Suicide Island
Spesso purtroppo mi capita di leggere manga con protagonisti adolescenti con un intelletto pari a quello di un adulto navigato e la cosa spesso stride, qui finalmente i protagonisti sono tutte persone adulte in un opera matura e spesso riflessiva.
Spesso i seinen vengono letti anche dai ragazzini, in questo caso mi sento di consigliare la lettura ad un pubblico maturo.
Ecco la trama: In Giappone pare che il numero dei suicidi aumenti sempre più ma il paese, incapace di affrontare tale spesa, ha deciso di liberarsi dei suicidi recidivi abbandonandoli su un'isola deserta.
E proprio in questo contesto primitivo, in una terra senza leggi e regole, abbandonati a se stessi, che l'essenza vera delle persone viene a galla.
Morire, rinunciare a lottare, o cercare di continuare a vivere? Su questa domanda ruota bene o male l'intero manga.
Kouji Mori è un artista davvero interessante e in quest'opera mostra, in maniera realistica e coerente al contesto, l'animo umano in tutte le sue sfaccettature: quelle brutali, egoiste, distruttive, violente, ma anche i lati umani, l'amicizia, l'empatia, l'altruismo, la gentilezza, il sacrificio, il senso profondo di vita e morte.
Il protagonista, Sei (significa non a caso "vita" in Giapponese), cercherà in questa isola, insieme ad altri come lui, di trovare un nuovo significato alla propria vita, o almeno provarci. Cosa lo aspetterà?
** ATTENZIONE SPOILER**
La condivisione di ferite passate con gli altri abitanti dell'isola, tutti suicidi recidivi, e la condizione di dover collaborare per sopravvivere porta da subito ad una empatia che crea legami più solidi di quanto non ci si possa aspettare.
La ricerca di cibo, l'organizzazione dei ruoli, porta il nostro protagonista a cooperare con Ryo, eletto da tutti come leader, con Tomo ragazzo timido ma gentile, con Sugi l'occhialuto e con Ken; presto la frequentazione si trasformerà in una preziosa e solida amicizia, ognuno con la propria storia tragica alle spalle e un ruolo preciso in questo manga, mai banale.
Viene dato molto spazio al come sopravvivere nella natura con i mezzi a disposizione, l'autore è molto meticoloso in questo e a volte spiega in maniera semplice ed esaustiva alcune tecniche istruttive.
Nonostante nell'isola si possano trovare case abbandonate con attrezzi utili, la sopravvivenza in un territorio per lo più primitivo porta i nostri personaggi a fare numerose scoperte: l'adrenalina durante la caccia ai cervi, la gratitudine verso l'animale che donerà la propria vita per la tua sopravvivenza, l'apprendimento di tecniche come la pesca, l'affumicatura della carne, la creazione del sale e di armi per la difesa, l'importanza dell'allevamento di capre e galline, le difficoltà e le tensioni legate all'insorgere di conflitti con altri gruppi e alla convivenza con altre persone, e anche la nascita di una storia d'amore.
L'autore bilancia perfettamente tutti questi elementi senza mai annoiare , chiude tutti i cerchi narrativi senza lasciare nulla in sospeso e il finale è esaustivo, a me è piaciuto.
Le riflessioni e le storie dei protagonisti sono interessanti.
"Solo qui riesco a sentirmi in pace. Sono da solo, e divento una cosa sola con la foresta. In questi momenti sono pervaso da un senso di completezza. Non mi sono mai sentito così quando ero in città.. Mi sentivo sempre inquieto, assettato e sempre afflitto. Nella mia vita precedente mi sentivo un fallito.
Ottenere sempre di più, avere sempre di più, conquistare sempre di più ... così veniamo cresciuti.
Sono sicuro che questa società competitiva sia arrivata a pensare che le cose e i successi ottenuti tramite la competizione siano qualcosa degna di lode.
Tuttavia, a differenza della spinta a ottenere di più, ci si è del tutto dimenticati della spinta a "SENTIRE" di più.
A dimostrazione di ciò, c'è il fatto che nella società giapponese il tasso di suicidi non fa altro che aumentare. Queste sono persone che hanno un lavoro, una famiglia, persone a cui non manca nulla, eppure si suicidano.
Per gli altri è impossibile capire, però per queste persone la vita di tutti i giorni diventa un tale tormento da spingerle a farla finita.
Io penso che la capacità di essere felici sia essenziale.
Non è che il problema è la società moderna stessa che considera questa abilità essenziale come superflua?
Non siamo noi che non proviamo mai la "felicità" di sentire il vento tra i capelli, di goderci il sole? Non siamo noi che non ci sentiamo appagati dal verde in un parco, o da un lungomare in estate, o una bevanda calda d'inverno?
Tanto tempo fa le persone avevano la capacità di sentirsi felici così.
Però i nostri genitori e i nostri insegnanti ci ripetono continuamente che dobbiamo essere vincenti, dobbiamo ottenere sempre più, dobbiamo far carriera.
Coloro che non riescono a vincere, coloro che falliscono li considerano dei buoni a nulla, è logico.
Tuttavia la vita umana è un continuo vincere e perdere, un alternarsi di successi e fallimenti. Ed esistono modi per mettersi il cuore in pace: i semplici piaceri della carne, la soddisfazione di capire qualcosa, l'estasi di esperire la bellezza, la gioia di comprendere un altro essere umano.
Vorrei che non dimenticaste queste abilità essenziali.
E vorrei che i genitori e gli insegnanti e la società in generale, la prendessero più in considerazione."
** FINE SPOILER**
Parlando dello stile di disegno, i volti a me personalmente non piacciono, un pò si assomigliano tutti se non per il taglio di capelli o per qualche elemento che li differenzia (gli occhiali o la bandana), ma gli sfondi e i dettagli sono ben definiti e curati.
La Goen apprezza molto questo autore, infatti pubblicò anche "Holyland" e ha portato in Italia "Suicide Island" , seppur con pubblicazioni molto irregolari (tipiche della Goen) , ci sono stati due anni addirittura in cui non uscì neppure un volume, per poi riprendere nel 2020 e completare velocemente la serie di 17 volumi totali che sono comunque di buona qualità.
Consiglio questa lettura praticamente a tutti purchè sia un pubblico maturo, per la crudezza di alcune tematiche trattate.
Spesso i seinen vengono letti anche dai ragazzini, in questo caso mi sento di consigliare la lettura ad un pubblico maturo.
Ecco la trama: In Giappone pare che il numero dei suicidi aumenti sempre più ma il paese, incapace di affrontare tale spesa, ha deciso di liberarsi dei suicidi recidivi abbandonandoli su un'isola deserta.
E proprio in questo contesto primitivo, in una terra senza leggi e regole, abbandonati a se stessi, che l'essenza vera delle persone viene a galla.
Morire, rinunciare a lottare, o cercare di continuare a vivere? Su questa domanda ruota bene o male l'intero manga.
Kouji Mori è un artista davvero interessante e in quest'opera mostra, in maniera realistica e coerente al contesto, l'animo umano in tutte le sue sfaccettature: quelle brutali, egoiste, distruttive, violente, ma anche i lati umani, l'amicizia, l'empatia, l'altruismo, la gentilezza, il sacrificio, il senso profondo di vita e morte.
Il protagonista, Sei (significa non a caso "vita" in Giapponese), cercherà in questa isola, insieme ad altri come lui, di trovare un nuovo significato alla propria vita, o almeno provarci. Cosa lo aspetterà?
** ATTENZIONE SPOILER**
La condivisione di ferite passate con gli altri abitanti dell'isola, tutti suicidi recidivi, e la condizione di dover collaborare per sopravvivere porta da subito ad una empatia che crea legami più solidi di quanto non ci si possa aspettare.
La ricerca di cibo, l'organizzazione dei ruoli, porta il nostro protagonista a cooperare con Ryo, eletto da tutti come leader, con Tomo ragazzo timido ma gentile, con Sugi l'occhialuto e con Ken; presto la frequentazione si trasformerà in una preziosa e solida amicizia, ognuno con la propria storia tragica alle spalle e un ruolo preciso in questo manga, mai banale.
Viene dato molto spazio al come sopravvivere nella natura con i mezzi a disposizione, l'autore è molto meticoloso in questo e a volte spiega in maniera semplice ed esaustiva alcune tecniche istruttive.
Nonostante nell'isola si possano trovare case abbandonate con attrezzi utili, la sopravvivenza in un territorio per lo più primitivo porta i nostri personaggi a fare numerose scoperte: l'adrenalina durante la caccia ai cervi, la gratitudine verso l'animale che donerà la propria vita per la tua sopravvivenza, l'apprendimento di tecniche come la pesca, l'affumicatura della carne, la creazione del sale e di armi per la difesa, l'importanza dell'allevamento di capre e galline, le difficoltà e le tensioni legate all'insorgere di conflitti con altri gruppi e alla convivenza con altre persone, e anche la nascita di una storia d'amore.
L'autore bilancia perfettamente tutti questi elementi senza mai annoiare , chiude tutti i cerchi narrativi senza lasciare nulla in sospeso e il finale è esaustivo, a me è piaciuto.
Le riflessioni e le storie dei protagonisti sono interessanti.
"Solo qui riesco a sentirmi in pace. Sono da solo, e divento una cosa sola con la foresta. In questi momenti sono pervaso da un senso di completezza. Non mi sono mai sentito così quando ero in città.. Mi sentivo sempre inquieto, assettato e sempre afflitto. Nella mia vita precedente mi sentivo un fallito.
Ottenere sempre di più, avere sempre di più, conquistare sempre di più ... così veniamo cresciuti.
Sono sicuro che questa società competitiva sia arrivata a pensare che le cose e i successi ottenuti tramite la competizione siano qualcosa degna di lode.
Tuttavia, a differenza della spinta a ottenere di più, ci si è del tutto dimenticati della spinta a "SENTIRE" di più.
A dimostrazione di ciò, c'è il fatto che nella società giapponese il tasso di suicidi non fa altro che aumentare. Queste sono persone che hanno un lavoro, una famiglia, persone a cui non manca nulla, eppure si suicidano.
Per gli altri è impossibile capire, però per queste persone la vita di tutti i giorni diventa un tale tormento da spingerle a farla finita.
Io penso che la capacità di essere felici sia essenziale.
Non è che il problema è la società moderna stessa che considera questa abilità essenziale come superflua?
Non siamo noi che non proviamo mai la "felicità" di sentire il vento tra i capelli, di goderci il sole? Non siamo noi che non ci sentiamo appagati dal verde in un parco, o da un lungomare in estate, o una bevanda calda d'inverno?
Tanto tempo fa le persone avevano la capacità di sentirsi felici così.
Però i nostri genitori e i nostri insegnanti ci ripetono continuamente che dobbiamo essere vincenti, dobbiamo ottenere sempre più, dobbiamo far carriera.
Coloro che non riescono a vincere, coloro che falliscono li considerano dei buoni a nulla, è logico.
Tuttavia la vita umana è un continuo vincere e perdere, un alternarsi di successi e fallimenti. Ed esistono modi per mettersi il cuore in pace: i semplici piaceri della carne, la soddisfazione di capire qualcosa, l'estasi di esperire la bellezza, la gioia di comprendere un altro essere umano.
Vorrei che non dimenticaste queste abilità essenziali.
E vorrei che i genitori e gli insegnanti e la società in generale, la prendessero più in considerazione."
** FINE SPOILER**
Parlando dello stile di disegno, i volti a me personalmente non piacciono, un pò si assomigliano tutti se non per il taglio di capelli o per qualche elemento che li differenzia (gli occhiali o la bandana), ma gli sfondi e i dettagli sono ben definiti e curati.
La Goen apprezza molto questo autore, infatti pubblicò anche "Holyland" e ha portato in Italia "Suicide Island" , seppur con pubblicazioni molto irregolari (tipiche della Goen) , ci sono stati due anni addirittura in cui non uscì neppure un volume, per poi riprendere nel 2020 e completare velocemente la serie di 17 volumi totali che sono comunque di buona qualità.
Consiglio questa lettura praticamente a tutti purchè sia un pubblico maturo, per la crudezza di alcune tematiche trattate.
Grandioso. Sono assolutamente lieto che un manga così valido sia in procinto di essere pubblicato in Italia. E dire che gli argomenti in esso trattato non sono neanche così originali: dal capostipite "Robinson Crusoe" al crudele "Il Signore delle Mosche", passando per l'intrigante "Lost", quante volte abbiamo goduto di storie che trattavano di persone sperdute su isole deserte, a fare i conti con un ritorno allo stato naturale nel quale ognuno è libero, troppo libero di decidere la nuova esistenza da intraprendere? Il fumetto, tuttavia, è un genere di arte che riesce a coinvolgerci in maniera ben diversa da come ci riuscirebbe un romanzo o un seriale televisivo. È la passione che, credo, tutti voi che leggete queste parole condividete. E vedere una storia vecchia, ma rivitalizzata dal suo passaggio ai disegni e alle nuvolette, non può che costituire un motivo più che valido per apprezzare profondamente questo contorto ma geniale manga.
La sostanza è la stessa, ma l'impostazione è ben diversa. Robinson Crusoe era un naufrago, mentre i bambini de "Il Signore delle Mosche" erano semplicemente protagonisti di un incidente aereo: laddove i protagonisti delle opere che ho citato non erano altro che vittime della sorte avversa, i personaggi di cui si compone "Suicide Island" sono invece sì vittime, ma sia di loro stessi che di un sistema a dir poco kafkiano, che li ha riuniti tutti nello stesso posto per un unico scopo, liberarsi di loro. Già un'opera come "Ikigami" aveva dato vita ad un Giappone alternativo, dove le alte sfere decidono di affrontare un problema relativo alla loro società in una maniera ben poco ortodossa. "Suicide Island" non è drastico come "Ikigami", ma poco ci manca; per di più, indizi nel corso della storia riveleranno particolari interessanti, che fanno sembrare la vicenda come una sregolata, selvaggia versione di "Hunger Games" senza tutta la parte dello show televisivo (potrei essere in errore su questo punto, eh, non sono ancora arrivato al finale, quindi tutto può essere).
Per risparmiare soldi sulle cure e la riabilitazione di aspiranti suicidi, il governo del Giappone decide di caricarli tutti su un barcone e di mollarli su un'isola sperduta, impedendo loro la fuga e dandoli per morti in patria (magari spendendo comunque una bella somma nell'ingaggio degli scafisti). Ecco l'elemento kafkiano della storia: si tratta di una situazione chiaramente assurda, perché nessun paese di una levatura assimilabile a quella del Giappone commetterebbe simili violazioni dei diritti umani. C'è di più: dato il fatto che tutti gli abitanti dell'isola sono persone che hanno cercato di darsi la morte, si viene a creare immediatamente un clima di tensione dovuto al fatto che, mentre alcuni portano immediatamente a termine il loro precedente proposito, coloro che decidono di lottare per la propria sopravvivenza scoprono sin da subito di non essere i primi residenti dell'isola. Fra tutti, emergerà la figura di Sei (non a caso, il suo nome significa "vita"), autoproclamatosi cacciatore del gruppo: seguiremo la vicenda attraverso i suoi occhi, e sempre dal suo punto di vista verremo a contatto con l'oscurità che inquina ogni personaggio, e osserveremo le ipocrisie, le ossessioni, le contraddizioni di cui si compone l'essere umano, che allo stato selvatico emergono più preponderanti e violente che mai. La lotta di Sei non è solo una battaglia per la sopravvivenza: la sua sarà una guerra silente contro sé stesso, mentre dovrà decidere quello che è giusto e quello che è sbagliato, se il suo desiderio di sopravvivere è così forte come crede, e, soprattutto, chi sono gli uomini... e chi sono i mostri.
Descrivere oltre la trama sarebbe, oltre che uno spoilerare, un voler descrivere la psiche umana e le decisioni che essa è capace di prendere in una situazione così drastica. Davvero, l'idea geniale del mangaka è stata quella di raccogliere un gruppo di mentalmente instabili, che hanno già deciso di gettarsi alle spalle quanto li rendeva delle persone normali, e immaginare una situazione dove sarebbero stati a contatto l'uno contro l'altro, liberi non solo di dare sfogo ai loro desideri più bassi, ma soprattutto di decidere di lasciarsi andare, e rinunciare a combattere. Perché alla fin fine la trama si può riassumere con queste semplici parole: arrendersi, o combattere. E voialtri, che leggerete questo manga, dovrete fare attenzione a non credere che l'arrendersi e il rinunciare alla propria vita siano la stessa cosa...
C'è una grossa nota positiva, in questo manga: i disegni. Sono piuttosto inusuali, e l'isola potrebbe quasi vivere di un'esistenza propria, tanto è dettagliata e particolareggiata. C'è, da parte dell'autore, il ricorso a tutto un sistema di ombreggiature che evidenzia in maniera sublime il buio in agguato nell'animo di ciascun personaggio. Il design dei personaggi non è granché ricco o vario, ma è molto espressivo, e il fatto che, spesso, le teste siano disegnate in maniera decisamente sproporzionata rispetto al corpo mi fa sospettare il ricorso ad un espediente che potremmo definire alla "David" di Michelangelo: ingrandire la testa per mettere in risalto il fatto che il personaggio pensa, più che agire, che è la sua mente e non il suo corpo a contare.
Negativo è invece il mio giudizio su alcuni strafalcioni: diciamo semplicemente che il primo volumetto non è particolarmente ispirato, e presenta dei punti deboli che fanno stridere la coerenza. Fortunatamente, la vicenda si fa pian piano più tesa, appassionante e ricca di elementi, ed è questo a vincere il lettore "over time": credetemi, vi conviene seguire almeno due o tre volumi, per giudicare appieno il manga.
Concludo aggiungendo che questo manga mi ha appassionato al punto che, alla sua ormai imminente release italiana, sarò in prima fila per acquistarne il primo volume, pur avendolo già letto. È una storia malata, distorta e inquietante, ma è proprio questo a renderla così emozionante e sorprendente. Sono curioso di sapere come si concluderà, e per questo lo seguirò con attenzione. Per il resto, posso solo sconsigliare "Suicide Island" ai deboli di stomaco e alle persone che non apprezzano le opere cervellotiche, perché violenza e introspezione sono dei capisaldi su cui si fonda l'intera vicenda. Detto questo, auguro buona lettura a tutti gli appassionati di Seinen.
La sostanza è la stessa, ma l'impostazione è ben diversa. Robinson Crusoe era un naufrago, mentre i bambini de "Il Signore delle Mosche" erano semplicemente protagonisti di un incidente aereo: laddove i protagonisti delle opere che ho citato non erano altro che vittime della sorte avversa, i personaggi di cui si compone "Suicide Island" sono invece sì vittime, ma sia di loro stessi che di un sistema a dir poco kafkiano, che li ha riuniti tutti nello stesso posto per un unico scopo, liberarsi di loro. Già un'opera come "Ikigami" aveva dato vita ad un Giappone alternativo, dove le alte sfere decidono di affrontare un problema relativo alla loro società in una maniera ben poco ortodossa. "Suicide Island" non è drastico come "Ikigami", ma poco ci manca; per di più, indizi nel corso della storia riveleranno particolari interessanti, che fanno sembrare la vicenda come una sregolata, selvaggia versione di "Hunger Games" senza tutta la parte dello show televisivo (potrei essere in errore su questo punto, eh, non sono ancora arrivato al finale, quindi tutto può essere).
Per risparmiare soldi sulle cure e la riabilitazione di aspiranti suicidi, il governo del Giappone decide di caricarli tutti su un barcone e di mollarli su un'isola sperduta, impedendo loro la fuga e dandoli per morti in patria (magari spendendo comunque una bella somma nell'ingaggio degli scafisti). Ecco l'elemento kafkiano della storia: si tratta di una situazione chiaramente assurda, perché nessun paese di una levatura assimilabile a quella del Giappone commetterebbe simili violazioni dei diritti umani. C'è di più: dato il fatto che tutti gli abitanti dell'isola sono persone che hanno cercato di darsi la morte, si viene a creare immediatamente un clima di tensione dovuto al fatto che, mentre alcuni portano immediatamente a termine il loro precedente proposito, coloro che decidono di lottare per la propria sopravvivenza scoprono sin da subito di non essere i primi residenti dell'isola. Fra tutti, emergerà la figura di Sei (non a caso, il suo nome significa "vita"), autoproclamatosi cacciatore del gruppo: seguiremo la vicenda attraverso i suoi occhi, e sempre dal suo punto di vista verremo a contatto con l'oscurità che inquina ogni personaggio, e osserveremo le ipocrisie, le ossessioni, le contraddizioni di cui si compone l'essere umano, che allo stato selvatico emergono più preponderanti e violente che mai. La lotta di Sei non è solo una battaglia per la sopravvivenza: la sua sarà una guerra silente contro sé stesso, mentre dovrà decidere quello che è giusto e quello che è sbagliato, se il suo desiderio di sopravvivere è così forte come crede, e, soprattutto, chi sono gli uomini... e chi sono i mostri.
Descrivere oltre la trama sarebbe, oltre che uno spoilerare, un voler descrivere la psiche umana e le decisioni che essa è capace di prendere in una situazione così drastica. Davvero, l'idea geniale del mangaka è stata quella di raccogliere un gruppo di mentalmente instabili, che hanno già deciso di gettarsi alle spalle quanto li rendeva delle persone normali, e immaginare una situazione dove sarebbero stati a contatto l'uno contro l'altro, liberi non solo di dare sfogo ai loro desideri più bassi, ma soprattutto di decidere di lasciarsi andare, e rinunciare a combattere. Perché alla fin fine la trama si può riassumere con queste semplici parole: arrendersi, o combattere. E voialtri, che leggerete questo manga, dovrete fare attenzione a non credere che l'arrendersi e il rinunciare alla propria vita siano la stessa cosa...
C'è una grossa nota positiva, in questo manga: i disegni. Sono piuttosto inusuali, e l'isola potrebbe quasi vivere di un'esistenza propria, tanto è dettagliata e particolareggiata. C'è, da parte dell'autore, il ricorso a tutto un sistema di ombreggiature che evidenzia in maniera sublime il buio in agguato nell'animo di ciascun personaggio. Il design dei personaggi non è granché ricco o vario, ma è molto espressivo, e il fatto che, spesso, le teste siano disegnate in maniera decisamente sproporzionata rispetto al corpo mi fa sospettare il ricorso ad un espediente che potremmo definire alla "David" di Michelangelo: ingrandire la testa per mettere in risalto il fatto che il personaggio pensa, più che agire, che è la sua mente e non il suo corpo a contare.
Negativo è invece il mio giudizio su alcuni strafalcioni: diciamo semplicemente che il primo volumetto non è particolarmente ispirato, e presenta dei punti deboli che fanno stridere la coerenza. Fortunatamente, la vicenda si fa pian piano più tesa, appassionante e ricca di elementi, ed è questo a vincere il lettore "over time": credetemi, vi conviene seguire almeno due o tre volumi, per giudicare appieno il manga.
Concludo aggiungendo che questo manga mi ha appassionato al punto che, alla sua ormai imminente release italiana, sarò in prima fila per acquistarne il primo volume, pur avendolo già letto. È una storia malata, distorta e inquietante, ma è proprio questo a renderla così emozionante e sorprendente. Sono curioso di sapere come si concluderà, e per questo lo seguirò con attenzione. Per il resto, posso solo sconsigliare "Suicide Island" ai deboli di stomaco e alle persone che non apprezzano le opere cervellotiche, perché violenza e introspezione sono dei capisaldi su cui si fonda l'intera vicenda. Detto questo, auguro buona lettura a tutti gli appassionati di Seinen.
Ecco uno di quei seinen che danno un senso al termine utilizzato...
Spiego cosa intendo con questa frase: solitamente l'etichetta "seinen" serve solo per far vendere delle opere non propriamente adulte, ma che per varie tematiche non possono nemmeno essere considerate per ragazzini, vuoi per l'età del protagonista, vuoi per i riferimenti sessuali, religiosi o eccessivamente violenti, fatto sta che spesso questi "seinen" appunto sarebbero godibili anche dai ragazzini, se non ci fossero questi elementi.
Ebbene, Suicide Island invece è davvero un'opera adulta. Parla di gente adulta e non, che ragiona in modo adulto, che litiga e sottomette le altre persone con una psicologia tanto crudele quanto reale. Se siete degli adolescenti e siete attratti dalle tematiche trattate, per una volta vi conviene mantenervi la curiosità, qui davvero si affronta la bassezza dell'essere umano in tutta la sua crudeltà, senza bisogno di inutili spargimenti di sangue, ma solo mostrando un gruppo di persone disperate che toccano il fondo.
C'è di mezzo anche una storia d'amore, ma se siete ragazze amanti degli shojo allora rimarrete deluse, anzi, potreste pure odiare la ragazza in questione, così fredda e distaccata, così lontana da ciò che un'adolescente chiama "amore", quasi incomprensibile se non si hanno alcuni anni d'età alle spalle.
Il tratto è buono, non eccezionale, ma in grado di fare il suo mestiere, mentre gli sfondi sono abbastanza curati da immergere nell'atmosfera a dovere. La narrazione non è molto veloce, i personaggi, quando parlano, dicono molte cose, e quindi il ritmo della lettura è lento in certi punti... poco male, essendo un manga abbastanza riflessivo.
Concludendo: un seinen "vero", sconsigliato a chi non ama il genere, per tutti gli altri o per chiunque ami il buon fumetto, è una lettura molto consigliata.
Spiego cosa intendo con questa frase: solitamente l'etichetta "seinen" serve solo per far vendere delle opere non propriamente adulte, ma che per varie tematiche non possono nemmeno essere considerate per ragazzini, vuoi per l'età del protagonista, vuoi per i riferimenti sessuali, religiosi o eccessivamente violenti, fatto sta che spesso questi "seinen" appunto sarebbero godibili anche dai ragazzini, se non ci fossero questi elementi.
Ebbene, Suicide Island invece è davvero un'opera adulta. Parla di gente adulta e non, che ragiona in modo adulto, che litiga e sottomette le altre persone con una psicologia tanto crudele quanto reale. Se siete degli adolescenti e siete attratti dalle tematiche trattate, per una volta vi conviene mantenervi la curiosità, qui davvero si affronta la bassezza dell'essere umano in tutta la sua crudeltà, senza bisogno di inutili spargimenti di sangue, ma solo mostrando un gruppo di persone disperate che toccano il fondo.
C'è di mezzo anche una storia d'amore, ma se siete ragazze amanti degli shojo allora rimarrete deluse, anzi, potreste pure odiare la ragazza in questione, così fredda e distaccata, così lontana da ciò che un'adolescente chiama "amore", quasi incomprensibile se non si hanno alcuni anni d'età alle spalle.
Il tratto è buono, non eccezionale, ma in grado di fare il suo mestiere, mentre gli sfondi sono abbastanza curati da immergere nell'atmosfera a dovere. La narrazione non è molto veloce, i personaggi, quando parlano, dicono molte cose, e quindi il ritmo della lettura è lento in certi punti... poco male, essendo un manga abbastanza riflessivo.
Concludendo: un seinen "vero", sconsigliato a chi non ama il genere, per tutti gli altri o per chiunque ami il buon fumetto, è una lettura molto consigliata.