Il bambino di Dio
"Il bambino di Dio" non è la creazione più originale di questo mondo, e definirlo un capolavoro sarebbe molto ingenuo. Ciononostante, è un'opera di grande valore, e questo è comunque un merito che molti non possano vantare.
Riassumere cosa racconta l'opera non serve a molto.
Sia perché non è tanto la storia ciò che è più notevole di essa, sia perché non c'è molto da aggiungere nel presentarlo oltre quanto detto nella sua sinossi.
"Il bambino di Dio" parla dei momenti più importanti della vita di un serial killer, e lo fa in maniera forse non originale, ma sicuramente ben fatta e congeniata. La narrazione è totalmente dal punto di vista del protagonista, e ogni evento è narrato con la naturalezza con cui li vive, in un modo molto più efficace e verosimile di altre opere che si prodigano di fare lo stesso.
Laddove molti tendono a caricare le componenti più d'impatto per arrivare subito al lettore, anche la stessa calma distaccata del killer in questione, il fumetto del duo Nishioka Kyodai non lo fa quasi mai. Ogni parola e ogni descrizione è tranquilla, naturale, coerente, e potrebbe essere il dire di chiunque; non fosse per i ragionamenti che comunicano, e per gli oggetti di tali ragionamenti, non ci sarebbe nulla di inquietante o anche solo strano.
L'opera, semplicemente, riesce a trasmettere bene come il suo protagonista non sia "alieno" nel suo essere, ma che sia semplicemente una persona con la stessa capacità di ragionare degli altri, ma che si muove da idee distorte attraverso sentieri distorti per maturare ideali ancor più distorti.
Se Hannah Arendt scrisse della "banalità del male", potremmo dire che "Il bambino di Dio" racconti la banalità della follia. Mostra al meglio come la maggior parte dei pazzi non siano demoni, ma neanche superuomini, sono persone uguali a noi ma che, per qualche motivo, non operano nelle regole morali che noi diamo per scontato, anche solo inconsciamente.
Dopotutto, anche queste stesse regole morali, in alcuni casi, non nascono dalla natura umana, ma dai costumi che essa ha sviluppato nel corso della sua evoluzione. Costumi che a volte cambiano, come tutte le cose al mondo.
Detto ciò, è la componente grafica la vera regina di questo fumetto.
Lo stile estetico utilizzato per raccontare questa storia è, oltre che molto ben ragionato e riconoscibile, adatto alle basi e alle modalità con cui si voleva raccontarla. Uno stile semplice, ma che non manca di caratterizzare ogni scena con i dovuti dettagli.
Nella sua bidimensionalità e nel suo dare un aspetto pittorico ad ogni tavola, riesce a rendere l'idea di placida naturalità con cui il protagonista vive ogni cosa, ed ogni parte del disegno sembra un'estensione del suo protagonista. Alcune cose lo sono dichiaratamente, poiché sono presenti determinati eventi che sono chiare reinterpretazioni della realtà, e che differiscono da ciò che è accaduto per davvero, ma mostrando solo come lui ha, appunto, interpretato ogni cosa.
In sostanza, "Il bambino di Dio" è spesso grottesco, spesso scabroso, ma non è mai caricaturale.
Narra un viaggio nella mente di un folle, ma anche la difficile ammissione che tale luogo è sicuramente inquietante, ma non così distante dal nostro essere come vorremmo.
Non ho altro da dire, perché è difficile parlare a lungo delle cose belle.
Auf wiedersehen.
Riassumere cosa racconta l'opera non serve a molto.
Sia perché non è tanto la storia ciò che è più notevole di essa, sia perché non c'è molto da aggiungere nel presentarlo oltre quanto detto nella sua sinossi.
"Il bambino di Dio" parla dei momenti più importanti della vita di un serial killer, e lo fa in maniera forse non originale, ma sicuramente ben fatta e congeniata. La narrazione è totalmente dal punto di vista del protagonista, e ogni evento è narrato con la naturalezza con cui li vive, in un modo molto più efficace e verosimile di altre opere che si prodigano di fare lo stesso.
Laddove molti tendono a caricare le componenti più d'impatto per arrivare subito al lettore, anche la stessa calma distaccata del killer in questione, il fumetto del duo Nishioka Kyodai non lo fa quasi mai. Ogni parola e ogni descrizione è tranquilla, naturale, coerente, e potrebbe essere il dire di chiunque; non fosse per i ragionamenti che comunicano, e per gli oggetti di tali ragionamenti, non ci sarebbe nulla di inquietante o anche solo strano.
L'opera, semplicemente, riesce a trasmettere bene come il suo protagonista non sia "alieno" nel suo essere, ma che sia semplicemente una persona con la stessa capacità di ragionare degli altri, ma che si muove da idee distorte attraverso sentieri distorti per maturare ideali ancor più distorti.
Se Hannah Arendt scrisse della "banalità del male", potremmo dire che "Il bambino di Dio" racconti la banalità della follia. Mostra al meglio come la maggior parte dei pazzi non siano demoni, ma neanche superuomini, sono persone uguali a noi ma che, per qualche motivo, non operano nelle regole morali che noi diamo per scontato, anche solo inconsciamente.
Dopotutto, anche queste stesse regole morali, in alcuni casi, non nascono dalla natura umana, ma dai costumi che essa ha sviluppato nel corso della sua evoluzione. Costumi che a volte cambiano, come tutte le cose al mondo.
Detto ciò, è la componente grafica la vera regina di questo fumetto.
Lo stile estetico utilizzato per raccontare questa storia è, oltre che molto ben ragionato e riconoscibile, adatto alle basi e alle modalità con cui si voleva raccontarla. Uno stile semplice, ma che non manca di caratterizzare ogni scena con i dovuti dettagli.
Nella sua bidimensionalità e nel suo dare un aspetto pittorico ad ogni tavola, riesce a rendere l'idea di placida naturalità con cui il protagonista vive ogni cosa, ed ogni parte del disegno sembra un'estensione del suo protagonista. Alcune cose lo sono dichiaratamente, poiché sono presenti determinati eventi che sono chiare reinterpretazioni della realtà, e che differiscono da ciò che è accaduto per davvero, ma mostrando solo come lui ha, appunto, interpretato ogni cosa.
In sostanza, "Il bambino di Dio" è spesso grottesco, spesso scabroso, ma non è mai caricaturale.
Narra un viaggio nella mente di un folle, ma anche la difficile ammissione che tale luogo è sicuramente inquietante, ma non così distante dal nostro essere come vorremmo.
Non ho altro da dire, perché è difficile parlare a lungo delle cose belle.
Auf wiedersehen.
“Sono nato così, uscendo dal buco del culo di mia madre. Non so da dove sono venuto. Non so perché sono nato. Quando mi sono svegliato stavo fluttuando nello stomaco di mia madre. Non mi trovavo nel tepore del liquido amniotico, ma in un mare acido di succhi gastrici. I miei fratelli e sorelle…furono digeriti uno a uno. Con codardia le crudeli pieghe dello stomaco ripetevano in continuazione piccole contrazioni. Ho assaporato il terrore. Credevo che sarei stato digerito presto anch’io. È stato il primo sentimento che ho provato. Per tutta la mia vita… ho provato quell’unico sentimento. Conficcato nella parete dello stomaco di mia madre… ero avvolto dalla sua membrana mucosa… che divenne la mia pelle e mi protesse. Nella parete dello stomaco di mia madre aspettavo quel momento con terrore. E infine nacqui. Venni defecato. Il sole nero era mia madre e il mio Dio, sporco di sangue e merda. Il Dio della vendetta. La mia storia inizia da qui. Sono il bambino del sangue e della corruzione. Sono il bambino di Dio”.
“Kami no Kodomo” è l’escatologica e raggelante parabola di un anticristo pluriomicida completamente antitetico al Gesù cristiano.
La storia è raccontata in prima persona e l’assenza dei balloon in favore dell’io narrante, ormai vero e proprio marchio di fabbrica del duo Nishioka, ci proietta direttamente nella mente del serial killer: un fanciullo androgino nato sotto l’effige del sole nero (metafora dell’ano di sua madre), totalmente anaffettivo e imperturbabile che nasconde il suo terrore dietro un’imperscrutabile maschera umana. Esplicativa la prima pagina, in cui, quella che sembra una culla, è in realtà il bidet sozzo e fetido in cui è stato defecato.
Seguiamo l’assassino dalla sua raccapricciante nascita, passando per un’infanzia malata altamente disturbata in cui decapita il suo gatto, alla scoperta del sesso attraverso la necrofilia, giungendo ai primi omicidi, alle carneficine, alla fondazione di una setta, fino alla spietata e inesorabile morte.
“Il bambino di Dio” è un racconto straziante; l’opera scandalo dei fratelli Nishioka risulta un affresco granguignolesco denso di simbolismo religioso e di tetre vibes baudelairiane, a metà tra il cinismo di Lars von Trier e la follia visionaria del Kubrick di “Arancia meccanica”, che impregnano il ritratto di un magnetico fascino oscuro.
Tra bimbi vessati costretti a mangiare le proprie feci, infanticidi, cannibalismo, stupri, pedofilia, orge e trasgressione estrema, a tratti si rivivono le atmosfere de “Le 120 giornate di Sodoma”, d’altronde è proprio de Sade una delle principali fonti d’ispirazione del duo, come si può facilmente intuire dalle ripetute stilettate degli autori al cristianesimo.
Non è un caso che un autore sui generis come Shuzo Oshimi abbia identificato i Nishioka Kyodai come sue figure di riferimento, in quest’opera nello specifico troviamo diversi concetti ripresi poi dalla poetica di Oshimi nel suo agghiacciante “Tracce di sangue”.
“Per integrarsi con quella che viene definita società serve una tecnica. Non distinguersi.
Ma non basta starsene tranquilli. Questo può sortire l'effetto opposto. Bisogna essere mediocri.
Essere mediocremente felici. Mediocremente seri. Mediocremente stupidi. Mediocremente docili. Trascorrere i giorni con un sorriso tenue e vigliacco.
Come rifiuto a qualsiasi relazione con questa società, approfittai di questa tecnica. Per uno come me, per cui nulla ha significato, questa farsa non era nemmeno dolorosa."
Oltre alle taglienti critiche mosse alla religione cristiana, i fratelli Nishioka mettono alla gogna una società ipocrita e nichilista, che finge di non vedere i cadaveri in mezzo alla strada pur di non destabilizzare la propria quiete routinaria. Una società elitaria e menefreghista, a cui non tangono affatto i massacri perpetrati a una classe minore come quella dei senzatetto.
I personaggi appaiono marionette intrappolate da burattinai sadici e perversi che muovono i fili per il solo gusto di vederle animarsi in un universo folle e allucinato, burattini che, una volta constatata l’impossibilità di scappare dal macabro spettacolo, finiscono per impiccarsi con quegli stessi fili d’odio.
Tornano temi come l’alienazione, il malessere, l’antropofagia, già affrontati dai Nishioka nelle loro opere precedenti, in particolare in “Viaggio alla Fine del Mondo”, confermandosi autori ricorsivi e dalla semantica autoriale ben definita, sia nelle argomentazioni trattate che nel confezionamento grafico.
I disegni di Chiaki Nishioka, dall’ispirazione cubista, vanno in connessione ossimorica con l’efferatezza estrema del racconto, nascondendo la brutalità delle vicende sotto un tratto pittorico naive da fiaba dark burtoniana.
“Kami no Kodomo” è la favola maledetta più inquietante e malata in cui possiate imbattervi, una storia di vendetta, di odio, permeata di perfidia, intrisa della malvagità pura insita negli spiriti immondi; una discesa verso gli inferi distillata di nichilismo e malignità. Un’opera immorale, oltraggiosa, che ci inabissa in un cul-de-sac plumbeo di impudicizia, da una genesi blasfema fino ad un demistificatorio epilogo, con reminiscenze della Moto Hagio all’apice del suo sadismo ed una lieve grattata dell’Ingmar Bergman più sacrilego e dissacrante che si ricordi.
“Kami no Kodomo” è l’escatologica e raggelante parabola di un anticristo pluriomicida completamente antitetico al Gesù cristiano.
La storia è raccontata in prima persona e l’assenza dei balloon in favore dell’io narrante, ormai vero e proprio marchio di fabbrica del duo Nishioka, ci proietta direttamente nella mente del serial killer: un fanciullo androgino nato sotto l’effige del sole nero (metafora dell’ano di sua madre), totalmente anaffettivo e imperturbabile che nasconde il suo terrore dietro un’imperscrutabile maschera umana. Esplicativa la prima pagina, in cui, quella che sembra una culla, è in realtà il bidet sozzo e fetido in cui è stato defecato.
Seguiamo l’assassino dalla sua raccapricciante nascita, passando per un’infanzia malata altamente disturbata in cui decapita il suo gatto, alla scoperta del sesso attraverso la necrofilia, giungendo ai primi omicidi, alle carneficine, alla fondazione di una setta, fino alla spietata e inesorabile morte.
“Il bambino di Dio” è un racconto straziante; l’opera scandalo dei fratelli Nishioka risulta un affresco granguignolesco denso di simbolismo religioso e di tetre vibes baudelairiane, a metà tra il cinismo di Lars von Trier e la follia visionaria del Kubrick di “Arancia meccanica”, che impregnano il ritratto di un magnetico fascino oscuro.
Tra bimbi vessati costretti a mangiare le proprie feci, infanticidi, cannibalismo, stupri, pedofilia, orge e trasgressione estrema, a tratti si rivivono le atmosfere de “Le 120 giornate di Sodoma”, d’altronde è proprio de Sade una delle principali fonti d’ispirazione del duo, come si può facilmente intuire dalle ripetute stilettate degli autori al cristianesimo.
Non è un caso che un autore sui generis come Shuzo Oshimi abbia identificato i Nishioka Kyodai come sue figure di riferimento, in quest’opera nello specifico troviamo diversi concetti ripresi poi dalla poetica di Oshimi nel suo agghiacciante “Tracce di sangue”.
“Per integrarsi con quella che viene definita società serve una tecnica. Non distinguersi.
Ma non basta starsene tranquilli. Questo può sortire l'effetto opposto. Bisogna essere mediocri.
Essere mediocremente felici. Mediocremente seri. Mediocremente stupidi. Mediocremente docili. Trascorrere i giorni con un sorriso tenue e vigliacco.
Come rifiuto a qualsiasi relazione con questa società, approfittai di questa tecnica. Per uno come me, per cui nulla ha significato, questa farsa non era nemmeno dolorosa."
Oltre alle taglienti critiche mosse alla religione cristiana, i fratelli Nishioka mettono alla gogna una società ipocrita e nichilista, che finge di non vedere i cadaveri in mezzo alla strada pur di non destabilizzare la propria quiete routinaria. Una società elitaria e menefreghista, a cui non tangono affatto i massacri perpetrati a una classe minore come quella dei senzatetto.
I personaggi appaiono marionette intrappolate da burattinai sadici e perversi che muovono i fili per il solo gusto di vederle animarsi in un universo folle e allucinato, burattini che, una volta constatata l’impossibilità di scappare dal macabro spettacolo, finiscono per impiccarsi con quegli stessi fili d’odio.
Tornano temi come l’alienazione, il malessere, l’antropofagia, già affrontati dai Nishioka nelle loro opere precedenti, in particolare in “Viaggio alla Fine del Mondo”, confermandosi autori ricorsivi e dalla semantica autoriale ben definita, sia nelle argomentazioni trattate che nel confezionamento grafico.
I disegni di Chiaki Nishioka, dall’ispirazione cubista, vanno in connessione ossimorica con l’efferatezza estrema del racconto, nascondendo la brutalità delle vicende sotto un tratto pittorico naive da fiaba dark burtoniana.
“Kami no Kodomo” è la favola maledetta più inquietante e malata in cui possiate imbattervi, una storia di vendetta, di odio, permeata di perfidia, intrisa della malvagità pura insita negli spiriti immondi; una discesa verso gli inferi distillata di nichilismo e malignità. Un’opera immorale, oltraggiosa, che ci inabissa in un cul-de-sac plumbeo di impudicizia, da una genesi blasfema fino ad un demistificatorio epilogo, con reminiscenze della Moto Hagio all’apice del suo sadismo ed una lieve grattata dell’Ingmar Bergman più sacrilego e dissacrante che si ricordi.
Il bambino di Dio, scritto e disegnato dal duo Satoshi e Chiaki Nishioka, narra lo scorrere della vita di uno psicopatico e della sua logica corrotta che lo porta a diventare un serial killer. La narrazione nel complesso è coerente e lineare; nella prima metà il susseguirsi dei fatti mette in risalto le riflessioni fatte dal protagonista, mentre nella seconda metà, il racconto tende ad avere un ritmo più frettoloso, ma che rimane comunque valido. Il tratto del disegno in quest'opera è davvero particolare. È infatti sufficiente vedere la copertina per rendersi conto di come le linee sottili enfatizzino uno stile pittoresco, disordinato e irregolare, con bianchi e neri perfettamente bilanciati. La tecnica di disegno però trova la sua massima espressione nell'ambientazione che la storia offre, un racconto che non nasconde le citazioni bibliche, ma che anzi, le utilizza per mostrare l'evoluzione psicologica del protagonista, in perfetto contrasto con la descrizione tipica di un serial killer. La storia ha inizio con il protagonista che narra la sua stessa nascita. Nascita traumatica, avvenuta, non nel tepore del grembo materno, bensì nello stomaco. Il bambino, ben prima d'esser nato, si trova in una situazione di inquietudine, può morire da un momento all'altro e, una volta nato dalle feci, inizia la sua vendetta verso un mondo che già lo ripudia. La caratteristica che rende particolare questo manga è la logica che il protagonista utilizza nelle sue riflessioni e nella sua crescita che, seppur corrotta, mostra schematicità e ordine. Cinico, indifferente, freddo e vendicativo: sono queste le peculiarità del protagonista. Anche se nella sua infanzia assiste a episodi che segnerebbero chiunque, è la sua totale assenza di emozioni che lo porta a sviluppare la sua psiche contorta. Nonostante la crudezza delle azioni e dei disegni, l'elemento più inquietante all'interno di quest'opera è la noncuranza della comunità. Il manga mette in risalto quanto sia incoerente, da parte delle persone, dimenticare ogni omicidio o non far caso alle vittime scomparse. Ed è proprio grazie a questa falla nel sistema che il protagonista compie le sue disgrazie. Chi penserebbe mai che sia un bambino ad uccidere i propri compagni di classe? Chi farebbe mai caso alle morti di persone totalmente abbandonate dalla comunità? Quando i soli omicidi però non sono più sufficienti, il protagonista crea una setta con lo scopo di impartire il suo ideale e il suo credo. In modo meticoloso riesce quindi ad alzare l'asticella, evolversi, sopprimendo la sensazione di noia che lo attanaglia. Tuttavia, è quando la sua meticolosità viene meno, che la vita gli va contro. Proprio quando l'essere vendicativo, senza emozioni, inizia a mostrare un briciolo di umanità, tutto gli crolla addosso. Ma non sarà sufficiente: la vendetta, non può essere fermata.
Mi sono imbattuta in questo manga davvero peculiare, grazie ai consigli del proprietario della mia fumetteria di fiducia.
La prima cosa a catturarmi è stato lo stile del disegno perché della trama non sapevo assolutamente niente ma l’atmosfera e l’argomento trattato sono stati un’esca perfetta per me. Ho acquistato quasi al buio, quindi, e ho fatto bene.
E’ diventato uno dei miei manga preferiti e presto recupererò altre opere di questo autore di cui magari vi parlerò in seguito.
Pubblicato dalla Showcase nel 2018, un volume che non supera le 260 pagine e che si legge tutto di un fiato. Vi presento un’opera strana, perversa, intrigante e pesante. Quindi non adatta a tutti.
Trama:
Il tutto inizia dal concepimento del nostro protagonista, che dice: sono nato così, uscendo dal buco di culo di mia madre (cit.).
Assistendo alla morte di tutti i suoi innumerevoli fratelli, fin prima della nascita, il primo sentimento che dominerà la sua vita sarà la paura, seguito dalla rabbia e vendetta.
Lui sopravvive nello stomaco della madre, non nell’utero e nasce defecato come un escremento.
Da questo punto in poi ripercorreremo tutta la sua vita, dall’infanzia fino alla morte.
Tutto è incentrato su di lui e la sua crescita, circondato da personaggi che avranno un ruolo più o meno marginale ma al tempo stesso, in alcuni punti, determinanti.
Il ritmo è serrato, accompagnato da disegni suggestivi dallo stile particolare che a me ha letteralmente rapito.
Ammetto che non tutti apprezzeranno questo manga, sia per il disegno che per la storia, ma posso assicurare che vale la pena dare un’occhiata.
Mi ha conquistata anche dalla narrazione (comunque minimale – infatti il manga è scorrevole, nonostante la pesantezza degli argomenti) della prima parte, dove viene dipinta l’immagine di Dio come la manifestazione del sangue e della corruzione, e lui, il figlio, ne è il simbolo.
In un certo senso, come penso che sia abbastanza ovvio, la vicenda ripercorre alcune vicende del vangelo e della vita di Gesù. Abbiamo davanti a noi l'Anticristo in persona, l'altra faccia della medaglia.
Ma da come potrete immaginare, non mancherà nemmeno il Giuda di turno.
Da qui il declino sarà repentino.
Perché anche i figli di Dio sbagliano.
La prima cosa a catturarmi è stato lo stile del disegno perché della trama non sapevo assolutamente niente ma l’atmosfera e l’argomento trattato sono stati un’esca perfetta per me. Ho acquistato quasi al buio, quindi, e ho fatto bene.
E’ diventato uno dei miei manga preferiti e presto recupererò altre opere di questo autore di cui magari vi parlerò in seguito.
Pubblicato dalla Showcase nel 2018, un volume che non supera le 260 pagine e che si legge tutto di un fiato. Vi presento un’opera strana, perversa, intrigante e pesante. Quindi non adatta a tutti.
Trama:
Il tutto inizia dal concepimento del nostro protagonista, che dice: sono nato così, uscendo dal buco di culo di mia madre (cit.).
Assistendo alla morte di tutti i suoi innumerevoli fratelli, fin prima della nascita, il primo sentimento che dominerà la sua vita sarà la paura, seguito dalla rabbia e vendetta.
Lui sopravvive nello stomaco della madre, non nell’utero e nasce defecato come un escremento.
Da questo punto in poi ripercorreremo tutta la sua vita, dall’infanzia fino alla morte.
Tutto è incentrato su di lui e la sua crescita, circondato da personaggi che avranno un ruolo più o meno marginale ma al tempo stesso, in alcuni punti, determinanti.
Il ritmo è serrato, accompagnato da disegni suggestivi dallo stile particolare che a me ha letteralmente rapito.
Ammetto che non tutti apprezzeranno questo manga, sia per il disegno che per la storia, ma posso assicurare che vale la pena dare un’occhiata.
Mi ha conquistata anche dalla narrazione (comunque minimale – infatti il manga è scorrevole, nonostante la pesantezza degli argomenti) della prima parte, dove viene dipinta l’immagine di Dio come la manifestazione del sangue e della corruzione, e lui, il figlio, ne è il simbolo.
In un certo senso, come penso che sia abbastanza ovvio, la vicenda ripercorre alcune vicende del vangelo e della vita di Gesù. Abbiamo davanti a noi l'Anticristo in persona, l'altra faccia della medaglia.
Ma da come potrete immaginare, non mancherà nemmeno il Giuda di turno.
Da qui il declino sarà repentino.
Perché anche i figli di Dio sbagliano.
Il Bambino Di Dio mi aveva stupito in maniera positiva alla presentazione dell'edizione italiana.
Mi sembrava un titolo che tentasse di addentrarsi nella psiche di un assassino autoproclamatosi profeta, capace di radunare a sé una vera e propria setta di fanatici come lui. Una sorta di simulazione o racconto di come sia possibile l'esistenza di persone come Charles Manson (per fare un esempio) e dei loro folli seguiti, capaci di eccidi inimmaginabili.
Ebbene, il manga prova in questo intento: ma, a mio parere, con una superficialità totale.
Non viene approfondito in alcun modo, se non agli inizi, ciò che rende un individuo capace di aberranti omicidi e di considerarsi un emissario diretto di Dio giunto in terra. Così come non viene per nulla spiegato o abbozzato perché delle persone arrivino a seguire questo individuo. Semplicemente, dal quarto capitolo, la trama viene mandata avanti da una sequela di episodi che accadono: "perché sì". In qualche modo bisognava arrivare alla conclusione. Che anch'essa è frettolosa, pur avendo un senso di fondo. Ma non basta.
In questo modo, pare che gli autori del manga tentino di rappresentare l'assassino come una persona già predisposta all'omicidio dalla nascita, una persona irrecuperabile, che, al contrario di come sia all'apparenza, in realtà brama la morte altrui dal feto materno. Così come i seguaci di costui sarebbero attirati non dalla sua figura carismatica o da forti emozioni provate da altri o per idee accomunate, ma da una profonda ammirazione per lui derivata dal nulla: nello stesso manga viene detto ciò, ovvero che i ragazzi lo raggiunsero senza scopo e a lui si sottomisero.
Per quanto riguarda i disegni surreali, si adattano bene al tipo di storia e risaltano la follia delle azioni compiute, così come la totale alienazione dei personaggi. Devo ammettere di essere rimasto piacevolmente stupito, perché pensavo che, alla lunga, si facessero banali e ripetitivi nella storia, provocando confusione.
Comunque sia, in generale non mi è piaciuto, perché l'ho trovata un'opera che cercasse in qualche modo di elevarsi super partes, cercando di mostrare qualcosa che nel panorama fumettistico era stato solo sfiorato. Eppure, mi è parso in qualche modo spocchiosa e inconsistente, perché all'iniziale interesse segue una banale sequela di avvenimenti atti solo a dar contro in generale allo squilibrato mentale che è il protagonista, senza approfondire chiaramente cosa ci sia nei suoi pensieri e cosa lo spinga a ciò che compie. Non lo consiglio.
Mi sembrava un titolo che tentasse di addentrarsi nella psiche di un assassino autoproclamatosi profeta, capace di radunare a sé una vera e propria setta di fanatici come lui. Una sorta di simulazione o racconto di come sia possibile l'esistenza di persone come Charles Manson (per fare un esempio) e dei loro folli seguiti, capaci di eccidi inimmaginabili.
Ebbene, il manga prova in questo intento: ma, a mio parere, con una superficialità totale.
Non viene approfondito in alcun modo, se non agli inizi, ciò che rende un individuo capace di aberranti omicidi e di considerarsi un emissario diretto di Dio giunto in terra. Così come non viene per nulla spiegato o abbozzato perché delle persone arrivino a seguire questo individuo. Semplicemente, dal quarto capitolo, la trama viene mandata avanti da una sequela di episodi che accadono: "perché sì". In qualche modo bisognava arrivare alla conclusione. Che anch'essa è frettolosa, pur avendo un senso di fondo. Ma non basta.
In questo modo, pare che gli autori del manga tentino di rappresentare l'assassino come una persona già predisposta all'omicidio dalla nascita, una persona irrecuperabile, che, al contrario di come sia all'apparenza, in realtà brama la morte altrui dal feto materno. Così come i seguaci di costui sarebbero attirati non dalla sua figura carismatica o da forti emozioni provate da altri o per idee accomunate, ma da una profonda ammirazione per lui derivata dal nulla: nello stesso manga viene detto ciò, ovvero che i ragazzi lo raggiunsero senza scopo e a lui si sottomisero.
Per quanto riguarda i disegni surreali, si adattano bene al tipo di storia e risaltano la follia delle azioni compiute, così come la totale alienazione dei personaggi. Devo ammettere di essere rimasto piacevolmente stupito, perché pensavo che, alla lunga, si facessero banali e ripetitivi nella storia, provocando confusione.
Comunque sia, in generale non mi è piaciuto, perché l'ho trovata un'opera che cercasse in qualche modo di elevarsi super partes, cercando di mostrare qualcosa che nel panorama fumettistico era stato solo sfiorato. Eppure, mi è parso in qualche modo spocchiosa e inconsistente, perché all'iniziale interesse segue una banale sequela di avvenimenti atti solo a dar contro in generale allo squilibrato mentale che è il protagonista, senza approfondire chiaramente cosa ci sia nei suoi pensieri e cosa lo spinga a ciò che compie. Non lo consiglio.
Le mie aspettative erano molto alte e non sono rimaste insoddisfatte. Ma andiamo con ordine.
Il volume narra letteralmente la nascita, crescita ed evoluzione di un serial killer. Un essere di pura malvagità. Di pura assenza di emozioni (anche se qualcuna lo sfiorerà in diversi punti). E quando dico nascita, intendo proprio da quando è un embrione nella pancia della madre!
Non manca un velo di ironia e black humour nel racconto in prima persona che fa il nostro protagonista senza nome. Come quando narra di essere letteralmente defecato al momento della nascita (più che altro mi sembra si capire che la madre lo ha mentre è al gabinetto).
Ed è qui che è sfiorato per la prima volta da un'emozione. Quando ancora uno spermatozoo teme per la sua vita nel ventre della madre. Affermando di crescere e svilupparsi in una membrana di paura.
La narrazione è alquanto lineare, ma i guizzi artistici e le chicche inaspettate non mancano, come quando assiste al primo omicidio/stupro che lo battezzerà dal punto di vista sessuale. O come quando scopriamo che il nostro mostro ha tendenze pedofile, arrivando a circondarsi, senza volerlo, di un gruppo di bambini che diventerà poi la sua setta e con cui farà persino orge.
Il ritmo è serrato, ma mai frettoloso. Tranne forse sul finale. Ecco forse è l'unica cosa che mi ha deluso. Mi aspettavo di più.
Certo, non mi aspettavo di vederlo banalmente catturato dalla polizia, ma nemmeno che si facesse infinocchiare dal primo cretino della sua setta che poteva immaginare avrebbe voluto vendicarsi dopo il torto subito. Qui viene toccato per l'ultima volta da emozioni umane che lo spingono a fare il passo falso che poi decreterà la sua fine.
Bellissima la scena finale in cui decidono di farlo fuori dandolo in pasto ai maiali, ma onestamente è stato tutto troppo veloce, quasi buttato lì. Il Giuda della situazione che torna e subito lo accoppa, così come la sua setta che subito gli volta le spalle.
A questo punto avrei preferito un finale aperto dove lui si sbarazzava di tutti (magari non cascando nella trappola del Giuda) e continuava la sua vita da serial killer in solitaria.
Il vero fiore all'occhiello della produzione che mi fa chiudere entrambi gli occhi su un finale un po' tirato è il comparto artistico: da applausi a scena aperta. Mai visto nulla del genere in un manga (e non esagero). Un tratto bizzarro, surreale, singolarissimo...unico. Ha quel non so che di Burtoniana memoria che mi fa impazzire. Alcune scene, davvero macabre e inquietanti, lo sono ancora di più grazie all'unicità del tratto dei fratelli autori.
Sicuramente non piacerà a tutti, ma per quanto mi riguarda, per un manga underground quale è quest'opera, è davvero un valore aggiunto assoluto. Da applausi a scena aperta per il coraggio della Dynit. Se solo l'edizione fosse più curata. Anche qui trasparenze a gogo. Ma il vero problema è la decolorazione delle (poche in realtà) pagine a colori che si notano nel mezzo...e che sono un pugno in un occhio durante la lettura.
Il volume narra letteralmente la nascita, crescita ed evoluzione di un serial killer. Un essere di pura malvagità. Di pura assenza di emozioni (anche se qualcuna lo sfiorerà in diversi punti). E quando dico nascita, intendo proprio da quando è un embrione nella pancia della madre!
Attenzione :: Spoiler! (clicca per visualizzarlo)
Non manca un velo di ironia e black humour nel racconto in prima persona che fa il nostro protagonista senza nome. Come quando narra di essere letteralmente defecato al momento della nascita (più che altro mi sembra si capire che la madre lo ha mentre è al gabinetto).
Ed è qui che è sfiorato per la prima volta da un'emozione. Quando ancora uno spermatozoo teme per la sua vita nel ventre della madre. Affermando di crescere e svilupparsi in una membrana di paura.
La narrazione è alquanto lineare, ma i guizzi artistici e le chicche inaspettate non mancano, come quando assiste al primo omicidio/stupro che lo battezzerà dal punto di vista sessuale. O come quando scopriamo che il nostro mostro ha tendenze pedofile, arrivando a circondarsi, senza volerlo, di un gruppo di bambini che diventerà poi la sua setta e con cui farà persino orge.
Il ritmo è serrato, ma mai frettoloso. Tranne forse sul finale. Ecco forse è l'unica cosa che mi ha deluso. Mi aspettavo di più.
Attenzione :: Spoiler! (clicca per visualizzarlo)
Certo, non mi aspettavo di vederlo banalmente catturato dalla polizia, ma nemmeno che si facesse infinocchiare dal primo cretino della sua setta che poteva immaginare avrebbe voluto vendicarsi dopo il torto subito. Qui viene toccato per l'ultima volta da emozioni umane che lo spingono a fare il passo falso che poi decreterà la sua fine.
Bellissima la scena finale in cui decidono di farlo fuori dandolo in pasto ai maiali, ma onestamente è stato tutto troppo veloce, quasi buttato lì. Il Giuda della situazione che torna e subito lo accoppa, così come la sua setta che subito gli volta le spalle.
A questo punto avrei preferito un finale aperto dove lui si sbarazzava di tutti (magari non cascando nella trappola del Giuda) e continuava la sua vita da serial killer in solitaria.
Il vero fiore all'occhiello della produzione che mi fa chiudere entrambi gli occhi su un finale un po' tirato è il comparto artistico: da applausi a scena aperta. Mai visto nulla del genere in un manga (e non esagero). Un tratto bizzarro, surreale, singolarissimo...unico. Ha quel non so che di Burtoniana memoria che mi fa impazzire. Alcune scene, davvero macabre e inquietanti, lo sono ancora di più grazie all'unicità del tratto dei fratelli autori.
Sicuramente non piacerà a tutti, ma per quanto mi riguarda, per un manga underground quale è quest'opera, è davvero un valore aggiunto assoluto. Da applausi a scena aperta per il coraggio della Dynit. Se solo l'edizione fosse più curata. Anche qui trasparenze a gogo. Ma il vero problema è la decolorazione delle (poche in realtà) pagine a colori che si notano nel mezzo...e che sono un pugno in un occhio durante la lettura.
"God's Child" rientra perfettamente in quel disturbante sottogenere che personalmente amo definire "horror nichilista giapponese", sottogenere del quale "Midori shoujo Tsubaki" e "Litchi Hikari Club" sono un valido esempio di degni rappresentanti. Siamo di fronte alla provocatoria messa in scena della vita di un Gesù Cristo perfettamente antitetico all'originale; un serial killer psicopatico nato da delle feci in una latrina, quanto mai freddo, inquietante, cinico, sadico, lussurioso, ma allo stesso tempo lucido, consapevole di compiere le più grandi aberrazioni e raccapriccianti crudeltà che l'uomo sia in grado di concepire.
La storia è breve, la narrazione avviene in prima persona. Il "Figlio di Dio" - o "Signore delle Mosche", a giudicare da alcune tavole e da certi parallelismi esoterici che si leggono tra le righe - descrive minuziosamente i suoi pensieri, il fatto che ami uccidere senza alcuna connessione causale, senza alcun coinvolgimento emotivo, il suo essere schifato dalla società e dalla mediocrità che ne deriva. - Per essere integrati bisogna essere nella media in tutto - direbbe il "Figlio di Dio". Se si è intelligenti, diversi, stupidi, in un modo troppo poco uniforme agli standard imposti dal senso comune, si diventa istantaneamente emarginati. Vale comunque la legge del più forte: nella società/scuola frequentata dal "Figlio di Dio", il più debole viene messo sotto i piedi, distrutto, esattamente come accade nel regno animale - mi sentivo circondato da porci e scimmie - egli ammette in uno dei suoi lucidi deliri di onnipotenza. Gli autori del manga hanno calcato molto la mano sulla critica alla società e all'indifferenza sui generis: quando il "Figlio di Dio" e i suoi discepoli si mettono ad uccidere barboni e persone a caso per la strada, la gente continua a camminare facendo finta di non vedere, di non sentire.
I disegni, assimilabili ad una sorta di inquietante cubismo a tinte orrorifiche, contribuiscono a rendere il tutto ancora più malato e morboso. L'erogazione dello schifo e del mal di vivere avviene istantaneamente; la conturbante e raccapricciante carica anomala del manga colpisce direttamente l'inconscio del lettore. Un vero e proprio incubo ad occhi aperti.
La morale finale è sempre la stessa, comune alla maggior parte di questo tipo di opere: puro e semplice nichilismo. Perdita dei valori, dell'identità, dei punti di rifermento, della bellezza, della sostanza. Il finale inoltre parla chiaro, svelando, attraverso le parole del protagonista, la metafora del manga ed un possibile eterno ritorno del male. Male assimilabile alla fredda consapevolezza del caos e dell'insensatezza del tutto, non male in senso convenzionale, dettato dalle leggi scritte dall'uomo e dalle sue società/istituzioni. La morbosa e delirante follia del "Figlio di Dio" è la metafora a tinte forti dell'uomo il quale ha perso ogni certezza; dell'uomo consapevole dell'insensatezza più totale delle cose e dell'alienazione che implica la ricerca di saldi punti di riferimento in una realtà la quale pare solamente una grande illusione fine a sé stessa, oppure un meccanismo la cui complessità va oltre ogni umana comprensione.
La storia è breve, la narrazione avviene in prima persona. Il "Figlio di Dio" - o "Signore delle Mosche", a giudicare da alcune tavole e da certi parallelismi esoterici che si leggono tra le righe - descrive minuziosamente i suoi pensieri, il fatto che ami uccidere senza alcuna connessione causale, senza alcun coinvolgimento emotivo, il suo essere schifato dalla società e dalla mediocrità che ne deriva. - Per essere integrati bisogna essere nella media in tutto - direbbe il "Figlio di Dio". Se si è intelligenti, diversi, stupidi, in un modo troppo poco uniforme agli standard imposti dal senso comune, si diventa istantaneamente emarginati. Vale comunque la legge del più forte: nella società/scuola frequentata dal "Figlio di Dio", il più debole viene messo sotto i piedi, distrutto, esattamente come accade nel regno animale - mi sentivo circondato da porci e scimmie - egli ammette in uno dei suoi lucidi deliri di onnipotenza. Gli autori del manga hanno calcato molto la mano sulla critica alla società e all'indifferenza sui generis: quando il "Figlio di Dio" e i suoi discepoli si mettono ad uccidere barboni e persone a caso per la strada, la gente continua a camminare facendo finta di non vedere, di non sentire.
I disegni, assimilabili ad una sorta di inquietante cubismo a tinte orrorifiche, contribuiscono a rendere il tutto ancora più malato e morboso. L'erogazione dello schifo e del mal di vivere avviene istantaneamente; la conturbante e raccapricciante carica anomala del manga colpisce direttamente l'inconscio del lettore. Un vero e proprio incubo ad occhi aperti.
La morale finale è sempre la stessa, comune alla maggior parte di questo tipo di opere: puro e semplice nichilismo. Perdita dei valori, dell'identità, dei punti di rifermento, della bellezza, della sostanza. Il finale inoltre parla chiaro, svelando, attraverso le parole del protagonista, la metafora del manga ed un possibile eterno ritorno del male. Male assimilabile alla fredda consapevolezza del caos e dell'insensatezza del tutto, non male in senso convenzionale, dettato dalle leggi scritte dall'uomo e dalle sue società/istituzioni. La morbosa e delirante follia del "Figlio di Dio" è la metafora a tinte forti dell'uomo il quale ha perso ogni certezza; dell'uomo consapevole dell'insensatezza più totale delle cose e dell'alienazione che implica la ricerca di saldi punti di riferimento in una realtà la quale pare solamente una grande illusione fine a sé stessa, oppure un meccanismo la cui complessità va oltre ogni umana comprensione.
Un manga inquietante e stranissimo, forse il più strano che abbia mai letto, dal disegno atipico, sgradevole, deformato, e che proprio per la sua stranezza mi ha incuriosito. La storia racconta di un bambino diverso dagli altri, una sorta di doppio di Cristo che crescendo tra esperienze necrofile e compiendo vari omicidi disprezzando la società, raduna una sorta di culto di bambini intorno a sè, con cui fare orge e da cui essere venerato, per poi venire tradito da un novello Giuda. La lettura non lascia nulla, in definitiva è un manga che si può evitare tranquillamente... da leggere solo se non si ha nulla di meglio da fare.