Free Soul
Nutrivo delle aspettative piuttosto alte, lo ammetto. Certo non pretendevo di trovarmi di fronte a una rivisitazione in chiave moderna de <i>Il pozzo della solitudine</i>, capolavoro di Radclyffe Hall che rappresenta uno dei capisaldi della letteratura LGBT, ma le premesse lasciavano presagire la presenza di un potenziale rimasto poi tristemente inespresso, quasi inesplorato, sicuramente anche a causa della brevità dell'opera. Cose che succedono, ma che lasciano un retrogusto amaro a cui la bocca non si abitua mai del tutto.
Keito ha ventidue anni ed è lesbica. Dopo l'ennesimo alterco con la madre, che non riesce ad accettare la sua diversità, decide abbandonare la casa di famiglia e di trovare il suo posto nel mondo; un posto dove le persone non la giudichino per le sue tendenze e dove guadagnarsi da vivere facendo il mestiere che più le piace, la disegnatrice di manga. Da molto tempo, infatti, le frulla per la testa un'idea che per qualche motivo non vuole saperne di uscire fuori, la storia di una cantante <i>soul</i> a cui piacciono le donne come a lei. Angie - questo il suo nome - rappresenta tutto ciò che Keito vorrebbe disperatamente diventare, una donna forte e in pace con se stessa che affronta la vita a testa alta perché non ha niente da perdere. Dopodiché l'obiettivo rimane uno solo, comune a tutti gli esseri umani a prescindere dal loro orientamento sessuale: la ricerca dell'amore. Quello vero, capace di abbattere ogni barriera e di durare per l'eternità.
Ma ahimè, per quanto la prospettiva di vivere d'arte e d'amore possa essere allettante è anche difficile da mettere in pratica. Senza soldi né un posto dove andare, la ragazza cade presto in preda allo sconforto. È proprio allora che incontra una vecchia pittrice eccentrica che le offre ospitalità presso casa sua, senza vincoli temporali e soprattutto senza chiederle nulla in cambio. Con la donna vive anche il suo attuale modello, un ragazzo poco più grande di Keito di nome Sumihiko. Questa strana convivenza a tre sortisce sulla giovane un effetto benefico, tanto da farle guadagnare la serenità necessaria per cominciare finalmente a dedicarsi al suo manga.
La tanto agognata tranquillità viene presto messa a dura prova dall'incontro con Niki, una sensuale musicista da cui Keito rimarrà immediatamente attratta: un amore che la corroderà dal profondo e che la porterà, finalmente, a crescere. Se sola o “accompagnata”, per così dire, lo lascio scoprire a voi.
La trama è piuttosto lineare e, fortunatamente, priva di inutili fronzoli: la combinazione migliore. Sfortunatamente l'introspezione psicologica dei personaggi risulta poco approfondita, conferendo ad alcuni una passività e una piattezza a dir poco allarmanti. A risentirne di più, ovviamente, è Keito, che come personaggio dà il meglio di sé non tanto nel suo rapporto con Niki - discretamente caratterizzata -, bensì in relazione alla sua creazione, la stereotipata e deludente Angie. Nei panni di un editor consiglierei caldamente alla fanciulla di cambiare mestiere.
Per quanto riguarda la tematica del lesbismo sono seriamente combattuta: da una parte ritengo che l'amore, qualunque forma esso decida si assumere, non abbia bisogno di grandi spiegazioni, e quindi non vedo perché quello tra Keito e Niki avrebbe dovuto essere caratterizzato in maniera diversa rispetto a quanto sarebbe lecito aspettarsi da una storia più “convenzionale”; dall'altra, tuttavia, mi dico che a questo punto tanto valeva che Keito fosse etero. Che senso ha dare a una storia un “valore aggiunto” di questo tipo se poi non si ha intenzione di utilizzarlo? Le poche riflessioni di Keito sull'argomento, sia per bocca propria che per quella di Angie, non aggiungono e non tolgono nulla al riguardo. Anche sotto questo aspetto la sua psicologia emerge realmente soltanto se rapportata a quella di qualcun altro, in questo caso la madre che, per quanto ricopra un ruolo marginale, con il suo atteggiamento offre gli unici veri spunti di riflessione in tutta l'opera.
Il tratto non è sgradevole, ma neppure appetibile. Per quanto non mi stancherò mai di professare la mia intolleranza agli occhioni tipici di certi manga il loro esatto contrario, cioè i classici due puntini, non costituisce un'alternativa migliore. Ciò che più salta agli occhi in <i>Free Soul</i>, comunque, è il biancore estremo delle tavole, quasi senza fondali o retini: se da un lato questa particolare scelta stilistica ha il suo fascino, dall'altro alla lunga questo vuoto risulta più deprimente di quanto potrebbe esserlo una sequela di tavole scure. Per contro, il “manga nel manga” è molto più particolareggiato, ma fa pensare più ad un fumetto occidentale che a un'opera giapponese, oltre che a lasciare basiti per quanto sappia di già visto.
Parafrasando Chuck Palahniuk: “Sprecato” non è la parola esatta, ma è la prima che mi viene in mente.
Keito ha ventidue anni ed è lesbica. Dopo l'ennesimo alterco con la madre, che non riesce ad accettare la sua diversità, decide abbandonare la casa di famiglia e di trovare il suo posto nel mondo; un posto dove le persone non la giudichino per le sue tendenze e dove guadagnarsi da vivere facendo il mestiere che più le piace, la disegnatrice di manga. Da molto tempo, infatti, le frulla per la testa un'idea che per qualche motivo non vuole saperne di uscire fuori, la storia di una cantante <i>soul</i> a cui piacciono le donne come a lei. Angie - questo il suo nome - rappresenta tutto ciò che Keito vorrebbe disperatamente diventare, una donna forte e in pace con se stessa che affronta la vita a testa alta perché non ha niente da perdere. Dopodiché l'obiettivo rimane uno solo, comune a tutti gli esseri umani a prescindere dal loro orientamento sessuale: la ricerca dell'amore. Quello vero, capace di abbattere ogni barriera e di durare per l'eternità.
Ma ahimè, per quanto la prospettiva di vivere d'arte e d'amore possa essere allettante è anche difficile da mettere in pratica. Senza soldi né un posto dove andare, la ragazza cade presto in preda allo sconforto. È proprio allora che incontra una vecchia pittrice eccentrica che le offre ospitalità presso casa sua, senza vincoli temporali e soprattutto senza chiederle nulla in cambio. Con la donna vive anche il suo attuale modello, un ragazzo poco più grande di Keito di nome Sumihiko. Questa strana convivenza a tre sortisce sulla giovane un effetto benefico, tanto da farle guadagnare la serenità necessaria per cominciare finalmente a dedicarsi al suo manga.
La tanto agognata tranquillità viene presto messa a dura prova dall'incontro con Niki, una sensuale musicista da cui Keito rimarrà immediatamente attratta: un amore che la corroderà dal profondo e che la porterà, finalmente, a crescere. Se sola o “accompagnata”, per così dire, lo lascio scoprire a voi.
La trama è piuttosto lineare e, fortunatamente, priva di inutili fronzoli: la combinazione migliore. Sfortunatamente l'introspezione psicologica dei personaggi risulta poco approfondita, conferendo ad alcuni una passività e una piattezza a dir poco allarmanti. A risentirne di più, ovviamente, è Keito, che come personaggio dà il meglio di sé non tanto nel suo rapporto con Niki - discretamente caratterizzata -, bensì in relazione alla sua creazione, la stereotipata e deludente Angie. Nei panni di un editor consiglierei caldamente alla fanciulla di cambiare mestiere.
Per quanto riguarda la tematica del lesbismo sono seriamente combattuta: da una parte ritengo che l'amore, qualunque forma esso decida si assumere, non abbia bisogno di grandi spiegazioni, e quindi non vedo perché quello tra Keito e Niki avrebbe dovuto essere caratterizzato in maniera diversa rispetto a quanto sarebbe lecito aspettarsi da una storia più “convenzionale”; dall'altra, tuttavia, mi dico che a questo punto tanto valeva che Keito fosse etero. Che senso ha dare a una storia un “valore aggiunto” di questo tipo se poi non si ha intenzione di utilizzarlo? Le poche riflessioni di Keito sull'argomento, sia per bocca propria che per quella di Angie, non aggiungono e non tolgono nulla al riguardo. Anche sotto questo aspetto la sua psicologia emerge realmente soltanto se rapportata a quella di qualcun altro, in questo caso la madre che, per quanto ricopra un ruolo marginale, con il suo atteggiamento offre gli unici veri spunti di riflessione in tutta l'opera.
Il tratto non è sgradevole, ma neppure appetibile. Per quanto non mi stancherò mai di professare la mia intolleranza agli occhioni tipici di certi manga il loro esatto contrario, cioè i classici due puntini, non costituisce un'alternativa migliore. Ciò che più salta agli occhi in <i>Free Soul</i>, comunque, è il biancore estremo delle tavole, quasi senza fondali o retini: se da un lato questa particolare scelta stilistica ha il suo fascino, dall'altro alla lunga questo vuoto risulta più deprimente di quanto potrebbe esserlo una sequela di tavole scure. Per contro, il “manga nel manga” è molto più particolareggiato, ma fa pensare più ad un fumetto occidentale che a un'opera giapponese, oltre che a lasciare basiti per quanto sappia di già visto.
Parafrasando Chuck Palahniuk: “Sprecato” non è la parola esatta, ma è la prima che mi viene in mente.