Serializzato nel magazine Manga Erotics F della casa editrice Ohta Shuppan con il titolo di Buraddo haaree no basha, pubblicato in Italia da J POP nella collana Sensei come La carrozza di Bloodharley (volume unico), questo cupo spaccato di inizio novecento, raccontato per immagini dallo stesso autore de L'Immortale, rappresenta, nella narrativa a fumetti, quella unicità che solleva non pochi spunti di riflessione senza ricorrere ad elementi di spettacolarizzazione gratuiti.
E' anche vero che alcune tavole nei primi due capitoli necessitano di una buona dose di sopportazione, ma la rappresentazione grafica della violenza non può certo essere delicata.
Il sipario si apre su una situazione estatica: Diana Ford, ragazza ospitata nell'orfanotrofio Willows, si appresta ad abbandonare i suoi amici per seguire il sogno di una vita, recitare nella compagnia lirica delle Sante e Nobile Fanciulle di Bloodharley. Siamo in Inghilterra (l'autore vagheggia ma è chiaro), anno 1910 (questo lo si capisce dalle parole di Cordelia nell'ottavo capitolo). Ad alimentare le speranze delle belle ragazze negli orfanotrofi del paese è l'opportunità, vista come una sorta di benedizione, di essere scelte dal duca Nicola Bloodharley per entrare a far parte della sua famiglia e della compagnia lirica di sole donne che ha diffuso la sua fama. Ogni anno una carrozza viene inviata a prelevare le ragazze che andranno ad infoltire la compagnia - e presumibilmente la discendenza - del duca, ma il numero delle ragazze che si mostrano sul palco non coincide assolutamente con quello delle prescelte. La sorte che attende le sfortunate nella fortuna (perché, sempre dal discorso finale di Cordelia, vivono nella speranza come se fosse il bene più prezioso, indipendentemente dalla sua realizzazione) è quella di essere trasformate in oggetto del desiderio sessuale e violento degli ergastolani, secondo le linee guida di un progetto presentato alla camera dei lord dallo stesso duca Bloodharley per evitare sommosse nelle carceri. Non sussiste una vera e propria connotazione politica nella proposta: si tratta piuttosto, come descritto nel quarto episodio, di interessi personali, della volontà del duca di mantenere le proprie prerogative nobiliari e il proprio potere, facendosi carico delle responsabilità per quello che si potrebbe definire “esperimento sociale di contenimento” con il beneplacito del governo. La vita delle ragazze rientra nella contabilità delle perdite sostenibili dalla società (in quanto orfane, figlie di nessuno), anche se ci si domanda dall'inizio alla fine secondo quali criteri alcune abbiano il privilegio effettivo di entrare nella compagnia mentre la maggioranza finisca sul tavolo delle perversioni come agnello sacrificale. La stessa appartenenza alla famiglia Bloodharley non esclude il finale tragico...
Il desiderio di ogni ragazza costretta a vivere la propria infanzia in un orfanotrofio è quello di assistere ad una svolta decisiva nella propria esistenza. A dare corpo alle aspettative di cambiamento, come nella migliore tradizione teatrale e favolistica, è il miraggio vago e romantico che assume i contorni più nitidi di un'adozione importante, di un genuino entusiasmo generato dalla proiezione dell'inganno più subdolo (gli spettri inquietanti della carrozza e dell'abito nuovo da indossare, come in un rituale macabro). E nell'istante in cui il loro destino è deciso, nelle ragazze si va gradatamente perdendo il senso di ingenuità (abbandonano il passato con una vena di nostalgia, ma sempre credendo fino al limite estremo - e oltre - di avere davanti un futuro migliore); il viaggio in carrozza, testimonianza dei loro ultimi istanti di serenità, rappresenta paradossalmente il sipario che vede sfumare l'umano nella vittima-oggetto di una condanna incomprensibile (visibile o solamente accennata).
A conclusione del volume ci si domanda quanto realmente le aspettative delle figlie adottive di Bloodharley siano state deluse e se lo spettacolo messo in scena all'ombra della sofferenza personale (in uno stato di sepoltura vivente), per un'assurda crudeltà, non abbia rivelato delle attrici migliori della drammatizzazione di facciata (cosa che spiegherebbe l'espiazione silenziosa del padre-carnefice). Di certo resta in bocca al lettore un sapore amaro: per la serietà del tema trattato e per la linearità dei singoli episodi, che non lasciano scampo a interpretazioni di comodo.
A dover scegliere un’immagine evocativa... quasi come prendere parte ad un banchetto dove vengono presentate varie portate tra le più diverse, dai trascorsi anche notevolmente discordanti, ma con in comune la condizione in cui si trovano al momento della “chiamata”, e non poter toccare nulla, perché ogni portata deve essere consumata dallo stesso orco che siede a capotavola, con modalità a volte oscene a volte raffinate, ma tutte invariabilmente impietose.
Se c'è una critica che si può muovere alla componente narrativa è la quasi assoluta mancanza di vie di fuga: l'andamento della storia è studiato in modo tale che ogni proposito positivo venga soppresso o messo a tacere nella costante inevitabile verso la quale convergono gli otto capitoli esemplificazione delle modalità con le quali la brutalizzazione delle ragazze viene perpetrata.
Non mancano momenti delicati o semplicemente discorsivi (scambi epistolari, riflessioni, ricordi), ma sono proprio questi, nel momento in cui parte il meccanismo della carrozza, a determinare lo stacco violento del lettore che si ritrova più e più volte come un carillon inceppato.
Tutto questo solo per avvertire preventivamente quanti volessero immergersi nella lettura de La carrozza di Bloodharley del disagio a cui necessariamente andranno incontro. D'altronde non stiamo parlando di un manga normale, non lo si può neanche definire un seinen: è una favola cattiva molto ben orchestrata difficile da apprezzare e faticosa da sostenere anche dopo aver superato i primi due capitoli, ma ad una seconda lettura possono apparire molto buone le scelte nella regia delle tavole ed esaustivo il circolo fatto compiere agli avvenimenti. Ma anche un lavoro come questo, che lascia perplessi (magari un taglio così triste non lo si sarebbe aspettato da Samura, però bisogna riconoscergli la capacità di portare avanti una storia quasi esclusivamente nell'ottica femminile), vale la pena di essere commentato.
Dal punto di vista grafico c'è veramente poco da dire: chi conosce Samura sa perfettamente che ha il tratto sporco, speciale, unico. La regia delle tavole è notevole, come ci ha già abituati ne L'Immortale. Il soffermarsi sulle espressioni dei personaggi e sui particolari nelle inquadrature non sarà allo stesso livello di spettacolarità ma è funzionale all'andamento narrativo e alla tematica trattata.
L'edizione J POP: buona la stampa, non meno di tre errori, ottima copertina e tavole a colori.
La carrozza di Bloodharley... non un titolo per tutti.
Potete leggere una versione estesa della recensione su Frondarossa.
E' anche vero che alcune tavole nei primi due capitoli necessitano di una buona dose di sopportazione, ma la rappresentazione grafica della violenza non può certo essere delicata.
Il sipario si apre su una situazione estatica: Diana Ford, ragazza ospitata nell'orfanotrofio Willows, si appresta ad abbandonare i suoi amici per seguire il sogno di una vita, recitare nella compagnia lirica delle Sante e Nobile Fanciulle di Bloodharley. Siamo in Inghilterra (l'autore vagheggia ma è chiaro), anno 1910 (questo lo si capisce dalle parole di Cordelia nell'ottavo capitolo). Ad alimentare le speranze delle belle ragazze negli orfanotrofi del paese è l'opportunità, vista come una sorta di benedizione, di essere scelte dal duca Nicola Bloodharley per entrare a far parte della sua famiglia e della compagnia lirica di sole donne che ha diffuso la sua fama. Ogni anno una carrozza viene inviata a prelevare le ragazze che andranno ad infoltire la compagnia - e presumibilmente la discendenza - del duca, ma il numero delle ragazze che si mostrano sul palco non coincide assolutamente con quello delle prescelte. La sorte che attende le sfortunate nella fortuna (perché, sempre dal discorso finale di Cordelia, vivono nella speranza come se fosse il bene più prezioso, indipendentemente dalla sua realizzazione) è quella di essere trasformate in oggetto del desiderio sessuale e violento degli ergastolani, secondo le linee guida di un progetto presentato alla camera dei lord dallo stesso duca Bloodharley per evitare sommosse nelle carceri. Non sussiste una vera e propria connotazione politica nella proposta: si tratta piuttosto, come descritto nel quarto episodio, di interessi personali, della volontà del duca di mantenere le proprie prerogative nobiliari e il proprio potere, facendosi carico delle responsabilità per quello che si potrebbe definire “esperimento sociale di contenimento” con il beneplacito del governo. La vita delle ragazze rientra nella contabilità delle perdite sostenibili dalla società (in quanto orfane, figlie di nessuno), anche se ci si domanda dall'inizio alla fine secondo quali criteri alcune abbiano il privilegio effettivo di entrare nella compagnia mentre la maggioranza finisca sul tavolo delle perversioni come agnello sacrificale. La stessa appartenenza alla famiglia Bloodharley non esclude il finale tragico...
Il desiderio di ogni ragazza costretta a vivere la propria infanzia in un orfanotrofio è quello di assistere ad una svolta decisiva nella propria esistenza. A dare corpo alle aspettative di cambiamento, come nella migliore tradizione teatrale e favolistica, è il miraggio vago e romantico che assume i contorni più nitidi di un'adozione importante, di un genuino entusiasmo generato dalla proiezione dell'inganno più subdolo (gli spettri inquietanti della carrozza e dell'abito nuovo da indossare, come in un rituale macabro). E nell'istante in cui il loro destino è deciso, nelle ragazze si va gradatamente perdendo il senso di ingenuità (abbandonano il passato con una vena di nostalgia, ma sempre credendo fino al limite estremo - e oltre - di avere davanti un futuro migliore); il viaggio in carrozza, testimonianza dei loro ultimi istanti di serenità, rappresenta paradossalmente il sipario che vede sfumare l'umano nella vittima-oggetto di una condanna incomprensibile (visibile o solamente accennata).
A conclusione del volume ci si domanda quanto realmente le aspettative delle figlie adottive di Bloodharley siano state deluse e se lo spettacolo messo in scena all'ombra della sofferenza personale (in uno stato di sepoltura vivente), per un'assurda crudeltà, non abbia rivelato delle attrici migliori della drammatizzazione di facciata (cosa che spiegherebbe l'espiazione silenziosa del padre-carnefice). Di certo resta in bocca al lettore un sapore amaro: per la serietà del tema trattato e per la linearità dei singoli episodi, che non lasciano scampo a interpretazioni di comodo.
A dover scegliere un’immagine evocativa... quasi come prendere parte ad un banchetto dove vengono presentate varie portate tra le più diverse, dai trascorsi anche notevolmente discordanti, ma con in comune la condizione in cui si trovano al momento della “chiamata”, e non poter toccare nulla, perché ogni portata deve essere consumata dallo stesso orco che siede a capotavola, con modalità a volte oscene a volte raffinate, ma tutte invariabilmente impietose.
Se c'è una critica che si può muovere alla componente narrativa è la quasi assoluta mancanza di vie di fuga: l'andamento della storia è studiato in modo tale che ogni proposito positivo venga soppresso o messo a tacere nella costante inevitabile verso la quale convergono gli otto capitoli esemplificazione delle modalità con le quali la brutalizzazione delle ragazze viene perpetrata.
Non mancano momenti delicati o semplicemente discorsivi (scambi epistolari, riflessioni, ricordi), ma sono proprio questi, nel momento in cui parte il meccanismo della carrozza, a determinare lo stacco violento del lettore che si ritrova più e più volte come un carillon inceppato.
Tutto questo solo per avvertire preventivamente quanti volessero immergersi nella lettura de La carrozza di Bloodharley del disagio a cui necessariamente andranno incontro. D'altronde non stiamo parlando di un manga normale, non lo si può neanche definire un seinen: è una favola cattiva molto ben orchestrata difficile da apprezzare e faticosa da sostenere anche dopo aver superato i primi due capitoli, ma ad una seconda lettura possono apparire molto buone le scelte nella regia delle tavole ed esaustivo il circolo fatto compiere agli avvenimenti. Ma anche un lavoro come questo, che lascia perplessi (magari un taglio così triste non lo si sarebbe aspettato da Samura, però bisogna riconoscergli la capacità di portare avanti una storia quasi esclusivamente nell'ottica femminile), vale la pena di essere commentato.
Dal punto di vista grafico c'è veramente poco da dire: chi conosce Samura sa perfettamente che ha il tratto sporco, speciale, unico. La regia delle tavole è notevole, come ci ha già abituati ne L'Immortale. Il soffermarsi sulle espressioni dei personaggi e sui particolari nelle inquadrature non sarà allo stesso livello di spettacolarità ma è funzionale all'andamento narrativo e alla tematica trattata.
L'edizione J POP: buona la stampa, non meno di tre errori, ottima copertina e tavole a colori.
La carrozza di Bloodharley... non un titolo per tutti.
Potete leggere una versione estesa della recensione su Frondarossa.
Autore: KenzoTenmaFRNSGLRadicchio
Dal punto di vista grafico, concordo, niente da dire.
Grazie a te per la bella recensione. Se vuoi indicare il link al tuo blog, dove hai pubblicato la recensione completa, è un tuo diritto. La aggiungeremo come fonte.
Ciao!
Saluti
Ottima recensione
in ogni caso un manga che vale la pena di possedere senza alcun dubbio
una sola domanda all'autore KenzoTenmaFRNSGL, questo "non meno di tre errori" sull'edizione J-POP a cosa si riferisce?
Mi è piaciuto molto l'intro e qualche pezzo di storia... di alcune avrei fatto a meno pur di avere un finale diverso... che ti lasci meno interdetto e come avete detto meno "spaesato"...
Troppo carne al fuoco per un volume unico, IMHO.
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