Don't Call it Mystery
Le storie investigative hanno sempre quel fascino misterioso che incuriosisce lo spettatore e riesce a trasportarlo in un mondo, sì cruento, ma estremamente stimolante, anche solo per cercare di trovare la soluzione del caso prima del protagonista.
Che sia un manga, un anime o un live action, se ben fatto e se rispecchia dei codici precisi, ovvero un protagonista interessante -volendo anche sopra le righe- una buona struttura narrativa, dei casi avvincenti che sanno coinvolgere e un gruppo di comprimari intriganti- il successo è quasi sempre assicurato. Tutti questi elementi, non a caso, sono fattori che sono presenti nel live action di Don't Call it Mystery.
Basato sul manga josei di Yumi Tamura il cui titolo originale è Mystery to Iunakare, ancora in corso di pubblicazione ed edito da noi da J-POP, Don't call it mystery si distingue dagli altri prodotti a tema investigativo proprio grazie al suo “bizzarro” protagonista, lo studente universitario Totono Kuno, oltre ad una peculiarità per nulla banale, anzi definirei anche abbastanza intelligente: una parlantina verbosa che, per l'appunto, non è banale.
Il suo protagonista, Totono Kuno, si distingue così dai suoi “colleghi investigatori” sia per la componente estetica che per quella caratteriale, risultando, agli occhi dello spettatore, un protagonista alquanto singolare.
Dalla folta chioma riccioluta sua peculiare caratteristica, anche se da lui poco amata, questo "buffo" protagonista si ritrova, suo malgrado, sempre coinvolto in vari e misteriosi casi di omicidio, che grazie al suo spiccato intelletto -e alla sua loquace parlantina- riesce sempre a decifrare riuscendo a consegnare sempre il colpevole alla giustizia.
Vedendo le dodici puntate di Don't call it mystery, reperibile da noi sulla piattaforma a pagamento Viki, si intuisce che il nostro giovane protagonista è probabilmente affetto da un disturbo dello spettro autistico, anche se questo aspetto non è stato ancora del tutto chiarito. Tale patologia rende Totono distaccato ma anche molto tenero, diretto, attento e genuino nell’approcciarsi col prossimo.
Lui, infatti, ha una qualità innata tanto semplice quanto sopravvalutata ai più: quella di ascoltare sempre, con attenzione, quello che i suoi interlocutori gli dicono. Questo fa sì che egli riesca ad osservare i vari casi da un punto di vista differente, ragionare fuori dagli schemi, riuscendo in questo modo a notare quei piccoli ma fondamentali dettagli che sono sempre la chiave di volta per chiudere il caso in questione.
Sin dalla prima puntata si entra subito nel vivo dell’investigazione, lo spettatore fa la conoscenza di Totono -interpretato da un bravissimo Masaki Suda- in maniera alquanto bizzarra; cioè con l’arresto del giovane accusato di aver ucciso uno studente del campus che frequenta. Inizia così il suo primo caso da risolvere, in una sorta di botta e risposta che porterà il giovane studente non solo a difendersi ma anche a comprendere meglio tutto quello che lo circonda. Ma la cosa che sorprende maggiorante lo spettatore è quella che la maggior parte della puntata è ambientata nella sola stanza degli interrogatori, risultando comunque avvincente e per nulla noiosa.
Infatti, anche se buona parte dei casi siano svolti in ambienti pressoché chiusi e i dialoghi risultino particolarmente verbosi e veloci, la serie appare comunque estremamente godibile e per nulla difficoltosa. Questo è sicuramente un ulteriore punto a favore di questo live action che ha saputo arricchire la già buona storia del manga, rendendola ancora più dinamica, coinvolgente e “calorosa” -sì, perché risulta impossibile non legarsi ai suoi personaggi.
Le parti dove Totono interagisce con il resto del cast sono il vero punto forte di questo drama. Oltre ai poliziotti, con il quale si interfaccerà di frequente nel corso delle puntate, degni di nota risultano essere altri due importanti personaggi.
La prima è la misteriosa Raika -interpretata dalla bravissima Mugi Kadowaki, che qui davvero lascia lo spettatore a bocca aperta- personaggio con la quale Totono instaura un rapporto speciale e malinconico, mentre l’altro è Garo Inudō -interpretato dal valente Eita- una sorta di nemesi per il protagonista; i due sembrano stranamente legati l’uno all’altro in una sorta di amore/odio reciproco.
Nel corso dei vari episodi si alterneranno casi molto coinvolgenti, spesso anche legati tra loro in più episodi, che hanno davvero un buon ritmo, scandito benissimo sia dalla OST che dal montaggio. Vi sono, però, anche alcuni episodi -mi riferisco soprattutto agli ultimi- che seppur sviluppati egregiamente, posizionati alla fine della serie, tendono a frenare un po’ il ritmo incalzante della serie risultando ahimè “lenti”.
Tale frammentazione del ritmo si percepisce molto durante la visione il che ha reso gli ultimi episodi -almeno per me- non “consoni” a chiudere una serie che, fino a quel momento, coinvolge e lascia col fiato sospeso per tutto il tempo.
Don't call it mystery risulta essere in ogni modo un ottimo live action di tipo investigativo, che incuriosisce e incanta lo spettatore sin da subito grazie al suo atipico protagonista - alla quale ci si affeziona subito- e ad un folto e preparato cast di personaggi secondari che sono veri e propri coprotagonisti.
Ogni episodio è sapientemente narrato - sempre ricchi di colpi di scena e misteriose e imprevedibili rivelazioni- e il lavoro di sceneggiatura -a opera di Tomoko Aizawa- riesce a dare il giusto spazio a tutti i personaggi.
Il ritmo è ottimo, anche se tende a perdersi un poco verso il finale, come lo è anche la OST -che spazia da brani classici a brani moderni proprio come la theme song Chameleon eseguita dai King Gnu- che risultano solenni e dolci allo stesso tempo.
Essendo il manga ancora in corso di conseguenza anche il drama vive la stessa situazione, ma questo non è in assoluto un difetto. La serie, infatti, tende a chiudere tutti i casi presenti, oltre a dare le risposte alle domande che si pone, ma lascia comunque uno spiraglio atto a sviluppare e proseguire la serie in futuro.
Pertanto chi desidera godersi una serie investigativa un po’ diversa da solito dove l’azione non è tutto, non può che approcciarsi a questo live action che sa intrattenere e, a suo modo, far riflettere su temi e situazioni che non sempre sono quello che sembrano e dove la differenza tra bianco e nero non è mai così netta come si vuol far credere.
Che sia un manga, un anime o un live action, se ben fatto e se rispecchia dei codici precisi, ovvero un protagonista interessante -volendo anche sopra le righe- una buona struttura narrativa, dei casi avvincenti che sanno coinvolgere e un gruppo di comprimari intriganti- il successo è quasi sempre assicurato. Tutti questi elementi, non a caso, sono fattori che sono presenti nel live action di Don't Call it Mystery.
Basato sul manga josei di Yumi Tamura il cui titolo originale è Mystery to Iunakare, ancora in corso di pubblicazione ed edito da noi da J-POP, Don't call it mystery si distingue dagli altri prodotti a tema investigativo proprio grazie al suo “bizzarro” protagonista, lo studente universitario Totono Kuno, oltre ad una peculiarità per nulla banale, anzi definirei anche abbastanza intelligente: una parlantina verbosa che, per l'appunto, non è banale.
Il suo protagonista, Totono Kuno, si distingue così dai suoi “colleghi investigatori” sia per la componente estetica che per quella caratteriale, risultando, agli occhi dello spettatore, un protagonista alquanto singolare.
Dalla folta chioma riccioluta sua peculiare caratteristica, anche se da lui poco amata, questo "buffo" protagonista si ritrova, suo malgrado, sempre coinvolto in vari e misteriosi casi di omicidio, che grazie al suo spiccato intelletto -e alla sua loquace parlantina- riesce sempre a decifrare riuscendo a consegnare sempre il colpevole alla giustizia.
Vedendo le dodici puntate di Don't call it mystery, reperibile da noi sulla piattaforma a pagamento Viki, si intuisce che il nostro giovane protagonista è probabilmente affetto da un disturbo dello spettro autistico, anche se questo aspetto non è stato ancora del tutto chiarito. Tale patologia rende Totono distaccato ma anche molto tenero, diretto, attento e genuino nell’approcciarsi col prossimo.
Lui, infatti, ha una qualità innata tanto semplice quanto sopravvalutata ai più: quella di ascoltare sempre, con attenzione, quello che i suoi interlocutori gli dicono. Questo fa sì che egli riesca ad osservare i vari casi da un punto di vista differente, ragionare fuori dagli schemi, riuscendo in questo modo a notare quei piccoli ma fondamentali dettagli che sono sempre la chiave di volta per chiudere il caso in questione.
Sin dalla prima puntata si entra subito nel vivo dell’investigazione, lo spettatore fa la conoscenza di Totono -interpretato da un bravissimo Masaki Suda- in maniera alquanto bizzarra; cioè con l’arresto del giovane accusato di aver ucciso uno studente del campus che frequenta. Inizia così il suo primo caso da risolvere, in una sorta di botta e risposta che porterà il giovane studente non solo a difendersi ma anche a comprendere meglio tutto quello che lo circonda. Ma la cosa che sorprende maggiorante lo spettatore è quella che la maggior parte della puntata è ambientata nella sola stanza degli interrogatori, risultando comunque avvincente e per nulla noiosa.
Infatti, anche se buona parte dei casi siano svolti in ambienti pressoché chiusi e i dialoghi risultino particolarmente verbosi e veloci, la serie appare comunque estremamente godibile e per nulla difficoltosa. Questo è sicuramente un ulteriore punto a favore di questo live action che ha saputo arricchire la già buona storia del manga, rendendola ancora più dinamica, coinvolgente e “calorosa” -sì, perché risulta impossibile non legarsi ai suoi personaggi.
Le parti dove Totono interagisce con il resto del cast sono il vero punto forte di questo drama. Oltre ai poliziotti, con il quale si interfaccerà di frequente nel corso delle puntate, degni di nota risultano essere altri due importanti personaggi.
La prima è la misteriosa Raika -interpretata dalla bravissima Mugi Kadowaki, che qui davvero lascia lo spettatore a bocca aperta- personaggio con la quale Totono instaura un rapporto speciale e malinconico, mentre l’altro è Garo Inudō -interpretato dal valente Eita- una sorta di nemesi per il protagonista; i due sembrano stranamente legati l’uno all’altro in una sorta di amore/odio reciproco.
Nel corso dei vari episodi si alterneranno casi molto coinvolgenti, spesso anche legati tra loro in più episodi, che hanno davvero un buon ritmo, scandito benissimo sia dalla OST che dal montaggio. Vi sono, però, anche alcuni episodi -mi riferisco soprattutto agli ultimi- che seppur sviluppati egregiamente, posizionati alla fine della serie, tendono a frenare un po’ il ritmo incalzante della serie risultando ahimè “lenti”.
Tale frammentazione del ritmo si percepisce molto durante la visione il che ha reso gli ultimi episodi -almeno per me- non “consoni” a chiudere una serie che, fino a quel momento, coinvolge e lascia col fiato sospeso per tutto il tempo.
Don't call it mystery risulta essere in ogni modo un ottimo live action di tipo investigativo, che incuriosisce e incanta lo spettatore sin da subito grazie al suo atipico protagonista - alla quale ci si affeziona subito- e ad un folto e preparato cast di personaggi secondari che sono veri e propri coprotagonisti.
Ogni episodio è sapientemente narrato - sempre ricchi di colpi di scena e misteriose e imprevedibili rivelazioni- e il lavoro di sceneggiatura -a opera di Tomoko Aizawa- riesce a dare il giusto spazio a tutti i personaggi.
Il ritmo è ottimo, anche se tende a perdersi un poco verso il finale, come lo è anche la OST -che spazia da brani classici a brani moderni proprio come la theme song Chameleon eseguita dai King Gnu- che risultano solenni e dolci allo stesso tempo.
Essendo il manga ancora in corso di conseguenza anche il drama vive la stessa situazione, ma questo non è in assoluto un difetto. La serie, infatti, tende a chiudere tutti i casi presenti, oltre a dare le risposte alle domande che si pone, ma lascia comunque uno spiraglio atto a sviluppare e proseguire la serie in futuro.
Pertanto chi desidera godersi una serie investigativa un po’ diversa da solito dove l’azione non è tutto, non può che approcciarsi a questo live action che sa intrattenere e, a suo modo, far riflettere su temi e situazioni che non sempre sono quello che sembrano e dove la differenza tra bianco e nero non è mai così netta come si vuol far credere.
Conosciuto anche come "Mystery to Iunakare", questo drama giapponese del 2022 è un parziale adattamento del manga "Mystery to Iunakare di Tamura Yumi". Sono 12 episodi da poco meno di un’ora, di cui gli ultimi due sono due extra che si collocano all’interno della serie principale.
La prima cosa da sapere, prima di visionare il titolo, è che il mistero principale non viene completamente chiarito: la scena finale ci dà a intendere che c’è un ulteriore strato di cipolla da pelare, per così dire. Apparentemente, il film "Don't Call It Mystery: The Movie", etichettato come sequel e che si presume sarà disponibile nell’autunno 2023, non verterà su queste indagini. Il sunto disponibile non ne fa menzione e, soprattutto, su Mydramalist la lista degli attori, forse ancora parziale, per il momento non vede Nagayama Eita nel cast.
Ad ogni modo, i curiosi possono aspettare la pubblicazione in Italia del manga, che potrebbe arrivare presto. Incrociamo le dita. Rimanere in sospeso non è mai una bella cosa.
Protagonista assoluto del drama è Totono Kuno, interpretato da un brillante Suda Masaki, uno studente universitario di psicologia con una gran testa di capelli ricci, che sono un po’ il suo cruccio, e con una gran passione per il curry. Kuno ha una memoria prodigiosa, è intelligentissimo e ha capacità di osservazione fuori dal comune. L’insieme di queste qualità è perfetto per la risoluzione di misteri, ma lo rende anche un po’ distante dai suoi simili, in difficoltà nel relazionarsi con possibili amicizie o situazioni romantiche. La cosa sembra peggiorare ulteriormente quando vicino a casa sua viene scoperto il cadavere di un compagno, e tutti gli indizi sembrano puntare su di lui, ma… niente paura! I poliziotti non hanno idea di chi si siano messi in guardina, e il nostro ci metterà poco a scagionarsi e a risolvere brillantemente il mistero, elargendo, per buona misura, numerose perle di saggezza agli investigatori.
Da lì, sarà spesso chiamato in aiuto per risolvere circostanze ingarbugliate, quando non saranno proprio queste situazioni a venirlo a cercare, ovunque si trovi, perfino in ospedale! In realtà sembra che il povero Kuno abbia una calamita che attira invariabilmente matti, assassini e personaggi particolari, per cui si trova sempre in mezzo a situazioni misteriose e spesso pericolose, riuscendo sempre a trovare il bandolo della matassa.
La personalità di Totono Kuno ti prende a poco a poco. E’ un solitario anche perché può risultare molto respingente: col suo fare dimesso e in tono ingannevolmente piatto spara bordate ad alzo zero senza risparmiare nulla e nessuno. Le vicende presentate sono molto tristi e deprimenti, parlano di situazioni familiari insostenibili, di malattie, assassinii, serial killer. Come se non bastasse, il nostro sputa addosso al malcapitato di turno e quindi, per interposta persona, allo spettatore, un concentrato di amarissime verità. La cosa può diventare irritante e stucchevole, i primi episodi sono forse i più densi di queste situazioni, e devo dire che mi hanno disturbato un po’. Sarà la mia coda di paglia?
Alla fine, comunque, non si può fare a meno di lasciarsi stregare dall’involontario detective, di cui si intuisce un doloroso passato, al pari di quello di altri personaggi che ci vengono presentati. I vari casi che vengono risolti si rivelano pian piano per essere, in qualche modo, collegati in un affresco comune, e questa è una gran bella cosa. Meno piacevole è, invece, che le vicende procedano a volte “aiutate” da scempiaggini poco credibili o da casualità spicciole, coincidenze che solo in Dramaland possiamo vedere. In una occasione pare ci sia addirittura un accadimento paranormale e, a mio gusto personale, in una storia di questo tipo ci sta un po’ come i proverbiali cavoli a merenda.
La sceneggiatura è però per lo più abbastanza intelligente, ricca di colpi di scena, e non tutti prevedibili, con continue sorprese e molti rovesciamenti di fronte. Mai, come qui, si deve fare il verso a Labyrinth: tutto non è sempre come sembra. In tutta sincerità, bisogna però dire che la trama procede con molti cliché. Per esempio il genio un po’ strambo e magari dal triste passato, l’abbiamo già visto in tutte le salse, le persone che incontra che vengono in qualche modo “salvate” o che tramite lui imparano a guardare le cose sotto altri punti di vista, o a non mentire a se stesse, non sono propriamente nuove, e così via. La polizia, per quanto presente, non sembra essere particolarmente efficace e pare esistere solo per dare un’aura di ufficialità a certe situazioni che sarebbero altrimenti molto più incredibili di come sono presentate.
Ma si perdona quasi tutto perché questa serie ha un gioiello magico che le permette di superare ogni difficoltà: Suda Masaki. E’ la sua brillante interpretazione a reggere buona parte del drama, e a reggerla bene. Triste, perplesso, stupito, meravigliato, felice (normalmente, per essere riuscito finalmente a mangiare il suo curry, visto che viene sempre interrotto), senza dimenticare spietato, quando recapita i suoi numerosi colpi bassi verbali: in ogni circostanza la sua presenza sullo schermo basta a in-trattenere l’attenzione dello spettatore.
Quando dico che Suda Masaki è la colonna portante della serie, non bisogna però dimenticare che si tratta pur sempre di un’opera giapponese, con tutti i suoi peculiari manierismi. La recitazione è spesso plateale, mimica e gesti sono a volte esagerati, da parte di molti dei protagonisti. Assistiamo comunque ad un esperimento abbastanza riuscito di fusione tra gli elementi umoristici, che non sono mai eccessivi, con i numerosi elementi drammatici, anche sanguinosi.
Lo sbocciare dell’amicizia, o di qualcosa di più, con la misteriosa Raika (Kadowaki Mugi) così come il rapporto con l’impenetrabile Garo (Nagayama Eita), biondino che pare interessato a Kuno (e ricambiato?) in maniera forse più che amichevole, ci dà un assaggino di coinvolgimento romantico non molto sviluppato. Anche alla poliziotta Seiko (Ito Sairi) forse non dispiacerebbe conoscere un po’ meglio il piccolo genio ma… almeno in questa serie, non s’ha da fare.
Una colonna sonora gradevole sicuramente aiuta molto il coinvolgimento emotivo nelle vicende: Chameleon, dei King Gnu, si è ascoltata diverse volte con molto piacere, così come sono stati spesso azzeccati molti brani di musica classica.
In sunto una serie che, al netto di qualche colpo basso di troppo alla coscienza dello spettatore, e di qualche colpetto forse eccessivo per indirizzare la trama, riesce a mantenere alti l’interesse e la tensione fino in fondo. A patto, beninteso, di non farsi infastidire troppo dallo stile di recitazione giapponese. Bisogna farci l’occhio, ma ci si abitua in fretta.
La prima cosa da sapere, prima di visionare il titolo, è che il mistero principale non viene completamente chiarito: la scena finale ci dà a intendere che c’è un ulteriore strato di cipolla da pelare, per così dire. Apparentemente, il film "Don't Call It Mystery: The Movie", etichettato come sequel e che si presume sarà disponibile nell’autunno 2023, non verterà su queste indagini. Il sunto disponibile non ne fa menzione e, soprattutto, su Mydramalist la lista degli attori, forse ancora parziale, per il momento non vede Nagayama Eita nel cast.
Ad ogni modo, i curiosi possono aspettare la pubblicazione in Italia del manga, che potrebbe arrivare presto. Incrociamo le dita. Rimanere in sospeso non è mai una bella cosa.
Protagonista assoluto del drama è Totono Kuno, interpretato da un brillante Suda Masaki, uno studente universitario di psicologia con una gran testa di capelli ricci, che sono un po’ il suo cruccio, e con una gran passione per il curry. Kuno ha una memoria prodigiosa, è intelligentissimo e ha capacità di osservazione fuori dal comune. L’insieme di queste qualità è perfetto per la risoluzione di misteri, ma lo rende anche un po’ distante dai suoi simili, in difficoltà nel relazionarsi con possibili amicizie o situazioni romantiche. La cosa sembra peggiorare ulteriormente quando vicino a casa sua viene scoperto il cadavere di un compagno, e tutti gli indizi sembrano puntare su di lui, ma… niente paura! I poliziotti non hanno idea di chi si siano messi in guardina, e il nostro ci metterà poco a scagionarsi e a risolvere brillantemente il mistero, elargendo, per buona misura, numerose perle di saggezza agli investigatori.
Da lì, sarà spesso chiamato in aiuto per risolvere circostanze ingarbugliate, quando non saranno proprio queste situazioni a venirlo a cercare, ovunque si trovi, perfino in ospedale! In realtà sembra che il povero Kuno abbia una calamita che attira invariabilmente matti, assassini e personaggi particolari, per cui si trova sempre in mezzo a situazioni misteriose e spesso pericolose, riuscendo sempre a trovare il bandolo della matassa.
La personalità di Totono Kuno ti prende a poco a poco. E’ un solitario anche perché può risultare molto respingente: col suo fare dimesso e in tono ingannevolmente piatto spara bordate ad alzo zero senza risparmiare nulla e nessuno. Le vicende presentate sono molto tristi e deprimenti, parlano di situazioni familiari insostenibili, di malattie, assassinii, serial killer. Come se non bastasse, il nostro sputa addosso al malcapitato di turno e quindi, per interposta persona, allo spettatore, un concentrato di amarissime verità. La cosa può diventare irritante e stucchevole, i primi episodi sono forse i più densi di queste situazioni, e devo dire che mi hanno disturbato un po’. Sarà la mia coda di paglia?
Alla fine, comunque, non si può fare a meno di lasciarsi stregare dall’involontario detective, di cui si intuisce un doloroso passato, al pari di quello di altri personaggi che ci vengono presentati. I vari casi che vengono risolti si rivelano pian piano per essere, in qualche modo, collegati in un affresco comune, e questa è una gran bella cosa. Meno piacevole è, invece, che le vicende procedano a volte “aiutate” da scempiaggini poco credibili o da casualità spicciole, coincidenze che solo in Dramaland possiamo vedere. In una occasione pare ci sia addirittura un accadimento paranormale e, a mio gusto personale, in una storia di questo tipo ci sta un po’ come i proverbiali cavoli a merenda.
La sceneggiatura è però per lo più abbastanza intelligente, ricca di colpi di scena, e non tutti prevedibili, con continue sorprese e molti rovesciamenti di fronte. Mai, come qui, si deve fare il verso a Labyrinth: tutto non è sempre come sembra. In tutta sincerità, bisogna però dire che la trama procede con molti cliché. Per esempio il genio un po’ strambo e magari dal triste passato, l’abbiamo già visto in tutte le salse, le persone che incontra che vengono in qualche modo “salvate” o che tramite lui imparano a guardare le cose sotto altri punti di vista, o a non mentire a se stesse, non sono propriamente nuove, e così via. La polizia, per quanto presente, non sembra essere particolarmente efficace e pare esistere solo per dare un’aura di ufficialità a certe situazioni che sarebbero altrimenti molto più incredibili di come sono presentate.
Ma si perdona quasi tutto perché questa serie ha un gioiello magico che le permette di superare ogni difficoltà: Suda Masaki. E’ la sua brillante interpretazione a reggere buona parte del drama, e a reggerla bene. Triste, perplesso, stupito, meravigliato, felice (normalmente, per essere riuscito finalmente a mangiare il suo curry, visto che viene sempre interrotto), senza dimenticare spietato, quando recapita i suoi numerosi colpi bassi verbali: in ogni circostanza la sua presenza sullo schermo basta a in-trattenere l’attenzione dello spettatore.
Quando dico che Suda Masaki è la colonna portante della serie, non bisogna però dimenticare che si tratta pur sempre di un’opera giapponese, con tutti i suoi peculiari manierismi. La recitazione è spesso plateale, mimica e gesti sono a volte esagerati, da parte di molti dei protagonisti. Assistiamo comunque ad un esperimento abbastanza riuscito di fusione tra gli elementi umoristici, che non sono mai eccessivi, con i numerosi elementi drammatici, anche sanguinosi.
Lo sbocciare dell’amicizia, o di qualcosa di più, con la misteriosa Raika (Kadowaki Mugi) così come il rapporto con l’impenetrabile Garo (Nagayama Eita), biondino che pare interessato a Kuno (e ricambiato?) in maniera forse più che amichevole, ci dà un assaggino di coinvolgimento romantico non molto sviluppato. Anche alla poliziotta Seiko (Ito Sairi) forse non dispiacerebbe conoscere un po’ meglio il piccolo genio ma… almeno in questa serie, non s’ha da fare.
Una colonna sonora gradevole sicuramente aiuta molto il coinvolgimento emotivo nelle vicende: Chameleon, dei King Gnu, si è ascoltata diverse volte con molto piacere, così come sono stati spesso azzeccati molti brani di musica classica.
In sunto una serie che, al netto di qualche colpo basso di troppo alla coscienza dello spettatore, e di qualche colpetto forse eccessivo per indirizzare la trama, riesce a mantenere alti l’interesse e la tensione fino in fondo. A patto, beninteso, di non farsi infastidire troppo dallo stile di recitazione giapponese. Bisogna farci l’occhio, ma ci si abitua in fretta.