Goodbye, Eri
Un'atmosfera onirica e inquietante
Fujimoto, come al solito, dimostra una grande maestria nel creare atmosfere dense e inquietanti. La storia, che si muove tra realtà e finzione, è avvolta in un'aura di mistero e ambiguità che cattura il lettore fin dalle prime pagine. I disegni, sebbene presentino qualche incertezza, riescono a trasmettere alla perfezione le emozioni dei personaggi e l'atmosfera surreale dell'opera.
Una trama affascinante ma incompleta
La trama di "Goodbye, Eri" è sicuramente affascinante e originale, ma a tratti risulta un po' troppo ambiziosa. L'intreccio tra realtà e finzione, tra sogno e veglia, è complesso e sfuggevole, e alcuni elementi rimangono poco chiari. Inoltre, il finale, pur aperto a diverse interpretazioni, potrebbe lasciare alcuni lettori insoddisfatti.
Personaggi interessanti ma poco approfonditi
I personaggi di "Goodbye, Eri" sono interessanti e ben caratterizzati, ma avrebbero potuto essere approfonditi maggiormente. In particolare, il rapporto tra Yuta ed Eri rimane un po' in superficie, e non si ha mai la sensazione di conoscerli veramente.
Un'esperienza visiva unica
Uno degli aspetti più interessanti di "Goodbye, Eri" è sicuramente la sua componente visiva. Fujimoto sperimenta con diverse tecniche narrative e stilistiche, creando un'esperienza di lettura unica e coinvolgente. Tuttavia, alcune sequenze possono risultare un po' confusionarie e difficili da interpretare.
In conclusione
"Goodbye, Eri" è un'opera ambiziosa e originale che merita di essere letta, ma che non è esente da difetti. L'atmosfera inquietante, i personaggi interessanti e lo stile visivo innovativo sono indubbiamente dei punti di forza, ma la trama incompleta e l'approfondimento psicologico dei personaggi lasciano a desiderare. Un'opera che sicuramente farà discutere e che potrebbe polarizzare i lettori.
Fujimoto, come al solito, dimostra una grande maestria nel creare atmosfere dense e inquietanti. La storia, che si muove tra realtà e finzione, è avvolta in un'aura di mistero e ambiguità che cattura il lettore fin dalle prime pagine. I disegni, sebbene presentino qualche incertezza, riescono a trasmettere alla perfezione le emozioni dei personaggi e l'atmosfera surreale dell'opera.
Una trama affascinante ma incompleta
La trama di "Goodbye, Eri" è sicuramente affascinante e originale, ma a tratti risulta un po' troppo ambiziosa. L'intreccio tra realtà e finzione, tra sogno e veglia, è complesso e sfuggevole, e alcuni elementi rimangono poco chiari. Inoltre, il finale, pur aperto a diverse interpretazioni, potrebbe lasciare alcuni lettori insoddisfatti.
Personaggi interessanti ma poco approfonditi
I personaggi di "Goodbye, Eri" sono interessanti e ben caratterizzati, ma avrebbero potuto essere approfonditi maggiormente. In particolare, il rapporto tra Yuta ed Eri rimane un po' in superficie, e non si ha mai la sensazione di conoscerli veramente.
Un'esperienza visiva unica
Uno degli aspetti più interessanti di "Goodbye, Eri" è sicuramente la sua componente visiva. Fujimoto sperimenta con diverse tecniche narrative e stilistiche, creando un'esperienza di lettura unica e coinvolgente. Tuttavia, alcune sequenze possono risultare un po' confusionarie e difficili da interpretare.
In conclusione
"Goodbye, Eri" è un'opera ambiziosa e originale che merita di essere letta, ma che non è esente da difetti. L'atmosfera inquietante, i personaggi interessanti e lo stile visivo innovativo sono indubbiamente dei punti di forza, ma la trama incompleta e l'approfondimento psicologico dei personaggi lasciano a desiderare. Un'opera che sicuramente farà discutere e che potrebbe polarizzare i lettori.
“Alla realtà manca un pizzico di fantasia”
Tatsuki Fujimoto è il mangaka del momento, grazie soprattutto allo spropositato successo di “Chainsaw Man” (appena entrato nel suo secondo ciclo narrativo), l’autore gode di un’invidiabile fama internazionale che l’ha portato ad essere uno degli artisti nipponici più amati dell’ultimo decennio fumettistico, nonostante un tratto pittorico lacunoso e perfettibile, seppur originale e perfettamente riconoscibile.
Le lacune tecniche nel disegno vengono in parte colmate da una fantasia briosa che comunica un’eccezionale capacità creativa, perfettamente riscontrabile nelle sue opere lunghe “Fire Punch” e “Chainsaw Man”.
Tuttavia, oltre alle estrose bizzarrie delle sue opere principali, Fujimoto ci ha spesso mostrato un’altra faccia nel concepimento dei suoi racconti brevi, un volto più mite e riflessivo, accostabile a grandi firme come Inio Asano e Taiyō Matsumoto, calando anche un velo autobiografico per rendere i racconti estremamente intimisti e personali.
Dopo aver incantato il web con lo struggente “Look Back”, Fujimoto continua il suo percorso negli one-shot con un volume altrettanto toccante: “Goodbye, Eri”.
Nel giorno del suo dodicesimo compleanno Yuta riceve da sua madre, malata terminale, una richiesta piuttosto singolare: filmarla nei suoi ultimi giorni di vita. Il ragazzo raccoglie le ore di filmati in un documentario amatoriale che decide di proiettare nella sua scuola. Tuttavia il finale da lui ideato, che lo vede far esplodere l’ospedale in cui è ricoverata sua madre, riceve aspre critiche da studenti, professori, e persino da suo padre, che gli chiede come abbia potuto dissacrare in quel modo l’immagine della madre.
Yuta, nonostante abbia realizzato quel finale istrionico per esorcizzare il dolore della perdita, subisce le critiche e cade in un profondo stato depressivo, decide così di suicidarsi dal tetto dell’ospedale in cui è morta la madre. Arrivato in cima ormai pronto a compiere il gesto estremo, il giovane incontra Eri, una misteriosa ragazza cinefila che pare essere l’unica ad aver apprezzato il finale del suo film.
Eri salva Yuta e lo porta in un fatiscente casolare abbandonato con un proiettore per guardare film, incentivandolo a diventare un regista migliore.
La cinefilia di Fujimoto ha sempre straripato dai suoi racconti e il suo grande amore per la settima arte emergeva soprattutto in “Fire Punch”, tuttavia il taglio cinematografico riservato a “Good Bye, Eri” è qualcosa di nuovo anche per Fujimoto.
L’impostazione delle tavole in lungo dall’alto al basso ricorda la consecutio immagini delle pellicole, e l’utilizzo di fotogrammi fuori fuoco e del motion blur ci fa capire che stiamo osservando dal campo visivo della telecamera invece che dagli occhi del protagonista.
È proprio il continuo gioco tra realtà e finzione il leitmotiv del volume, due facce della stessa medaglia che confluiscono in un finale perfetto per l’opera in questione, anche se un tantino prevedibile già dal titolo, soprattutto se si conosce la semantica autoriale del mangaka. Tuttavia proprio quando i nodi vengono al pettine, con un gran colpo d’autore, Fujimoto aggiunge dei fili a una matassa che solo apparentemente sembrava sbrogliata del tutto.
Tornano concetti già esplorati in “Look Back” come la metabolizzazione del lutto e la possibilità di riscrivere attraverso l’arte un finale drammatico (in “Look Back” avveniva tramite un manga, qui mediante un film).
Ma l’aspetto più interessante di questo volume è vedere come l’autore si cimenti nella decostruzione dello stereotipo del defunto, smitizzandone la venerazione a tutti i costi a cui siamo abituati. La madre di Yuta è lontanissima dagli archetipi della madre modello, ed una volta morta emergono diversi suoi lati oscuri che ci consegnano un’immagine ben diversa dalla finzione recitativa della donna delle prime pagine.
Seppur a tratti saturo di ridondanza contenutistica, “Goodbye, Eri” rappresenta per Fujimoto un’ulteriore passo in avanti verso una maturazione artistica definitiva (almeno narrativamente parlando).
Il tratto appare ancora piuttosto rigido e legnoso, anche se si nota qualche modesto passo in avanti rispetto agli esordi.
Ciò in cui l’autore è migliorato sensibilmente è senza dubbio la costruzione delle tavole, emerge una maggiore cura nella disposizione degli elementi che le compongono e una regia più esperta e virtuosa.
Come già accaduto per “Look Back” Star Comics fornisce il titolo in due versioni, la più economica in formato tankōbon classico e la deluxe in cartonato da collezione.
“Goodbye, Eri” è un titolo semplice ma complesso al tempo stesso, una parabola ossimorica sull’ineffabilità del destino fruibile a più livelli, che ci fornisce un racconto suggestivo, dandoci la conferma che il futuro del manga mainstream è in buone mani.
Tatsuki Fujimoto è il mangaka del momento, grazie soprattutto allo spropositato successo di “Chainsaw Man” (appena entrato nel suo secondo ciclo narrativo), l’autore gode di un’invidiabile fama internazionale che l’ha portato ad essere uno degli artisti nipponici più amati dell’ultimo decennio fumettistico, nonostante un tratto pittorico lacunoso e perfettibile, seppur originale e perfettamente riconoscibile.
Le lacune tecniche nel disegno vengono in parte colmate da una fantasia briosa che comunica un’eccezionale capacità creativa, perfettamente riscontrabile nelle sue opere lunghe “Fire Punch” e “Chainsaw Man”.
Tuttavia, oltre alle estrose bizzarrie delle sue opere principali, Fujimoto ci ha spesso mostrato un’altra faccia nel concepimento dei suoi racconti brevi, un volto più mite e riflessivo, accostabile a grandi firme come Inio Asano e Taiyō Matsumoto, calando anche un velo autobiografico per rendere i racconti estremamente intimisti e personali.
Dopo aver incantato il web con lo struggente “Look Back”, Fujimoto continua il suo percorso negli one-shot con un volume altrettanto toccante: “Goodbye, Eri”.
Nel giorno del suo dodicesimo compleanno Yuta riceve da sua madre, malata terminale, una richiesta piuttosto singolare: filmarla nei suoi ultimi giorni di vita. Il ragazzo raccoglie le ore di filmati in un documentario amatoriale che decide di proiettare nella sua scuola. Tuttavia il finale da lui ideato, che lo vede far esplodere l’ospedale in cui è ricoverata sua madre, riceve aspre critiche da studenti, professori, e persino da suo padre, che gli chiede come abbia potuto dissacrare in quel modo l’immagine della madre.
Yuta, nonostante abbia realizzato quel finale istrionico per esorcizzare il dolore della perdita, subisce le critiche e cade in un profondo stato depressivo, decide così di suicidarsi dal tetto dell’ospedale in cui è morta la madre. Arrivato in cima ormai pronto a compiere il gesto estremo, il giovane incontra Eri, una misteriosa ragazza cinefila che pare essere l’unica ad aver apprezzato il finale del suo film.
Eri salva Yuta e lo porta in un fatiscente casolare abbandonato con un proiettore per guardare film, incentivandolo a diventare un regista migliore.
La cinefilia di Fujimoto ha sempre straripato dai suoi racconti e il suo grande amore per la settima arte emergeva soprattutto in “Fire Punch”, tuttavia il taglio cinematografico riservato a “Good Bye, Eri” è qualcosa di nuovo anche per Fujimoto.
L’impostazione delle tavole in lungo dall’alto al basso ricorda la consecutio immagini delle pellicole, e l’utilizzo di fotogrammi fuori fuoco e del motion blur ci fa capire che stiamo osservando dal campo visivo della telecamera invece che dagli occhi del protagonista.
È proprio il continuo gioco tra realtà e finzione il leitmotiv del volume, due facce della stessa medaglia che confluiscono in un finale perfetto per l’opera in questione, anche se un tantino prevedibile già dal titolo, soprattutto se si conosce la semantica autoriale del mangaka. Tuttavia proprio quando i nodi vengono al pettine, con un gran colpo d’autore, Fujimoto aggiunge dei fili a una matassa che solo apparentemente sembrava sbrogliata del tutto.
Tornano concetti già esplorati in “Look Back” come la metabolizzazione del lutto e la possibilità di riscrivere attraverso l’arte un finale drammatico (in “Look Back” avveniva tramite un manga, qui mediante un film).
Ma l’aspetto più interessante di questo volume è vedere come l’autore si cimenti nella decostruzione dello stereotipo del defunto, smitizzandone la venerazione a tutti i costi a cui siamo abituati. La madre di Yuta è lontanissima dagli archetipi della madre modello, ed una volta morta emergono diversi suoi lati oscuri che ci consegnano un’immagine ben diversa dalla finzione recitativa della donna delle prime pagine.
Seppur a tratti saturo di ridondanza contenutistica, “Goodbye, Eri” rappresenta per Fujimoto un’ulteriore passo in avanti verso una maturazione artistica definitiva (almeno narrativamente parlando).
Il tratto appare ancora piuttosto rigido e legnoso, anche se si nota qualche modesto passo in avanti rispetto agli esordi.
Ciò in cui l’autore è migliorato sensibilmente è senza dubbio la costruzione delle tavole, emerge una maggiore cura nella disposizione degli elementi che le compongono e una regia più esperta e virtuosa.
Come già accaduto per “Look Back” Star Comics fornisce il titolo in due versioni, la più economica in formato tankōbon classico e la deluxe in cartonato da collezione.
“Goodbye, Eri” è un titolo semplice ma complesso al tempo stesso, una parabola ossimorica sull’ineffabilità del destino fruibile a più livelli, che ci fornisce un racconto suggestivo, dandoci la conferma che il futuro del manga mainstream è in buone mani.
Volume unico dallo svolgimento lento che riprende lo stile di una pellicola e vuole accompagnare il lettore nella difficoltà di un soggetto apatico di metabolizzare la realtà, attraverso un film il ragazzo si convince di accontentare gli altri, non se stesso.
La realtà viene modificata nel mostrare la parte migliore, più commovente e che può toccare il pubblico.
Ottima la sceneggiatura, il disegno molto meno.
L'insoddisfazione del protagonista del manga è evidente, il finale del primo film gli era servito un po' come sfogo, non tanto per quello che succede nel film quanto nel fatto che il film è migliore della realtà e questo diventerà il problema principale che lo porterà a travalicare la fiction.
Considerato da molti un genio, Fujimoto può sorprendere il lettore medio, ma non si tratta certo di un capolavoro e ad una lettura attenta è veramente molto prevedibile.
Essendo il manga tutto improntato su una lentezza molto noiosa che vuole sorprendere nel finale molto altro è stato lasciato per strada.
Non essendoci per quello che mi riguarda né un disegno degno di nota, né l'effetto sorpresa mi sembra naturale dargli un sette per l'intenzione e la buona sceneggiatura.
Non è un manga che rileggerei.
La realtà viene modificata nel mostrare la parte migliore, più commovente e che può toccare il pubblico.
Ottima la sceneggiatura, il disegno molto meno.
L'insoddisfazione del protagonista del manga è evidente, il finale del primo film gli era servito un po' come sfogo, non tanto per quello che succede nel film quanto nel fatto che il film è migliore della realtà e questo diventerà il problema principale che lo porterà a travalicare la fiction.
Considerato da molti un genio, Fujimoto può sorprendere il lettore medio, ma non si tratta certo di un capolavoro e ad una lettura attenta è veramente molto prevedibile.
Essendo il manga tutto improntato su una lentezza molto noiosa che vuole sorprendere nel finale molto altro è stato lasciato per strada.
Non essendoci per quello che mi riguarda né un disegno degno di nota, né l'effetto sorpresa mi sembra naturale dargli un sette per l'intenzione e la buona sceneggiatura.
Non è un manga che rileggerei.
Pubblicato fra le "pagine" digitali di Manga+ nel 2022, (e in seguito pubblicato in Italia da Star Comics), questo è il secondo volume unico a sé stante di Tatsuki Fujimoto dopo lo one-shot "Look Back".
In quest'opera, come in altre reiterazioni, l'autore compie un'opera di sperimentazione narrativa che tenta di riportare su carta non solo espedienti cinematografici, ma anche la passione stessa dell'autore per il cinema, dichiarato in varie occasioni che lui stesso utilizza nelle sue altre opere per definire le caratterizzazioni comportamentali dei personaggi frutti della sua mente.
La trama ruota attorno a Yuta, protagonista della storia, la sua famiglia (in particolare sua madre), e una misteriosa ragazza, Eri.
Il lavoro si apre con Yuta che apprende dal padre che sua madre li lascerà presto per una malattia. Da lì, lei ordina al figlio di filmarla nel suo ultimo periodo di vita, in modo tale da poter conservare un "ricordo" di lei, da poter visionare in qualunque momento.
La morte della madre così si consuma, ma veniamo a conoscenza che le scene iniziali sono in realtà parte di un filmino scolastico che si conclude con l'esplosione dell'ospedale in cui era ricoverata la madre, esplosione aggiunta per l'appunto da Yuta stesso. Risate si aprono dunque nell'aula in cui era riprodotto il film, e questo è così poco sopportabile dal protagonista, il quale decide di togliersi la vita.
Nel tetto dell'ospedale però, incontra la misteriosa Eri, che gli consiglia di andare da un'altra parte per consumare il suo gesto.
Siamo così introdotti a Eri, personaggio fulcro della storia, e da lì Fujimoto inizia realmente a sperimentare con la narrazione di questa storia. I due iniziano a guardare insieme film all'interno di uno strano magazzino abbandonato, e decideranno di girare un film su di lei insieme, venuta anche lei a conoscenza della diagnosi della stessa malattia avuta dalla madre di Yuta.
Da qui, progressivamente, l'autore introduce interessi livelli interpretativi della storia, che ci fanno chiedere quali siano esattamente le scene imputabili alla realtà, e quali al filmato girato. Ed è proprio ciò in cui Fujimoto eccelle in quest'occasione.
- SPOILER -
Il finale, con un Yuta ormai adulto, non ancora in grado di esser riuscito ad apporre un finale al film di quando era giovane, lascia molto al lettore la sua interpretazione, sospeso tra il limbo dei due mezzi comunicativi, la realtà, e il cinema.
- FINE SPOLER -
In definitiva, opera imperdibile se si vuole approfondire lo stile di narrazione dell'autore che ha generato più clamore nel recente periodo, Tatsuki Fujimoto.
In quest'opera, come in altre reiterazioni, l'autore compie un'opera di sperimentazione narrativa che tenta di riportare su carta non solo espedienti cinematografici, ma anche la passione stessa dell'autore per il cinema, dichiarato in varie occasioni che lui stesso utilizza nelle sue altre opere per definire le caratterizzazioni comportamentali dei personaggi frutti della sua mente.
La trama ruota attorno a Yuta, protagonista della storia, la sua famiglia (in particolare sua madre), e una misteriosa ragazza, Eri.
Il lavoro si apre con Yuta che apprende dal padre che sua madre li lascerà presto per una malattia. Da lì, lei ordina al figlio di filmarla nel suo ultimo periodo di vita, in modo tale da poter conservare un "ricordo" di lei, da poter visionare in qualunque momento.
La morte della madre così si consuma, ma veniamo a conoscenza che le scene iniziali sono in realtà parte di un filmino scolastico che si conclude con l'esplosione dell'ospedale in cui era ricoverata la madre, esplosione aggiunta per l'appunto da Yuta stesso. Risate si aprono dunque nell'aula in cui era riprodotto il film, e questo è così poco sopportabile dal protagonista, il quale decide di togliersi la vita.
Nel tetto dell'ospedale però, incontra la misteriosa Eri, che gli consiglia di andare da un'altra parte per consumare il suo gesto.
Siamo così introdotti a Eri, personaggio fulcro della storia, e da lì Fujimoto inizia realmente a sperimentare con la narrazione di questa storia. I due iniziano a guardare insieme film all'interno di uno strano magazzino abbandonato, e decideranno di girare un film su di lei insieme, venuta anche lei a conoscenza della diagnosi della stessa malattia avuta dalla madre di Yuta.
Da qui, progressivamente, l'autore introduce interessi livelli interpretativi della storia, che ci fanno chiedere quali siano esattamente le scene imputabili alla realtà, e quali al filmato girato. Ed è proprio ciò in cui Fujimoto eccelle in quest'occasione.
- SPOILER -
Il finale, con un Yuta ormai adulto, non ancora in grado di esser riuscito ad apporre un finale al film di quando era giovane, lascia molto al lettore la sua interpretazione, sospeso tra il limbo dei due mezzi comunicativi, la realtà, e il cinema.
- FINE SPOLER -
In definitiva, opera imperdibile se si vuole approfondire lo stile di narrazione dell'autore che ha generato più clamore nel recente periodo, Tatsuki Fujimoto.