Taineun Jiogida
Purtroppo non mantiene fino in fondo quello che promette all’inizio. Sarebbe stato un 9, altrimenti.
Devo ammetterlo: i primi episodi mi hanno scioccato e irrimediabilmente catturato.
L’atmosfera cupa, pesante, claustrofobica, ossessiva e sporca incatena lo spettatore che non decida di scappare subito a gambe levate. Perché, sì, la tentazione in principio c’è stata, quando ho temuto che mi si stesse guidando verso territori dove non avrei voluto andare. Ma, superato il momento, la storia si dipana ineluttabile e allo spettatore ignaro o preavvisato non resta che assistervi.
Il drama è tratto da “Hell Is Other People”, manhwa in tre volumi di Kim Yong-ki, inedito in Italia.
L’inferno è l’assenza del diavolo che ci aveva tentati, avrei detto io, probabilmente sbagliando, almeno in questo caso. La tesi che propugna questa serie è che l’inferno siano gli altri, intesi come il nostro prossimo che ci rende la vita un inferno, o il cui sguardo ci costringe entro una gabbia in cui non avremmo mai creduto di voler e poter entrare. E rimanere. I riferimenti letterari, a partire dalle "Metamorfosi" di Kafka, si sprecano e diventano motivo e pretesto per il pesante sottotesto psicologico che, più delle scene sanguinolente, forma l’ossatura di questo drama.
Il giovane campagnolo Jong Woo viene a Seul, dove un vecchio compagno di scuola gli ha trovato un lavoretto alle sue dipendenze. La vita è molto più cara che a casa e il nostro troverà alloggio solo in un ostello semi fatiscente di periferia, abitato da una serie di inquietanti personaggi, la maggior parte dei quali pare afflitta da tare o turbe mentali.
Date a un animale una tana in cui sentirsi al sicuro e non proverà stress. Ma quando quella casa, oltre a essere sporca all’inverosimile e priva di comodità, è teatro di circostanze via via sempre più inquietanti e minacciose, dove potrà il nostro protagonista distogliere la mente dai suoi problemi? E non sono pochi: a casa è rimasto un fratello malato con la madre, la sua ragazza è talmente impegnata col lavoro da non avere tempo per lui (e in più non riconosce il disagio che la nuova sistemazione gli procura), il suo nuovo capo lo disprezza e non glielo manda a dire, e anche chi dovrebbe insegnargli il lavoro fa di tutto per ostacolarlo. Vogliamo dire che la sua vita è un inferno? E siamo appena agli inizi, perché presto diverse persone cominceranno a sparire dalla sua vista, ma non dalla nostra, che verrà resa immediatamente edotta della fine che han fatto.
La storia si svolge per la maggior parte nell’edificio cadente di cui sopra, dove gli inquilini vengono identificati col numero della stanza, e questo ostello di nome Eden (!) è terribilmente buio, vecchio e lurido. Le stanze sono minuscole, lerce, senza aerazione e con pochissima luce, e gli spazi comuni non sono molto meglio. In questa atmosfera opprimente si intuisce un fetore di umanità non solo sporca, ma anche malata, un fermentare di malvagità e perversioni assortite che ammorba il nuovo inquilino, e lo spettatore, afferrandolo fermamente alla gola. E in questo inferno Jong Woo si dibatterà come un pesce nella rete, incapace di fuggire o far prendere sul serio gli allarmi che lancia sulle stranezze del luogo. Solo una poliziotta di basso grado gli crederà, ma dovrà fare i conti coi ranghi superiori che rifiutano di indagare su quelle che credono sciocchezze.
L’atmosfera è solo una parte di ciò che rende questo drama indimenticabile. La parte del leone la fanno sicuramente gli attori.
Im Si Wan è decisamente il migliore nell’interpretare il protagonista principale Jong Woo. La sua è forse la parte più complessa, perché descrive la sua progressiva discesa all’inferno sia esteriore che interiore. Lo vediamo cambiare letteralmente di minuto in minuto, man mano che la pazzia che lo circonda pare avvolgerlo e risucchiarlo, mentre il viso e gli occhi riflettono irritazione, paura, paranoia, furia, lucida follia.
Lee Dong Wook interpreta Moon Jo, un inquietante dentista che pare sin da subito attirato dal protagonista il quale, dietro le sue attenzioni, non tarderà a discendere in una spirale di demenza sempre più stretta. Siamo abituati a vedere questo talentuoso attore in parti da commedia romantica, ma possiamo tranquillamente dire che ha superato l’esame anche per i ruoli da malvagio.
Gli attori che interpretano gli abitanti dell’ostello sono bravissimi nelle loro parti che descrivono una "disumanità" particolarmente sgradevole. Menzione particolare per la padrona di casa, apparentemente un’ottima cuoca, ma di cui è sconsigliato provare i piatti. Si tratta di una irriconoscibile Lee Jung Eun, già vista come la domestica Moon Gwang in "Parasite", o nella serie “Law School”. Poliziotti, colleghi, tutti hanno fatto un lavoro egregio, che ha contribuito molto alla riuscita del titolo, in questo aiutati anche dalle musiche, per la maggior parte non particolarmente gradevoli, perché terribilmente affini alle scene che commentano. Ci sono però quattro belle canzoni e alcuni pezzi con cori decisamente disturbanti.
E’ un bene che la performance degli attori sia così valida, perché purtroppo la storia presenta alcune pecche ineludibili, a partire dalla scarsa credibilità che le vicende siano fatte proseguire fino alle estreme conseguenze, con pochissima ingerenza da parte delle autorità. Si ha la netta impressione che nessuno intervenga solo per poter lasciare agire indisturbati gli assassini. Ci sono diverse circostanze non spiegate, ma questo sarebbe anche tollerabile se la storia procedesse con piglio deciso dal principio alla fine. Invece, come spesso accade, i tempi si dilatano a dismisura, alcune situazioni diventano ripetitive e ridondanti. Vero che i tempi lunghi contribuiscono a giustificare la discesa agli inferi del protagonista, ma comunque un paio di puntate in meno – almeno una – sarebbero andate a beneficio della fruibilità. L’atmosfera e gli accadimenti sono già cupi e opprimenti, se ci si aggiunge lentezza è facile sopraggiunga la noia. Fortunatamente ho perseverato e sono giunta fino alla fine, ed entusiasta di averlo fatto.
E’ un drama con diverse pecche, come detto, ma un drama che lascia il segno. Riesce a farti sentire sporco dentro perché sposa la tesi che il diavolo sia già dentro di noi e che basti relativamente poco a farlo affiorare. E agire.
In chiusura, un amichevole avvertimento: se avete lo stomaco delicato, non guardatelo mangiando o dopo aver mangiato. Mi ringrazierete.
Devo ammetterlo: i primi episodi mi hanno scioccato e irrimediabilmente catturato.
L’atmosfera cupa, pesante, claustrofobica, ossessiva e sporca incatena lo spettatore che non decida di scappare subito a gambe levate. Perché, sì, la tentazione in principio c’è stata, quando ho temuto che mi si stesse guidando verso territori dove non avrei voluto andare. Ma, superato il momento, la storia si dipana ineluttabile e allo spettatore ignaro o preavvisato non resta che assistervi.
Il drama è tratto da “Hell Is Other People”, manhwa in tre volumi di Kim Yong-ki, inedito in Italia.
L’inferno è l’assenza del diavolo che ci aveva tentati, avrei detto io, probabilmente sbagliando, almeno in questo caso. La tesi che propugna questa serie è che l’inferno siano gli altri, intesi come il nostro prossimo che ci rende la vita un inferno, o il cui sguardo ci costringe entro una gabbia in cui non avremmo mai creduto di voler e poter entrare. E rimanere. I riferimenti letterari, a partire dalle "Metamorfosi" di Kafka, si sprecano e diventano motivo e pretesto per il pesante sottotesto psicologico che, più delle scene sanguinolente, forma l’ossatura di questo drama.
Il giovane campagnolo Jong Woo viene a Seul, dove un vecchio compagno di scuola gli ha trovato un lavoretto alle sue dipendenze. La vita è molto più cara che a casa e il nostro troverà alloggio solo in un ostello semi fatiscente di periferia, abitato da una serie di inquietanti personaggi, la maggior parte dei quali pare afflitta da tare o turbe mentali.
Date a un animale una tana in cui sentirsi al sicuro e non proverà stress. Ma quando quella casa, oltre a essere sporca all’inverosimile e priva di comodità, è teatro di circostanze via via sempre più inquietanti e minacciose, dove potrà il nostro protagonista distogliere la mente dai suoi problemi? E non sono pochi: a casa è rimasto un fratello malato con la madre, la sua ragazza è talmente impegnata col lavoro da non avere tempo per lui (e in più non riconosce il disagio che la nuova sistemazione gli procura), il suo nuovo capo lo disprezza e non glielo manda a dire, e anche chi dovrebbe insegnargli il lavoro fa di tutto per ostacolarlo. Vogliamo dire che la sua vita è un inferno? E siamo appena agli inizi, perché presto diverse persone cominceranno a sparire dalla sua vista, ma non dalla nostra, che verrà resa immediatamente edotta della fine che han fatto.
La storia si svolge per la maggior parte nell’edificio cadente di cui sopra, dove gli inquilini vengono identificati col numero della stanza, e questo ostello di nome Eden (!) è terribilmente buio, vecchio e lurido. Le stanze sono minuscole, lerce, senza aerazione e con pochissima luce, e gli spazi comuni non sono molto meglio. In questa atmosfera opprimente si intuisce un fetore di umanità non solo sporca, ma anche malata, un fermentare di malvagità e perversioni assortite che ammorba il nuovo inquilino, e lo spettatore, afferrandolo fermamente alla gola. E in questo inferno Jong Woo si dibatterà come un pesce nella rete, incapace di fuggire o far prendere sul serio gli allarmi che lancia sulle stranezze del luogo. Solo una poliziotta di basso grado gli crederà, ma dovrà fare i conti coi ranghi superiori che rifiutano di indagare su quelle che credono sciocchezze.
L’atmosfera è solo una parte di ciò che rende questo drama indimenticabile. La parte del leone la fanno sicuramente gli attori.
Im Si Wan è decisamente il migliore nell’interpretare il protagonista principale Jong Woo. La sua è forse la parte più complessa, perché descrive la sua progressiva discesa all’inferno sia esteriore che interiore. Lo vediamo cambiare letteralmente di minuto in minuto, man mano che la pazzia che lo circonda pare avvolgerlo e risucchiarlo, mentre il viso e gli occhi riflettono irritazione, paura, paranoia, furia, lucida follia.
Lee Dong Wook interpreta Moon Jo, un inquietante dentista che pare sin da subito attirato dal protagonista il quale, dietro le sue attenzioni, non tarderà a discendere in una spirale di demenza sempre più stretta. Siamo abituati a vedere questo talentuoso attore in parti da commedia romantica, ma possiamo tranquillamente dire che ha superato l’esame anche per i ruoli da malvagio.
Gli attori che interpretano gli abitanti dell’ostello sono bravissimi nelle loro parti che descrivono una "disumanità" particolarmente sgradevole. Menzione particolare per la padrona di casa, apparentemente un’ottima cuoca, ma di cui è sconsigliato provare i piatti. Si tratta di una irriconoscibile Lee Jung Eun, già vista come la domestica Moon Gwang in "Parasite", o nella serie “Law School”. Poliziotti, colleghi, tutti hanno fatto un lavoro egregio, che ha contribuito molto alla riuscita del titolo, in questo aiutati anche dalle musiche, per la maggior parte non particolarmente gradevoli, perché terribilmente affini alle scene che commentano. Ci sono però quattro belle canzoni e alcuni pezzi con cori decisamente disturbanti.
E’ un bene che la performance degli attori sia così valida, perché purtroppo la storia presenta alcune pecche ineludibili, a partire dalla scarsa credibilità che le vicende siano fatte proseguire fino alle estreme conseguenze, con pochissima ingerenza da parte delle autorità. Si ha la netta impressione che nessuno intervenga solo per poter lasciare agire indisturbati gli assassini. Ci sono diverse circostanze non spiegate, ma questo sarebbe anche tollerabile se la storia procedesse con piglio deciso dal principio alla fine. Invece, come spesso accade, i tempi si dilatano a dismisura, alcune situazioni diventano ripetitive e ridondanti. Vero che i tempi lunghi contribuiscono a giustificare la discesa agli inferi del protagonista, ma comunque un paio di puntate in meno – almeno una – sarebbero andate a beneficio della fruibilità. L’atmosfera e gli accadimenti sono già cupi e opprimenti, se ci si aggiunge lentezza è facile sopraggiunga la noia. Fortunatamente ho perseverato e sono giunta fino alla fine, ed entusiasta di averlo fatto.
E’ un drama con diverse pecche, come detto, ma un drama che lascia il segno. Riesce a farti sentire sporco dentro perché sposa la tesi che il diavolo sia già dentro di noi e che basti relativamente poco a farlo affiorare. E agire.
In chiusura, un amichevole avvertimento: se avete lo stomaco delicato, non guardatelo mangiando o dopo aver mangiato. Mi ringrazierete.