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Filips

Volumi letti: 46/46 --- Voto 9,5
“…Quando gli agnelli si perdono sulla montagna, disse. Gridano. Qualche volta arriva la madre. Qualche volta il lupo.” – Meridiano di sangue, Cormac McCarthy

Un po’ come delle pecorelle smarrite, la fauna umana che popola le pagine de l’Usuraio spesso si trova a un punto saliente della propria misera vita, a quel bivio tra il mettere da parte le meschinità, rimboccarsi le maniche e cercare di restare a galla nel mare di m*rda in cui sguazza, o diventare anonima carne da macello, a volte trascinando con sé nel baratro anche i familiari e i presunti amici. E, inutile dirlo, scelgono tutti – inconsapevolmente – la strada più facile: quella per il mattatoio.

Shohei Manabe, autore de L’Usuraio, scava a mani nude nel torbido e nel marcio del suo Paese, cercando di tracciare un percorso accidentato tra le zone d’ombra del Giappone odierno. Ma in realtà, quello che fa è restituirci tutto il peggio del mondo contemporaneo, tutte le bassezze e brutture di un’umanità che, forse, sta muovendo un ultimo passo evolutivo verso l’auto annullamento e l’autodistruzione. Per cui dimenticatevi i picnic tra i ciliegi in fiore, il Giappone zen, quello dei salotti dolceamari di Ozu o dell’avanguardia tecnologica, la gentilezza compassata, scordatevi gran parte di ciò che vi affascina del paese del Sol Levante, perché leggendo l’Usuraio ci si rende conto che non è tutto oro quel che luccica, che quella che da lontano sembrava un’opportunità è in realtà un’altra trappola, e ormai sei troppo vicino al punto di non ritorno per girare i tacchi e non cascarci con tutte le scarpe, e il prezzo da pagare perché si avverino i tuoi desideri ha interessi altissimi, e spesso coincidono con la tua libertà.

Suddivisa in tante mini-saghe, l’opera di Manabe si articola in 46 densissimi volumi. A volte le figure del giovane usuraio Ushijima e dei suoi collaboratori rimangono marginali, e intervengono nella storia spesso per dare il colpo di grazia agli sventurati che hanno chiesto loro soldi in prestito.
Manabe, come il suo protagonista, non fa sconti agli indebitati, e il mangaka li ritrae in tutte le loro possibili miserie, mappando, anche attraverso i loro pensieri, un universo cartaceo di decine di personalità diverse tra loro ma in fondo in fondo con le stesse similitudini, essendo tutti potenzialmente in bancarotta, quindi al verde, inetti nel carattere, disillusi o fin troppo immersi nelle proprie illusioni, alienati, disoccupati, dipendenti dal pachinko (più o meno l’equivalente asiatico delle slot machine), giovani che vivono per strada o a un passo dal viverci, gente tenuta al guinzaglio da parafilie assortite, da desideri spiccioli come avere i soldi per comprarsi vestiti alla moda per omologarsi a colleghe oche, per comprarsi la droga, per comprarsi il sesso (spesso con minorenni e accompagnato da malattie veneree)… insomma, per comprarsi tutto il possibile ancor prima della propria sopravvivenza: sopravvivenza non dell’anima, come diceva Curzio Malaparte, ma della pelle, “la schifosa pelle”.

Attraverso disegni che migliorano di volume in volume e di saga in saga, certo lontani dalla perfezione dei tratti mainstream ma perfettamente funzionali alla storia, Manabe si dimostra capace di orchestrare decine di personaggi diversi, consolidando di storia in storia la propria (e la nostra) visione pessimistica della società e del mondo, del tutto “satura di parassiti senza dignità” – sovente lasciando finali aperti sul futuro dei suoi personaggi, che raramente riescono a risollevarsi dalla polvere, essendo veramente in pochi a meritare qualcosa che assomigli a un lieto fine.
Ma quella di Manabe sensei non è una provocazione fine a se stessa, un atteggiamento voyeuristico di chi si compiace di ritrarre lo squallore per condannarlo: secondo me l’autore ha voluto, attraverso l’Usuraio, metterci di fronte a noi stessi, alla nostra volontà di farcela o meno, alle nostre paure e vulnerabilità, conscio che per risolverci in quanto singolarità e collettività non bisogna far finta che i problemi non esistano nascondendoli sotto il tappeto sociale o voltandoci dall’altra parte, ma riconoscendoli e riconoscendoci in certe ferite comuni a tutti: certo, alcune probabilmente non guariranno mai, anzi sicuramente diventeranno più numerose e insanabili delle altre, ma non è affidandoci a un intervento divino (il Dio della Grana) che le ferite non suppureranno e tutto si risolverà, nei secoli dei secoli amen… e nel suo piccolo, Manabe – la cui opera è ahinoi passata in sordina nel nostro Paese – lo sa, per questo ha deciso di dedicare anni a quest’epopea sugli ultimi e su chi li sfrutta, calandosi sulla carta in situazioni difficili e disfunzionali per gettare una luce sui bassifondi del Giappone e dell’animo umano.


 8
Metal_Movie90

Volumi letti: 9/46 --- Voto 8
Di solito non recensisco opere ancora in corso di pubblicazione e/o lettura, ma la bassa popolarità di questo titolo e il fatto che l'edizione italiana (con cui sono in pari) è passata da mensile a bimestrale mi hanno convinto a farlo. Anche perché la struttura del manga credo di averla capita, più o meno.

Sarò breve. "L'usuraio" è un manga cinico, diretto, realistico, che ti sbatte in faccia senza mezzi termini e senza alcuna retorica la dura realtà degli sbandati in Giappone, i quali, vittima delle loro dipendenze, costituiscono la preda perfetta per gli usurai. La storia si concentra proprio su uno di questi, Ushijima, che rappresenta il vero punto di forza del manga: carismatico, intelligente, all'apparenza normale (a casa possiede un sacco di conigli di cui si prende cura amorevolmente), ma inflessibile e diabolico non appena si tratta del suo lavoro, la sua morale e i suoi metodi sono magistralmente descritti nei primi capitoli del volume 1 e mettono subito in chiaro con che tipo di persona abbiamo a che fare. E proprio qui sta il bello: nessuno vorrebbe mai avercelo come amico, ma i numerosi emarginati con cui lui ha a che fare quotidianamente spesso sono pure peggio. Succede come nella serie tv Breaking Bad: si arriva a provare empatia, a tifare per un uomo dalla morale discutibile. L'autore è indubbiamente un tipo che sa il fatto suo, riuscire a portare al successo un'opera di denuncia come questa (e arrivare a trentadue volumi) non è cosa da poco. Leggendo il manga inoltre ci si può fare davvero un'ottima cultura su tutte le tendenze e i meccanismi sociali del Giappone al momento della scrittura (ricordo che è iniziato nel 2004): ben fatte, per non dire necessarie, le numerose note dell'edizione italiana della Planet Manga.

Strutturalmente parlando, il manga è costituito da "minisaghe" tra loro separate, alcune molto corte (due-tre capitoli, soprattutto nei primi volumi) altre più lunghe (fino a due-tre volumi). Mentre all'inizio la presenza di Ushijima è dominante, man mano che si va avanti la sua centralità va diminuendo, e l'autore sposta la sua attenzione verso le storie di alcuni degli sbandati il cui legame con Ushijima è più o meno diretto. I risultati, almeno fin dove sono arrivato io, sono alterni: alcune storie sono riuscite (Freeter, Gyaruo), altre meno (quella sulle prostitute, troppo tirata per le lunghe e con troppi personaggi).

I disegni mi piacciono molto, seguono poco lo stile tipico dei manga (anzi, sotto molti aspetti sono più vicini a quello occidentale) e sono un riuscito mix fra realismo (visto il tema) e caricatura (per enfatizzare la meschinità di molti personaggi). Vi è una netta predominanza del nero, in generale dei toni scuri, quasi a voler trasmettere la mancanza di valori e la disperazione di fondo con cui abbiamo a che fare.

Assegno 8 a questo manga perché è ancora in corso e per la discontinuità finora riscontrata nella qualità delle storie, ma possiede tutte le carte in regola per ambire a un voto più alto. Se per voi i manga sono più che un passatempo, se cercate un'opera seria e di denuncia, "L'usuraio" è straconsigliato, non ve ne pentirete.