o nolente, ad una sua seppur aperta conclusione, appare chiaro come la sua esperienza risulti una ed unica. Ciò che Tokyo Style può offrirvi è quindi piuttosto uno spunto di riflessione su che cosa state facendo e perché, su che cosa è importante per voi e che cosa siete disposti a sacrificare per ottenerlo.
La grafica è piacevole, come il tratto di Moyoco Anno, riconoscibile fra tutti e decisamente particolare. Personalmente, non avendo visto altri anime adulti e allo stesso tempo reali e con un pizzico di simpatia, lo consiglio vivamente.
Le puntate ruotano principalmente attorno alla vita d’ufficio, al rapporto con colleghi e superiori e ai risvolti che questi, in un modo o nell’altro, hanno sulla vita privata di questa “Hataraki Man”. Tutto qui? Assolutamente no! Forse uno degli aspetti più interessanti messo in risalto dall’anime è proprio il problema di conciliare la vita lavorativa con quella privata. Fin dal principio, infatti, si noterà che se Hiro concentra nell’ambito lavorativo tutte le sue forze, in quella personale non riesce a mettere la stessa determinazione. La protagonista, nel poco tempo in cui non lavora, è infatti “tormentata” da problemi che si ripresentano quotidianamente, aspetti personali lasciati in sospeso, abbandonati per mancanza di tempo o volontà: decisioni a volte difficili che possono cambiare la vita.
Perché vederlo? Le puntate non sono pesanti come potrebbe lasciar credere la trama, per cui non vi aspettate la descrizione del noioso lavoro d’ufficio o l’ordinaria vita di un’impiegata/redattrice. Il racconto scorre in maniera divertente e leggera, ma allo stesso tempo i temi proposti sono “adulti” ed interessanti: difficoltà quotidiane che chi lavora, vive, ama si trova spesso a dover affrontare. Se è vero che in tutto ciò potete ritrovare voi stessi, d’altra parte sappiate che non verrà data risposta ai vostri dubbi e domande esistenziali, visto che, probabilmente, è proprio l’autrice stessa a non volerne dare. Infatti, nonostante Hiro arrivi ad intraprendere un suo percorso, arrivando, volente o nolente, ad una sua seppur aperta conclusione, appare chiaro come la sua esperienza risulti una ed unica. Ciò che Tokyo Style può offrirvi è quindi piuttosto uno spunto di riflessione su che cosa state facendo e perché, su che cosa è importante per voi e che cosa siete disposti a sacrificare per ottenerlo.
La grafica è piacevole, come il tratto di Moyoco Anno, riconoscibile fra tutti e decisamente particolare. Personalmente, non avendo visto altri anime adulti e allo stesso tempo reali e con un pizzico di simpatia, lo consiglio vivamente.
“Con ventiquattromila/baci così frenetico e' l'amore/in questo giorno di follia/ogni minuto e' tutto mio…” Era il 1961, con questa canzone Celentano scandalizzava l’allora pubblico di San Remo e attraverso questa metafora parlava dei cambiamenti di ritmo della vita moderna, che passava da una cadenza agricola e stagionale al lavoro giornaliero, cottimale, frenetico della città industriale. Dove prima solo l’alba e il tramonto avevano una qualche importanza ora anche le ore, i minuti, i secondi, sono preziosi. Hatakari Man parla soprattutto di questo : ritmi, cadenze e scadenze di una vita frenetica, vissuta al fulmicotone, battuta da un metronomo sociologico impazzito che costringe quasi le persone ad evolversi in robot per poter affrontare una giornata di lavoro. Del resto, i giapponesi sono piuttosto famosi per la loro mania di lavorare come pazzi ed è proprio questo il significato di “Hatakari Man”, ossia quell’individuo che dedica tutto se stesso all’impegno sul lavoro, sforando quella che è considerata l’umana soglia di rendita personale.
La particolarità dell’anime sta però nel fatto che non sia un uomo, bensì una donna ad essere “Hataraki Man” e mostra, con velature anche ironiche, il difficile inserimento di una donna giapponese in contesti spesso ancora troppo maschili, creando un vizio competitivo che esiste però solo nella mente della protagonista.
Hataraki Man è un Josei della mangaka Moyoko Anno che guarda alle problematiche del lavoro da un punto di vista squisitamente femminile. L’autrice si appella a un format piuttosto inflazionato in Giappone, soprattutto nei Dorama, ossia quello della giovane donna in carriera che deve amministrare vita privata e lavoro cercando di non perdere la propria femminilità. La Anno riesce a descriverci questo stile di vita da un punto di vista molto interessante : senza inutili fronzoli femministi ci guida per mano in quella che è la vita quotidiana di una donna, in bilico tra la passione per il suo lavoro e la frustrazione di non sentirsi abbastanza femminile. “Hatakari man” è un attributo esclusivamente maschile (man sta proprio per “uomo” in inglese), l’appiccicarlo quindi alla protagonista invita lo spettatore a riflettere su quanti sforzi debba fare una donna per emergere nell’ultra-competitivo ambiente lavorativo giapponese. Matsukata Hiroko, 28 anni, redattrice del settimanale Jigai, ci accompagna per le 11 puntate dell’anime (autoconlusive) che compongono una trama invisibile, legate ma slegate, senza un apparente filo conduttore, insomma, un vero slice of life. I sentimenti di Hiroko sono ispezionati con cura, nel minimo dettaglio. I suoi monologhi, i suoi pensieri, il suo modo di essere, vengono esposti allo spettatore in modo chiaro e lineare e la vera trama sta proprio nell’evoluzione emotiva che coinvolge la nostra protagonista. Un evoluzione costante nelle 11 puntate e che porterà Hiroko dalla sfrenata competitività produttiva a un introspezione profonda, per rimettersi in discussione, meditando, di puntata in puntata, sui vari soggetti che le orbitano attorno, ispezionandoli dal suo punto di vista, criticandoli, ammarandoli, ma pur sempre traendo un qualche insegnamento da loro.
Hataraki man ci impone quindi una domanda (sia alle donne che a noi uomini), fino a che punto ci si può sacrificare per il lavoro distruggendo, di fatto, la nostra vita privata e trasformandoci quindi in macchine? La tematica a molti sembrerà non sfiorare minimamente l’italica penisola, baciata dal sole, dall’ozio e dai vizi. Io non concordo. Sarà per la mia esperienza personale, ma posso dire che in Italia, come in tutto il mondo, esistono settori in cui la competitività individuale è fortissima e ciò spinge il lavoratore a sacrificarsi in modo forse eccessivo nel nome di un pantheon di divinità nuove, dai nomi altisonanti : Produzione, Profitto, Rendite, Guadagni, Investimenti.
Il Disegno è tipico della mangaka, ormai scafata e ben collaudata, sicura del suo tratto. Ben realizzato, un po’ atipico, come piace a me diciamo. La protagonista si mostra in tutta la sua bellezza e in tutto il suo abbrutimento (struccata con le occhiaie) e questo è davvero un grande pregio di quest’opera che mostra il volto umano di Hiroko anche attraverso il disegno. Bene gli sfondi, poche luci, troppo poche. Qualche gioco di luce in più avrebbe sicuramente giovato all’ambiente e sicuramente non avrebbe stonato.
Nel complesso un anime tratto da un manga per adulti, che tratta temi adulti e che si rivolge espressamente alle donne lavoratrici dai 20/25 in su. Questo non lo esclude però dall’essere apprezzato anche da altri soggetti (come me, che donna proprio non sono) che attraverso le vicissitudini di Hiroko possono, se non immedesimarsi, trovare termini di paragone e riflettere sull’evoluzione del mercato del lavoro. Otto.
La particolarità dell’anime sta però nel fatto che non sia un uomo, bensì una donna ad essere “Hataraki Man” e mostra, con velature anche ironiche, il difficile inserimento di una donna giapponese in contesti spesso ancora troppo maschili, creando un vizio competitivo che esiste però solo nella mente della protagonista.
Hataraki Man è un Josei della mangaka Moyoko Anno che guarda alle problematiche del lavoro da un punto di vista squisitamente femminile. L’autrice si appella a un format piuttosto inflazionato in Giappone, soprattutto nei Dorama, ossia quello della giovane donna in carriera che deve amministrare vita privata e lavoro cercando di non perdere la propria femminilità. La Anno riesce a descriverci questo stile di vita da un punto di vista molto interessante : senza inutili fronzoli femministi ci guida per mano in quella che è la vita quotidiana di una donna, in bilico tra la passione per il suo lavoro e la frustrazione di non sentirsi abbastanza femminile. “Hatakari man” è un attributo esclusivamente maschile (man sta proprio per “uomo” in inglese), l’appiccicarlo quindi alla protagonista invita lo spettatore a riflettere su quanti sforzi debba fare una donna per emergere nell’ultra-competitivo ambiente lavorativo giapponese. Matsukata Hiroko, 28 anni, redattrice del settimanale Jigai, ci accompagna per le 11 puntate dell’anime (autoconlusive) che compongono una trama invisibile, legate ma slegate, senza un apparente filo conduttore, insomma, un vero slice of life. I sentimenti di Hiroko sono ispezionati con cura, nel minimo dettaglio. I suoi monologhi, i suoi pensieri, il suo modo di essere, vengono esposti allo spettatore in modo chiaro e lineare e la vera trama sta proprio nell’evoluzione emotiva che coinvolge la nostra protagonista. Un evoluzione costante nelle 11 puntate e che porterà Hiroko dalla sfrenata competitività produttiva a un introspezione profonda, per rimettersi in discussione, meditando, di puntata in puntata, sui vari soggetti che le orbitano attorno, ispezionandoli dal suo punto di vista, criticandoli, ammarandoli, ma pur sempre traendo un qualche insegnamento da loro.
Hataraki man ci impone quindi una domanda (sia alle donne che a noi uomini), fino a che punto ci si può sacrificare per il lavoro distruggendo, di fatto, la nostra vita privata e trasformandoci quindi in macchine? La tematica a molti sembrerà non sfiorare minimamente l’italica penisola, baciata dal sole, dall’ozio e dai vizi. Io non concordo. Sarà per la mia esperienza personale, ma posso dire che in Italia, come in tutto il mondo, esistono settori in cui la competitività individuale è fortissima e ciò spinge il lavoratore a sacrificarsi in modo forse eccessivo nel nome di un pantheon di divinità nuove, dai nomi altisonanti : Produzione, Profitto, Rendite, Guadagni, Investimenti.
Il Disegno è tipico della mangaka, ormai scafata e ben collaudata, sicura del suo tratto. Ben realizzato, un po’ atipico, come piace a me diciamo. La protagonista si mostra in tutta la sua bellezza e in tutto il suo abbrutimento (struccata con le occhiaie) e questo è davvero un grande pregio di quest’opera che mostra il volto umano di Hiroko anche attraverso il disegno. Bene gli sfondi, poche luci, troppo poche. Qualche gioco di luce in più avrebbe sicuramente giovato all’ambiente e sicuramente non avrebbe stonato.
Nel complesso un anime tratto da un manga per adulti, che tratta temi adulti e che si rivolge espressamente alle donne lavoratrici dai 20/25 in su. Questo non lo esclude però dall’essere apprezzato anche da altri soggetti (come me, che donna proprio non sono) che attraverso le vicissitudini di Hiroko possono, se non immedesimarsi, trovare termini di paragone e riflettere sull’evoluzione del mercato del lavoro. Otto.