Shuriken Sentai Ninninger
"Shuriken Sentai Ninninger", la serie Super Sentai del 2015, torna alle atmosfere di circa vent'anni prima, alla battaglia tra ninja e youkai che aveva caratterizzato Ninja Sentai Kakuranger (1994), presentandosi di fatto quasi come un remake di quest'ultima serie, visto che il sostrato culturale da cui entrambe attingono è essenzialmente lo stesso e molti meccanismi e temi, come anche più o meno i nemici, finiscono per essere gli stessi nelle due serie.
In vent'anni, però, di cose ne cambiano, e quindi la storia di Takaharu e dei suoi familiari risulta anche profondamente diversa nello stile rispetto a quella di Sasuke e dei suoi compagni.
Se Kakuranger ci aveva affascinato con una rappresentazione a metà tra il classico e il pop del folklore giapponese e un'atmosfera ora moderna e divertente e ora epica, drammatica e struggente, Ninninger segue, ahimé, i dettami dei sentai moderni, che sono più infantili, giocattolosi e allegri rispetto ai loro predecessori di qualche decennio prima. I drammi, il sangue, i sacrifici sono ridotti al minimo e smorzati parecchio, mentre a farla da padrone sono gli attori bellocci, i personaggi scanzonati e stupidotti, le smorfie e le faccette buffe e i mille e più robot ricreati in computer grafica, più giocattolosi di quando erano davvero giocattoli inquadrati.
Ninninger non è una serie che vuoi vedere tutta d'un fiato o che ti attrae con una storia incalzante, mille colpi di scena o personaggi troppo complessi.
La storia di fondo, ossia la lotta tra i due clan dei ninja e degli youkai, è interessante e offre diversi buoni spunti, grazie anche a quello che, di fatto, si rivela il vero tema di fondo della serie, ossia la famiglia. Tema affrontato da vari punti di vista all'interno della serie, ma che quasi sempre ha come cardine la figura ingombrante del patriarca Last Ninja, i cui segreti tutti bramano di apprendere per un motivo o per un altro. I vari episodi offrono ottimi spunti di riflessione sul rapporto fra fratelli, fra cugini, fra genitori e figli, fra maestri e allievi, affrontati con leggerezza e simpatia ma anche con una certa sensibilità.
Sono pochi, però, i personaggi che si fanno ricordare in maniera particolare, e fra questi non figurano i Ninninger, che, salvo alcune rare eccezioni, non sono troppo memorabili, anche se comunque sono simpatici e a loro ci si affeziona, ma alla fine della serie già ce li si è dimenticati.
Come spesso accade, la loro caratterizzazione si concentra solo su un determinato aspetto della loro personalità, e spesso e volentieri questo viene calcato raggiungendo punte di trash piuttosto elevate: il protagonista Takaharu è banalotto e dimenticabile, il classico protagonista "shounen" iperattivo, coraggioso ma con poco cervello; sua sorella Fuuka è dolce e caruccia ma spicca poco, soprattutto in confronto a Kasumi, l'altro personaggio femminile del gruppo, che è uno dei migliori della serie, grazie al suo carattere lungimirante, geniale e sarcastico; il "giallo" Nagi è tranquillo e simpatico ma non fa granché di rilevante all'interno delle puntate, mentre il "blu" Yakumo appare come un personaggio trashissimo (un ninja che utilizza la magia occidentale perché... l'ha studiata in una scuola in Inghilterra?) e antipatico sulle prime, ma ci si fa l'abitudine grazie anche a una narrazione molto abile nel farlo scendere dal piedistallo e nel metterlo alla berlina (com'è giusto che sia) spesso e volentieri.
Menzione d'onore per Kinji, il sesto membro del gruppo, che prende il ninja americano Jiraiya di "Kakuranger" e lo rende ancora più trash, ancora più pacchiano (il cellulare-hamburger per la trasformazione, il robot bisonte con musica country di sottofondo...), ancora più stupido, eppure ben presto Kinji si rivela l'unico dei Ninninger ad avere qualche sfaccettatura, un certo dramma e una storia personale alle spalle, per cui si passa sopra alle sue idiozie e lo si riesce anche a trovare simpatico, alla fin fine.
Decisamente più riusciti papà Tsumuji, che sembra tranquillo e imbranato e rivela via via una storia toccante e ricca d'interesse, e nonno Last Ninja, che tra mille stramberie, camicie hawaiiane e frasi in italiano infilate a caso nei suoi dialoghi ben incarna la figura del maestro stravagante ma saggio che impartisce grandi insegnamenti ai suoi allievi mantenendo un certo distacco.
A farsi ricordare sono ancora una volta i cattivi, vuoi perché sono temibili (Gabi), vuoi perché ci fanno ridere (Masakage), vuoi perché il complesso rapporto familiare che intercorre fra loro intriga e appassiona e dunque ben vengano personaggi come la triste ma buffa madre Ariake no kata o l'immenso Kyuuemon, personaggio sfaccettatissimo e intrigante fino alla fine.
Merito anche di un doppiaggio d'eccezione che ci regala una sempre fantastica Kotono Mitsuishi e una splendida Megumi Han, doppiatrice tanto giovane quanto versatile e talentuosa.
Una delle cose più belle di Ninninger è il suo essere profondamente giapponese e rimarcarlo di continuo nell'atmosfera della serie, nella fisionomia dei suoi personaggi, nei ritmi della sua colonna sonora.
I castelli tradizionali e i templi che spesso e volentieri fanno da sfondo alle battaglie, le lanterne tradizionali che decorano la trasformazione del robot Shurikenjin, la sigla finale che fra fuochi d'artificio, castelli, ponti, ciliegi e tamburi fa proprio matsuri tradizionale e molti altri elementi figurativi della serie rimandano in maniera chiara e piacevolissima a quella che è la realtà del Giappone, rendendo probabilmente difficile un futuro adattamento americano di questa serie senza poterla snaturare troppo (ma è già stato annunciato, quindi si vedrà).
Peccato che non si sia mantenuta questa atmosfera giapponese nel caratterizzare i vari robot, che passano da ninja a draghi di matrice occidentale, da cani a treni (?), da scavatrici (?) a bisonti con tizi che ci fanno il rodeo sopra, da elefanti (?) a UFO (?), da leoni a surfer (?), ristabilendo poi un po' l'ordine con l'introduzione di robot ispirati alle creature della mitologia orientale come le quattro bestie dei punti cardinali.
La sensazione è, però, quella di una sorta di "caciara" in cui si è ficcato dentro di tutto e di più senza alcuna coerenza.
In realtà, però, una sorta di coerenza c'è, e risulta anche interessante una volta capita.
Ninninger è la serie che segna il quarantesimo anniversario del franchise Super Sentai, quindi gli autori hanno deciso di infilarci dentro i più svariati rimandi alle serie precedenti.
Ecco quindi spiegate le strane fattezze dei robot, che apparentemente non c'entrano sempre con i ninja (come invece accadeva per i bellissimi e sobri robot di Kakuranger) ma pescano a piene mani dai temi di molte serie passate del franchise.
Il quarantesimo compleanno della serie crea anche l'azzeccatissima occasione per una serie di graditi camei e crossover con vecchi eroi: quelli di Kakuranger e Hurricanger, ovviamente, dato che queste serie condividevano con Ninninger il tema dei ninja, ma anche Magiranger, il capostipite Goranger e persino il ninja Jiraiya dei Metal Hero.
Rivedere vecchi amici, e risentire le colonne sonore ad essi associate, è davvero bello, e si possono perdonare a Ninninger i suoi robot un po' senza senso, se sono il prezzo da pagare per avere un regalo di compleanno di questo tipo.
Shuriken Sentai Ninninger è una serie carina, allegra e simpatica, che magari non si fa ricordare troppo sulla lunga distanza ma intrattiene con simpatia e ogni tanto propone anche qualche riflessione interessante o qualche personaggio particolarmente ben riuscito.
Non è il tipo di serie che vuoi divorare tutta e subito e che ti rimane scolpita nel cuore come un marchio a fuoco (magari piacevolemente doloroso), ma alla fine ci si riesce ad affezionare a questi giovani e sciocchi ninja e a come si impegnano nel loro sogno di superare il loro strambo nonno creando un loro, personale e moderno, modo di essere "ninja".
Il suo maggior punto di forza, oltre al solido e bel tema di fondo e alla sua interessante trattazione, è sicuramente l'atmosfera evocata dalle ambientazioni, dai costumi, dalle scenografie, dai personaggi, dai mille youkai folkloristici.
Per chi ha vissuto il Giappone in prima persona o è interessato alla sua cultura, alla sua arte, alla sua mitologia e ai suoi usi e costumi, qui c'è tutto il Giappone del 2015: esagerato, pacchiano e sciocco in molti aspetti, soprattutto se lo si guarda con gli occhi di noi occidentali, ma anche tranquillo, rispettoso, piacevolmente bello nell'ambiguo rigore delle sue tradizioni insieme fuori dal tempo e insieme perfettamente inquadrate in una realtà moderna, tecnologica e straniante.
E', però, da diverso tempo, da quei simpaticissimi pazzoidi dei Kyoryuger e dai poetici e sensibili Goseiger, che non mi capita di dire che una serie sentai degli ultimi anni è "bella" o "bellissima" e ogni tanto vorrei pure poterlo fare, invece di godermi serie carine ma non sempre memorabili di anno in anno, quindi auspico meno attorucoli e scemenze, meno computer grafica, sostituite magari con trame più solide, atmosfere più marcate e un po' più drammatiche, personaggi più carismatici, per le prossime serie sentai.
A vedere la serie di quest'anno che ha sostituito Ninninger, non sembra che sarò accontentato tanto presto, ma uno ci spera, sai mai..
In vent'anni, però, di cose ne cambiano, e quindi la storia di Takaharu e dei suoi familiari risulta anche profondamente diversa nello stile rispetto a quella di Sasuke e dei suoi compagni.
Se Kakuranger ci aveva affascinato con una rappresentazione a metà tra il classico e il pop del folklore giapponese e un'atmosfera ora moderna e divertente e ora epica, drammatica e struggente, Ninninger segue, ahimé, i dettami dei sentai moderni, che sono più infantili, giocattolosi e allegri rispetto ai loro predecessori di qualche decennio prima. I drammi, il sangue, i sacrifici sono ridotti al minimo e smorzati parecchio, mentre a farla da padrone sono gli attori bellocci, i personaggi scanzonati e stupidotti, le smorfie e le faccette buffe e i mille e più robot ricreati in computer grafica, più giocattolosi di quando erano davvero giocattoli inquadrati.
Ninninger non è una serie che vuoi vedere tutta d'un fiato o che ti attrae con una storia incalzante, mille colpi di scena o personaggi troppo complessi.
La storia di fondo, ossia la lotta tra i due clan dei ninja e degli youkai, è interessante e offre diversi buoni spunti, grazie anche a quello che, di fatto, si rivela il vero tema di fondo della serie, ossia la famiglia. Tema affrontato da vari punti di vista all'interno della serie, ma che quasi sempre ha come cardine la figura ingombrante del patriarca Last Ninja, i cui segreti tutti bramano di apprendere per un motivo o per un altro. I vari episodi offrono ottimi spunti di riflessione sul rapporto fra fratelli, fra cugini, fra genitori e figli, fra maestri e allievi, affrontati con leggerezza e simpatia ma anche con una certa sensibilità.
Sono pochi, però, i personaggi che si fanno ricordare in maniera particolare, e fra questi non figurano i Ninninger, che, salvo alcune rare eccezioni, non sono troppo memorabili, anche se comunque sono simpatici e a loro ci si affeziona, ma alla fine della serie già ce li si è dimenticati.
Come spesso accade, la loro caratterizzazione si concentra solo su un determinato aspetto della loro personalità, e spesso e volentieri questo viene calcato raggiungendo punte di trash piuttosto elevate: il protagonista Takaharu è banalotto e dimenticabile, il classico protagonista "shounen" iperattivo, coraggioso ma con poco cervello; sua sorella Fuuka è dolce e caruccia ma spicca poco, soprattutto in confronto a Kasumi, l'altro personaggio femminile del gruppo, che è uno dei migliori della serie, grazie al suo carattere lungimirante, geniale e sarcastico; il "giallo" Nagi è tranquillo e simpatico ma non fa granché di rilevante all'interno delle puntate, mentre il "blu" Yakumo appare come un personaggio trashissimo (un ninja che utilizza la magia occidentale perché... l'ha studiata in una scuola in Inghilterra?) e antipatico sulle prime, ma ci si fa l'abitudine grazie anche a una narrazione molto abile nel farlo scendere dal piedistallo e nel metterlo alla berlina (com'è giusto che sia) spesso e volentieri.
Menzione d'onore per Kinji, il sesto membro del gruppo, che prende il ninja americano Jiraiya di "Kakuranger" e lo rende ancora più trash, ancora più pacchiano (il cellulare-hamburger per la trasformazione, il robot bisonte con musica country di sottofondo...), ancora più stupido, eppure ben presto Kinji si rivela l'unico dei Ninninger ad avere qualche sfaccettatura, un certo dramma e una storia personale alle spalle, per cui si passa sopra alle sue idiozie e lo si riesce anche a trovare simpatico, alla fin fine.
Decisamente più riusciti papà Tsumuji, che sembra tranquillo e imbranato e rivela via via una storia toccante e ricca d'interesse, e nonno Last Ninja, che tra mille stramberie, camicie hawaiiane e frasi in italiano infilate a caso nei suoi dialoghi ben incarna la figura del maestro stravagante ma saggio che impartisce grandi insegnamenti ai suoi allievi mantenendo un certo distacco.
A farsi ricordare sono ancora una volta i cattivi, vuoi perché sono temibili (Gabi), vuoi perché ci fanno ridere (Masakage), vuoi perché il complesso rapporto familiare che intercorre fra loro intriga e appassiona e dunque ben vengano personaggi come la triste ma buffa madre Ariake no kata o l'immenso Kyuuemon, personaggio sfaccettatissimo e intrigante fino alla fine.
Merito anche di un doppiaggio d'eccezione che ci regala una sempre fantastica Kotono Mitsuishi e una splendida Megumi Han, doppiatrice tanto giovane quanto versatile e talentuosa.
Una delle cose più belle di Ninninger è il suo essere profondamente giapponese e rimarcarlo di continuo nell'atmosfera della serie, nella fisionomia dei suoi personaggi, nei ritmi della sua colonna sonora.
I castelli tradizionali e i templi che spesso e volentieri fanno da sfondo alle battaglie, le lanterne tradizionali che decorano la trasformazione del robot Shurikenjin, la sigla finale che fra fuochi d'artificio, castelli, ponti, ciliegi e tamburi fa proprio matsuri tradizionale e molti altri elementi figurativi della serie rimandano in maniera chiara e piacevolissima a quella che è la realtà del Giappone, rendendo probabilmente difficile un futuro adattamento americano di questa serie senza poterla snaturare troppo (ma è già stato annunciato, quindi si vedrà).
Peccato che non si sia mantenuta questa atmosfera giapponese nel caratterizzare i vari robot, che passano da ninja a draghi di matrice occidentale, da cani a treni (?), da scavatrici (?) a bisonti con tizi che ci fanno il rodeo sopra, da elefanti (?) a UFO (?), da leoni a surfer (?), ristabilendo poi un po' l'ordine con l'introduzione di robot ispirati alle creature della mitologia orientale come le quattro bestie dei punti cardinali.
La sensazione è, però, quella di una sorta di "caciara" in cui si è ficcato dentro di tutto e di più senza alcuna coerenza.
In realtà, però, una sorta di coerenza c'è, e risulta anche interessante una volta capita.
Ninninger è la serie che segna il quarantesimo anniversario del franchise Super Sentai, quindi gli autori hanno deciso di infilarci dentro i più svariati rimandi alle serie precedenti.
Ecco quindi spiegate le strane fattezze dei robot, che apparentemente non c'entrano sempre con i ninja (come invece accadeva per i bellissimi e sobri robot di Kakuranger) ma pescano a piene mani dai temi di molte serie passate del franchise.
Il quarantesimo compleanno della serie crea anche l'azzeccatissima occasione per una serie di graditi camei e crossover con vecchi eroi: quelli di Kakuranger e Hurricanger, ovviamente, dato che queste serie condividevano con Ninninger il tema dei ninja, ma anche Magiranger, il capostipite Goranger e persino il ninja Jiraiya dei Metal Hero.
Rivedere vecchi amici, e risentire le colonne sonore ad essi associate, è davvero bello, e si possono perdonare a Ninninger i suoi robot un po' senza senso, se sono il prezzo da pagare per avere un regalo di compleanno di questo tipo.
Shuriken Sentai Ninninger è una serie carina, allegra e simpatica, che magari non si fa ricordare troppo sulla lunga distanza ma intrattiene con simpatia e ogni tanto propone anche qualche riflessione interessante o qualche personaggio particolarmente ben riuscito.
Non è il tipo di serie che vuoi divorare tutta e subito e che ti rimane scolpita nel cuore come un marchio a fuoco (magari piacevolemente doloroso), ma alla fine ci si riesce ad affezionare a questi giovani e sciocchi ninja e a come si impegnano nel loro sogno di superare il loro strambo nonno creando un loro, personale e moderno, modo di essere "ninja".
Il suo maggior punto di forza, oltre al solido e bel tema di fondo e alla sua interessante trattazione, è sicuramente l'atmosfera evocata dalle ambientazioni, dai costumi, dalle scenografie, dai personaggi, dai mille youkai folkloristici.
Per chi ha vissuto il Giappone in prima persona o è interessato alla sua cultura, alla sua arte, alla sua mitologia e ai suoi usi e costumi, qui c'è tutto il Giappone del 2015: esagerato, pacchiano e sciocco in molti aspetti, soprattutto se lo si guarda con gli occhi di noi occidentali, ma anche tranquillo, rispettoso, piacevolmente bello nell'ambiguo rigore delle sue tradizioni insieme fuori dal tempo e insieme perfettamente inquadrate in una realtà moderna, tecnologica e straniante.
E', però, da diverso tempo, da quei simpaticissimi pazzoidi dei Kyoryuger e dai poetici e sensibili Goseiger, che non mi capita di dire che una serie sentai degli ultimi anni è "bella" o "bellissima" e ogni tanto vorrei pure poterlo fare, invece di godermi serie carine ma non sempre memorabili di anno in anno, quindi auspico meno attorucoli e scemenze, meno computer grafica, sostituite magari con trame più solide, atmosfere più marcate e un po' più drammatiche, personaggi più carismatici, per le prossime serie sentai.
A vedere la serie di quest'anno che ha sostituito Ninninger, non sembra che sarò accontentato tanto presto, ma uno ci spera, sai mai..