Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Dedichiamo l'appuntamento di oggi a titoli d'azione con atmosfere storiche con anche elementi fantasy o fantastici: Sword of the Stranger e Le Chevalier d'Eon per gli anime, Berserk di Kentaro Miura per i manga.

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Per il modo con il quale è stato presentato, questo lungometraggio sembrava essere una vera e propria manna dal cielo per tutti coloro che apprezzano l'animazione giapponese ai suoi massimi livelli: tra le lodi profuse da due pesi massimi come Hideaki Anno e Katsuhiro Otomo, la partecipazione ad alcuni importanti festival cinematografici, la produzione da parte dell'acclamatissimo Studio Bones e il dichiarato conubio tra lo stile di Akira Kurosawa e quello di Sergio Leone (due nomi che di certo non passano inosservati), Sword of the Stranger aveva tutta l'aria di essere un film sopraffino, in grado di soddisfare tanto chi cercava qualcosa legato ad un genere estremamente collaudato come la rivisitazione storica, quanto i palati più esigenti. L'impressione che ho avuto dopo la visione, è stata quella invece di un lavoro senz'altro buono, ma incapacitato ad esprimersi nel suo pieno potenziale per via di alcune mancanze che francamente si potevano superare senza sforzarsi troppo.

Vado subito al sodo, concentrandomi quindi sulla trama, che ahimè si adagia in maniera pressoché totale sugli stereotipi più blandi delle storie sul Giappone medievale e dell'avventura in generale. La cosa di per sé non sarebbe disprezzabile, si pensi al gran numero di prodotti il cui punto di forza sta proprio nel giocare con gli stereotipi, smontandoli, riassemblandoli, dandogli nuove vesti, o semplicemente riproponendoli con la giusta dose di freschezza, ma è proprio questo che manca a Sword of the Stranger: vuoi forse per aver intenzionalmente creato un plot di facile presa, non c'è una vera e propria rielaborazione degli stilemi ai quali si rifà, i quali paiono essere solamente accostati l'un l'altro senza grosse pretese.
Stesso discorso può essere fatto per i personaggi, che di fatto sono semplici marionette del tutto assoggettate a ruoli ben definiti e immobili, con una caratterizzazione assai semplicistica, come il samurai tormentato che ha deciso di non usare più la spada, il ragazzino braccato perché al centro dell'interesse degli antagonisti, il guerriero senza scrupoli che combatte per il puro gusto della sfida, ribellandosi ai superiori, e via dicendo.

A questo punto, il mio voto pare stridere con le parole non esattamente benevole finora rivolte a questa pellicola, ma la mia sufficienza abbondante ha un perché: nonostante le suddette pecche, Sword of the Stranger indubbiamente funziona, riuscendo pienamente nell'intento di offrire allo spettatore un'ora e mezzo di azione violenta ma non troppo, sempre gradevole e dal ritmo sostenuto. È bene quindi non aspettarsi nulla di eccelso, approcciandosi a questa pellicola, perché troverete semplicemente un racconto di maniera che però saprà coinvolgervi se non siete troppo esigenti.

Passando alla realizzazione tecnica, posso dire che, nonostante venga spesso additata come il piatto forte dell'intero film, in verità anch'essa non è esente da pecche: oltre al character design a mio parere poco originale e a volte fastidiosamente spigoloso, la qualità dell'animazione stranamente ha diverse oscillazioni, per cui si passa da momenti nei quali i movimenti sono abbastanza rigidi (purtroppo anche durante alcuni combattimenti), ad altri contraddistinti, paradossalmente, da una fluidità quasi eccessiva, specialmente per quanto riguarda le espressioni facciali di alcuni personaggi. Il lavoro svolto è comunque più che soddisfacente, davvero notevole se comparato con gli standard visivi di altri lungometraggi, specialmente per i bellissimi fondali, realizzati con tecniche tradizionali, nonché valorizzato da una regia adeguata.

Menzion d'onore va alla colonna sonora di Naoki Sato, le cui note maestose ed espressive danno un doveroso senso di epicità alle vicende, riecheggiando a volte l'Ennio Morricone della Trilogia del dollaro. Parlando invece dell'edizione italiana, il doppiaggio non è purtroppo dei migliori per la scelta delle voci, alcune delle quali si adattano molto male al relativo personaggio, come nel caso del protagonista Kotaro o di alcune "comparse". Apprezzabile comunque l'aver mantenuto la lingua originale sottotitolata nei dialoghi in cinese che compaiono qua e là.

Che dire in definitiva di Sword of the Stranger? È un film piacevole, che sa intrattenere più che bene, ma a conti fatti comunque non fondamentale. Speriamo che lo staff Bones, con il prossimo progetto cinematografico, riesca a raddrizzare il tiro, considerando questo magari come un piccolo esercizio di stile atto a saggiare le potenzialità dello Studio in questo preciso format.



6.0/10
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Esprimere in poche parole un'opinione sulla mastodontica opera del mangaka Kentaro Miura è impresa decisamente ardua. Sia per le varie tematiche trattate, sia per la quantità delle stesse. Non da meno è da considerare lo sviluppo narrativo dell'opera, che nell'arco degli anni ha subito non poche interruzioni che hanno inevitabilmente influito sulle scelte. Ma andiamo per ordine.

"Berserk" narra le vicende di Gatsu, trovatello scampato alla morte grazie a Gambino, mercenario che casualmente si trova a passare nei pressi dell'albero presso cui è stata impiccata la madre naturale del bambino. In questo scenario spietato, in cui un medioevo fantastico di matrice europea funge da sfondo, Miura caccia il peggio di sé narrando una vicenda violenta, spietata e brutalmente cupa in cui la vendetta è il perno portante su cui nascono e muoiono le vicende dei protagonisti.

Ma non è tutto oro ciò che luccica e, come detto in precedenza, Berserk risente non poco delle svariate interruzioni editoriali che hanno letteralmente diviso in manga in blocchi diversi fra di loro sia sul piano grafico che narrativo. Seppur apparentemente coerente, l'opera di Miura ha dei veri e propri vuoti narrativi nei quali si ha l'impressione che l'autore voglia o strafare, allungando dunque il brodo, o ridurre all'osso, risultando frettoloso ed "arronzone", alcune vicende chiave della storia. Come ad esempio gli eventi che precedono la prima eclissi, frettolosi ed illogici in più casi, o come i capitoli dell'apostolo Lucy inutilmente allungati fino allo sfinimento. Senza considerare i capitoli successivi alla rinascita, in cui ci si è sbizzarriti in un ambiguo melting pot fra il crudo e realistico medioevo che aveva caratterizzato fino ad allora l'opera, ed il fantasy più sfrenato che tanto puzza di mancanza di idee.

Allora cos'è che avvince di "Berserk"? Sinceramente non saprei dirlo visto che a conti fatti sono solo due i blocchi narrativi che realmente avvincono sia nelle vicende che nel disegno (che spesso e volentieri patisce errori grossolani nelle proporzioni degli arti dei protagonisti - in particolar modo nei primi capitoli). Eppure Miura riesce in questa immensa opera a mantenere un ritmo incalzante concedendo al lettore i giusti stimoli per non abbandonare mai la lettura. Il tutto sperando che le vicende di Gatsu, giunto oramai al suo ventiduesimo anno di vita, possano concludersi quanto prima possibile in un finale degno di tale nome.



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È una vergogna che questo lavoro sia meno conosciuto e meno considerato di quanto meriterebbe, con la robaccia che c’è in giro. Anche per questo, per compensare, alzo leggermente la votazione.
Comincio da un pregio relativo: a differenza di molte serie che accumulano tensione e misteri per poi crollare sotto il loro stesso peso, Le Chevalier d’Eon ha un finale perfettamente risolto, e non solo: un finale verso il quale tendono tutte le linee narrative, che sono più di una, e che dà loro un senso compiuto. È quella che si chiama forma drammatica, ed è merce rara in questo campo.

In secondo luogo, i cosiddetti production values sono di un livello eccellente. La ricostruzione storica (scenografie, abiti, dettagli di arredamento) è curata nei minimi dettagli, il disegno è sintetico, elegante e adulto, le musiche sono più che discrete. Le grosse licenze storiche che gli sceneggiatori si prendono appaiono in ultima analisi giustificate dalla tenuta dell’invenzione fantastica.

Questa è l’animazione che piace a me, sottile e post-adolescenziale. La quantità di buone cose e di tocchi di classe contenuta nelle otto ore complessive è enorme, la regia è ben ritmata e accorta. Certo, ci sono serie più compatte, con più suspense ed emozione, come Seirei no Moribito, per esempio, che è forse superiore, ma Le Chevalier d’Eon (nonostante qualche sbavatura) ha qualità di quieta grandezza e grande respiro narrativo che compensano il tenore più rilassato. Mi fermo qui, senza riassumere neppure i sommi capi dell’intreccio: give this work a chance, ne vale la pena!