Dororo
Dororo è un manga scritto e disegnato da Osamu Tezuka e composto da soli quattro volumi editi in Italia da Goen. Consiglio l'opera a chi cerca qualcosa di crudo e che possa mostrare bene il Giappone feudale in tutta la sua crudeltà. Consigliata anche agli amanti dell'azione e dell'avventura.
Hyakkimaru è un giovane samurai che combatte e distrugge demoni. Appena nato, gli furono sottratte 48 parti del corpo da altrettanti demoni. Abbandonato dai genitori, viene trovato da un chirurgo che lo tiene con sè. Questi, gli fornisce un corpo artificiale col quale Hyakkimaru può andare a caccia dei demoni che gli hanno sottratto le parti del corpo, privandolo anche dei sensi. Fin dall'inizio a Hyakkimaru si affianca il giovanissimo ladruncolo Dororo, i due intraprenderanno un viaggio alla ricerca dei demoni, consolidando anche il loro rapporto. La serie presenta una sceneggiatura lineare e svariati combattimenti sorprendentemente violenti.
La violenza persisterà in tutti e quattro i volumi dell'opera, senza mai cadere comunque nell'eccesso e nello splatter. Tezuka ha specificato esplicitamente il motivo di ciò, ovvero rendere l'opera dal punto di vista storico il più realistica possibile. I disegni sono i soliti del maestro Osamu, molto "cartooneschi" e quasi chibi nonostante ci troviamo davanti ad un'opera molto matura e che attraversa vari temi abbastanza forti. Dal manga sono state tratti varie remasterzzazioni e spin-off.
In definitiva, L'opera è buona, ma non eccellente seguendo i punti di vista critici per la valutazione finale (trama, sceneggiatura e character design). Perfetta per chi vuole una lettura matura e dai tratti anche molto shonen.
Hyakkimaru è un giovane samurai che combatte e distrugge demoni. Appena nato, gli furono sottratte 48 parti del corpo da altrettanti demoni. Abbandonato dai genitori, viene trovato da un chirurgo che lo tiene con sè. Questi, gli fornisce un corpo artificiale col quale Hyakkimaru può andare a caccia dei demoni che gli hanno sottratto le parti del corpo, privandolo anche dei sensi. Fin dall'inizio a Hyakkimaru si affianca il giovanissimo ladruncolo Dororo, i due intraprenderanno un viaggio alla ricerca dei demoni, consolidando anche il loro rapporto. La serie presenta una sceneggiatura lineare e svariati combattimenti sorprendentemente violenti.
La violenza persisterà in tutti e quattro i volumi dell'opera, senza mai cadere comunque nell'eccesso e nello splatter. Tezuka ha specificato esplicitamente il motivo di ciò, ovvero rendere l'opera dal punto di vista storico il più realistica possibile. I disegni sono i soliti del maestro Osamu, molto "cartooneschi" e quasi chibi nonostante ci troviamo davanti ad un'opera molto matura e che attraversa vari temi abbastanza forti. Dal manga sono state tratti varie remasterzzazioni e spin-off.
In definitiva, L'opera è buona, ma non eccellente seguendo i punti di vista critici per la valutazione finale (trama, sceneggiatura e character design). Perfetta per chi vuole una lettura matura e dai tratti anche molto shonen.
Osamu Tezuka è uno di quegli autori non semplicissimi da trattare, un po' perché ci si sente in dovere di conoscere tutto lo scibile umano prima di analizzare le sue opere - soprattutto quelle più importanti e di più ampio respiro - e un po' perché è normale farsi prendere da un minimo di ansia da prestazione prima di parlare di colui che si è guadagnato l'appellativo di "kamisama".
E chissà, in qualche caso questa sorta di aura divina potrà anche aver scoraggiato il lettore occasionale, che avrà percepito come difficile o impegnativo l'autore. Ma se stiamo qui a proporre queste due righe è proprio perché Dororo è un manga tranquillamente fruibile anche da chi, come il sottoscritto, non ha mai letto nulla prima di Osamu Tezuka; una miniserie che palesa come la bravura di un autore risieda anche nel trattare in maniera assolutamente godibile e scorrevole - apparentemente leggera - perfino le intime bassezze dell'animo umano.
Dororo fu pubblicato nel 1967 su Shounen Sunday di Shogakukan, e trasposto in una serie animata di 26 episodi nel 1969. Tra le riduzioni recenti si annoverano un live action del 2007 diretto da Shiota Akihiko, nonché un videogioco del 2005 sviluppato da Sega per Playstation 2.
La storia inizia con una tipica atmosfera da "Era una notte buia e tempestosa", con Lord Daigo Kagemitsu, un ambizioso daimyo intenzionato a stringere un patto con 48 demoni per "possedere tutto ciò che è sotto il cielo". In cambio egli immolerà il suo figlio nascituro, lasciando che ognuno dei suddetti demoni si impossessi di una parte del suo corpicino. Nasce così, di lì a poco, un neonato privo praticamente di qualsiasi propaggine anatomica (occhi, orecchie, bocca, arti…), un tronco umano che verrà quindi abbandonato in una cesta sul fiume e lasciato al suo destino.
Lo sventurato infante verrà però trovato da Jukai, un medico che decide caritatevolmente di allevarlo fino a quando, una volta cresciuto, Hyakkimaru ("bambino dei cento demoni") non deciderà di intraprendere un lungo viaggio alla ricerca dei 48 demoni da sconfiggere per riacquistare un corpo integro, ed infine trovare il suo posto nel mondo. Questo è reso possibile sempre da Jukai che, dando fondo a tutte le proprie abilità mediche, riesce a rimettere in sesto il corpo di Hyakkimaru con delle protesi che gli danno l'aspetto di un normale giovanotto, e che gli permettono di combattere con abilità tenendo testa agli innumerevoli pericoli che si ritroverà ad affrontare durante i suoi viaggi.
A questo punto qualcuno si starà chiedendo chi è questo Dororo che dà nome al manga. Infatti Dororo è quello che si è piuttosto portati a considerare un personaggio secondario di quest'opera, almeno inizialmente: trattasi di un pestifero e irritante orfanello che Hyakkimaru incontra durante il suo peregrinare; un ladruncolo che decide cocciutamente di affiancarlo nei suoi viaggi perigliosi a caccia di demoni, ma che si rivela essere un'anima affine con un passato ugualmente triste e solitario alle spalle.
Dororo può vantare influenze folkloristiche e teatrali che all'epoca dettarono un nuovo standard per le storie d'avventura successive su samurai e affini. Ed anche oggi si possono notare similitudini più o meno evidenti con altri titoli più recenti. A voler fare un po' di paragoni coraggiosi, vengono in mente titoli più o meno noti come Inuyasha (il contesto storico, i viaggi, gli Dororo - Volpeinnocenti da salvare dai demoni e la caccia agli stessi per recuperare le parti di un qualcosa), Kurogane (un errabondo burattino umano combattente, come Hyakkimaru), Fullmetal Alchemist (la ricerca finalizzata al recupero di parti del corpo), o addirittura Alita (il classico tema del rottame - umano o quasi - ritrovato dallo scienziato/dottore di turno che lo rimette in sesto); e si potrebbe continuare.
In realtà lo stesso Osamu Tezuka ammette come la genesi della sua opera sia stata tutt'altro che "originale", ed infatti ad ispirarlo fu il desiderio irrefrenabile di emulare le storie di genere yōkai portate alla ribalta nella metà degli anni '60 da Shigeru Mizuki (famoso è il suo Kitaro dei cimiteri), col quale si sentì quindi in dovere di competere (Tezuka stesso afferma di essere sempre stato molto competitivo).
Ma l'incipit di Tezuka è molto meno irreale di quanto possa sembrare. Infatti sin da epoca antica le cronache purtroppo riportano di natali così infausti, di bambini focomelici, emimelici, privi parzialmente o totalmente di arti; come nel caso della categoria teratologica dei tronchi umani. È il caso di Prince Randian, il cosiddetto "bruco umano", forse il caso più famoso in quest'ambito, tanto che comparve anche in Freaks, celebre film del 1932 diretto da Tod Browning.
Chissà che Osamushi non si sia ispirato proprio a costui, l'uomo bruco, per il personaggio di Hyakkimaru. Ma non è da escludere anche qualche reminiscenza autobiografica; infatti Tezuka sapeva bene cosa significasse non poter utilizzare i propri arti, visto che trascorse un lungo periodo della sua vita, da ragazzo, senza poter servirsi delle braccia a causa di una grave forma di infezione cutanea, tanto grave che rischiò addirittura l'amputazione degli arti superiori. Un problema che si ripresentò più volte durante la sua vita.
Durante la realizzazione di Dororo, Tezuka continuò a documentarsi sul periodo degli Stati Combattenti (non aveva mai affrontato questo contesto prima di allora) sviluppando un gran coinvolgimento in merito al tema dei soprusi subiti dal ceto contadino, tanto che, quasi senza rendersene conto, il manga cominciò ad assumere toni sempre più gravi.
Seguendo le avventure di Hyakkimaru e Dororo non è raro, infatti, incappare in avvenimenti impressionati e tragici; ma il risultato finale quasi mai risulta davvero sconcertante (se non ad un livello più sottile). Questo è possibile grazie al ricorso a toni da commedia e vignette ironiche, ma è anche merito dello stile disneyano di Tezuka, che sdrammatizza di molto l'impatto.
Dororo è il tipico manga che intrattiene, diverte e, nello stesso momento, sfiora tematiche importanti. Infatti ci si può limitare ad apprezzarlo come un avvincente racconto storico d'avventura con elementi soprannaturali, oppure coglierne il lavoro di ricostruzione storico-sociale, l'affresco di un'epoca d'anarchia e lotte di potere, in cui il vagabondare dei nostri eroi in un paese affamato, che si ritrova a fare i conti con gli strascichi di conflitti che hanno portato miseria ovunque, è anche un pretesto per raccontare degli egoismi insiti nella natura umana, e che in quel contesto son quasi visti come necessari alla sopravvivenza.
Le tavole di Dororo, dicevamo, sono "disneyane", e cioè hanno quel chara design che tanto deve alla storica produzione statunitense degli anni d'oro, e che verrà poi metabolizzato e rielaborato nello stile e nel tratto da quella che sarà in pratica un intera, gloriosa, generazione di mangaka giapponesi, con Osamu Tezuka in testa.
È quel bel disegno d'annata in cui i protagonisti hanno grossi occhioni espressivi e piedi paffuti dai quali immancabilmente spunta l'alluce. Le linee, sinuose, si ingrossano e assottigliano per delineare con eleganza i contorni; e non vi sono retini di riempimento, ma i piani son semplicemente evidenziati mediante l'utilizzo del tratto ed uniformi campiture di nero.
In definitiva uno stile che applica magistralmente il principio del fumetto graficamente inteso come sintesi, ma che allo stesso tempo sa essere deliziosamente descrittivo, soprattutto negli scorci naturalistici.
La serializzazione di Dororo, partita e proseguita con molto entusiasmo, ebbe una battuta d'arresto in un secondo momento: Tezuka all'epoca finì per metterlo da parte perché fu assorbito totalmente dalla serializzazione di una nuova opera, Prince Norman (1968), tanto che poi fu l'editore stesso a sancire la sospensione ufficiale di Dororo.
Dopo aver però concluso Prince Norman, Tezuka tornò al lavoro su Dororo che nel frattempo stava acquistando una certa notorietà dopo l'inizio, nel 1969, della trasmissione dell'anime su Fuji TV.
Così, anche se ormai il progetto di narrare gli scontri dei suoi beniamini contro ognuno dei 48 demoni fosse ormai fuori discussione, Tezuka decise comunque di dare una degna conclusione, anche se un filino aperta, alle avventure di Hyakkimaru e Dororo.
Dororo è stato recentemente pubblicato in Italia da Goen in quattro volumi ben confezionati e dagli ottimi materiali: la brossura è affidabile, la sovraccoperta robusta e ben plastificata, la carta liscia e bianca. Le onomatopee son ben riadattate e nel complesso la traduzione appare scorrevole, anche se possono suscitare dei dubbi alcune scelte d'adattamento.
Durante la lettura, infatti, difficilmente si incontrano termini e appellativi specifici riconducibili al Giappone storico dell'epoca Segoku; come se si fosse preferito evitare l'appesantimento della lettura tramite note esplicative, mirando invece a rendere immediatamente accessibile il manga ad un pubblico più generalista che purista.
Una scelta che può anche avere il suo perché, per carità, perché riservare ad esempio a Daigo Kagemitsu (il padre di Hyakkimaru) il generico appellativo di "lord", anziché "daimyo" può anche risultare indolore, ma imbattersi in uno "sceriffo" (da pagina 19 del vol.2) invece dell'originale "daikan" (代官, il magistrato/ufficiale giudiziario dell'epoca) fa tanto vecchio Far West e non Giappone antico.
A parte ciò, nessun particolare difetto da notare; la lettura scorre piacevole ed agile per tutti e 4 i volumi e l'unico errore notato è un piccolo balloon vuoto a pagina 94 del volume 3.
Quella di Dororo è una storia che parla di avidità, della ricerca di se stessi, di privazioni affettive, di vendetta e viltà umana. È un'opera in cui la componente avventurosa è un pretesto per descrivere un contesto in cui i vessati, quando ne hanno l'opportunità, sanno macchiarsi d'infamia quanto gli stessi oppressori; in cui non vi sono buoni e cattivi, ma solo individui - nobili, contadini o gli stessi demoni - che, spinti da ingordigia, disperazione, fame o egoismo, antepongono i propri interessi a quelli di chiunque altro.
In tutto ciò i due protagonisti vestono i panni del deus ex machina errante; e dopo aver rischiato la vita per il bene del prossimo, ricevono puntualmente in cambio solo tanta ingratitudine.
Non sarà l'opera più impegnativa dell'autore, ma quella di Dororo è sicuramente ancora oggi, a tanti anni dalla sua prima pubblicazione, una lettura fresca e godibilissima anche per chi non ha mai letto nulla del gran maestro ed è magari in cerca di uno starting point ideale per rompere il ghiaccio con Osamu Tezuka.
E chissà, in qualche caso questa sorta di aura divina potrà anche aver scoraggiato il lettore occasionale, che avrà percepito come difficile o impegnativo l'autore. Ma se stiamo qui a proporre queste due righe è proprio perché Dororo è un manga tranquillamente fruibile anche da chi, come il sottoscritto, non ha mai letto nulla prima di Osamu Tezuka; una miniserie che palesa come la bravura di un autore risieda anche nel trattare in maniera assolutamente godibile e scorrevole - apparentemente leggera - perfino le intime bassezze dell'animo umano.
Dororo fu pubblicato nel 1967 su Shounen Sunday di Shogakukan, e trasposto in una serie animata di 26 episodi nel 1969. Tra le riduzioni recenti si annoverano un live action del 2007 diretto da Shiota Akihiko, nonché un videogioco del 2005 sviluppato da Sega per Playstation 2.
La storia inizia con una tipica atmosfera da "Era una notte buia e tempestosa", con Lord Daigo Kagemitsu, un ambizioso daimyo intenzionato a stringere un patto con 48 demoni per "possedere tutto ciò che è sotto il cielo". In cambio egli immolerà il suo figlio nascituro, lasciando che ognuno dei suddetti demoni si impossessi di una parte del suo corpicino. Nasce così, di lì a poco, un neonato privo praticamente di qualsiasi propaggine anatomica (occhi, orecchie, bocca, arti…), un tronco umano che verrà quindi abbandonato in una cesta sul fiume e lasciato al suo destino.
Lo sventurato infante verrà però trovato da Jukai, un medico che decide caritatevolmente di allevarlo fino a quando, una volta cresciuto, Hyakkimaru ("bambino dei cento demoni") non deciderà di intraprendere un lungo viaggio alla ricerca dei 48 demoni da sconfiggere per riacquistare un corpo integro, ed infine trovare il suo posto nel mondo. Questo è reso possibile sempre da Jukai che, dando fondo a tutte le proprie abilità mediche, riesce a rimettere in sesto il corpo di Hyakkimaru con delle protesi che gli danno l'aspetto di un normale giovanotto, e che gli permettono di combattere con abilità tenendo testa agli innumerevoli pericoli che si ritroverà ad affrontare durante i suoi viaggi.
A questo punto qualcuno si starà chiedendo chi è questo Dororo che dà nome al manga. Infatti Dororo è quello che si è piuttosto portati a considerare un personaggio secondario di quest'opera, almeno inizialmente: trattasi di un pestifero e irritante orfanello che Hyakkimaru incontra durante il suo peregrinare; un ladruncolo che decide cocciutamente di affiancarlo nei suoi viaggi perigliosi a caccia di demoni, ma che si rivela essere un'anima affine con un passato ugualmente triste e solitario alle spalle.
Dororo può vantare influenze folkloristiche e teatrali che all'epoca dettarono un nuovo standard per le storie d'avventura successive su samurai e affini. Ed anche oggi si possono notare similitudini più o meno evidenti con altri titoli più recenti. A voler fare un po' di paragoni coraggiosi, vengono in mente titoli più o meno noti come Inuyasha (il contesto storico, i viaggi, gli Dororo - Volpeinnocenti da salvare dai demoni e la caccia agli stessi per recuperare le parti di un qualcosa), Kurogane (un errabondo burattino umano combattente, come Hyakkimaru), Fullmetal Alchemist (la ricerca finalizzata al recupero di parti del corpo), o addirittura Alita (il classico tema del rottame - umano o quasi - ritrovato dallo scienziato/dottore di turno che lo rimette in sesto); e si potrebbe continuare.
In realtà lo stesso Osamu Tezuka ammette come la genesi della sua opera sia stata tutt'altro che "originale", ed infatti ad ispirarlo fu il desiderio irrefrenabile di emulare le storie di genere yōkai portate alla ribalta nella metà degli anni '60 da Shigeru Mizuki (famoso è il suo Kitaro dei cimiteri), col quale si sentì quindi in dovere di competere (Tezuka stesso afferma di essere sempre stato molto competitivo).
Ma l'incipit di Tezuka è molto meno irreale di quanto possa sembrare. Infatti sin da epoca antica le cronache purtroppo riportano di natali così infausti, di bambini focomelici, emimelici, privi parzialmente o totalmente di arti; come nel caso della categoria teratologica dei tronchi umani. È il caso di Prince Randian, il cosiddetto "bruco umano", forse il caso più famoso in quest'ambito, tanto che comparve anche in Freaks, celebre film del 1932 diretto da Tod Browning.
Chissà che Osamushi non si sia ispirato proprio a costui, l'uomo bruco, per il personaggio di Hyakkimaru. Ma non è da escludere anche qualche reminiscenza autobiografica; infatti Tezuka sapeva bene cosa significasse non poter utilizzare i propri arti, visto che trascorse un lungo periodo della sua vita, da ragazzo, senza poter servirsi delle braccia a causa di una grave forma di infezione cutanea, tanto grave che rischiò addirittura l'amputazione degli arti superiori. Un problema che si ripresentò più volte durante la sua vita.
Durante la realizzazione di Dororo, Tezuka continuò a documentarsi sul periodo degli Stati Combattenti (non aveva mai affrontato questo contesto prima di allora) sviluppando un gran coinvolgimento in merito al tema dei soprusi subiti dal ceto contadino, tanto che, quasi senza rendersene conto, il manga cominciò ad assumere toni sempre più gravi.
Seguendo le avventure di Hyakkimaru e Dororo non è raro, infatti, incappare in avvenimenti impressionati e tragici; ma il risultato finale quasi mai risulta davvero sconcertante (se non ad un livello più sottile). Questo è possibile grazie al ricorso a toni da commedia e vignette ironiche, ma è anche merito dello stile disneyano di Tezuka, che sdrammatizza di molto l'impatto.
Dororo è il tipico manga che intrattiene, diverte e, nello stesso momento, sfiora tematiche importanti. Infatti ci si può limitare ad apprezzarlo come un avvincente racconto storico d'avventura con elementi soprannaturali, oppure coglierne il lavoro di ricostruzione storico-sociale, l'affresco di un'epoca d'anarchia e lotte di potere, in cui il vagabondare dei nostri eroi in un paese affamato, che si ritrova a fare i conti con gli strascichi di conflitti che hanno portato miseria ovunque, è anche un pretesto per raccontare degli egoismi insiti nella natura umana, e che in quel contesto son quasi visti come necessari alla sopravvivenza.
Le tavole di Dororo, dicevamo, sono "disneyane", e cioè hanno quel chara design che tanto deve alla storica produzione statunitense degli anni d'oro, e che verrà poi metabolizzato e rielaborato nello stile e nel tratto da quella che sarà in pratica un intera, gloriosa, generazione di mangaka giapponesi, con Osamu Tezuka in testa.
È quel bel disegno d'annata in cui i protagonisti hanno grossi occhioni espressivi e piedi paffuti dai quali immancabilmente spunta l'alluce. Le linee, sinuose, si ingrossano e assottigliano per delineare con eleganza i contorni; e non vi sono retini di riempimento, ma i piani son semplicemente evidenziati mediante l'utilizzo del tratto ed uniformi campiture di nero.
In definitiva uno stile che applica magistralmente il principio del fumetto graficamente inteso come sintesi, ma che allo stesso tempo sa essere deliziosamente descrittivo, soprattutto negli scorci naturalistici.
La serializzazione di Dororo, partita e proseguita con molto entusiasmo, ebbe una battuta d'arresto in un secondo momento: Tezuka all'epoca finì per metterlo da parte perché fu assorbito totalmente dalla serializzazione di una nuova opera, Prince Norman (1968), tanto che poi fu l'editore stesso a sancire la sospensione ufficiale di Dororo.
Dopo aver però concluso Prince Norman, Tezuka tornò al lavoro su Dororo che nel frattempo stava acquistando una certa notorietà dopo l'inizio, nel 1969, della trasmissione dell'anime su Fuji TV.
Così, anche se ormai il progetto di narrare gli scontri dei suoi beniamini contro ognuno dei 48 demoni fosse ormai fuori discussione, Tezuka decise comunque di dare una degna conclusione, anche se un filino aperta, alle avventure di Hyakkimaru e Dororo.
Dororo è stato recentemente pubblicato in Italia da Goen in quattro volumi ben confezionati e dagli ottimi materiali: la brossura è affidabile, la sovraccoperta robusta e ben plastificata, la carta liscia e bianca. Le onomatopee son ben riadattate e nel complesso la traduzione appare scorrevole, anche se possono suscitare dei dubbi alcune scelte d'adattamento.
Durante la lettura, infatti, difficilmente si incontrano termini e appellativi specifici riconducibili al Giappone storico dell'epoca Segoku; come se si fosse preferito evitare l'appesantimento della lettura tramite note esplicative, mirando invece a rendere immediatamente accessibile il manga ad un pubblico più generalista che purista.
Una scelta che può anche avere il suo perché, per carità, perché riservare ad esempio a Daigo Kagemitsu (il padre di Hyakkimaru) il generico appellativo di "lord", anziché "daimyo" può anche risultare indolore, ma imbattersi in uno "sceriffo" (da pagina 19 del vol.2) invece dell'originale "daikan" (代官, il magistrato/ufficiale giudiziario dell'epoca) fa tanto vecchio Far West e non Giappone antico.
A parte ciò, nessun particolare difetto da notare; la lettura scorre piacevole ed agile per tutti e 4 i volumi e l'unico errore notato è un piccolo balloon vuoto a pagina 94 del volume 3.
Quella di Dororo è una storia che parla di avidità, della ricerca di se stessi, di privazioni affettive, di vendetta e viltà umana. È un'opera in cui la componente avventurosa è un pretesto per descrivere un contesto in cui i vessati, quando ne hanno l'opportunità, sanno macchiarsi d'infamia quanto gli stessi oppressori; in cui non vi sono buoni e cattivi, ma solo individui - nobili, contadini o gli stessi demoni - che, spinti da ingordigia, disperazione, fame o egoismo, antepongono i propri interessi a quelli di chiunque altro.
In tutto ciò i due protagonisti vestono i panni del deus ex machina errante; e dopo aver rischiato la vita per il bene del prossimo, ricevono puntualmente in cambio solo tanta ingratitudine.
Non sarà l'opera più impegnativa dell'autore, ma quella di Dororo è sicuramente ancora oggi, a tanti anni dalla sua prima pubblicazione, una lettura fresca e godibilissima anche per chi non ha mai letto nulla del gran maestro ed è magari in cerca di uno starting point ideale per rompere il ghiaccio con Osamu Tezuka.
Quanto mi era mancato Tezuka! Dopo alcuni mesi di "disintossicazione" dalle sue opere e dal suo stile narrativo, fiondarmi sulla lettura di Dororo ha rappresentato un vero toccasana per me: un po' come tornare a casa dopo un lungo viaggio. Scritti e disegnati dal maestro sul finire degli anni Sessanta, i quattro volumi che compongono Dororo si leggono a una rapidità mostruosa, forti di una narrazione ricca di azione e colpi di scena ma senza mettere in alcun modo in secondo piano l'approfondimento psicologico dei protagonisti della vicenda. Quest'ultima, come ci conferma lo stesso Tezuka nella postfazione, segue la moda delle storie di yōkai e bakemono giapponesi che hanno reso famoso il grande Shigeru Mizuki e può essere riassunta brevemente come di seguito.
Tutto ha inizio dalla disgrazia occorsa allo sfortunato Hyakkimaru, un bambino nato deforme e mutilato a causa di un oscuro patto stipulato dal padre con le statue raccapriccianti di quarantotto demoni. Ciascuno di essi si è infatti impadronito di una parte del corpo del piccolo, rendendolo quindi muto, sordo, cieco e privo di arti. Con espedienti assurdi comunque perfettamente inseriti nel contesto e nella storia narrata, Hyakkimaru riesce a sopravvivere: parla col pensiero, vede senza vedere, ode senza sentire. Inoltre, grazie a un medico che si è preso cura di lui fin da quando era in fasce, al posto delle braccia ha due lame che lo aiutano nel raggiungimento del suo scopo: scovare e uccidere quarantotto demoni in modo da recuperare di volta in volta un pezzo mancante del suo corpo. Lungo il suo cammino, Hyakkimaru si imbatterà in Dororo, un ladruncolo tutto pepe che nasconde più di un segreto...
Lo stile del maestro è riconoscibile fin da subito: che si tratti del suo umorismo caratteristico (in determinate opere e occasioni, come ne La Fenice, ciò mi ha infastidito; qui invece mi ha divertito un sacco) o delle vignette disposte in sequenze a tratti cinematografiche, o dei personaggi secondari delineati alla perfezione in un paio di battute, o ancora delle emozionanti e fluide sequenze d'azione o infine dei colpi di scena sempre orchestrati a dovere, Tezuka esprime ancora una volta la sua arte al massimo del suo potenziale, regalandoci una storia sicuramente non alla portata di opere del calibro di Kirihito, Ayako o La storia dei tre Adolf, ma ciò nondimeno efficace e mai noiosa nella sua semplicità e scorrevolezza. Aggiungo che non mancano sequenze particolarmente cruente e crude, le quali contribuiscono a rendere l'opera più matura di quanto non appaia a prima vista. Unica nota negativa dell'opera è il finale un po' troppo affrettato, tanto che nella postfazione un dispiaciuto Tezuka ne spiega brevemente le cause. La versione italiana è a cura della RW Edizioni, divenuta famosa di recente per la pubblicazione di fumetti della DC Comics al posto dell'ormai fallita Planeta DeAgostini, e fa parte nello specifico della collana Goen. Le traduzioni sono buone, così come la qualità della carta e della stampa; tuttavia devo segnalare strafalcioni evidenti nell'indice dei capitoli, le cui pagine sono indicate in modo errato. Comunque, se volete leggere qualcosa del grande Tezuka e soprattutto se avete voglia di intrattenimento allo stato puro, Dororo è proprio ciò che state cercando.
Tutto ha inizio dalla disgrazia occorsa allo sfortunato Hyakkimaru, un bambino nato deforme e mutilato a causa di un oscuro patto stipulato dal padre con le statue raccapriccianti di quarantotto demoni. Ciascuno di essi si è infatti impadronito di una parte del corpo del piccolo, rendendolo quindi muto, sordo, cieco e privo di arti. Con espedienti assurdi comunque perfettamente inseriti nel contesto e nella storia narrata, Hyakkimaru riesce a sopravvivere: parla col pensiero, vede senza vedere, ode senza sentire. Inoltre, grazie a un medico che si è preso cura di lui fin da quando era in fasce, al posto delle braccia ha due lame che lo aiutano nel raggiungimento del suo scopo: scovare e uccidere quarantotto demoni in modo da recuperare di volta in volta un pezzo mancante del suo corpo. Lungo il suo cammino, Hyakkimaru si imbatterà in Dororo, un ladruncolo tutto pepe che nasconde più di un segreto...
Lo stile del maestro è riconoscibile fin da subito: che si tratti del suo umorismo caratteristico (in determinate opere e occasioni, come ne La Fenice, ciò mi ha infastidito; qui invece mi ha divertito un sacco) o delle vignette disposte in sequenze a tratti cinematografiche, o dei personaggi secondari delineati alla perfezione in un paio di battute, o ancora delle emozionanti e fluide sequenze d'azione o infine dei colpi di scena sempre orchestrati a dovere, Tezuka esprime ancora una volta la sua arte al massimo del suo potenziale, regalandoci una storia sicuramente non alla portata di opere del calibro di Kirihito, Ayako o La storia dei tre Adolf, ma ciò nondimeno efficace e mai noiosa nella sua semplicità e scorrevolezza. Aggiungo che non mancano sequenze particolarmente cruente e crude, le quali contribuiscono a rendere l'opera più matura di quanto non appaia a prima vista. Unica nota negativa dell'opera è il finale un po' troppo affrettato, tanto che nella postfazione un dispiaciuto Tezuka ne spiega brevemente le cause. La versione italiana è a cura della RW Edizioni, divenuta famosa di recente per la pubblicazione di fumetti della DC Comics al posto dell'ormai fallita Planeta DeAgostini, e fa parte nello specifico della collana Goen. Le traduzioni sono buone, così come la qualità della carta e della stampa; tuttavia devo segnalare strafalcioni evidenti nell'indice dei capitoli, le cui pagine sono indicate in modo errato. Comunque, se volete leggere qualcosa del grande Tezuka e soprattutto se avete voglia di intrattenimento allo stato puro, Dororo è proprio ciò che state cercando.
Come in tutte le opere di Tezuka, veniamo trascinati fin da subito in un'avvincente quanto cruda storia. La vicenda inizia di notte, sotto la pioggia. Un daimo, un nobile guerriero giapponese, si reca ad uno strano tempio. L'insegna sulla porta recita "Tempio Infernale". Un sacerdote lo accompagna all'interno, dove ci sono 48 statue di demoni. Le sculture sono impressionanti, sembrano quasi vive. Si dice che lo scultore, dopo averle forgiate, sia morto per la pazzia. Il daimo chiede di essere lasciato solo e s si rivela per quello che è veramente: un uomo assetato di potere, fama e ricchezza. Chiede ai 48 demoni di esaudire il suo desiderio: ottenere il potere ed impadronirsi di tutto il paese. Le statue dei demoni lo osservano in silenzio, mentre la luce delle lampade deformano i loro volti. "Per ottenere il potere farò di tutto" dice, "cosa volete? Sacrifici? Soldi?". Ma l'unica risposta che ottiene è un cucciolo di topo morto che cade dal nulla in mezzo alla stanza. Allora il daimo capisce. I demoni vogliono suo figlio. Accetta, e dice loro di dividersi il corpo di suo figlio. Occhi, bocca, mani, gambe, ogni parte equamente divisa tra i 48 demoni. In quel momento, a sigillare il patto, un colpo di vento spalanca la porta ed investe il daimo buttandolo a terra. Quando si rialza scopre che il suo corpo è costellato di "X". Il patto è stato deciso.
Passa qualche giorno e nasce il figlio del daimo. Non ha né occhi, né bocca, non ha naso, braccia o gambe. È un vero mostro. Senza alcuna compassione il padre (felice perché questo significa che lui avrebbe ottenuto il potere) si sbarazza del bambino riponendolo in una cesta e poi in un fiume, affidando al destino la sua sorte, convinto che sarebbe comunque morto ed ignorando la disperazione della madre.
La scena si sposta a 14 anni dopo. Un ragazzo sta risalendo un fiume, quando incontra una banda di guerrieri che gli ordina di consegnare loro la sua spada. Il ragazzo risponde con sincerità, affermando che è disarmato. I banditi, allora, lo attaccano, ma il ragazzo gira su se stesso le sue braccia, che si staccano. Al suo posto spuntano due affilatissime lame di katana, con le quali stermina in pochi secondi la banda. Il suo nome è Hyakkimaru, ed è un ronin, un samurai senza padrone che, accompagnato da Dororo, uno spettro senza corpo che si impossessa di tutto ciò che vede, è alla ricerca di 48 demoni. Risulta, quindi, essere il figlio del daimo, con una missione ben precisa: uccidere i 48 demoni, perché solo così potrà recuperare le parti mancanti del suo corpo.
Al di là del fatto che questa è un'opera di Osamu Tezuka, e che quindi, come molti spesso sostengono, è bella "a prescindere dal contenuto", in questo caso la storia è davvero originale ed avvincente.
Il tratto è quello di Tezuka dei tempi d'oro. Pulito, dinamico ed aggressivo. Le atmosfere sono da romanzo horror/medievale nipponico. Ancora una volta la fantasia di Tezuka la fa da padrone, coinvolgendo il lettore in una sarabanda di trame e sotto trame, momenti di tensione alternati a momenti di ilarità. L'unico difetto di questa serie, è l'eccessiva brevità. Quattro soli Tankobon originali sono davvero pochi per raccontare una storia così complessa, che poteva benissimo essere ampliata e resa ancora migliore. Ma questo non toglie nulla alla storia in se che rimane comunque semplice, godibile e fresca, anche a distanza di anni dalla stesura originale. I demoni, come al solito, sono davvero spaventosi, ma forse ancor più spaventosi sono gli esseri umani, che si servono di loro, per raggiungere mete in modo totalmente spregiudicato. I colpi di scena non mancano. Chi sembra essere buono si rivelerà essere cattivo, e chi sembra essere debole si rivelerà, poi, fortissimo. Quello che è certo, è che vi attende una piacevole lettura.
Passa qualche giorno e nasce il figlio del daimo. Non ha né occhi, né bocca, non ha naso, braccia o gambe. È un vero mostro. Senza alcuna compassione il padre (felice perché questo significa che lui avrebbe ottenuto il potere) si sbarazza del bambino riponendolo in una cesta e poi in un fiume, affidando al destino la sua sorte, convinto che sarebbe comunque morto ed ignorando la disperazione della madre.
La scena si sposta a 14 anni dopo. Un ragazzo sta risalendo un fiume, quando incontra una banda di guerrieri che gli ordina di consegnare loro la sua spada. Il ragazzo risponde con sincerità, affermando che è disarmato. I banditi, allora, lo attaccano, ma il ragazzo gira su se stesso le sue braccia, che si staccano. Al suo posto spuntano due affilatissime lame di katana, con le quali stermina in pochi secondi la banda. Il suo nome è Hyakkimaru, ed è un ronin, un samurai senza padrone che, accompagnato da Dororo, uno spettro senza corpo che si impossessa di tutto ciò che vede, è alla ricerca di 48 demoni. Risulta, quindi, essere il figlio del daimo, con una missione ben precisa: uccidere i 48 demoni, perché solo così potrà recuperare le parti mancanti del suo corpo.
Al di là del fatto che questa è un'opera di Osamu Tezuka, e che quindi, come molti spesso sostengono, è bella "a prescindere dal contenuto", in questo caso la storia è davvero originale ed avvincente.
Il tratto è quello di Tezuka dei tempi d'oro. Pulito, dinamico ed aggressivo. Le atmosfere sono da romanzo horror/medievale nipponico. Ancora una volta la fantasia di Tezuka la fa da padrone, coinvolgendo il lettore in una sarabanda di trame e sotto trame, momenti di tensione alternati a momenti di ilarità. L'unico difetto di questa serie, è l'eccessiva brevità. Quattro soli Tankobon originali sono davvero pochi per raccontare una storia così complessa, che poteva benissimo essere ampliata e resa ancora migliore. Ma questo non toglie nulla alla storia in se che rimane comunque semplice, godibile e fresca, anche a distanza di anni dalla stesura originale. I demoni, come al solito, sono davvero spaventosi, ma forse ancor più spaventosi sono gli esseri umani, che si servono di loro, per raggiungere mete in modo totalmente spregiudicato. I colpi di scena non mancano. Chi sembra essere buono si rivelerà essere cattivo, e chi sembra essere debole si rivelerà, poi, fortissimo. Quello che è certo, è che vi attende una piacevole lettura.