Sakuran
XVIII secolo, Edo: una giovane kamuro (sguattera in una casa di piacere) viene venduta alla casa Tamakiku del distratto a luci rosse di Yoshiwara, e affidata alle cure dell'oiran Shouhi, che le imporrà il nome di Tomeki. Il nuovo acquisto è dall'indole ribelle, sarà più volte crudelmente punita, senza mai piegarsi, mai versare una lacrima. Così Tomeki, grazie alla sua forza d'animo, comincia a fare carriera: diventa prima O-Rin, una hikomi, ossia una oiran in addestramento, e poi Kiyoha, una hashi, ossia una cortigiana in attività. Ben presto la popolarità di Kiyoha finisce per insidiare la posizione di supremazia di Mikumo, oiran del momento alla casa Tamakiku. Ma il vero problema della protagonista non è il rapporto di tensione con la sua rivale, bensì la comparsa sulla scena del giovane Soujiro: la sofferenza per un amore proibito, il dramma di una donna a cui non è permesso amare.
Il film è tratto dall'omonimo manga di Moyoco Anno, consorte dell'altrettanto famoso Hideaki Anno, padre di Evangelion, regista di "Kare Kano" e de "Il mistero della pietra azzurra". La Anno è conosciuta per i suoi personaggi femminili forti e determinati presenti nelle sue opere josei o seinen; spesso però le viene imputato di usare uno stile di disegno troppo semplice e poco elaborato, per non dire quasi rozzo. Anche in questo suo lavoro il tratto in molte tavole diventa approssimativo, non cura il dettaglio, ma devo dire che il suo modo di disegnare si pone in sintonia con gli accadimenti della trama e con la crudeltà della realtà narrata. Il bianco e nero delle sue tavole mi ha trasmesso di più la sofferenza della protagonista, queste stesse pagine hanno reso molto più dure le punizioni e le torture a cui veniva sottoposta la piccola kamuro ribelle. D'altro canto invece la regia della Ninagawa (nota fotografa nipponica al debutto alla regia), introducendo tutti gli sgargianti colori della sua arte fotografica, guadagna in spettacolarità - tutte le scene del film sono uno spettacolo per gli occhi -, ma così facendo crea una sua versione di Yoshiwara che potrei definire in parte addolcita dalla maniacale cura del dettaglio della fotografia: tramite gli sfarzosi arredi, le lussuose vesti adornate da ingombranti accessori, entrano a gran forza nel film l'amore e l'interesse delle regista per il campo della moda. Il colore porta con sé una maggiore sensualità, elemento che al contrario non risalta nel manga, e forse ne è un demerito, poiché non si vede come in un lavoro che si basa sulla seduzione e sul gioco dei sensi possa mancare la sensualità.
Bianco e nero con la sua crudezza e determinazione, il technicolor con la sensualità e la forza, tendono in due direzioni ben distinte. La Anno rimane su toni più agrodolci tendendo alla rassegnazione o più che altro alla presa di coscienza e accettazione della realtà al fine di poterla sfruttare al meglio a proprio vantaggio: "Ma a restare in un posto del genere il tempo non avrebbe fatto altro che trasformarti in una temibile Oiran." e ancora: "Bambini della tua provenienza non dovrebbero aver un'anima, studia con passione e vigore e gradualmente diventerai senza anima.". Invece la Ninagawa cerca a tutti costi l'happy ending hollywoodiano snaturando a mio parere l'opera originale, pecca nel voler far diventare tutto perfetto, in una realtà che perfetta non lo è mai stata e non lo sarà mai: dare l'amore a colei alla quale l'amore è negato.
Se il film ben si comporta nella prima ora e mezza seguendo fedelmente la versione cartacea, mal si comporta nell'aggiungere l'ultima mezzora del vissero tutti felici e contenti. Ho mal digerito questo buonismo forzato. Preciso che, per chi non ha letto il manga, il film è stato un capolavoro; ha apprezzato la parte finale perché non ha potuto saggiare cosa è stato alterato.
Vi sono delle modifiche o aggiunte alla storia originale che al contrario ho apprezzato: la regista utilizza molta simbologia, a differenza della mangaka che non ne fa alcun uso. Come già rivelato nell'intervista, viene introdotto l'elemento dei pesciolini rossi, ma anche quello del ciliegio di quartiere che ha smesso di fiorire. Gli uni sono simbolo dell'impossibilità di fuggire e di questo senso di imprigionamento, l'altro è simbolo di speranza: se fiorirà un ciliegio morto potrà fuggire anche colei per la quale è persa ogni speranza. Volendo analizzare ancora più a fondo il significato dato al ciliegio sterile, vi si può intravedere anche l'impossibilità di amare, l'amore negato e come una donna che per essere di tutti non può appartenere a nessuno, non può "fiorire in amore".
Merita una nota d'apprezzamento la bellissima colonna sonora di questo film, anch'essa composta ed eseguita magistralmente da un'altra famosa donna dello show sistem giapponese: Ringo Shiina, che ha realizzato l'album "Heisei Fuzoku" appositamente per il lungometraggio. In special modo risaltano i brani: "Gamble", "Sakuran", "Oiran" e "Scar".
Il film è tratto dall'omonimo manga di Moyoco Anno, consorte dell'altrettanto famoso Hideaki Anno, padre di Evangelion, regista di "Kare Kano" e de "Il mistero della pietra azzurra". La Anno è conosciuta per i suoi personaggi femminili forti e determinati presenti nelle sue opere josei o seinen; spesso però le viene imputato di usare uno stile di disegno troppo semplice e poco elaborato, per non dire quasi rozzo. Anche in questo suo lavoro il tratto in molte tavole diventa approssimativo, non cura il dettaglio, ma devo dire che il suo modo di disegnare si pone in sintonia con gli accadimenti della trama e con la crudeltà della realtà narrata. Il bianco e nero delle sue tavole mi ha trasmesso di più la sofferenza della protagonista, queste stesse pagine hanno reso molto più dure le punizioni e le torture a cui veniva sottoposta la piccola kamuro ribelle. D'altro canto invece la regia della Ninagawa (nota fotografa nipponica al debutto alla regia), introducendo tutti gli sgargianti colori della sua arte fotografica, guadagna in spettacolarità - tutte le scene del film sono uno spettacolo per gli occhi -, ma così facendo crea una sua versione di Yoshiwara che potrei definire in parte addolcita dalla maniacale cura del dettaglio della fotografia: tramite gli sfarzosi arredi, le lussuose vesti adornate da ingombranti accessori, entrano a gran forza nel film l'amore e l'interesse delle regista per il campo della moda. Il colore porta con sé una maggiore sensualità, elemento che al contrario non risalta nel manga, e forse ne è un demerito, poiché non si vede come in un lavoro che si basa sulla seduzione e sul gioco dei sensi possa mancare la sensualità.
Bianco e nero con la sua crudezza e determinazione, il technicolor con la sensualità e la forza, tendono in due direzioni ben distinte. La Anno rimane su toni più agrodolci tendendo alla rassegnazione o più che altro alla presa di coscienza e accettazione della realtà al fine di poterla sfruttare al meglio a proprio vantaggio: "Ma a restare in un posto del genere il tempo non avrebbe fatto altro che trasformarti in una temibile Oiran." e ancora: "Bambini della tua provenienza non dovrebbero aver un'anima, studia con passione e vigore e gradualmente diventerai senza anima.". Invece la Ninagawa cerca a tutti costi l'happy ending hollywoodiano snaturando a mio parere l'opera originale, pecca nel voler far diventare tutto perfetto, in una realtà che perfetta non lo è mai stata e non lo sarà mai: dare l'amore a colei alla quale l'amore è negato.
Se il film ben si comporta nella prima ora e mezza seguendo fedelmente la versione cartacea, mal si comporta nell'aggiungere l'ultima mezzora del vissero tutti felici e contenti. Ho mal digerito questo buonismo forzato. Preciso che, per chi non ha letto il manga, il film è stato un capolavoro; ha apprezzato la parte finale perché non ha potuto saggiare cosa è stato alterato.
Vi sono delle modifiche o aggiunte alla storia originale che al contrario ho apprezzato: la regista utilizza molta simbologia, a differenza della mangaka che non ne fa alcun uso. Come già rivelato nell'intervista, viene introdotto l'elemento dei pesciolini rossi, ma anche quello del ciliegio di quartiere che ha smesso di fiorire. Gli uni sono simbolo dell'impossibilità di fuggire e di questo senso di imprigionamento, l'altro è simbolo di speranza: se fiorirà un ciliegio morto potrà fuggire anche colei per la quale è persa ogni speranza. Volendo analizzare ancora più a fondo il significato dato al ciliegio sterile, vi si può intravedere anche l'impossibilità di amare, l'amore negato e come una donna che per essere di tutti non può appartenere a nessuno, non può "fiorire in amore".
Merita una nota d'apprezzamento la bellissima colonna sonora di questo film, anch'essa composta ed eseguita magistralmente da un'altra famosa donna dello show sistem giapponese: Ringo Shiina, che ha realizzato l'album "Heisei Fuzoku" appositamente per il lungometraggio. In special modo risaltano i brani: "Gamble", "Sakuran", "Oiran" e "Scar".