Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

7.5/10
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«Gannibal», è un manga, ideato e disegnato da Masaaki Ninomiya, coinvolgente e frenetico nella realizzazione, che gioca, forse anche troppo, con il lettore.

Il poliziotto Daigo Agawa si trasferisce, con sua moglie e sua figlia, in un piccolo villaggio tra le montagne. L’uomo, di natura molto diffidente, si preoccupa per una diceria diffusa in quei luoghi, non vuole dargli ascolto, ma quando trova nel bosco il cadavere di una misteriosa donna con uno strano morso quei dubbi si tramutano in sospetti. La sua mente è pervasa da pensieri poco edificanti verso chi dovrebbe proteggere. Quel segno non è riconducibile a un orso o un cinghiale, il morso è stato dato chiaramente da essere umano, da un cannibale.

“Sicuramente è stato un orso.”
Il cannibalismo, il divorare esseri appartenenti alla propria specie, è nel mondo animale persino una pratica talvolta comune, soprattutto in molte larve e in alcuni predatori, come nel caso del leone. Parlando degli esseri umani la più antica testimonianza di un presunto cannibalismo risale a 800.000 anni fa. Nel corso del tempo nei luoghi più disparati la pratica assume caratteri rituali, mortuari o celebrativi. Le motivazioni dietro al cannibalismo possono essere anche, almeno in parte, comprese, basti pensare quando tale pratica diventa l’unico modo per sopravvivere. Il celebre disastro aereo delle Ande ne è un chiaro esempio. I sopravvissuti all’incidente aereo, avvenuto nell’ottobre del 1972, rimasero per 72 giorni dispersi con una quantità di cibo irrisoria, a quel punto avevano solo un’alternativa alla morte.

“Devo davvero ignorare tutto quello che mi è stato detto?’”
Ninomiya si dimostra un maestro nel saper condurre il lettore dove desidera, ogni volume si dimostra una sequela di emozioni forti, di spasmodiche attese, come se ogni pagina potesse essere il preludio per un grande finale. La storia scorre molto veloce, dopo neanche venti tavole il protagonista si trova minacciato per la prima volta, ma questa celerità non risulta fastidiosa, per quanto alla lunga potrebbe stancare.

Entriamo dentro la storia tramite il protagonista attraverso pensieri ed emozioni assolutamente condivisibili. Una famiglia da proteggere con un lavoro difficile. Il suo senso di giustizia lo porta a diventare violento con i criminali, più del dovuto, come possiamo notare nel ricordi del secondo volume. Di questo suo carattere ne paga le conseguenze: la figlia ha smesso di parlare per via di un vecchio trauma. Per sua fortuna la moglie lo sostiene in questo periodo difficile, ma, per quanto cerchi di condurre un’esistenza pacifica, la continua minaccia della famiglia Goto è sempre presente nella sua vita. A quel punto è tutta una semplice scelta: si potrebbe ignorare tutto e andare avanti o scegliere altrimenti, affrontandone le conseguenze, dipende dal carattere.

In realtà, a ben leggere la storia, questa scelta sembra essere futile, quasi pretestuosa, in quanto il villaggio era diventato una polveriera pronta da tempo all’esplosione, ma forse, senza persone esterne al tutto, la storia avrebbe raggiunto un diverso epilogo.

La parte migliore probabilmente è quella dove vengono raccontati gli eventi del passato, quando la follia sembra trovare una spiegazione logica. Persone crudeli e meschine soggiogano con il potere o con un fascino perverso gli altri, ingannandoli, rendendole simili a loro o forse portano alla luce la reale natura di quelle persone.

Il tratto, deciso, non è sempre all'altezza, dimostrando le sue lacune soprattutto nelle scene d’azione più concitate, presenti verso la parte finale. Da notare come l'autore riesca a ben rappresentare la follia presente nei vari personaggi, con dei primi piani di questi volti completamente deformati, quando la follia prende forma si direbbe.

Tra i personaggi secondari sicuramente degno di nota è Keisuke dal misterioso passato. Un personaggio ben sfaccettato, uno dei pochi su cui la storia si sofferma.

In “Gannibal” il lettore si addentra in un fitto bosco fatto di misteri, dubbi e ansia. Volendone uscire al più presto si corre, veloce, solo per incontrare nuovi dubbi e vivere altri momenti di ansia, il cuore sembra scoppiare, ma si vuole andare avanti fino alla fine.

Consigliato a chi ha piacere di vivere forti emozioni in una lunga storia dal ritmo serrato.

8.5/10
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“Dicono che in Hokkaido, tempo fa, si estraevano dai fiumi pepite d’oro grandi come fagioli… la cosiddetta corsa all’oro. In quel periodo, per opporsi ai giapponesi che avevano continuato a perseguitarli anche dopo l’inizio dell’epoca Meiji, proibendo la pesca del salmone e la caccia ai cervi e togliendo loro le terre, un gruppo di Ainu stava accumulando in segreto una riserva d’oro a scopo militare… una gran quantità di pepite rare… ma un uomo uccise quegli Ainu e rubò tutto ciò che avevano accumulato. L’oro rubato era corrispondente al valore attuale di circa 800 milioni di Yen. Braccato dalla polizia, l’uomo, noto come “il senza volto”, nascose l’oro da qualche parte in Hokkaido, poi venne condannato a morte e sbattuto dentro una prigione fuori dal mondo, il carcere di Abashiri. A quanto pare il senza volto aveva dei compagni fuori e cercava un modo per comunicare dove si trovava l’oro. Scrivere una lettera era inutile, perché le guardie l’avrebbero sequestrata. Tutti infatti stavano cercando di capire dov’era nascosto il tesoro. Il senza volto usò i tatuaggi. Marchiò un codice segreto che indicava il nascondiglio del tesoro sui corpi dei condannati a morte, suoi compagni di cella. Pare che il codice segreto fosse comprensibile solo ai suoi compagni fuori dal carcere. Perché se i detenuti l’avessero decifrato l’avrebbero fregato sul tempo”. L’uomo disse ai prigionieri: «Evadete da qui. Darò metà dell’oro a chi ci riuscirà».

Con un incipit a metà tra la premessa iniziale di “One Piece” e il plot di “Prison Break”, un’ambientazione bellica che rievoca lo steampunk di “Fullmetal Alchemist” con una grattata di romance alla Hiro Mashima, parte “Golden Kamui”, l’epopea de “L’immortale” Saichi Sugimoto.
Satoru Noda ci porta nelle fredde terre dell’Hokkaidō all’inizio del ‘900, nel pieno del conflitto russo-giapponese, tra branchi di lupi e distese innevate, tra orsi bruni e foreste incolte, immergendoci in una natura selvaggia ed ostile che è il cuore pulsante dell’opera. Inizialmente l’idea del sensei era quella di realizzare un manga incentrato sulla caccia, e questo si evince dal nozionismo didascalico relativo ad armi intagliate, strumenti di cattura, descrizioni degli animali e studio dell’ambiente con cui Noda approccia il racconto. “Gli orsi bruni hanno le ossa del cranio troppo spesse, quindi le frecce, per non rischiare che si spezzino, vanno scoccate mirandoli nei bulbi oculari o nei timpani”.
La co-protagonista della storia è Ashirpa, una ragazzina Ainu che ricoprirà un ruolo chiave affiancando Sugimoto nella ricerca dell’oro, rivelandoci usanze e tradizioni indigene del suo popolo con pillole che addensano il background del racconto impreziosendolo di leggende e curiosità. La sottocultura Ainu emerge grazie anche ad una particolare attenzione del mangaka verso la cucina; l’autore ci mostra antiche tecniche utili a intenerire le pelli più dure, fino a metodi alternativi per salare e insaporire le carni più stoppacciose, riportandoci ricette e tradizioni culinarie primitive perlopiù desuete che a volte disgustano, altre fanno venire l’acquolina in bocca.

La ricerca del tesoro Ainu rimane il focus del manga per tutti i 31 volumi, e anche le storie secondarie si incastrano perfettamente alla linea narrativa principale, senza sottotrame meramente riempitive.
Trovare 24 ex prigionieri evasi, scuoiarli e mettere insieme le pelli per ricavarne un codice utile a scoprire il posizionamento del tesoro è un compito quantomai arduo, specie se a metterti i bastoni tra le ruote è la settima divisione comandata dallo stoico tenente Tsurumi.
La folle corsa all’oro porta alla contrapposizione di più fazioni, mostrandoci una miriade di personaggi sopra le righe pronti a tutto pur di accaparrarsi la propria fetta di tesoro.
La caratterizzazione dei personaggi che, nonostante l’esubero, si rivela uno dei punti più alti dell’intera produzione, conferisce a tutti un approfondito background, nessuno escluso. Oltre alle 24 pelli tatuate, da cui emergono individui a dir poco grotteschi, tra cui infermiere assassine e stupratori di orsi, è proprio la settima divisione a mostrarci le personalità più interessanti. Dal freddo e machiavellico cecchino Ogata al devoto sottotenente Koito, talmente assoggettato dal tenente Tsurumi da non riuscire a esprimersi in un linguaggio comprensibile con lui, tanto da necessitare un interprete per parlargli; passando per lo sfortunato Nikaido, ridotto ad una protesi umana con un orecchio come ciondolo, che ad ogni incontro con Sugimoto continua a perdere una parte del corpo, fino al trascinante comandante Tsurumi, il villain principale, la cui drammatica backstory è una delle parentesi più struggenti dell’intera opera.
L’autore riesce ad infilare nel roster anche figure realmente esistite del calibro di Jack lo squartatore o del vicecomandante dello Shinsengumi Toshizō Hijikata, in una granitica e ispirata commistione tra figure storiche e personaggi di fantasia perfettamente bilanciata.
Impossibile non citare l’eccentrico “re dell’evasione” Shiraishi, il quale, grazie alla sua abilità nello slogarsi ogni parte del corpo, è riuscito a evadere da tutti i carceri del Giappone. Shiraishi, con i suoi siparietti comici e le sue trovate assurde, è protagonista indiscusso dei momenti più esilaranti del manga.
La teatralità dei personaggi origina una lunga serie di passaggi tarantiniani accentuati quasi sempre dagli istrionici epiloghi delle loro side story. Come quando un impavido cacciatore in cerca di animali leggendari finisce ferocemente sbranato da un lupo gigante, morendo ridente in una catarsi orgasmica. È proprio attraverso l’enfatizzazione di morti brutali che i comprimari, quasi sempre, compiono la loro circolarità narrativa.
Il rapporto tra Sugimoto e Ashirpa, a metà tra bene fraterno e amore platonico ricorda molto da vicino quello tra Manji e Rin de “L’immortale”, tra l’altro Sugimoto per come si è distinto nel conflitto russo-giapponese è noto tra i commilitoni proprio come “Sugimoto l’immortale”, coincidenze?

I disegni di Noda sono eccezionali. Il tratto pulito e chiaro del sensei trova character design semplici e al contempo efficaci con grande disinvoltura, grazie a poche linee nette che conferiscono ai volti la massima espressività, toccando il suo pinnacolo espressivo nelle scene d’azione. Le tavole sono ricche di dinamismo, e i movimenti dei personaggi sempre riconoscibili, anche nelle fasi più concitate durante i combattimenti, originando vere e proprie mattanze al cardiopalma. Con dovizia di dettagli, che suggeriscono un approccio certosino e a tratti cavilloso, gli sfondi, mai bianchi, immergono il lettore in foreste selvagge e caverne umide, in risaie sconfinate e villaggi rurali, donando alle tavole sempre la giusta pienezza. La regia incalzante e ritmata, che a tratti richiama i capolavori western di Sergio Leone, aiuta a mantenere sempre alto il coinvolgimento del lettore, rivelandosi la ciliegina sulla torta di un comparto tecnico invidiabile.

Plot twist e flashback si alternano in un crescendo di emozioni che ci conduce al climax finale: la corsa sfrenata di un treno che deraglia verso l’inferno.
“Golden Kamui” è un manga estremamente completo, capace di passare dal nonsense più puro a momenti di alto lirismo fumettistico con estrema naturalezza, catapultandoci con quest’alternanza armonica tra commedia e dramma in un magnetico vortice di violenza delirante.
Se cercate una storia sobria statene alla larga, “Golden Kamui” è esasperazione, esagerazione, istrionismo allo stato puro, che, nel compiacersi tra i suoi innumerevoli esercizi di stile, riesce anche a far riflettere sul valore di una promessa fatta, sull’importanza delle proprie origini, e la salvaguardia del pianeta per le generazioni future. Un Satoru Noda incredibilmente ispirato confeziona un cult del manga d’avventura a sfondo bellico, regalandoci uno dei seinen più sorprendenti degli ultimi anni.

“Non c’è cosa mandata dal cielo che non abbia un suo ruolo”

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“Alla fine del secolo scorso, l’umanità rischiò di non entrare nella nuova era a causa di una crisi che minacciava di spazzarla via… se non fossero intervenuti “loro”. Nel 1969, quando stavano ancora vivendo la propria fanciullezza, “loro” crearono un simbolo. Nel 1997, mentre cominciavano a manifestarsi i primi segni di un disastro incombente, quel simbolo tornava a vivere. Questa è la storia di un gruppo di ragazzi che hanno salvato il mondo.”

Ideato dalla mente geniale del celebre Naoki Urasawa, “20th Century Boys” è un manga di 22 volumi pubblicato sulla rivista Big Comic Spirits della casa editrice Shogakukan a partire dal 1999 e conclusosi nel 2006, la cui storia trova degna conclusione nel successivo “21st Century Boys”, manga sequel dell’opera originale, che conta appena due volumi. L'opera si è aggiudicata il Kodansha Manga Award nella categoria generale nel 2001, il Premio eccellenza al Japan Media Arts Festival Award del 2002, il Shogakukan Manga Award nella categoria generale nel 2003 e il Seiun Award come miglior manga nel 2008.

Un robot, un'organizzazione malvagia, degli eroi che la combattono, gli alieni, un terribile virus... un nuovo manga di azione? No… semplicemente il gioco di un gruppo di bambini che dalla loro base segreta sognavano un futuro in cui salvavano il mondo da una terribile minaccia. Chi l'avrebbe detto che il quaderno in cui scrivevano e disegnavano le loro idee sarebbe diventato la nuova Bibbia? Sono passati parecchi anni, ormai tutti sono cresciuti, quando alcuni eventi mettono in moto il lento meccanismo della memoria che li costringerà a ricordare i giorni della loro infanzia, la chiave per capire la minaccia che a breve avrebbe colpito l'intera umanità. Qualcuno sta cercando di realizzare il loro gioco, e ci riuscirà, a meno che loro non riescano a fermarlo. Questo qualcuno è l'Amico, che utilizza come stemma proprio il logo che da bambini avevano inventato. Ma chi è l'Amico? Come fa a conoscere il contenuto del loro quaderno? E cosa potranno fare loro, un gruppetto di persone comunissime, contro una simile minaccia?

“20th Century Boys” di Naoki Urasawa è uno di quei thriller politici che ti entra dentro e ti spinge a cercare da solo le risposte che, per forza di cose, è costretto a darti l’autore entro la fine dell’opera, anche se non è sempre detto. La storia di Urasawa è di quelle enigmatiche, in grado di catturare e appassionare completamente il lettore, che, come nel mio caso, si trova spesso ad avanzare delle supposizioni circa i fatti che si susseguono ininterrotti, chiaro sintomo di grande partecipazione. Mai come nel caso di “20th Century Boys”, è necessaria una lettura attiva, unica soluzione se si vuole seguire passo dopo passo l’autore sulla strada da esso tracciata. Urasawa costruisce la sua opera muovendosi su più linee temporali, con un continuo alternarsi di scene del presente e flashbacks. Passato e presente vivono di una corrispondenza perfetta, tant’è che i continui “salti temporali” sono tutt’altro che fastidiosi, nonché essenziali ai fini della trama, che si presenta come un grandissimo puzzle di cui, a poco a poco, vengono forniti tutti, o quasi, i pezzi. Al centro di questo enorme puzzle c’è un simbolo, quello di un vecchio gruppo di amici d’infanzia nel passato, utilizzato nel presente da una strana setta religiosa, la Setta dell’Amico. La proliferazione di sette nel Giappone di fine millennio, paese dalla grande libertà di culto, nonché la religione stessa diventano oggetto di critiche da parte di Urasawa. Le sette, in particolar modo quella dell’Amico, sono esperte nel traviare con le parole, e non solo, i più deboli, coloro che si sentono abbandonati dalla società e cercano disperatamente qualcosa in cui credere. In questo modo, la Setta dell’Amico fa sempre più proseliti, fino a trasformarsi in una sorta di esercito. La guerra, nei termini in cui la intendiamo noi, non compare mai in “20th Century Boys”, ma nel corso della storia si vive costantemente con questo spettro a fare da indesiderato accompagnatore. Grandi sono le fortune della Setta dell’Amico, che, nel giro di qualche anno, finisce col diventare un partito politico. Proprio la politica è il secondo bersaglio polemico di Urasawa e, per quest’ultima, vale lo stesso discorso della religione. La politica, soprattutto se declinata nelle sue forme peggiori, ovvero quelle assolutisco-totalitariste, è in grado di smuovere le masse contro o a favore di qualcuno, di rendere popolare un simbolo e, soprattutto, di convincere le persone che il nero sia bianco e il bianco sia nero. La Setta dell’Amico, futuro partito politico, con la cui nascita coincidono tutta una serie di strani avvenimenti aventi luogo a Tokyo e non solo, vuole e riesce a convincere il popolo che un gruppo di eroi sia, in realtà, un gruppo di terroristi. E chi sono questi fantomatici eroi-terroristi? Ovviamente, i 20th Century Boys.

I ragazzi del ventesimo secolo formano un gruppo eterogeno di bambini che alle elementari passavano intere giornate insieme nella loro base segreta a fantasticare sul mondo e, cosa più importante, a come fare per salvarlo nel caso in cui la sua sicurezza fosse stata minacciata. Crescendo, i ragazzi si sono inevitabilmente persi di vista, ma quando il simbolo che hanno creato da giovani torna a vivere, affibbiato però ad un’oscura setta, ecco che la comitiva è chiamata a riunirsi sotto un’unica egida. La guida del gruppo è Kenji, un vero paladino della giustizia, fermamente convinto che la musica, in particolar modo quella rock, possa cambiare il mondo e, in fondo, tutti i torti non ce li ha. Con la sua musica, Kenji riesce a smuovere gli animi delle persone, così come oggi riescono a farlo i fumetti. Al suo fianco, c’è la spalla destra di cui tutti avrebbero bisogno, Occio, il classico tipo ‘poche parole e tanti fatti’ che non conviene in alcun modo far incazzare. La vita non è stata clemente con lui, portandogli via il figlio piccolo; inutile dire che da quel giorno egli non è stato più lo stesso. Poi, ci sono Mauro e Yoshitsune. Il primo è un bonaccione, uno a cui è difficile non volere bene, infatti, nonostante la sua stazza, non incuterebbe il minimo timore neanche ad una farfalla. Il secondo, il mio preferito, è un tipo timido e occhialuto, a cui la vita ha rifilato troppe delusioni, eppure lui ha sempre saputo rialzarsi. Nei momenti difficili, anche se controvoglia, è sempre pronto a prendere le redini della situazione, come solo un vero leader sa fare. Con la cazzuta ed irreprensibile Yukiji, il nucleo del gruppo, quello sempre presente nel corso dei 22+2 volumi del manga, è al completo. In ogni gruppo che si rispetti c’è bisogno del tocco femminile, per quanto poi, Yukiji, abbia molto spesso degli atteggiamenti da vero maschiaccio. Nonostante siano meno presenti nel corso della storia, meritano di essere nominati anche gli altri comprimari: Mon-chan, Croakki, Donkey, Konchi e Sadakiyo, uno dei personaggi con la crescita migliore di tutta l’opera. Estranea alla comitiva di amici, ma co-protagonista della storia è Kana Endo, la nipote di Kenji. Una ragazza carina, carismatica e decisa, che sa decisamente il fatto suo. Ad un certo punto della storia, è lei a prendere in mano situazione e a lottare strenuamente contro l’Amico. A proposito di quest’ultimo, mi viene da dire che “20th Century Boys” non sarebbe lo stesso senza un villain di tale spessore e carisma. Nonostante non lo si veda quasi mai in faccia e la sua identità sia a dir poco fumosa, tale da renderlo quasi una figura evanescente, l’Amico è un villain con la ‘v’ maiuscola. Membro del gruppo di amici d’infanzia, l’Amico dimostrerà grande ingegno nel mettere in atto quanto scritto dai ragazzi sul “Libro delle Profezie” e, ancor di più, nel riuscire a far prostrare l’intero mondo ai suoi piedi. L’Amico è leader politico e religioso carismatico, manipolatore di prima categoria, mente geniale in grado di portare scompiglio nel mondo e astuto figlio di buona donna sempre un passo avanti ai suoi “inseguitori”. Insomma, un villain che merita di essere chiamato con questo appellativo, di cui i ragazzi del ventesimo secolo cercheranno di scoprire continuamente l’identità, grande leitmotiv dell’intero manga.

Ad una storia avvincente e ad un ventaglio di personaggi così ben assortito, nemici compresi, basta aggiungere i disegni ai limiti della perfezione di Naoki Urasawa per creare un manga incredibile, che, però, perfetto non è. Sono del parere che il mangaka potesse tralasciare alcuni capitoli e sottotrame, riducendo così il computo totale dei volumi, “21st Century Boys” compreso, a 20 invece di 24. Allo stesso modo, ritengo che non tutte le questioni siano state risolte adeguatamente e che alcune domande restino prive di una risposta veramente convincente, almeno per me. Infine, non ho particolarmente apprezzato il finale, il che non significa che non mi sia piaciuto, ma se tutta l’opera è stata un capolavoro, lo stesso non mi sento di dire a proposito del finale, che ho trovato molto, forse troppo equilibrato.

Come sempre, però, ciò che conta di più non è la meta bensì il viaggio, e vedere i ragazzi del ventesimo secolo, persone comuni chiamate a salvare il mondo dalla distruzione, diventare ragazzi del ventunesimo secolo, mi ha emozionato parecchio, molto più di quanto non sarebbe riuscito a fare il finale perfetto di un’opera mediocre.