Con la pioggia di rilanci e remake attualmente in atto, da Rurouni Kenshin l’anno scorso all’imminente Kinnikuman, sempre più opere classiche (trasmesse da noi o meno) stanno venendo riproposte in edizioni rivedute e corrette, figlie di un grande tornado di ripescaggio generale che sta travolgendo ogni forma d’intrattenimento mondiale.

Succede quindi che in una manciata d’anni Capcom rifaccia da capo metà saga di Resident Evil, i blockbuster hollywoodiani abbiano successo solo se hanno un numero alla fine del titolo e che opere animate come Lamù-Urusei Yatsura vengano realizzate da capo per essere più fedeli ai loro manga d’origine.

Piaccia o meno questa tendenza, è sicuramente un’occasione per permettere a certe opere coinvolte in situazioni particolari nei loro decenni di nascita (o adattate proprio male) di brillare di luce propria, e Urusei Yatsura - Lamù e i casinisti planetari non fa eccezione.

La serie, per chi non la conoscesse, è tratta dall'omonimo manga di Rumiko Takahashi, e parla delle sventure di un ragazzo perennemente in cerca di donzelle con cui uscire, Ataru Moroboshi, che si ritrova suo malgrado promesso sposo di un'aliena iraconda e violenta di nome Lamù, e presto i due verranno travolti da una spirale di personaggi assurdi, alieni e semplicemente improbabili, in una serie comica oltre i limiti del demenziale.
 
Lamù: recensione del ritorno dei "Casinisti Planetari"


La serie animata storica di Urusei Yatsura rappresentò un punto di svolta nel mondo degli anime televisivi, trasportando su schermo le innovazioni del manga originale, che rappresentava adolescenti molto meno “idealizzati” e più simili alla realtà, che trasformava le divise scolastiche in abiti alla moda e che affermava definitivamente uno stile di disegno meno realistico e proporzionato ma, non per questo, meno efficace.

La serie anime originale aveva, inoltre, grandi meriti propri, tra cui l’uso di cantanti professionisti per le sigle anime (prima si usavano solo “cantanti di sigle anime”, come i nostri Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, artisti il cui unico lavoro era proprio quello di cantare sigle), e il lancio di un genere, le commedie con protagoniste femminili “carine”, che avrebbe spopolato per tutta la prima metà degli anni ‘80, separandosi poi in vari rami differenti che portarono ad adattamenti di serie molto diverse tra loro, come Pollon o Dirty Pair.

Opera prima di Kitty Film, "nuova" branca di una casa discografica che decise di gettarsi nel mondo degli anime, e uno dei primi lavori del leggendario Studio Pierrot (poi “ereditato” dallo Studio Deen), l’originale Urusei Yatsura era, come detto, dotato di una carica innovativa straordinaria; talvolta, data la giovinezza delle parti in causa, persino strabordante, con una realizzazione tecnica dalla cura quasi senza precedenti e tanta sperimentazione a livello di regia.

Forse troppa sperimentazione, dato che l’estro registico del sempre onirico Mamoru Oshii (regista dei primi 100 episodi circa) piacque solo fino a un certo punto al pubblico, che finì per inviargli persino lettere minatorie con lamette allegate per aver trasformato il loro amato manga in qualcosa di troppo poco “di Rumiko Takahashi” e troppo “di Mamoru Oshii”.

La prima serie anime di Lamù è, quindi, un pazzo incidente, un misto d’innovazione, estro creativo ed esagerazione che, però, si allontana pesantemente dai ritmi e dallo stile del manga originale, ed è probabilmente anche per questo che si è ritenuto d’uopo realizzarne un secondo adattamento animato, stavolta ad opera dei “veterani del remake” di David Production, già autori de Le Bizzarre Avventure di JoJo e della prima serie del nuovo Captain Tsubasa.
 
Lamù: recensione del ritorno dei "Casinisti Planetari"


La serie si pone l’obiettivo di avere un ritmo molto più elevato rispetto al vecchio adattamento, ricco di momenti riflessivi o inquadrature di paesaggi con musiche d’atmosfera in sottofondo: le gag sono ora velocissime, di pari passo con le numerose scene comiche che Rumiko Takahashi riusciva a infilare in una singola tavola del manga, dando all’opera un’anima nuova, focalizzata su una demenzialità più slapstick e meno surreale; più simile, appunto, alla sua controparte cartacea.

Urusei Yatsura rimane, però, un’opera animata ricchissima d’inventiva in qualunque trasposizione, e questo si nota da moltissime finezze artistiche atte a mantenere lo spirito originale dimostrando, comunque, un notevole estro creativo: i titoli degli episodi vengono mostrati in maniera sempre diversa, integrati con la scena, e gli effetti sonori sono spesso composti da onomatopee a schermo “lette” dai doppiatori dei personaggi che eseguono l’azione che genera il “rumore”.

A proposito di doppiatori: per questo remake è stata mobilitata una scuderia di tutto rispetto, che vede i celebri  (già protagonista di Don’t Toy With Me, Miss Nagatoro) e  (Trafalgar Law in One Piece, insieme a decine d’altri ruoli) accompagnati da un  immancabile in questo genere di progetti, non a caso è già pronto anche per doppiare il protagonista in Kinnikuman: Perfect Origin Arc.
Le loro prestazioni, come quelle degli altri doppiatori coinvolti, sono, come prevedibile dato il loro curriculum, impeccabili.

Si ha un ottimo lavoro anche sul fronte italiano, dove  e  fanno da apripista per un cast di voci giovani per personaggi, giustamente, giovani, e veterani del doppiaggio milanese dove è necessario (come con Sakurambo, doppiato da ).
 
Lamù: recensione del ritorno dei "Casinisti Planetari"


Un’ottima abitudine, in quest’ondata di remake, è quella di studiare nei minimi dettagli le opere precedenti (anche tramite staff composto da fan di vecchia data dell’opera da animare, come già successo con Dragon Quest e Rurouni Kenshin).
Palesemente è anche il caso del nuovo Urusei Yatsura, dove gli omaggi, dovuti, al vecchio anime si sprecano, ed è stata prestata particolare attenzione nel dimostrare amore e rispetto al franchise nella sua interezza.

Purtroppo, la serie non adatta tutti i capitoli del manga, saltandone alcuni ritenuti, evidentemente, sacrificabili, ma i vari personaggi riescono comunque ad apparire in camei o negli eyecatch, segno che non sono stati dimenticati.
Ma le soddisfazioni maggiori le regala il doppiaggio, con alcuni esercizi di stile che noi italiani, che abbiamo goduto della serie originale risucchiata dal girone dantesco dei doppiaggi da tv locali, con cambi continui di doppiatori, non possiamo comprendere appieno (o per nulla).

 e , doppiatori originali di Ataru e Lamù, vengono infatti richiamati per vestire i panni, rispettivamente, del padre di lui e della madre di lei, accompagnati da alcuni, fenomenali camei di doppiatori principali di altre opere animate ispirate ai manga di Rumiko Takahashi.

Discorso a parte va fatto per : doppiatore dalla fortissima capacità di caratterizzazione, nella serie originale doppiava un personaggio anime-only, Megane, inserito nel gruppo di amici di Ataru e primo fan di Lamù.
Nella versione italiana del vecchio anime Megane ha avuto una decina di doppiatori diversi, ma in originale l’interpretazione profondamente sopra le righe di Shigeru Chiba, che provocava risate continue in sala di doppiaggio, fu la rampa di lancio di una carriera, tutt’oggi attiva, che lo portò a doppiare Radish in Dragon Ball Z e Bagy in One Piece (tra gli altri).
Qui, Shigeru Chiba torna per doppiare il padre di Ryunosuke, dandogli una verve e un tono adattissimi al personaggio, oltre a interpretare un rapidissimo cameo che, sicuramente, avrà fatto la felicità dei fan (giapponesi) dell’anime storico.
 
Lamù: recensione del ritorno dei "Casinisti Planetari"


Restando a parlare dell’anime storico, abbiamo scritto poco più sopra che la serie del 1981 fu la prima a usare cantanti “professionisti” per delle sigle anime, sfruttando la scuderia di artisti a disposizione di Kitty Films.
La serie remake fa un lavoro simile, ma diverso, appoggiandosi al progetto collettivo MAISONdes per le sigle della serie.
Le varie opening ed ending vengono cantate da membri diversi del gruppo, e nonostante questo risultano comunque piuttosto coerenti tra loro, seguendo una scia stilistica ben precisa, come fece l’Urusei Yatsura originale.
 
 
 
 
La psichedelia immaginifica delle immagini delle sigle sembra fare da raccordo tra il vecchio anime e quello nuovo, ed è un’ottima introduzione per l’eccellente comparto tecnico che grazia la serie: coloratissima, ricca di dettagli e soluzioni estremamente intelligenti e creative, rende l’opera estremamente divertente e piacevole da seguire, rendendo peraltro giustizia ai numerosi, affascinanti personaggi femminili che, per la gioia di Ataru, si alternano sullo schermo.
Peraltro, e questo è un dettaglio che fa sempre piacere, la serie non è stata “adattata” ai giorni nostri, e rimane saldamente ancorata all’immaginario anni ‘80 di musicassette, telefoni a filo e macchine fotografiche.
 
Lamù: recensione del ritorno dei "Casinisti Planetari"
 
Nato nel 2019, il remake di Urusei Yatsura ha posto davanti ai produttori molte difficoltà, tra cui il mantenere vivo lo spirito irriverente della serie originale senza risultare di cattivo gusto per il pubblico (anche internazionale) di oggi, e riuscire a trasmettere l’atmosfera dell’era Showa, di cui la serie storica è portabandiera assoluta, anche nell’attuale era Reiwa, senza per questo farne un’opera che gli spettatori più giovani non possano apprezzare o capire.
Obiettivo non facile ma pienamente centrato, perché questa nuova incarnazione di Lamù risulta tanto divertente e “moderna” quanto fedele, il più possibile, all’originale, cosa mai facile con questo tipo di opere.

Se l’originale Lamù animato è una bomba d’inventiva e di sperimentazione, e una meravigliosa finestra sulla gioventù dell’era Showa, ma un adattamento sin troppo fantasioso per poter essere, talvolta, considerato tale, il suo remake a opera di David Production è una esaustiva (anche se non completista) lettera d’amore al franchise, un riuscitissimo tentativo di far scoprire quanto può essere divertente Urusei Yatsura anche a chi conosce il personaggio di Lamù solo di nome.
Non tutti i remake raggiungono questo perfetto bilanciamento di fedeltà e inventiva, ma qui l’equilibrio è veramente impeccabile.