Dolls
L'eterno vagare degli innamorati, che tentano di fuggire dal destino, legati l'un l'altro da una corda rossa. Camminano lentamente, con lo sguardo perso nel vuoto; per le strade, le ferrovie, i viali colmi di ciliegi in fiore; e la natura - che si manifesta in una poesia d'immagini, colori e suoni - sembra del tutto indifferente alle sorti dei suoi figli. Essi comunicano mediante sguardi fugaci: le parole sono inutili, generano soltanto incomprensione e dolore. L'unica vera realtà è quella del silenzio.
Con "Dolls", Takeshi Kitano giunge al punto di non ritorno della sua poetica: impossibile replicare un'opera di tale levatura, anche per il suo stesso creatore. Dalla critica al materialismo della civiltà contemporanea, sino ai toni da tragedia greca, in cui Eros e Thanatos si fondono in un ciclo che ingloba in sé il divenire delle cose, la commistione di suoni e immagini creata da Kitano e Hisaishi assume forme molteplici, come i suoi significati; si espande nel profondo, con sfumature sensuali e allo stesso tempo gelide, proprio come quelle della natura che intende contemplare.
L'opera si apre con una rappresentazione teatrale de "Bunraku Meido no Hikyaku" ("I Messi dell'Inferno") di Chikamatsu Monzaemon, un'opera risalente al diciassettesimo secolo: due amanti vivono un amore tragico, passionale ed osteggiato dalle circostanze esterne. Le due bambole del teatro Bunraku che li rappresentano, mosse da entità al di fuori della loro portata, ovvero i marionettisti, vengono sovrapposte ai due protagonisti del film, anch'essi burattini nelle mani di un qualcosa d'immenso ed imperscrutabile. L'amore appartenente al lontano passato diventa quindi quello del presente, ed il cerchio simbolico dell'immutabilità delle passioni viene chiuso; a prescindere dallo scorrere del fiume del tempo, l'uomo rimane sempre la stessa marionetta, e non vi è alcuna vera evoluzione, a parte quella della tecnica e della complessità della società - che tuttavia si rivela asettica, rigida, legata all'apparenza e ai formalismi.
Matsumoto è innamorato di Sawako, con la quale ha un rapporto meraviglioso, semplice e diretto; tuttavia, i suoi genitori lo convincono a sposare la figlia del datore di lavoro, per far sì che si assicuri un posto di rilievo nella società. La reazione di Sawako al tradimento è un tentato suicidio e una regressione mentale nell'infanzia; la ragazza viene distrutta dalle circostanze esterne, dacché non ha avuto il potere di contrastare dei meccanicismi al di fuori della sua portata, i quali l'hanno stritolata nella loro morsa. Venuto a conoscenza del fatto, Matsumoto prende coscienza del suo errore, e decide di abbandonare tutto - genitori, casa, matrimonio e lavoro - al fine d'intraprendere un vagabondaggio senza meta alcuna, assieme alla sua ex ragazza, ormai ridotta ad un fantasma dalla psicologia in frantumi.
Un vissuto boss della yakuza dall'aria triste ricorda i tempi in cui era ancora in grado di provare dell'amore; il suo pensiero corre all'indietro, nel passato, nel momento in cui aveva lasciato Hiro, la sua fedele e dolce ragazza, scrollandosela di dosso con una falsa promessa legata ad un improbabile futuro rincontro. Vecchio nel corpo e nello spirito, il suddetto decide di ritornare in quei luoghi, dopo innumerevoli anni, ricercando quell'idealità ormai corrosa dalla durezza della vita; di Sabato, lo stesso giorno in cui la sua metà gli portava il pranzo, per poterlo consumare assieme a lui. Ma questo innocente atto di fuga dagli schematismi del quotidiano si concluderà con una triste beffa del destino, anche se la purezza del ricordo, per alcuni brevi momenti, è stata recuperata, grazie ad un incontro struggente e straordinario, avvenuto nel crepuscolo della vita.
Haruna Yamaguchi è una idol di successo, amata ed apprezzata da tutti per la sua bellezza. Un giorno, un'incidente la sfigura, rendendola una fallita, un'ombra ai margini della società. Il suo più grande fan, il quale nutre nei suoi confronti una vera e propria ossessione, decide di togliersi la vista, spinto da un amore che diventa follia - e dal rifiuto di vedere la realtà delle cose. Haruna, la quale adesso rigetta il contatto con i suoi fans e con il mondo esterno, accetterà di vederlo una volta saputo ch'egli è diventato cieco: accetterà di vederlo proprio perché egli è impossibilitato a vederla. Lo prenderà per mano e s'intratterrà con lui nei campi in fiore, in un luogo incontaminato dal grigiore del quotidiano, sino alla metaforica apertura della scatola di Urashima Tarou, che si manifesterà tragicamente, duramente, mediante l'annullamento dell'essere.
Queste tre storie s'incroceranno tra loro nel corso del film; il denominatore comune alle suddette rappresentazioni, per quanto concerne la tematica dell'amore in sé stesso, è la dicotomia amore/morte nel suo senso più totalizzante: amare veramente è come morire, rinunciare completamente al proprio ego. Lasciare ogni cosa, identità compresa, perdendosi nell'altro. In questo processo, tuttavia, si esperiscono domini indescrivibili, irraggiungibili dal convenzionalismo e dal culto dell'apparenza. Si aprono le porte della visione totalizzante della natura in sé stessa, la cui unica melodia è il silenzio, che scandisce l'assenza di ogni forma. Le splendide composizioni di Hisaishi, questa volta rarefatte, imponenti, in grado di rimandare ad una contemplazione mistica dell'esistenza - "Pure White" -, sottolineano il concetto con innata grazia stilistica. L'amore è follia, e la più grande follia che l'uomo possa commettere è il distacco assoluto, il perdersi assieme all'altro in un luogo in cui non ci sono né angeli né demoni, in cui la quiete si fa turbolenta e gli opposti si uniscono in una meravigliosa e terribile danza, formando un'unità indivisibile in cui ogni cosa conosciuta perde di significato, lasciando spazio ad una dimensione fugace in cui, seppur per brevi istanti, ogni cosa è perfetta e bellissima, ma allo stesso tempo corrotta: la dualità diviene unità; un filo rosso lega ogni forma di vita alla Terra. La vita che viene tolta e successivamente ridata, le stagioni che scorrono limpide come le acque di un fiume, seguendo prestabiliti mutamenti in cui c'è ancora spazio per il vero amore - e la vera morte.
Con "Dolls", Takeshi Kitano giunge al punto di non ritorno della sua poetica: impossibile replicare un'opera di tale levatura, anche per il suo stesso creatore. Dalla critica al materialismo della civiltà contemporanea, sino ai toni da tragedia greca, in cui Eros e Thanatos si fondono in un ciclo che ingloba in sé il divenire delle cose, la commistione di suoni e immagini creata da Kitano e Hisaishi assume forme molteplici, come i suoi significati; si espande nel profondo, con sfumature sensuali e allo stesso tempo gelide, proprio come quelle della natura che intende contemplare.
L'opera si apre con una rappresentazione teatrale de "Bunraku Meido no Hikyaku" ("I Messi dell'Inferno") di Chikamatsu Monzaemon, un'opera risalente al diciassettesimo secolo: due amanti vivono un amore tragico, passionale ed osteggiato dalle circostanze esterne. Le due bambole del teatro Bunraku che li rappresentano, mosse da entità al di fuori della loro portata, ovvero i marionettisti, vengono sovrapposte ai due protagonisti del film, anch'essi burattini nelle mani di un qualcosa d'immenso ed imperscrutabile. L'amore appartenente al lontano passato diventa quindi quello del presente, ed il cerchio simbolico dell'immutabilità delle passioni viene chiuso; a prescindere dallo scorrere del fiume del tempo, l'uomo rimane sempre la stessa marionetta, e non vi è alcuna vera evoluzione, a parte quella della tecnica e della complessità della società - che tuttavia si rivela asettica, rigida, legata all'apparenza e ai formalismi.
Matsumoto è innamorato di Sawako, con la quale ha un rapporto meraviglioso, semplice e diretto; tuttavia, i suoi genitori lo convincono a sposare la figlia del datore di lavoro, per far sì che si assicuri un posto di rilievo nella società. La reazione di Sawako al tradimento è un tentato suicidio e una regressione mentale nell'infanzia; la ragazza viene distrutta dalle circostanze esterne, dacché non ha avuto il potere di contrastare dei meccanicismi al di fuori della sua portata, i quali l'hanno stritolata nella loro morsa. Venuto a conoscenza del fatto, Matsumoto prende coscienza del suo errore, e decide di abbandonare tutto - genitori, casa, matrimonio e lavoro - al fine d'intraprendere un vagabondaggio senza meta alcuna, assieme alla sua ex ragazza, ormai ridotta ad un fantasma dalla psicologia in frantumi.
Un vissuto boss della yakuza dall'aria triste ricorda i tempi in cui era ancora in grado di provare dell'amore; il suo pensiero corre all'indietro, nel passato, nel momento in cui aveva lasciato Hiro, la sua fedele e dolce ragazza, scrollandosela di dosso con una falsa promessa legata ad un improbabile futuro rincontro. Vecchio nel corpo e nello spirito, il suddetto decide di ritornare in quei luoghi, dopo innumerevoli anni, ricercando quell'idealità ormai corrosa dalla durezza della vita; di Sabato, lo stesso giorno in cui la sua metà gli portava il pranzo, per poterlo consumare assieme a lui. Ma questo innocente atto di fuga dagli schematismi del quotidiano si concluderà con una triste beffa del destino, anche se la purezza del ricordo, per alcuni brevi momenti, è stata recuperata, grazie ad un incontro struggente e straordinario, avvenuto nel crepuscolo della vita.
Haruna Yamaguchi è una idol di successo, amata ed apprezzata da tutti per la sua bellezza. Un giorno, un'incidente la sfigura, rendendola una fallita, un'ombra ai margini della società. Il suo più grande fan, il quale nutre nei suoi confronti una vera e propria ossessione, decide di togliersi la vista, spinto da un amore che diventa follia - e dal rifiuto di vedere la realtà delle cose. Haruna, la quale adesso rigetta il contatto con i suoi fans e con il mondo esterno, accetterà di vederlo una volta saputo ch'egli è diventato cieco: accetterà di vederlo proprio perché egli è impossibilitato a vederla. Lo prenderà per mano e s'intratterrà con lui nei campi in fiore, in un luogo incontaminato dal grigiore del quotidiano, sino alla metaforica apertura della scatola di Urashima Tarou, che si manifesterà tragicamente, duramente, mediante l'annullamento dell'essere.
Queste tre storie s'incroceranno tra loro nel corso del film; il denominatore comune alle suddette rappresentazioni, per quanto concerne la tematica dell'amore in sé stesso, è la dicotomia amore/morte nel suo senso più totalizzante: amare veramente è come morire, rinunciare completamente al proprio ego. Lasciare ogni cosa, identità compresa, perdendosi nell'altro. In questo processo, tuttavia, si esperiscono domini indescrivibili, irraggiungibili dal convenzionalismo e dal culto dell'apparenza. Si aprono le porte della visione totalizzante della natura in sé stessa, la cui unica melodia è il silenzio, che scandisce l'assenza di ogni forma. Le splendide composizioni di Hisaishi, questa volta rarefatte, imponenti, in grado di rimandare ad una contemplazione mistica dell'esistenza - "Pure White" -, sottolineano il concetto con innata grazia stilistica. L'amore è follia, e la più grande follia che l'uomo possa commettere è il distacco assoluto, il perdersi assieme all'altro in un luogo in cui non ci sono né angeli né demoni, in cui la quiete si fa turbolenta e gli opposti si uniscono in una meravigliosa e terribile danza, formando un'unità indivisibile in cui ogni cosa conosciuta perde di significato, lasciando spazio ad una dimensione fugace in cui, seppur per brevi istanti, ogni cosa è perfetta e bellissima, ma allo stesso tempo corrotta: la dualità diviene unità; un filo rosso lega ogni forma di vita alla Terra. La vita che viene tolta e successivamente ridata, le stagioni che scorrono limpide come le acque di un fiume, seguendo prestabiliti mutamenti in cui c'è ancora spazio per il vero amore - e la vera morte.
Matsumoto e Sawako si amano, ma per cause economiche e pressioni familiari il primo decide di sposare un'altra ragazza. Sawako in preda al dolore decide di suicidarsi assumendo dei medicinali, viene però salvata, ma non è più in grado di ragionare, anzi lo fa come una bambina. Quando Matsumoto scopre dell'accaduto, scappa dal suo matrimonio e corre dalla sua amata, la "raccoglie" e la porta con sé. Dopo essersi legati con una corda rossa inizieranno a camminare fino alla loro "fine".
Ryoko, sebbene siano passati molti anni, ama ancora un ormai vecchio boss della Yakuza, che frequentava da giovane, e da cui fu costretta a separarsi, non senza fare prima una promessa che manterrà forse fino alla fine dei suoi giorni. Quando i due stanno per riavvicinarsi, lui viene ucciso, senza che riesca prima a svelarsi.
Haruna è una giovane idol che, a causa di un incidente che la sfigura, deve interrompere la sua carriera. Sarà però un suo grande fan che si accecherà per vederla, a condividere con lei alcune belle emozioni, prima di essere trovato morto.
Sono queste fondamentalmente le tre storie che si intrecciano nell'opera di Kitano del 2002.
«Fondamentalmente Dolls è un film sulla morte. Così come ciascuno dei miei film. La morte è il mistero più grande, la forza più potente che ci sia. Molto più forte dell'amore.»
Con queste osservazioni Kitano esordisce in un'intervista alla 59ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove nel 2002 viene presentato il suo decimo lavoro. Eppure 'Dolls' è basato proprio su tre vicende d'amore, ma forse i profondi simbolismi che pervadono la stupenda fotografia di Katsumi Yanagishima nascondono proprio una surreale, ma veritiera considerazione della morte, quella dell'amore, come quella di un essere vivente. Il dramma amoroso si consuma, sembra, senza inizio né fine, ma l'infinita tristezza che tutti i protagonisti fronteggiano a causa del loro strano, ma non tanto (come dice lo stesso Kitano) destino è anche la più grande gioia di colori rappresentabile in un film. L'autore, infatti, rappresenta le vicende amorose, nell'arco di tempo delle quattro stagioni, da sempre importanti nella letteratura giapponese, e da sempre collegate proprio a quell'amore quasi sempre irraggiungibile.
Ma vi è molto altro ancora collegato alle antiche arti giapponesi. Come viene fuori dall'incipit dell'opera, nonché dal titolo, infatti, 'Dolls' si ricollega al teatro Bunraku. Se l'opera si apre e si chiude proprio con delle scene riprese da quest'arte, in particolare da una tragedia classica di Chikamatsu Monzaemon del 17°secolo, i protagonisti stessi del film, nessuno escluso, divengono a loro volta marionette del loro destino, incapaci di sfuggire da decisioni che loro stessi hanno preso, che li portano alla pazzia, alla morte, ma che non vogliono assolutamente cambiare fino alla fine. Destino che Kitano rappresenta con il famoso "filo rosso" che non solo collega i due protagonisti di una delle tre storie, ma anche le tre storie stesse, vediamo infatti che i protagonisti della prima, durante il loro infinito cammino, incrociano le altre coppie. Ciò dimostra ancora una volta che le storie rappresentate trascendono lo spazio e il tempo, per approdare all'unica considerazione finale sull'amore, che l'autore non vede quasi più realizzabile.
'Dolls' è un film fatto di pause e lunghi silenzi, ma che in realtà parla davvero tanto, un'opera che ci mostra la società giapponese sotto molte sfumature; tre storie diverse, che mettono in mostra temi come l'ancora attuale matrimonio combinato, distruzione di molti possibili veri amori, se vogliamo il fenomeno della Yakuza, accennato quel poco che basta per fare capire di che si tratta, e il "nuovo" (se anche iniziato negli anni '70) fenomeno delle idols, ragazze che raggiungono l'apice del successo in poco tempo, e che possono perderlo in altrettanto poco, come dimostrato. I personaggi stessi delle storie sembrano muti, ma in realtà urlano le loro angosce attraverso gesti meccanizzati, controllati, ripetitivi, rivelando le proprie ansie e ossessioni attraverso i loro atti estremi, le loro espressioni o i loro silenzi, forse l'ennesimo tentativo dell'autore di mostrare il modo di essere di una società, quella giapponese, in cui la comunicazione è bastata su gesti, simboli, sguardi, molto lontana dalla "rumorosa" civiltà occidentale.
'Dolls' non è altro che un'opera d'arte visionaria che Kitano ha regalato al mondo, ma prima di tutto alla sua gente, che ritiene intrappolata in un flusso vitale sociale, da cui è impossibile liberarsi. In definitiva quella che può sembrare superficialmente un'allegoria sull'amore, ne è invece una celebrazione, come è celebrazione di vita, di morte, della natura.
Ryoko, sebbene siano passati molti anni, ama ancora un ormai vecchio boss della Yakuza, che frequentava da giovane, e da cui fu costretta a separarsi, non senza fare prima una promessa che manterrà forse fino alla fine dei suoi giorni. Quando i due stanno per riavvicinarsi, lui viene ucciso, senza che riesca prima a svelarsi.
Haruna è una giovane idol che, a causa di un incidente che la sfigura, deve interrompere la sua carriera. Sarà però un suo grande fan che si accecherà per vederla, a condividere con lei alcune belle emozioni, prima di essere trovato morto.
Sono queste fondamentalmente le tre storie che si intrecciano nell'opera di Kitano del 2002.
«Fondamentalmente Dolls è un film sulla morte. Così come ciascuno dei miei film. La morte è il mistero più grande, la forza più potente che ci sia. Molto più forte dell'amore.»
Con queste osservazioni Kitano esordisce in un'intervista alla 59ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove nel 2002 viene presentato il suo decimo lavoro. Eppure 'Dolls' è basato proprio su tre vicende d'amore, ma forse i profondi simbolismi che pervadono la stupenda fotografia di Katsumi Yanagishima nascondono proprio una surreale, ma veritiera considerazione della morte, quella dell'amore, come quella di un essere vivente. Il dramma amoroso si consuma, sembra, senza inizio né fine, ma l'infinita tristezza che tutti i protagonisti fronteggiano a causa del loro strano, ma non tanto (come dice lo stesso Kitano) destino è anche la più grande gioia di colori rappresentabile in un film. L'autore, infatti, rappresenta le vicende amorose, nell'arco di tempo delle quattro stagioni, da sempre importanti nella letteratura giapponese, e da sempre collegate proprio a quell'amore quasi sempre irraggiungibile.
Ma vi è molto altro ancora collegato alle antiche arti giapponesi. Come viene fuori dall'incipit dell'opera, nonché dal titolo, infatti, 'Dolls' si ricollega al teatro Bunraku. Se l'opera si apre e si chiude proprio con delle scene riprese da quest'arte, in particolare da una tragedia classica di Chikamatsu Monzaemon del 17°secolo, i protagonisti stessi del film, nessuno escluso, divengono a loro volta marionette del loro destino, incapaci di sfuggire da decisioni che loro stessi hanno preso, che li portano alla pazzia, alla morte, ma che non vogliono assolutamente cambiare fino alla fine. Destino che Kitano rappresenta con il famoso "filo rosso" che non solo collega i due protagonisti di una delle tre storie, ma anche le tre storie stesse, vediamo infatti che i protagonisti della prima, durante il loro infinito cammino, incrociano le altre coppie. Ciò dimostra ancora una volta che le storie rappresentate trascendono lo spazio e il tempo, per approdare all'unica considerazione finale sull'amore, che l'autore non vede quasi più realizzabile.
'Dolls' è un film fatto di pause e lunghi silenzi, ma che in realtà parla davvero tanto, un'opera che ci mostra la società giapponese sotto molte sfumature; tre storie diverse, che mettono in mostra temi come l'ancora attuale matrimonio combinato, distruzione di molti possibili veri amori, se vogliamo il fenomeno della Yakuza, accennato quel poco che basta per fare capire di che si tratta, e il "nuovo" (se anche iniziato negli anni '70) fenomeno delle idols, ragazze che raggiungono l'apice del successo in poco tempo, e che possono perderlo in altrettanto poco, come dimostrato. I personaggi stessi delle storie sembrano muti, ma in realtà urlano le loro angosce attraverso gesti meccanizzati, controllati, ripetitivi, rivelando le proprie ansie e ossessioni attraverso i loro atti estremi, le loro espressioni o i loro silenzi, forse l'ennesimo tentativo dell'autore di mostrare il modo di essere di una società, quella giapponese, in cui la comunicazione è bastata su gesti, simboli, sguardi, molto lontana dalla "rumorosa" civiltà occidentale.
'Dolls' non è altro che un'opera d'arte visionaria che Kitano ha regalato al mondo, ma prima di tutto alla sua gente, che ritiene intrappolata in un flusso vitale sociale, da cui è impossibile liberarsi. In definitiva quella che può sembrare superficialmente un'allegoria sull'amore, ne è invece una celebrazione, come è celebrazione di vita, di morte, della natura.